martedì 13 luglio 2010

Domenica VIII dopo Pentecoste - 18 luglio 2010

Domenica VIII dopo Pentecoste - 18 luglio 2010

LETTURA
Lettura del primo libro di Samuele 8, 1-22a

In quei giorni. Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli. Il primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto. Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te. Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro». Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse: «Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: «No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie». Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro».

COMMENTO

Questo testo segna il passaggio dall'epoca dei "giudici" a quella dei "re". Al centro di tale passaggio ci sono la presenza e le vicende stesse della famiglia di Samuele.
Samuele rifiuta istintivamente la richiesta che il popolo fa di avere un “re” visibile, in sostituzione di un “giudice” e, nella sua sensibilità intravvede il rifiuto della regalità di Dio (v7) poiché, con ostinazione, il popolo vuole seguire l'esempio degli altri popoli.
Ma i tempi sono cambiati, e gli interventi temporanei e occasionali dei giudici, in relazione a scontri tra nemici sul territorio, lasciano il posto alle altre più drammatiche guerre e a scontri tra potenze più grandi per cui si sente la necessità di un potere stabile e continuativo, forte, tempestivo.
Il Signore acconsente a malincuore (vv 8-9) e obbliga Samuele ad avvertire Israele per tutti gli inconvenienti che la monarchia comporterà (vv 10-18). Ci sono stati alcuni precedenti già nella storia di Israele nel tentativo di eleggersi un re nella persona di Gedeone (Gdc 8,22-23,) e sfociato nella tirannia di Abimelech.
Anche i figli di Samuele, come i figli del sommo sacerdote Eli che aveva accolto da bambino Samuele, non si comportano con correttezza poiché si fanno corrompere dal danaro. Così il popolo non crede tanto nella istituzione temporanea di un giudice, ma nella costituzione di un governo, retto da un re, che coordini e comandi e con il diritto della successione.
Samuele indica tutte le pretese che il re e la struttura regale comporteranno: il re pretenderà terre, lavoro, tempo, persone (uomini e donne), decime sulle sementi, sulle vigne, sulle greggi.
Tutto questo sarà reclutato o sequestrato per sviluppare e ingigantire sempre più il potere del re, della struttura dei suoi funzionari, del suo esercito.
Il popolo rifiuta la proposta di Samuele di ripensare e, piuttosto, insiste perché "saremo anche noi come tutti i popoli". Una tentazione che non ci abbandona neanche al presente: essere come tutti gli altri e non dovere ascoltarela parola che viene da Dio!
In fondo sono proprio questi lo sbaglio e la dimenticanza. La gente d’Israele non ricorda di essere un popolo speciale, scelto dal Signore. Il Signore incoraggia,
comunque, Samuele ad ascoltare le richieste del popolo. E Dio non si tira indietro. Egli stesso si occuperà di scegliere via via i re: Saul, Davide, Salomone, infondendo il suo Spirito ma, nello stesso tempo, obbligandoli ad essere responsabili delle proprie azioni.
Da una discendenza regale nascerà il Messia.


SALMO
Sal 88 (89)

® Sei tu, Signore, la guida del tuo popolo.
Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia. ®

Perché tu sei lo splendore della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele. ®

Un tempo parlasti in visione ai tuoi fedeli, dicendo:
«Ho trovato Davide, mio servo,
con il mio santo olio l’ho consacrato;
la mia mano è il suo sostegno,
il mio braccio è la sua forza». ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 2, 1-8

Carissimo, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 22, 15-22

In quel tempo. I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo il Signore Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

COMMENTO

Matteo racconta la discussione che farisei ed erodiani impostano con Gesù su un problema quanto mai delicato e pericoloso. Gesù può incappare in risposte, comunque in contraddizioni, e quindi in accuse infamanti che avrebbero giustificato una condanna o un rifiuto: o screditarlo davanti al popolo o accusarlo davanti alle autorità politiche di occupazione.
Siamo nell’ultima settimana di vita di Gesù: egli si trova nel tempio di Gerusalemme.
Ogni persona, dai 12 anni (se donna) o 14 (se uomo), fino ai 65 anni, deve pagare all’erario romano un danaro d’argento all’anno (testatico), equivalente ad una giornata di lavoro. Per esigere questa tassa si sono fatti i censimenti, considerati, perciò, strumenti di dominio, potenza e sfruttamento. Gli interlocutori di Gesù iniziano adulando la correttezza e la libertà del maestro, ma gli lanciano anche una sfida.
L’imperatore rivendica una padronanza che dalla dimensione politica si riflette sul culto religioso, facendo dire agli zeloti che bisogna ribellarsi con la lotta armata. I farisei, invece, dicono: “l’unico Signore è Dio, ma non si deve arrivare alle scelte degli zeloti”. Gli erodiani sono invece apertamente collaborazionisti con i romani e quindi facilmente delatori all’autorità politica.
Il Vangelo ricorda: hanno, tutti insieme, “tenuto consiglio” e questo è un linguaggio che accompagnerà il processo e la morte del Signore.

Gesù smaschera la malvagità della domanda, ma non si sottrae.

Lo hanno chiamato “maestro” e si sente in dovere di rispondere. Chiede una
moneta (che Gesù non ha) ma che gli interlocutori trovano facilmente, mostrando però che usano normalmente le monete pagane e che disobbediscono alla legge poiché, nel tempio, una immagine umana scolpita, anche se su una moneta, lo profana.
Ma la moneta è essenziale per la ricchezza, il commercio, la stabilità delle strade, la pace che tutti utilizzano. Allora “Voi pagate, restituendo (questo è il vero significato del testo) a Cesare quello che è opera dell’impero” e quindi, giustamente pagate le tasse per un servizio che tocca tutti.
Non c’è ragione per un’evasione fiscale e questo esaurisce il rapporto con l’impero.

Resta tutto l’altro.

“Restituite a Dio quello che è di Dio” che è l’uomo, che porta l’immagine di
Dio, come la moneta l’immagine dell’imperatore.

A Dio occorre offrire tutto noi stessi, dato che tutto cò che siamo vieme come dono da Lui.

E si restituisce a Dio facendo la sua volontà, offrendo amore a chi Dio ama, migliorando il mondo che il Signore ha fatto con sapienza come dono ricostruendo, operando, guarendo e perdonando. Se sfrutti, se schiavizzi, se rifiuti, se
strumentalizzi, se domini non restituisci a Dio la bellezza della sua creazione.


RITO ROMANO

Luca 10,38-42

In quel tempo, 38 mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
39 Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40
Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti
agiti per molte cose, 42 ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte
migliore, che non le sarà tolta».

COMMENTO

Il silenzio di Maria riempie questa scena famosa. Ella è tutta tesa nell’ascolto
delle parole di Gesù. Questa era una situazione inusuale all’epoca, perché le
donne non venivano istruite nella parola di Dio, istruzione riservata agli uomini
che erano chiamati ad osservarla e per questo dovevano conoscerla. Maria non
dialoga con Gesù, ma semplicemente lo ascolta con attenzione, come se si
nutrisse delle sue parole.
Marta è colei che prende l’iniziativa in questo breve racconto. Dapprima ospita
Gesù e poi si mette a preparare quanto era necessario per una degna ospitalità.
E’ lei che sceglie liberamente cosa fare per accogliere Gesù, forse anche lei
desidera ascoltare le parole di questo rabbi famoso, ma ritiene più importante
preparare da mangiare.
Marta prende allora l’iniziativa, ancora una volta, per rimproverare Gesù che
sembra quasi non accorgersi del suo darsi da fare e di non reputarlo importante.
Marta vorrebbe che Gesù rimproverasse la sorella Maria per distoglierla
dall’ascolto della sua parola così da poterla aiutare nel servire Gesù.
Marta non si rivolge direttamente alla sorella, come se avesse intuito che stesse
facendo la cosa giusta e che quindi non può esser rimproverata per il suo
ascolto, che è il modo migliore per accogliere Gesù.
Gesù, tuttavia, non si lascia prendere dall’affanno di Marta e non acconsente
neanche alla sua parola, ma offre anche a lei un insegnamento che la aiuti a
trovare il vero centro della vita: non le cose materiali, ma la parola del Signore.
Quelle servono se sono al servizio di questa. Soprattutto quando Gesù è
presente è importante ascoltarlo, verrà poi il tempo del servizio a lui e ai fratelli, ma prima di tutto c’è bisogno di ascoltarlo, fermarsi in silenzio e nutrirsi della sua parola.
Maria diventa così esempio per la sorella, che si affanna per molte cose. Luca
usa altre 5 volte (10,19; 12,11.22.25.26) il verbo affannarsi e sempre in bocca a
Gesù, due volte per insegnare ai discepoli di non preoccuparsi di cosa dire
qualora fossero stati consegnati alle autorità, e le altre tre per insegnarci a non
affannarci dietro al cibo e alla vita, perché essi sono doni che Dio ci offre con
gioia.
Qui Gesù ci insegna che la preoccupazione produce agitazione, ma inutile.
Centrarsi su ciò che è importante: la parola di Gesù, ci permette poi un agire
sapiente che va al cuore della situazione, proprio come fa Gesù che ascolta la
parola del Padre.

mercoledì 7 luglio 2010

Domenica VII dopo Pentecoste - 11 luglio 2010

Domenica VII dopo Pentecoste - 11 luglio 2010

LETTURA
Lettura del libro di Giosuè 24, 1-2a. 15b-27

In quei giorni. Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Il Signore ha scacciato dinanzi a noi tutti questi popoli e gli Amorrei che abitavano la terra. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio». Giosuè disse al popolo: «Voi non potete servire il Signore, perché è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri peccati. Se abbandonerete il Signore e servirete dèi stranieri, egli vi si volterà contro e, dopo avervi fatto tanto bene, vi farà del male e vi annienterà». Il popolo rispose a Giosuè: «No! Noi serviremo il Signore». Giosuè disse allora al popolo: «Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelti il Signore per servirlo! ». Risposero: «Siamo testimoni! ». «Eliminate allora gli dèi degli stranieri, che sono in mezzo a voi, e rivolgete il vostro cuore al Signore, Dio d’Israele!». Il popolo rispose a Giosuè: «Noi serviremo il Signore, nostro Dio, e ascolteremo la sua voce!». Giosuè in quel giorno concluse un’alleanza per il popolo e gli diede uno statuto e una legge a Sichem. Scrisse queste parole nel libro della legge di Dio. Prese una grande pietra e la rizzò là, sotto la quercia che era nel santuario del Signore. Infine, Giosuè disse a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra sarà una testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi, perché non rinneghiate il vostro Dio».

COMMENTO
Giosuè ha sostituito Mosè alla guida del popolo, dopo essere stato il suo giovane aiutante nel peregrinare nel deserto (Es 33,11); alla morte di Mosè, aveva preso il suo posto per “realizzare” la conquista della terra promessa. Giosuè era diventato la concreta testimonianza di una storia di popolo che ormai stava perdendo la memoria poiché le vecchie generazioni, anche quelle che avevano avuto testimonianze dalle proprie famiglie, erano finite.
Così Giosuè, «ormai vecchio e molto avanti negli anni» (Gs 23,1), compie il rinnovamento dell’Alleanza che già Mosè, ormai vicino alla morte, aveva celebrato a Moab, prima che il popolo, diretto da Giosuè, passasse il Giordano. E, con la medesima celebrazione nella terra ormai conquistata, al centro del territorio, a Sichem, viene sancita la scelta fondamentale (di questa celebrazione v’è un anticipo qualche capitolo prima, in Gs 8,30-35).
Il testo, che oggi abbiamo letto, mentre non riporta una prima parte (dai vv 3-14) in cui Giosuè sintetizza la storia di questo popolo, da Abramo fino ai giorni dell’insediamento in Canaan, ci conduce alla concretezza di una scelta del Dio che ha accompagnato. Tutto il popolo di Israele è invitato a riflettere e a scegliere. Esso può contare su una catena di testimonianze, appena enunciate, che traccia
un itinerario di secoli, percorso dall’assistenza del Signore in cui Giosuè crede: gente dispersa e schiava è diventata un popolo. E il Dio che è intervenuto è stato un Dio ignoto fino al tempo della liberazione dall’Egitto. Egli si svelò e fu conosciuto proprio per il suo inatteso interessamento e quindi per la potenza del suo intervento assolutamente imprevedibile.
Prima di loro gli dei del culto dei padri erano stati quelli della terra che abitavano. Ma chi ha salvato questo popolo è stato un Dio che Giosuè, personalmente, aveva sperimentato nonostante l'insufficienza della forza umana. L’intervento gratuito di Dio gli ha aperto gli occhi per cui, dichiara, lui e la sua gente hanno deciso di “servire il Signore”, ovvero di avere il Signore come unico punto di
riferimento, religioso, morale.
Anche il popolo accetta di essere destinatario, in prima persona, dei fatti passati di salvezza che si prolungano nella propria storia. E se Giosuè ricorda le conseguenze impegnative, facendo presente che tradire un’alleanza è più grave di non averla mai sancita, il popolo accetta insieme la propria storia e le scelte passate che continuamente si compiono.
In ogni messa noi ripetiamo, proclamando il CREDO, la stessa adesione nell’unico Dio uno e trino che ci ha creati, ci ha amati fino alla morte e ci ha alimentato di verità e grazia. Noi ripetiamo insieme, “nella nuova ed eterna Alleanza”, come un popolo fatto uno dalla fede, unanimemente, la scelta fatta 2000 anni fa dalla prima comunità cristiana e ripetuta lungo i secoli, pur tra tutte le traversie, le
sconfitte e i tradimenti.


SALMO
Sal 104 (105)

® Serviremo per sempre il Signore, nostro Dio.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.
Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto. ®

È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi.
Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco. ®

Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
Ha dato loro le terre delle nazioni
e hanno ereditato il frutto della fatica dei popoli,
perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1, 2-10

Fratelli, rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione: ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6, 59-69

In quel tempo. Il Signore Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio».

COMMENTO
Questo testo è la conclusione del discorso sul pane, che occupa tutto il cap. 6, fatto nella sinagoga di Cafarnao, sviluppo e spiegazione del gesto dei pani che sono stati spezzati per 5000 persone al di là del lago.
Il filo logico è molto complesso e molto tortuoso. Gli ascoltatori sono stati condotti dallo stupore del pane distribuito, a chiedersi se Gesù poteva diventare un condottiero che libera Israele.
Poi sono stati condotti alla ricerca del significato del seguire Gesù e quindi ad intravedere in Lui il vero dono di Dio di cui la manna nel deserto era, semplicemente insieme, un gesto di misericordia ma anche un segno.
Poi sono stati condotti ad accettare che solo in Gesù esiste il vero rapporto con il
Padre. Infine si sono sentiti dire che devono entrare in una comunione con Gesù così intima e così profonda da assomigliare al rapporto tra chi mangia e ciò che si mangia.
Gli ascoltatori hanno tentato inizialmente di accogliere le proposte di Gesù, hanno cominciato a reagire quando si sono resi conto che addirittura ci si contrapponeva a Mosé, hanno avuto il coraggio di resistere fino in fondo, quando il Signore ha parlato di: "mangiare il mio corpo e bere il mio sangue". Ma, alla fine, la maggior parte, “ molti dei suoi discepoli", stupiti di tali assurdità, al limite
dell'eresia, hanno abbandonato Gesù, pur essendo stati suoi ammiratori entusiasti.
Pur nella difficoltà le persone che lo hanno ascoltato fino alla fine si rendono conto che Gesù sta esigendo da loro un rapporto essenziale e unico. E si rendono anche conto, pur non comprendendo pienamente, che Gesù li chiama al suo stesso destino, ad un progetto di vita che ha bisogno di essere riletto alla luce dello Spirito. Tutto ciò che hanno ascoltato non va riletto secondo la carne, che in
questi casi "non giova a nulla" e che anzi fa irrigidire, scoraggia, annebbia la lettura della Parola di Dio e fa allontanare. Gesù garantisce che lo Spirito è capace di dar loro la vita, che lo Spirito viene dal Padre e rende capaci di immettersi nella fede in Gesù.
Il confronto tra la carne e lo Spirito, il confronto tra la fede e l'abbandono, il confronto tra il mangiare con Lui o il lasciarlo: la conclusione di questo testo ci rimanda alla Eucaristia, alla possibilità di seguirlo mangiando insieme con Lui o di abbandonarlo, al segno della comunione o al segno del rifiuto.
Il gioco tra parola di Gesù, esigente e irreversibile, e la libertà che ci riconosce, in questo testo, pur drammatico, si conclude, da parte dei dodici in una fiducia incondizionata in Gesù, pur nella testimonianza di una incapacità a comprendere fino in fondo.
Perciò l'Eucaristia non è il dono per i santi, ma è il viatico per i poveri e Gesù lo ha ripetuto con chiarezza. Essa è “il sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27-28).
Gesù chiede ai 12 e chiede anche a noi se vogliamo trovare altri punti di riferimento nella nostra vita.
Pietro, a nome di tutti, risponde: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».
Così questa liturgia
- incomincia con la responsabilità di un'alleanza con il Signore che libera,
- continua con lo sguardo stupito di quanto il Signore sa moltiplicare i suoi doni per tutti,
- conclude nella fiducia di essere radunati e accolti, se ci fidiamo, anche se peccatori poveri.