venerdì 29 novembre 2013

Sono io che devo cambiare, non Gesù. 1.12.2013



III domenica T. Avvento (Anno A)
Lettura
Is 35,1-10
Così dice il Signore Dio:
«Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa;
nessun impuro la percorrerà.
Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere
e gli ignoranti non si smarriranno.
Non ci sarà più il leone,
nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà.
Vi cammineranno i redenti.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 84(85))
Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra. R.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo. R.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino. R.
Epistola
Rm 11,25-36
Non voglio che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l’empietà da Giacobbe.
Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati.
Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti,
chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt11,13-14)
Alleluia.
La Legge e i Profeti hanno profetato fino a Giovanni;
è lui quell’Elia che deve venire.
Alleluia.
Vangelo: Mt 11,2-15
In quel tempo Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
Parola del Signore.
Commenti
Lettura del profeta Isaia 35,1-10
II profeta Isaia esprime un drammatico giudizio contro Edom, raffigurato come simbolo del male a causa dell'atteggiamento ostile manifestato verso Gerusalemme in occasione dell'assedio babilonese. Il castigo è descritto come morte dei nemici, devastazione del paese, invasione di animali selvaggi e di demoni. (cap 34). Il capitolo 35 (la lettura di oggi) offre, in contrapposizione, la visione della felicità e della benedizione di Dio su Sion e i suoi abitanti, prospettando il ritorno degli esuli a Gerusalemme in una natura rigogliosa e splendente.
Il testo è un canto di gioia per il rimpatrio dall'esilio e il deserto, che è un ostacolo per chi vi si avventura, cambia e diventa un giardino. La terra arida e impraticabile acquisterà lo splendore del Libano, del Carmelo e di Saron per alberi e per acqua: sono i luoghi più fertili e rigogliosi del vicino Oriente in cui si manifesta la maestà di Dio.
Il popolo vedrà la magnificenza del Signore e la sua gloria perché Egli compirà il miracolo della gioia in un popolo vacillante e distrutto. E coloro che sono messaggeri di questo futuro nuovo sono invitati a infondere forza (v 3: "mani fiacche e ginocchia vacillanti") Nel cuore di ciascuno finalmente ci saranno la speranza per l'annunzio e il coraggio: "il Signore viene a salvarci".
Il Signore ristabilisce la giustizia per il suo popolo ("vostro Dio") che è il Dio dell'alleanza e che perciò non si è mai dimenticato della sofferenza nel tempo dell'esilio. E parlare qui di vendetta divina (v 4) richiama intanto il castigo degli eserciti vincitori; ma insieme evoca la salvezza che il Signore attua nei riguardi del suo popolo, in particolare negli ultimi (questi testi sono citati in
senso messianico, da Matteo 11,5 e Luca 7,22).
Il linguaggio poetico, infatti, si allarga all'attenzione per i più deboli ed i poveri; non ci sarà solo liberazione, ma ogni cieco vedrà, e ogni muto potrà parlare, e lo zoppo potrà saltare di gioia e il sordo potrà udire (la sanità dei malati è per tutti poiché si ricordano 4 condizioni: e il 4 è il numero della terra). Saranno così cancellati ogni segno di tragedia, ogni disgrazia, sopravvenute per la deportazione, la malattia, la denutrizione e il maltrattamento.
Ci sarà una "via Sacra" che percorrerà il territorio da Babilonia a Gerusalemme e su di essa cammineranno i redenti (a Babilonia esisteva una "via Sacra" che gli schiavi costruivano per la processione delle statue pagane e che collegava i diversi templi).
Gli ultimi tre vv. si ricollegano alla visione di Isaia che sogna il raduno del popolo disperso: di questo sogno si trova traccia in tutto il libro. Non ci saranno più pericoli di animali "leoni e bestie feroci", non ci saranno "impuri e stolti", (idolatri o nemici di Dio), ma sarà un percorso di libertà di vita e di gioia. Anche il richiamo della felicità che splende sul capo fa riferimento, probabilmente, ad abitudini culturali: celebrando, si portavano sul capo corone di fiori.
Tutto questo popolo, allora come oggi, deve riconoscere di essere "cieco, sordo, zoppo e muto", per vedere il Signore nella storia, per ascoltare la sua parola, per osare un cammino di coerenza ed aprire dialoghi con azioni nuove nel mondo, dove si vive e si lavora.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 11, 25-36
Per Paolo il fatto che il popolo d'Israele, globalmente inteso, non abbia accettato Gesù come Messia resta sempre un grande interrogativo. Se ne fa un cruccio, poiché soffre per i fratelli e le sorelle, che "sono stati visitati dal Signore", ma non l'hanno accolto.
E tuttavia si sforza di approfondire, di capire e di motivare questo distacco. Se il popolo d'Israele, chiudendosi a Gesù, ha disertato le nuove comunità, riflette san Paolo, questa lontananza ha permesso di aprire il nuovo annuncio, senza difficoltà, ai pagani. Se Israele si fosse convertita tutta e subito, probabilmente i nuovi credenti, provenienti dal paganesimo, non avrebbero ricevuto pari riconoscimento e cittadinanza nel popolo di Dio. La conversione, relativamente facile dei pagani (o "gentili" da "genti"), non avviene con tensioni ed esclusioni (un esempio può essere la problematica che è iniziata ad Antiochia ed è stata risolta con saggezza pastorale da Barnaba: Atti 11,19 ss).
In tal modo, però, alla fine, il Signore riproporrà anche al popolo d'Israele la pienezza dell'incontro (Israele è, comunque, fondamentale per parlare di salvezza) e sarà pieno il ricongiungimento nella misericordia per tutti i popoli. E se il compito della prima Alleanza, vissuta da Israele, si è sviluppato nella storia, mantenendo attesa e speranza, con Gesù questo compito si allarga su tutto il mondo poiché il Padre vuole salvare tutti gli uomini, travolti dal male. Alla fine, nella misericordia, con la sua ricchezza di doni e di predilezione, anche Israele entrerà, insieme a tutti i popoli della terra, nell'incontro totale con Dio.
Il testo si sviluppa con ritmi che richiamano il 3, il numero di Dio: "la profondità di Dio nella ricchezza, sapienza e conoscenza è interpellata da tre domande e tutto si riconduce al significato dell'esistente: "da Lui, per mezzo di Lui e per Lui".
Il mistero sulla storia resta, ma una misericordia premurosa e fedele di Dio sa condurre verso la pienezza di vita, nonostante la fatica, la sofferenza e il male del mondo.

Lettura del Vangelo secondo Matteo 11, 2-15
Nel Vangelo di Matteo la domanda più grande che turba la ricerca di tante persone viene espressa a Gesù da Giovanni il Battista che è in carcere e scopre che le sue attese sono completamente diverse. Eppure ha parlato come profeta e su questa attesa sta giocandosi, fino in fondo, la sua vita: Allora "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". I discepoli, che continuano a tenere i contatti con Giovanni Battista in carcere, debbono svolgere una precisa missione presso Gesù per essere illuminati circa l'identità del Messia. Sanno che "Colui che doveva venire", deve essere il re e il giudice della fine dei tempi, destinato a ristabilire l'ordine e la giustizia turbati dai nemici e dai peccatori in Israele. Eppure sembra che Gesù segua un altro programma.
Proprio questo stile, assolutamente impensabile, porta disorientamento e perplessità. Giovanni si chiede il senso della propria vita e vuole verificare la credibilità del suo messaggio. Da giudice, da re vincitore, come lo aveva immaginato e proposto, si ritrova un Messia che opera senza clamori e risonanza, "senza gridare nella piazza, né spezzare la canna incrinata, né spegnere il
lucignolo fumigante"
(Mt 12,19-20).
Gesù risponde suggerendo ai messaggeri di udire e vedere e quindi riferire: "I ciechi, gli storpi, i lebbrosi, i sordi sono guariti, i morti risuscitati, ai poveri è predicata la buona novella".
Vengono ripresi Isaia (c.35) e Isaia (c.61) con, in più, il richiamo ai lebbrosi e ai morti. La novità della risposta non sta tanto nei miracoli: in questo tempo molti parlano di ciarlatani con fatti straordinari. Straordinario è l'allineamento di un mondo nuovo secondo la parola dei profeti che restituiscono dignità e gioia ai diseredati (l'elenco è costituito di 6 elementi a cui si aggiunge la beatitudine di chi non si scandalizza: è il vero mondo liberato).
A questo punto "beato chi non si scandalizza di me". Letteralmente significa, beato chi non mi mi dice come devo essere, chi non pensa che io debba essere secondo i suoi pensieri e i suoi gusti. Poiché la strada di Gesù è così nuova e imprevedibile che diventerà sempre più sconcertante fino ad essere realmente "scandalo" (1 Cor. 1,23); infatti, si arriverà fino al Calvario con la crocifissione del Re dei Giudei. E tutti grideranno: "Se tu sei figlio di Dio, scendi dalla croce". Il dubbio che Giovanni ha superato, avendo maturato una sua riflessione sui profeti, non sarà superato, invece, dalle persone attorno a Gesù. Anzi tale dubbio prenderà sempre più corpo e diventerà garanzia di imbroglio: "Se non è capace di salvare se stesso, è un ciarlatano".
Giovanni sarà grande, il più grande tra i figli di donna, poiché precederà Colui che viene da parte di Dio e sarà fedele fino alla morte. Ma si fermerà al limitare del Regno. Il Regno è la presenza nuova di Dio in Gesù. I tempi e lo stile del Regno sono enormemente nuovi e diversi; aprono ad un mondo assolutamente inaspettato e disorienteranno tutti, anche noi, come allora.
Davanti a Gesù, si tratta di fare un passo nuovo che introduca nel Regno, nella comunità della fede, nel mondo della Parola viva: "Il più piccolo nel regno è più grande di Giovanni." Perciò Gesù sa che è "beato colui che non si scandalizza di lui". Questa frase ci obbliga a ripensare seriamente alla proposta cristiana. Se è troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo tranquilla, troppo scontata, probabilmente non è quella vera, quella di Gesù!

Rito romano
I Domenica di Avvento (Anno A)
Prima Lettura
Is 2,1-5
Dal libro del profeta Isaìa

Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s’innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno:
«Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri».
Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore.
Egli sarà giudice fra le genti
e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.
Casa di Giacobbe, venite,
camminiamo nella luce del Signore.
Salmo responsoriale (Sal 121)
Andiamo con gioia incontro al Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Seconda Lettura
Rm 13,11-14
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti.
La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Acclamazione al Vangelo
(Sal 84,8)
Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia.
Vangelo: Mt 24,37-44
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Mangiavano e bevevano
Da noi c'è un proverbio: "Quali sono le novità di questo porto? O piove, o tira vento, o suona a morto". Insomma, sembra che novità non ce ne siano e tutto rientri nella quotidianità della vita. Le fatiche, le emozioni, perfino i sogni tendono a rientrare nell'alveo della normale consuetudine. Un po' come ogni mattina ci guardiamo allo specchio e ci sembriamo identici a giorno prima, anche i figli pare non crescano, tutto tende a stabilizzarsi ed auto-confermarsi. Ma sappiamo che non è così. Ogni giorno arrivano notizie nuove, i giornali si affastellano, il computer inghiotte parole e immagini: occorre un occhio allenato per intravedere l'incresparsi di una ruga, l'intuizione di un figlio che cresce, un germoglio che sta per spuntare, o un avvenimento che incide nella storia.

Non si accorsero di nulla
Fare l'abitudine alle cose, alla vita, alla storia è la condizione pessima dell'uomo che non si accorge di nulla. Il tempo scorre veloce e contemporaneamente è lentissimo, se ci lasciamo coinvolgere dalla velocità o dalla lentezza non ci accorgiamo della straordinarietà di cui è intrecciata l'ordinarietà. Ci sono cose estremamente evidenti che piano piano diventano invisibili, un po' come l'arca di Noè, di cui non ci si rende più conto. Recentemente c'è stata una serie di servizi del telegiornale (TG2) proprio sugli invisibili; ci sono realtà che hanno perso - o non hanno mai avuto - nell'opinione pubblica una qualche attenzione, fatti e persone che ci scorrono accanto senza che siamo capaci di accorgersene. Al contrario ci sono realtà che sono per natura invisibili e che avrebbero bisogno di più attenzione; sono i sentimenti, le relazioni, le fedeltà, il coraggio, il dono, il mistero della stessa vita, la presenza sommessa del Signore che ha affermato: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Due uomini saranno nel campo
Se uno verrà portato via e l'altro lasciato significa che c'è qualcosa che discrimina i due nell'apparenza identici ed è la capacità di vegliare, l'attenzione alle cose e alla storia. L'esempio del padrone di casa che attende il ladro è estremamente semplice e chiaro: si deve vivere apparentemente come se "non" dovesse accadere niente, ma con la coscienza attendere qualcuno o di essere attesi, coinvolti in un evento che sta per giungere. Dobbiamo "prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui" (EG 3), lasciarsi prendere dal desiderio per vivere la libertà di ogni incontro, mettersi davanti i suoi occhi (EG 264) e scoprire che Lui già ci aspettava a braccia aperte (EG 3).

Cercate di capire questo
C'è la necessità di avere una sapienza del tempo che coniuga la certezza dell'avvenimento e il non sapere quando. La consapevolezza ci dona una prospettiva, ci dice che c'è un progetto per ciascuno di noi e per l'umanità, che ogni giorno si realizza e ci avvicina al compimento. Ma è proprio l'ignoranza del quando che ci rende liberi, capaci di stupirci, attenti alle novità, capaci di valorizzare il presente e gioire di ogni attimo.

giovedì 21 novembre 2013

24 11 2013 II di Avvento _ Senza onestà e giustizia non si può incontrare Gesù.



II domenica T. Avvento (Anno A)
Nei commenti della prima settimana vi ho parlato dei grandi temi dell’avvento.
Oggi vi presente le tre venute di Cristo di cui ci parla la liturgia dell’avvento: la venuta storica nella carne di duemila anni fa, la venuta che metterà fine alla storia come la conosciamo noi e la venuta continua che si realizza nella vita di ciascuno di noi.
Con la prima venuta è apparso chiaro il progetto di Dio: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio. Ogni cosa nel rapporto con Dio deve tenere conto di questo amore che ci precede e ci invita.
Con la venuta finale, che non possiamo descrivere adeguatamente con le nostre parole, Gesù renderà partecipi tutti noi della sua vittoria sulla morte, compirà la nostra umanità e gioiremo del suo amore. Per la sua promessa noi siamo popolo della speranza e dell’attesa. Non guardiamo solo in basso come le galline, ma alziamo il capo, aspettando il momento dell’incontro con Lui.
Con la venuta intermedia, Gesù costruisce la nostra umanità attraverso la sua parola, i sacramenti, il cammino della Chiesa. Noi cresciamo in età, e mentre il corpo invecchia il cuore cresce nelle dimensioni del dono e della carità fraterna. Questo tempo, tanto o poco, ci è dato perché ognuno di noi realizzi la progressiva somiglianza al volto di Cristo. E come il parto, questa nuova nascita, ha i suoi dolori e le sue gioie, ma la gioia è l’ultima parola.

Lettura
Bar 4,36– 5,9
Così dice il Signore Dio:
«Guarda a oriente, Gerusalemme,
osserva la gioia che ti viene da Dio.
Ecco, ritornano i figli che hai visto partire,
ritornano insieme riuniti,
dal sorgere del sole al suo tramonto,
alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio.
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore
a ogni creatura sotto il cielo.
Sarai chiamata da Dio per sempre:
«Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».
Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi,
incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce
in trionfo, come sopra un trono regale.
Poiché Dio ha deciso di spianare
ogni alta montagna e le rupi perenni,
di colmare le valli livellando il terreno,
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.
Anche le selve e ogni albero odoroso
hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio.
Perché Dio ricondurrà Israele con gioia
alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia
che vengono da lui».
Parola di Dio.

Salmo (Sal 99(100))
Popoli tutti, acclamate il Signore.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza. R

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
Egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo. R.

Varcate le sue porte con inni di grazie,
i suoi atri con canti di lode,
lodatelo, benedite il suo nome; R.

perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione. R.

Epistola
Rm 15,1-13
Fratelli, noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me. Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:
Per questo ti loderò fra le genti
e canterò inni al tuo nome.
E ancora:
Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo.
E di nuovo:
Genti tutte, lodate il Signore;
i popoli tutti lo esaltino.
E a sua volta Isaia dice:
Spunterà il rampollo di Iesse,
colui che sorgerà a governare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno.
Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.
Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Lc 3,4b.6)
Alleluia.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alleluia.

Vangelo: Lc 3,1-18
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».
Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Parola del Signore.

Baruc 4, 36 - 5, 1-9

L'immagine di Gerusalemme, che ci viene data dal profeta, è quella della vedova a cui sono stati strappati anche i figli, oltre a quella dell'aver perso il marito. Essa siede per terra, con gli abiti del lutto e il velo sul capo. Non si alimenta più, non si lava, non mette più profumi. E' una donna disperata e senza futuro. Gerusalemme è rimata sola a piangere e i figli sono stati dispersi.

Ma l'invito, che viene fatto a Gerusalemme dal profeta, è quello della sorprendente notizia: i figli tornano dopo tanto tempo.

L'esilio a Babilonia è durato circa 50 anni e poi il dominio di Babilonia si è concluso con la vittoria di Ciro, re dei Medi e dei Persiani, che ha rimandato alle proprie terre i deportati che desideravano tornare.

Così l'invito a Gerusalemme è quello di alzarsi e di correre in cima al monte, di guardare verso oriente da cui stanno arrivando i figli deportati e li sentirà cantare come fanno i pellegrini alla vista di Gerusalemme, lassù sul monte Sion. Perciò " deponi gli abiti di afflizione e rivestiti dello splendore che ti viene da Dio". Gerusalemme è invitata a cambiare l'abito. Il vestito dimostra, soprattutto nel mondo ebraico, la dignità, la gloria, la grandezza e lo splendore interiore di chi indossa abiti maestosi. Non serve solo a ripararsi dal freddo o proteggere il pudore, ma il vestito dimostra e qualifica nel proprio mondo il significato e l'onore della persona stessa. Gerusalemme diventa splendente e unica: si riveste della gloria che viene da Dio, mostrando la sua bellezza interiore a tutti i popoli, diventando attraente perché è rivestita del "manto della giustizia di Dio». E la giustizia, nel VT, è fedeltà, lealtà, solidarietà; perciò la bellezza è costituita da interiore splendore e coerenza di generosità.

Gerusalemme riceve un nome nuovo: « pace della giustizia e gloria della pietà».

Per un semita il nome non è una designazione convenzionale ma, particolarmente legato alla persona, ridefinisce il ruolo, la vocazione e apre a progetti e visioni nuove. Prima dell'esilio Gerusalemme significa "città della pace". Nel mondo il tema della pace porta brividi di gioia, ma qui, dopo l'esilio, si aggiungono due nomi: " giustizia e pietà". La pace si fonda sulla giustizia e non sulla soggezione o sulla conquista che ha snervato ogni resistenza, La pietà indica una vera religiosità profonda che si collega alla bellezza ed alle scelte di Dio e rende un tutt'uno la volontà di Dio e l'adesione a Lui.

Gli esuli si sono allontanati a piedi, con tutte le deformazioni e i limiti della chiusura, gli odi e le inimicizie, i rifiuti, deportati fisicamente e soprattutto schiacciati e profondamente delusi nel cuore. Ora ritornano con il volto dell'amicizia, pieni di energia, accompagnati dal Signore che rende possibile una speranza nuova di coesione, di pace e di responsabilità. Il popolo si riunisce nella coerenza e nella gioia di saper ricostruire un futuro con l'aiuto di Dio. Israele ha riconosciuto il suo male nell'esperienza della misericordia di Dio e Dio stesso gioisce nel ricostituire il suo popolo.

Romani 15, 1-13

Paolo è preoccupato che ci siano armonia e concordia, ma sa che spesso si costituiscono gruppi che creano tensioni e non permettono di costruire insieme una casa (edificare). Si parla " di forti e di deboli". In questo caso i primi versetti sono un richiamo ai forti, tra cui anche Paolo sente di appartenere. I forti stanno sperimentando un cristianesimo di libertà e di rigore allo stesso tempo, poiché hanno davanti agli occhi lo stile di Gesù che continua ad essere fedele al Padre, ma è insofferente delle formalità o delle tradizioni degli antichi, scambiate come volontà di Dio, e che invece risultano spesso essere scelte umane. E ha riscontrato che ci si appella alle formalità mentre si dimentica la volontà di Dio e la sua misericordia.

I deboli, che sembrano una minoranza, sono persone che si aggrappano alle tradizioni, alla lettera della legge e questa loro fedeltà costa critiche, diffidenze ed esasperazioni. Paolo è preoccupato che questo popolo nuovo di Gesù non sappia vivere in coerenza e armonia e quindi non sappia "edificare" con buone fondamenta.

L'esempio di Gesù è di grande conforto poiché ha mantenuto l'Alleanza e quindi, sulla Parola, che Dio ha dato, ha costituito un Popolo privilegiato nella appartenenza e nelle conoscenze. E i pagani scoprono, nella misericordia, di cui Gesù si è fatto garante con il suo sacrificio e la sua non violenza (Sal 18,50), l'accoglienza e l'adesione al mondo del Dio della creazione e della salvezza.

Paolo raccomanda a tutti la concordia e il reciproco rispetto, a somiglianza di Gesù che non si è preoccupato di sé, anzi di sé si è dimenticato e si è messo a disposizione di tutti. E, in questo caso, Paolo insiste su citazioni di universalismo e di carità poiché istintivamente gli ebrei portano nel cuore il disagio di dover condividere coi pagani la stessa fede a Gesù. La Scrittura ci ripete di ricordare l'impegno della perseveranza che ci viene dall'essere stati istruiti dai profeti e da Gesù stesso, perseveranza che porta consolazione e chiarezza alle nostre stesse esigenze. Senza riferimento alla Scrittura, infatti rischiamo di costruirci un cristianesimo legato all'emotività, alla sensibilità delle nostre ideologie, ai mezzi di comunicazione sociale, alle ambiguità di comportamento che noi credenti esprimiamo nella nostra vita.

Paolo fa intendere che le critiche più dure e le insofferenze resistono per abitudini acquisite nel tempo per forme di diffidenza, di discriminazione, di intolleranza, sorte per eredità culturali e formazioni ideologiche: esse deformano ogni rapporto intenso e ogni stima reciproca.

Nella Comunità cristiana queste diffidenze sono disastrose e inquinano ogni testimonianza. Esse sono alla base delle ingiustizie, dei privilegi e dei gruppi di potere.

L'ultimo versetto richiama le parole chiave del messaggio di Paolo: " Speranza, gioia, pace fede". Sono iniziate la testimonianza e la salvezza di Gesù che ci ha consegnato la speranza di un cammino, protetto dalla forza delle Spirito.

Luca 3,1-18

Con questo testo Luca inizia il capovolgimento della realtà umana: è la rivoluzione di Dio che si fa Parola e presenza, iniziando da un profeta finora anonimo che la gente sta incominciando a conoscere: Giovanni Battista. L'evangelista vuole identificare il momento esatto della novità che cambierà la terra e quindi colloca in un riferimento cronologico l'avventura di Giovanni, colui che precede il Messia. Ci troviamo tra il 1° ottobre del 27 a.C. al 30 settembre del 28 a.C., " nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare" ( in Palestina l'anno inizia dal 1° ottobre). Vengono segnalati 7 personaggi per sintetizzare tutto l'arco delle istituzioni civili e religiose, e viene ricordato anche il sommo sacerdote Anna che da 13 anni non è più in carica, ma continua con le sue interferenze ad essere presente nella vita di Israele. Cosi Luca raggiunge il numero 7 che segna la totalità.

La Parola di Dio sorge nel deserto, dove c'è aridità, ma anche il ricordo della liberazione. E' il luogo della fiducia di Dio e della tentazione, del coraggio di fidarsi e luogo della disperazione. Giovanni riceve e corre. La Parola di Dio esige che sia comunicata poiché non è una proprietà privata, né un tesoro da custodire in cassaforte ma un fuoco che deve purificare e cambiare. Questa Parola che nasce nel deserto deve poter essere accolta nel cuore per ridimensionare il mondo e renderlo luogo della non violenza, della fedeltà e della fiducia al Padre, luogo di perdono e di condivisione.

Il profeta Baruc, che abbiamo letto nella prima lettura, ha citato lo splendore di una strada che Dio costruisce per aiutare il popolo al ritorno, Giovanni cita lo stesso testo dicendo che è responsabilità dell'uomo costruire una strada su cui Dio passa. Non sono in contraddizione, ma spetta all'uomo togliere gli ostacoli perché il Signore venga da noi: e gli ostacoli sono 4, l'orizzonte della terra. Per fortuna il testo greco elenca tutto al futuro, restituendoci la gioia di una novità: " Ogni burrone sarà riempito: fa riferimento alle diseguaglianze economiche ed agli sfruttamenti; ogni monte e ogni colle sarà abbassato: superbia, alterigia arroganza nel proprio stile di vita ma servizio; le vie tortuose diverranno diritte: astuzie, scelte insensate ed egoiste ma pulizia di rapporti; e quelle impervie, spianate: egoismi e individualismi che rinchiudono le persone in blocchi e gruppi contrapposti".

IL v 6 in greco non dice "uomo" ma dice: "ogni carne: " Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio": è l'uomo nella sua debolezza, fragilità, povertà, malattia, decadenza di vecchiaia. In ogni debolezza si manifesterà la salvezza: e questo viene detto all'inizio del vangelo di Luca.

Ma alle folle vengono tolte le garanzie di salvataggio, le vie di fuga, le soluzioni segrete, gli espedienti, i trucchi, le scappatoie: "Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: "Abbiamo Abramo per padre!". E le folle incominciano a domandarsi: " Che cosa dobbiamo fare?" E' un buon segno quando qualcuno pone questa domanda. Sta incominciando a pensare ad un cambiamento, sta facendo sgretolare le proprie difese che gli garantivano la fuga. Quali risposte? Non sono di tipo religioso: "prega, confessati, va a messa". Giovanni pone scelte che ridimensionano e fanno rivedere atteggiamenti legati all'attenzione e all'amore del prossimo. E si rivolge a situazioni particolari di adulti: le persone impegnate nel proprio normale lavoro, i pubblicani che si arricchiscono alle dipendenze dei conquistatori, esigendo le tasse anche per loro e arricchendosi, i soldati.

A tutti chiede il rispetto del prossimo: chi possiede deve condividere con chi è povero, e questo per tutti, chi maneggia il danaro deve restaurare un rapporto di giustizia e non prevaricazione o raggiro, chi è soldato non può approfittare della sua forza per derubare un altro, prendendo le scuse di avere salari troppo bassi.

A conclusione, Luca dice che Giovanni " evangelizza il popolo", e significa che Giovanni offre parole di consolazione (" buone notizie") poiché apre speranze, attesa di novità a chi di noi inizia a mettere mano ad una conversione, mentre è in attesa della novità di Dio. Siamo al vero inizio dell'attesa e alla prospettiva di riconoscerci un popolo, visitato da Dio.

Papa Francesco non dice cose tranquille eppure ci aiuta a sperare e ci consola con il proporre le esigenze del credente nei confronti del Padre e del nostro prossimo, a riguardo del danaro e del rispetto degli altri.

Rito romano
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re
Prima Lettura
2Sam 5,1-3
Dal secondo libro di Samuèle

In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”».
Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
Salmo responsoriale (Sal 121)
Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Seconda Lettura
Col 1,12-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Acclamazione al Vangelo
(Mc 11,9.10)
Alleluia, alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Alleluia.
Vangelo: Lc 23,35-43
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Chiunque regga le sorti di una nazione, usa quella che - dai tempi di Machiavelli - è chiamata la "ragion di stato", ossia quell'insieme di strategie (spesso accompagnate da azioni segrete) attuate al fine di conseguire gli obiettivi del paese in campo politico, economico, sociale e anche militare. Solitamente, la ragion di stato non guarda in faccia a nessuno: rispettando quasi per nulla i diritti individuali e passando sopra la dignità dei singoli, essa considera il fine da conseguire sicuramente più importante dei metodi utilizzati, i quali, appunto, vengono in tutto e per tutto giustificati purché sia raggiunto l'obiettivo prefissato. Condivisibile o no, di certo nessuno può negare l'efficacia e l'immediatezza di una strategia simile; non si perde tempo con questioni quali il rispetto e la dignità dei singoli esseri umani, ritenute "di lana caprina", se paragonate all'accrescimento e al bene della nazione, che alla fine portano giovamento a tutti i suoi membri, quindi anche ai singoli. Se poi, quando si parla d'individualità da occultare, si prendono in considerazione gli elementi problematici della società, quelli che definiamo "disadattati sociali" o "potenzialmente delinquenti", allora ancor di più la ragion di stato va attuata con ogni sforzo, sempre - ovviamente - in vista del bene comune.
Ma nel nostro Regno dei Cieli, o per lo meno con il nostro Re, la ragion di stato proprio non esiste: non è strategia del suo ordinamento socio-politico. Anzi, mi viene quasi da pensare che la "ratio", la "ragione" che viene utilizzata nel Regno che Gesù è venuto ad annunciare e di cui egli stesso è Re, è diametralmente opposta alla ragion di stato. Il suo è il Regno del Popolo, un popolo fatto di tanti singoli elementi e al tempo stesso di una sola entità, l'umanità, che ha come unico obiettivo quello di essere da lui salvata e redenta. Questo Regno del Popolo non conosce leggi selettive che cercano di emarginare o di eliminare dal suo interno quanti faticano a stare allineati alle direttive che il Re dà ai suoi sudditi: è un Regno in cui tutti e ognuno continuano ad avere le stesse opportunità, gli stessi diritti e la stessa dignità, indipendentemente dalla bontà o meno dei loro comportamenti.
"Ma un Regno così non può stare in piedi! Non è più un Regno, se non ci sono leggi che regolino i comportamenti! È un caos, è la totale anarchia!". Beh, forse il Regno di Dio un po' "caotico" lo è veramente, e credo anche volutamente: ci entra davvero di tutto! Ma non per questo significa che non abbia leggi e norme di comportamento. È ben chiaro a tutti che per dirci figli di quel Re che tra l'altro è pure Padre e fratello nostro, dobbiamo comportarci come lui desidera: ma qualora questo non capitasse (e di solito è così), nessuno viene sbattuto fuori. Perché a nessuno di noi, fino all'ultimo istante della nostra vita, è negato l'accesso e la permanenza nel Regno dei Cieli; perché i nostri nomi sono iscritti all'anagrafe del Regno dei Cieli, e ben difficilmente potranno esserne cancellati.
Ne sa qualcosa Disma (così lo chiama il Vangelo apocrifo di Nicodemo), uno dei malfattori che fu appeso alla croce con Gesù. La vita forse non era stata benevola con lui; di certo, la fortuna non l'aveva assistito, nel momento in cui aveva scelto di vivere di espedienti. Perché molti malfattori la fanno franca, per buona parte della loro vita: e anche se vengono presi, hanno accumulato talmente tante ricchezze che possono permettersi di pretendere di non essere nemmeno rinviati a giudizio. Se questi due sono finiti lì, sulla croce, di certo non appartenevano alla categoria dei ladri col colletto bianco, cioè quelli che conoscono bene la ragione di stato e la usano comunque sempre a loro favore.
No, questi due no: erano proprio due poveracci, due disgraziati, cui nessuno certo vuole negare le loro responsabilità. Non possiamo certo dire che fossero buoni: uno, poi, porta la propria cattiveria sulle spalle fino in fondo alla propria vita, e la svuota addosso al Cristo con tutta la sua rabbia, dandogli addirittura la colpa per la sua mancata salvezza. Ma il secondo no, non era così: buono forse non lo è mai stato, ma se aveva vissuto nell'infamia, ha quantomeno avuto l'opportunità di morire nella gloria. E l'ha sfruttata. Guardando la scritta che stava sopra il capo di Gesù ("Costui è il re dei Giudei"), ha preso la palla al balzo, e ha chiesto al Re non la salvezza, peraltro immeritata (cosa che invece fa l'altro), ma quantomeno di poter essere da lui ricordato, visto che quasi certamente su quel patibolo sarà stato lasciato solo da tutti, magari anche da gente per conto della quale aveva rubato e che però - lo dicevamo - la fa sempre franca.
E lì, forse per la prima volta nella sua vita, ha sperimentato la fortuna più grande: quella della salvezza. Nel Regno, molti incontrano la grazia della Salvezza sin dai primi passi della loro vita e non la smarriscono più; altri non la trovano mai, e nemmeno la cercano; altri ancora la smarriscono e muoiono nella disperazione di trovarla. Disma (diamogli un nome, anche se incerto, perché riabbia un po' della dignità perduta) ha ritrovato la salvezza smarrita lungo i meandri del Regno incontrando, alla fine della sua vita, niente meno che il Re; il quale, ironia della sorte, stava facendo la sua stessa fine per una "ragion di stato", o meglio perché aveva accettato la volontà di un altro re, suo Padre, che gli aveva chiesto di condividere fino in fondo la sorte dei malfattori e di coloro che sarebbero morti senza speranza. Gliel'ha chiesto perché tutti sapessero che nessuno era escluso dal Regno; gliel'ha chiesto, perché anche uno solo potesse salvarsi all'ultimo, figura e simbolo di tutti i salvati. Missione compiuta, in extremis.
Alla fine di quest'anno liturgico, e alla conclusione dell'Anno della Fede, anche noi possiamo - come Sant'Efrem, oltre sedici secoli fa - proclamare la beatitudine di Disma: "Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato. Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell'Eden. Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò, e i discepoli fuggendo si nascosero; tu però lo hai annunziato".