giovedì 21 novembre 2013

24 11 2013 II di Avvento _ Senza onestà e giustizia non si può incontrare Gesù.



II domenica T. Avvento (Anno A)
Nei commenti della prima settimana vi ho parlato dei grandi temi dell’avvento.
Oggi vi presente le tre venute di Cristo di cui ci parla la liturgia dell’avvento: la venuta storica nella carne di duemila anni fa, la venuta che metterà fine alla storia come la conosciamo noi e la venuta continua che si realizza nella vita di ciascuno di noi.
Con la prima venuta è apparso chiaro il progetto di Dio: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio. Ogni cosa nel rapporto con Dio deve tenere conto di questo amore che ci precede e ci invita.
Con la venuta finale, che non possiamo descrivere adeguatamente con le nostre parole, Gesù renderà partecipi tutti noi della sua vittoria sulla morte, compirà la nostra umanità e gioiremo del suo amore. Per la sua promessa noi siamo popolo della speranza e dell’attesa. Non guardiamo solo in basso come le galline, ma alziamo il capo, aspettando il momento dell’incontro con Lui.
Con la venuta intermedia, Gesù costruisce la nostra umanità attraverso la sua parola, i sacramenti, il cammino della Chiesa. Noi cresciamo in età, e mentre il corpo invecchia il cuore cresce nelle dimensioni del dono e della carità fraterna. Questo tempo, tanto o poco, ci è dato perché ognuno di noi realizzi la progressiva somiglianza al volto di Cristo. E come il parto, questa nuova nascita, ha i suoi dolori e le sue gioie, ma la gioia è l’ultima parola.

Lettura
Bar 4,36– 5,9
Così dice il Signore Dio:
«Guarda a oriente, Gerusalemme,
osserva la gioia che ti viene da Dio.
Ecco, ritornano i figli che hai visto partire,
ritornano insieme riuniti,
dal sorgere del sole al suo tramonto,
alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio.
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore
a ogni creatura sotto il cielo.
Sarai chiamata da Dio per sempre:
«Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».
Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi,
incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce
in trionfo, come sopra un trono regale.
Poiché Dio ha deciso di spianare
ogni alta montagna e le rupi perenni,
di colmare le valli livellando il terreno,
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.
Anche le selve e ogni albero odoroso
hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio.
Perché Dio ricondurrà Israele con gioia
alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia
che vengono da lui».
Parola di Dio.

Salmo (Sal 99(100))
Popoli tutti, acclamate il Signore.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza. R

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
Egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo. R.

Varcate le sue porte con inni di grazie,
i suoi atri con canti di lode,
lodatelo, benedite il suo nome; R.

perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione. R.

Epistola
Rm 15,1-13
Fratelli, noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me. Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:
Per questo ti loderò fra le genti
e canterò inni al tuo nome.
E ancora:
Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo.
E di nuovo:
Genti tutte, lodate il Signore;
i popoli tutti lo esaltino.
E a sua volta Isaia dice:
Spunterà il rampollo di Iesse,
colui che sorgerà a governare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno.
Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.
Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Lc 3,4b.6)
Alleluia.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alleluia.

Vangelo: Lc 3,1-18
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».
Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Parola del Signore.

Baruc 4, 36 - 5, 1-9

L'immagine di Gerusalemme, che ci viene data dal profeta, è quella della vedova a cui sono stati strappati anche i figli, oltre a quella dell'aver perso il marito. Essa siede per terra, con gli abiti del lutto e il velo sul capo. Non si alimenta più, non si lava, non mette più profumi. E' una donna disperata e senza futuro. Gerusalemme è rimata sola a piangere e i figli sono stati dispersi.

Ma l'invito, che viene fatto a Gerusalemme dal profeta, è quello della sorprendente notizia: i figli tornano dopo tanto tempo.

L'esilio a Babilonia è durato circa 50 anni e poi il dominio di Babilonia si è concluso con la vittoria di Ciro, re dei Medi e dei Persiani, che ha rimandato alle proprie terre i deportati che desideravano tornare.

Così l'invito a Gerusalemme è quello di alzarsi e di correre in cima al monte, di guardare verso oriente da cui stanno arrivando i figli deportati e li sentirà cantare come fanno i pellegrini alla vista di Gerusalemme, lassù sul monte Sion. Perciò " deponi gli abiti di afflizione e rivestiti dello splendore che ti viene da Dio". Gerusalemme è invitata a cambiare l'abito. Il vestito dimostra, soprattutto nel mondo ebraico, la dignità, la gloria, la grandezza e lo splendore interiore di chi indossa abiti maestosi. Non serve solo a ripararsi dal freddo o proteggere il pudore, ma il vestito dimostra e qualifica nel proprio mondo il significato e l'onore della persona stessa. Gerusalemme diventa splendente e unica: si riveste della gloria che viene da Dio, mostrando la sua bellezza interiore a tutti i popoli, diventando attraente perché è rivestita del "manto della giustizia di Dio». E la giustizia, nel VT, è fedeltà, lealtà, solidarietà; perciò la bellezza è costituita da interiore splendore e coerenza di generosità.

Gerusalemme riceve un nome nuovo: « pace della giustizia e gloria della pietà».

Per un semita il nome non è una designazione convenzionale ma, particolarmente legato alla persona, ridefinisce il ruolo, la vocazione e apre a progetti e visioni nuove. Prima dell'esilio Gerusalemme significa "città della pace". Nel mondo il tema della pace porta brividi di gioia, ma qui, dopo l'esilio, si aggiungono due nomi: " giustizia e pietà". La pace si fonda sulla giustizia e non sulla soggezione o sulla conquista che ha snervato ogni resistenza, La pietà indica una vera religiosità profonda che si collega alla bellezza ed alle scelte di Dio e rende un tutt'uno la volontà di Dio e l'adesione a Lui.

Gli esuli si sono allontanati a piedi, con tutte le deformazioni e i limiti della chiusura, gli odi e le inimicizie, i rifiuti, deportati fisicamente e soprattutto schiacciati e profondamente delusi nel cuore. Ora ritornano con il volto dell'amicizia, pieni di energia, accompagnati dal Signore che rende possibile una speranza nuova di coesione, di pace e di responsabilità. Il popolo si riunisce nella coerenza e nella gioia di saper ricostruire un futuro con l'aiuto di Dio. Israele ha riconosciuto il suo male nell'esperienza della misericordia di Dio e Dio stesso gioisce nel ricostituire il suo popolo.

Romani 15, 1-13

Paolo è preoccupato che ci siano armonia e concordia, ma sa che spesso si costituiscono gruppi che creano tensioni e non permettono di costruire insieme una casa (edificare). Si parla " di forti e di deboli". In questo caso i primi versetti sono un richiamo ai forti, tra cui anche Paolo sente di appartenere. I forti stanno sperimentando un cristianesimo di libertà e di rigore allo stesso tempo, poiché hanno davanti agli occhi lo stile di Gesù che continua ad essere fedele al Padre, ma è insofferente delle formalità o delle tradizioni degli antichi, scambiate come volontà di Dio, e che invece risultano spesso essere scelte umane. E ha riscontrato che ci si appella alle formalità mentre si dimentica la volontà di Dio e la sua misericordia.

I deboli, che sembrano una minoranza, sono persone che si aggrappano alle tradizioni, alla lettera della legge e questa loro fedeltà costa critiche, diffidenze ed esasperazioni. Paolo è preoccupato che questo popolo nuovo di Gesù non sappia vivere in coerenza e armonia e quindi non sappia "edificare" con buone fondamenta.

L'esempio di Gesù è di grande conforto poiché ha mantenuto l'Alleanza e quindi, sulla Parola, che Dio ha dato, ha costituito un Popolo privilegiato nella appartenenza e nelle conoscenze. E i pagani scoprono, nella misericordia, di cui Gesù si è fatto garante con il suo sacrificio e la sua non violenza (Sal 18,50), l'accoglienza e l'adesione al mondo del Dio della creazione e della salvezza.

Paolo raccomanda a tutti la concordia e il reciproco rispetto, a somiglianza di Gesù che non si è preoccupato di sé, anzi di sé si è dimenticato e si è messo a disposizione di tutti. E, in questo caso, Paolo insiste su citazioni di universalismo e di carità poiché istintivamente gli ebrei portano nel cuore il disagio di dover condividere coi pagani la stessa fede a Gesù. La Scrittura ci ripete di ricordare l'impegno della perseveranza che ci viene dall'essere stati istruiti dai profeti e da Gesù stesso, perseveranza che porta consolazione e chiarezza alle nostre stesse esigenze. Senza riferimento alla Scrittura, infatti rischiamo di costruirci un cristianesimo legato all'emotività, alla sensibilità delle nostre ideologie, ai mezzi di comunicazione sociale, alle ambiguità di comportamento che noi credenti esprimiamo nella nostra vita.

Paolo fa intendere che le critiche più dure e le insofferenze resistono per abitudini acquisite nel tempo per forme di diffidenza, di discriminazione, di intolleranza, sorte per eredità culturali e formazioni ideologiche: esse deformano ogni rapporto intenso e ogni stima reciproca.

Nella Comunità cristiana queste diffidenze sono disastrose e inquinano ogni testimonianza. Esse sono alla base delle ingiustizie, dei privilegi e dei gruppi di potere.

L'ultimo versetto richiama le parole chiave del messaggio di Paolo: " Speranza, gioia, pace fede". Sono iniziate la testimonianza e la salvezza di Gesù che ci ha consegnato la speranza di un cammino, protetto dalla forza delle Spirito.

Luca 3,1-18

Con questo testo Luca inizia il capovolgimento della realtà umana: è la rivoluzione di Dio che si fa Parola e presenza, iniziando da un profeta finora anonimo che la gente sta incominciando a conoscere: Giovanni Battista. L'evangelista vuole identificare il momento esatto della novità che cambierà la terra e quindi colloca in un riferimento cronologico l'avventura di Giovanni, colui che precede il Messia. Ci troviamo tra il 1° ottobre del 27 a.C. al 30 settembre del 28 a.C., " nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare" ( in Palestina l'anno inizia dal 1° ottobre). Vengono segnalati 7 personaggi per sintetizzare tutto l'arco delle istituzioni civili e religiose, e viene ricordato anche il sommo sacerdote Anna che da 13 anni non è più in carica, ma continua con le sue interferenze ad essere presente nella vita di Israele. Cosi Luca raggiunge il numero 7 che segna la totalità.

La Parola di Dio sorge nel deserto, dove c'è aridità, ma anche il ricordo della liberazione. E' il luogo della fiducia di Dio e della tentazione, del coraggio di fidarsi e luogo della disperazione. Giovanni riceve e corre. La Parola di Dio esige che sia comunicata poiché non è una proprietà privata, né un tesoro da custodire in cassaforte ma un fuoco che deve purificare e cambiare. Questa Parola che nasce nel deserto deve poter essere accolta nel cuore per ridimensionare il mondo e renderlo luogo della non violenza, della fedeltà e della fiducia al Padre, luogo di perdono e di condivisione.

Il profeta Baruc, che abbiamo letto nella prima lettura, ha citato lo splendore di una strada che Dio costruisce per aiutare il popolo al ritorno, Giovanni cita lo stesso testo dicendo che è responsabilità dell'uomo costruire una strada su cui Dio passa. Non sono in contraddizione, ma spetta all'uomo togliere gli ostacoli perché il Signore venga da noi: e gli ostacoli sono 4, l'orizzonte della terra. Per fortuna il testo greco elenca tutto al futuro, restituendoci la gioia di una novità: " Ogni burrone sarà riempito: fa riferimento alle diseguaglianze economiche ed agli sfruttamenti; ogni monte e ogni colle sarà abbassato: superbia, alterigia arroganza nel proprio stile di vita ma servizio; le vie tortuose diverranno diritte: astuzie, scelte insensate ed egoiste ma pulizia di rapporti; e quelle impervie, spianate: egoismi e individualismi che rinchiudono le persone in blocchi e gruppi contrapposti".

IL v 6 in greco non dice "uomo" ma dice: "ogni carne: " Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio": è l'uomo nella sua debolezza, fragilità, povertà, malattia, decadenza di vecchiaia. In ogni debolezza si manifesterà la salvezza: e questo viene detto all'inizio del vangelo di Luca.

Ma alle folle vengono tolte le garanzie di salvataggio, le vie di fuga, le soluzioni segrete, gli espedienti, i trucchi, le scappatoie: "Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: "Abbiamo Abramo per padre!". E le folle incominciano a domandarsi: " Che cosa dobbiamo fare?" E' un buon segno quando qualcuno pone questa domanda. Sta incominciando a pensare ad un cambiamento, sta facendo sgretolare le proprie difese che gli garantivano la fuga. Quali risposte? Non sono di tipo religioso: "prega, confessati, va a messa". Giovanni pone scelte che ridimensionano e fanno rivedere atteggiamenti legati all'attenzione e all'amore del prossimo. E si rivolge a situazioni particolari di adulti: le persone impegnate nel proprio normale lavoro, i pubblicani che si arricchiscono alle dipendenze dei conquistatori, esigendo le tasse anche per loro e arricchendosi, i soldati.

A tutti chiede il rispetto del prossimo: chi possiede deve condividere con chi è povero, e questo per tutti, chi maneggia il danaro deve restaurare un rapporto di giustizia e non prevaricazione o raggiro, chi è soldato non può approfittare della sua forza per derubare un altro, prendendo le scuse di avere salari troppo bassi.

A conclusione, Luca dice che Giovanni " evangelizza il popolo", e significa che Giovanni offre parole di consolazione (" buone notizie") poiché apre speranze, attesa di novità a chi di noi inizia a mettere mano ad una conversione, mentre è in attesa della novità di Dio. Siamo al vero inizio dell'attesa e alla prospettiva di riconoscerci un popolo, visitato da Dio.

Papa Francesco non dice cose tranquille eppure ci aiuta a sperare e ci consola con il proporre le esigenze del credente nei confronti del Padre e del nostro prossimo, a riguardo del danaro e del rispetto degli altri.

Rito romano
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re
Prima Lettura
2Sam 5,1-3
Dal secondo libro di Samuèle

In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”».
Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
Salmo responsoriale (Sal 121)
Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Seconda Lettura
Col 1,12-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Acclamazione al Vangelo
(Mc 11,9.10)
Alleluia, alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Alleluia.
Vangelo: Lc 23,35-43
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Chiunque regga le sorti di una nazione, usa quella che - dai tempi di Machiavelli - è chiamata la "ragion di stato", ossia quell'insieme di strategie (spesso accompagnate da azioni segrete) attuate al fine di conseguire gli obiettivi del paese in campo politico, economico, sociale e anche militare. Solitamente, la ragion di stato non guarda in faccia a nessuno: rispettando quasi per nulla i diritti individuali e passando sopra la dignità dei singoli, essa considera il fine da conseguire sicuramente più importante dei metodi utilizzati, i quali, appunto, vengono in tutto e per tutto giustificati purché sia raggiunto l'obiettivo prefissato. Condivisibile o no, di certo nessuno può negare l'efficacia e l'immediatezza di una strategia simile; non si perde tempo con questioni quali il rispetto e la dignità dei singoli esseri umani, ritenute "di lana caprina", se paragonate all'accrescimento e al bene della nazione, che alla fine portano giovamento a tutti i suoi membri, quindi anche ai singoli. Se poi, quando si parla d'individualità da occultare, si prendono in considerazione gli elementi problematici della società, quelli che definiamo "disadattati sociali" o "potenzialmente delinquenti", allora ancor di più la ragion di stato va attuata con ogni sforzo, sempre - ovviamente - in vista del bene comune.
Ma nel nostro Regno dei Cieli, o per lo meno con il nostro Re, la ragion di stato proprio non esiste: non è strategia del suo ordinamento socio-politico. Anzi, mi viene quasi da pensare che la "ratio", la "ragione" che viene utilizzata nel Regno che Gesù è venuto ad annunciare e di cui egli stesso è Re, è diametralmente opposta alla ragion di stato. Il suo è il Regno del Popolo, un popolo fatto di tanti singoli elementi e al tempo stesso di una sola entità, l'umanità, che ha come unico obiettivo quello di essere da lui salvata e redenta. Questo Regno del Popolo non conosce leggi selettive che cercano di emarginare o di eliminare dal suo interno quanti faticano a stare allineati alle direttive che il Re dà ai suoi sudditi: è un Regno in cui tutti e ognuno continuano ad avere le stesse opportunità, gli stessi diritti e la stessa dignità, indipendentemente dalla bontà o meno dei loro comportamenti.
"Ma un Regno così non può stare in piedi! Non è più un Regno, se non ci sono leggi che regolino i comportamenti! È un caos, è la totale anarchia!". Beh, forse il Regno di Dio un po' "caotico" lo è veramente, e credo anche volutamente: ci entra davvero di tutto! Ma non per questo significa che non abbia leggi e norme di comportamento. È ben chiaro a tutti che per dirci figli di quel Re che tra l'altro è pure Padre e fratello nostro, dobbiamo comportarci come lui desidera: ma qualora questo non capitasse (e di solito è così), nessuno viene sbattuto fuori. Perché a nessuno di noi, fino all'ultimo istante della nostra vita, è negato l'accesso e la permanenza nel Regno dei Cieli; perché i nostri nomi sono iscritti all'anagrafe del Regno dei Cieli, e ben difficilmente potranno esserne cancellati.
Ne sa qualcosa Disma (così lo chiama il Vangelo apocrifo di Nicodemo), uno dei malfattori che fu appeso alla croce con Gesù. La vita forse non era stata benevola con lui; di certo, la fortuna non l'aveva assistito, nel momento in cui aveva scelto di vivere di espedienti. Perché molti malfattori la fanno franca, per buona parte della loro vita: e anche se vengono presi, hanno accumulato talmente tante ricchezze che possono permettersi di pretendere di non essere nemmeno rinviati a giudizio. Se questi due sono finiti lì, sulla croce, di certo non appartenevano alla categoria dei ladri col colletto bianco, cioè quelli che conoscono bene la ragione di stato e la usano comunque sempre a loro favore.
No, questi due no: erano proprio due poveracci, due disgraziati, cui nessuno certo vuole negare le loro responsabilità. Non possiamo certo dire che fossero buoni: uno, poi, porta la propria cattiveria sulle spalle fino in fondo alla propria vita, e la svuota addosso al Cristo con tutta la sua rabbia, dandogli addirittura la colpa per la sua mancata salvezza. Ma il secondo no, non era così: buono forse non lo è mai stato, ma se aveva vissuto nell'infamia, ha quantomeno avuto l'opportunità di morire nella gloria. E l'ha sfruttata. Guardando la scritta che stava sopra il capo di Gesù ("Costui è il re dei Giudei"), ha preso la palla al balzo, e ha chiesto al Re non la salvezza, peraltro immeritata (cosa che invece fa l'altro), ma quantomeno di poter essere da lui ricordato, visto che quasi certamente su quel patibolo sarà stato lasciato solo da tutti, magari anche da gente per conto della quale aveva rubato e che però - lo dicevamo - la fa sempre franca.
E lì, forse per la prima volta nella sua vita, ha sperimentato la fortuna più grande: quella della salvezza. Nel Regno, molti incontrano la grazia della Salvezza sin dai primi passi della loro vita e non la smarriscono più; altri non la trovano mai, e nemmeno la cercano; altri ancora la smarriscono e muoiono nella disperazione di trovarla. Disma (diamogli un nome, anche se incerto, perché riabbia un po' della dignità perduta) ha ritrovato la salvezza smarrita lungo i meandri del Regno incontrando, alla fine della sua vita, niente meno che il Re; il quale, ironia della sorte, stava facendo la sua stessa fine per una "ragion di stato", o meglio perché aveva accettato la volontà di un altro re, suo Padre, che gli aveva chiesto di condividere fino in fondo la sorte dei malfattori e di coloro che sarebbero morti senza speranza. Gliel'ha chiesto perché tutti sapessero che nessuno era escluso dal Regno; gliel'ha chiesto, perché anche uno solo potesse salvarsi all'ultimo, figura e simbolo di tutti i salvati. Missione compiuta, in extremis.
Alla fine di quest'anno liturgico, e alla conclusione dell'Anno della Fede, anche noi possiamo - come Sant'Efrem, oltre sedici secoli fa - proclamare la beatitudine di Disma: "Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato. Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell'Eden. Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò, e i discepoli fuggendo si nascosero; tu però lo hai annunziato".


Nessun commento:

Posta un commento