venerdì 25 marzo 2011

27 Marzo 2011 DOMENICA DI ABBRAMO - III DI QUARESIMA -

Lettura del libro dell’Esodo 34, 1-10

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità». Il Signore disse: «Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te».

SALMO
Sal 105 (106)

® Salvaci, Signore, nostro Dio.
Abbiamo peccato con i nostri padri,
delitti e malvagità abbiamo commesso.
I nostri padri, in Egitto,
non compresero le tue meraviglie,
non si ricordarono della grandezza del tuo amore. ®

Molte volte li aveva liberati,
eppure si ostinarono nei loro progetti.
Ma egli vide la loro angustia,
quando udì il loro grido. ®

Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione, per il suo grande amore.
Li affidò alla misericordia
di quelli che li avevano deportati. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 3, 6-14

Fratelli, come Abramo «ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia», riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: «In te saranno benedette tutte le nazioni». Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che credette. Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: «Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per metterle in pratica». E che nessuno sia giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal fatto che «il giusto per fede vivrà». Ma la Legge non si basa sulla fede; al contrario dice: «Chi metterà in pratica queste cose, vivrà grazie ad esse». Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: «Maledetto chi è appeso al legno», perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 8, 31-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

COMMENTO
S. Giovanni pone il tema del confronto tra Gesù ed Abramo (che qui è
ricordato 8 volte). Il discorso si divide in tre parti:
* 8,31-41a: Gesù imposta il tema della libertà mediante la verità
(del Figlio) e la discussione nel confronto della libertà dei giudei che,
dicendosi figli di Abramo, si sentono già liberi.
* 8,41b-47 legato alla parola-aggancio: Padre, ha per tema la
paternità di Dio o di Satana.
* 8,48-59 il testo passa dalla paternità dei giudei alla paternità di
Gesù.

Gesù ripropone le vere scelte di chi crede in Lui. Non basta essere nati da
una stirpe eletta. Bisogna mettere in pratica ili messaggio che viene offerto
a questo popolo.

Di fatto si può dar credito a Gesù e credere in lui senza trarne la
conseguenza.

Il messaggio di Gesù porta alla libertà che viene da Dio.

Ed essere figli di Dio significa dimostrarlo nella condotta. Chi invece è bugiardo e omicida
ha come padre il nemico dell'uomo, E infatti vogliono ucciderlo sotto il
pretesto religioso perché adempie le autentiche opere di Dio. Egli è verità e
dà una vita nuova, molto più grande di quella della razza e della
discendenza: é una vita che non conosce fine, è definitiva, rende tutti
uguali, nella stessa dignità, indipendentemente dalla nascita.
Il testo è fortemente polemico, con una discussione serrata tra Gesù e i
giudei.

Praticamente ogni rapporto di accoglienza e di comprensione si
tronca poiché Gesù sempre più si fa datore della vita: "Non vedrà mai la
morte chi compie il mio messaggio" (51). Egli è considerato "pazzo e
samaritano" poiché interpretano che Gesù parli della liberazione della
morte fisica. Si appellano alla grandezza di Abramo e dei profeti solo per
dire che sono morti anche loro (essi non hanno una vitalità ma sono
collocati nel passato).

Gesù dice invece che Abramo aveva avuta notizia del giorno del Messia:
"Vide il mio giorno e ne gioì" (56).

La risposta non intravede il profilo
Messianico e ritorna alla banalità dell’età biologica di Gesù’, provocando
la proclamazione più clamorosa e scandalosa: "Prima che Abramo fosse, lo
Sono" (58). Nel mondo rabbinico si affermava che prima della creazione
Dio aveva concepito il progetto di varie realtà fra cui la legge, Israele e il
Messia.
I giudei si sentono autorizzati a giudicarlo immediatamente un
bestemmiatore e quindi meritevole di morte (tentativo di lapidazione:
8,59).

Si contrappongono così due figliazioni: da una parte la figliazione
abramitica che non sorge dalla nascita ma dalla fede, dal "rimanere in
Gesù", dalla grazia ed ha qualità gioiose ed esaltanti: la libertà, la verità, la
vita. Dall'altra la figliazione satanica ha tragiche qualità: l'orgoglio, la
schiavitù, la menzogna e l'omicidio.

Tutto il testo, che incomincia con un dialogo con “quei Giudei che gli
avevano creduto", si risolve in un disastro. Poiché questa fede non si è
maturata nella fiducia, nella pazienza e nella fedeltà a Cristo.
A questa mancanza di accoglienza che disorienta corrisponde la volontà di
morte.
Gesù aveva scacciato dal tempio la gente perché profanava la casa del
Padre (2,15). Adesso il Padre non è più nel tempio che è occupato da
assassini e bugiardi e perciò Gesù esce dal tempio.

COME APPROFONDIMENTO
LEGGIAMO ROMANI 4, CAPITOLO NEL QUALE PAOLO PROPONE ABRAMO COME TESTIMONE DELLA VERA FEDE.



4,1-12 L’esempio di Abramo
Che diremo dunque di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? 2Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. 3
Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. 4A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; 5a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. 6Così anche Davide proclama beato l'uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:


Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
8beato l'uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!

Ora, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti chela fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. 10Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non dopo la circoncisione, ma prima. 11
Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso. In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia 12ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.

4,13-25 Le promesse di Dio e la fede

Infatti non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede. 14Se dunque diventassero eredi coloro che provengono dalla Legge, sarebbe resa vana la fede e inefficace la promessa. 15
La Legge infatti provoca l'ira; al contrario, dove non c'è Legge, non c'è nemmeno trasgressione. 16Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi - 17
come sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli -davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che non esistono.
18Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divennepadre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. 19
Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. 20Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. 22Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
23E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, 24ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore,
il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.



RITO ROMANO

Giovanni 4,5-42


In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».


Giovanni è un narratore raffinato che lavora su diversi livelli di significato e
sull’ironia come strumenti letterari per far accedere i propri lettori alla fede in Gesù
Cristo.
Il racconto dell’incontro tra Gesù e una samaritana ha come sfondo gli incontri al
pozzo che sfociavano in un matrimonio narrati nel libro della Genesi e che
riguardano i patriarchi d’Israele.
La situazione vede Gesù arrivare a un’ora insolita a un pozzo, insolita perché
generalmente il pozzo era frequentato alla mattina o alla sera. Qui siamo a
mezzogiorno, l’ora più calda mentre i discepoli sono andati in città a cercare da
mangiare.
Gesù si ritrova solo con una donna che fa parte di un popolo che non ha rapporti
amichevoli con i Giudei a causa di antiche divergenze territoriali, politiche e
teologiche.
Gesù e la donna si riconoscono subito per quello che sono e a quale popolo
appartengono. Alla richiesta di Gesù la donna risponde con una domanda brusca.
Qui inizia un dialogo che vede Gesù muoversi come un maestro per scoprire
insieme alla donna la verità della vita, di cui egli è il custode, pronto a renderla
fruibile a chiunque voglia accostarsi con sincerità di cuore. Non è questione di
idee, ma di una relazione viva con lui e con il Padre mediante lo Spirito.
Gesù invita la donna a chiedere lei stessa un acqua viva e deve fare un po’ di fatica
per farle comprendere che non si tratta dell’acqua del pozzo, ma di un’acqua
spirituale che dà la vita vera, la comunione con il Signore.
La deviazione della conversazione sulla questione del marito della donna può
sembrare non c’entrare nulla con il resto del dialogo, ma l’adulterio – in Israele –
era un chiaro modo per alludere all’idolatria del popolo. E infatti il discorso gira su
quale sia il luogo più appropriato per adorare il Signore.
Gesù ora inaugura una nuova liturgia: non più il luogo, ma il cuore dell’uomo là
dove lo spirito e la verità faranno da guida a coloro che cercano il Signore con
cuore sincero. Questo perché il Signore è spirito e occorre adorarlo secondo la
medesima modalità: in spirito e verità.
La donna confessa la sua fede nel Messia che deve venire e Gesù, solo a questo
punto, svela la propria verità: Sono io, che è il nome con cui Dio si è presentato al
popolo ebraico.
Il dialogo viene interrotto a questo punto per far riapparire sulla scena i discepoli
che tornano con le provviste e sono meravigliati di Gesù che si ritrova solo con una
donna samaritana a discorrere di questioni che riguardano Dio, fatto davvero
insolito per l’epoca. Tuttavia si tengono in disparte consapevoli che Gesù è capace
di agire in modo nuovo e al di fuori delle convenienze sociali dell’epoca.
La donna torna in paese riportando il fatto veramente significativo per lei: mi ha
detto tutto quello che ho fatto. L’onniscienza è un attributo di Dio, da qui la
domanda: Che sia lui forse il Cristo?
Nel frattempo Gesù avvia un dialogo con i discepoli sul cibo. Se con la donna ha
parlato di acqua, qui si tratta di cibo vero, quello che dà la vita per sempre, e che
Gesù identifica con la volontà del Padre che lo ha inviato. Per Gesù compiere la
volontà del Padre è ciò che lo nutre e lo sazia, cioè gli dà vita, orientandola
all’amicizia con gli uomini. E’ lui che ha seminato la parola del Signore e i
discepoli ne raccoglieranno i frutti, se sapranno anche loro fare la volontà del
Padre.
Ora giunge l’intero paese da Gesù. E’ bastata la parola di una donna, che pure non
aveva una vita cristallina, a convincere tutto il paese a presentarsi da Gesù per
verificare se sia lui il Messia oppure no. E sono bastati due giorni di discorsi con
Gesù per convincerli, ben più delle parole della donna, che Gesù è il salvatore del
mondo.
Ascoltiamo anche noi la parola di Gesù che ci invita ad adorare il Padre in Spirito e
verità e a fare la sua volontà, così da trovare la vita vera come acqua che zampilla e
disseta.

mercoledì 16 marzo 2011

20 Marzo 2011 DOMENICA DELLA SAMARITANA

DOMENICA DELLA SAMARITANA - II DI QUARESIMA - 20 Marzo 2011

LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 20, 2-24

In quei giorni. / Il Signore parlò a Mosè e disse: / «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: / Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. / Non ucciderai. / Non commetterai adulterio. / Non ruberai. / Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!». Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio. Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non farete dèi d’argento e dèi d’oro accanto a me: non ne farete per voi! Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò”».

SALMO
Sal 18 (19)

®Signore, tu solo hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. ®

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. ®

Ti siano gradite le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 15-23

Fratelli, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, / quando lo risuscitò dai morti / e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, / al di sopra di ogni Principato e Potenza, / al di sopra di ogni Forza e Dominazione / e di ogni nome che viene nominato / non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. / Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: / essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 4, 5-42

In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».



Commento

Il dialogo permette a Gesù di svelare a poco a poco alla donna quali sono le vere attese del suo cuore; le permette di dare un nome alla sete che la porta ogni giorno al pozzo. Le domande che ciascuno di noi porta dentro di sé sono spesso scomode, impossibili. Le domande impegnative della vita restano sepolte sotto la fatica del lavoro di ogni giorno, sotto gli impegni, gli incontri, le responsabilità...; e può anche darsi che da lì non riemergano più; la scarsa fiducia di poter trovare ad esse una risposta fa sì che spesso preferiamo dimenticarle. Gesù invece riporta alla coscienza della Samaritana la "sete" che continua a tormentarla: è la sete di un senso, di un amore, di una prospettiva di vita... che duri per sempre, che vada oltre l'orizzonte angusto di questo mondo.


2. Questo brano è il semplice racconto di un incontro: Gesù e la donna di Samaria si trovano l'uno di fronte all'altra, si parlano, si comprendono, si fraintendono... Ciascuno di loro entra un po' nel mistero dell'altro...
La nostra vita di ogni giorno è fatta di incontri. Sono così numerosi che le persone quasi ci sfiorano e subito dopo non ce ne ricordiamo più. Sono incontri naturali, come quelli che abbiamo di continuo con i nostri familiari; sono incontri banali e frettolosi, fatti di chiacchiere; sono incontri seri, che ci impegnano, ci stimolano o ci preoccupano; sono incontri che ci fanno crescere e che creano legami; sono incontri che segnano in qualche modo la nostra vita.
L'incontro con l'altro ci fa uscire da un isolamento che renderebbe sterile e vuoto il nostro spirito. L'incontro con l'altro ci aiuta a capire chi siamo, a farci delle domande, a trovare il nostro posto nel mondo. Anche la fede è incontro con una persona: con il Signore Gesù. A volte siamo tentati di pensare alla fede come, ad una serie di gesti da compiere, di impegni da seguire, di obblighi da assolvere. Tutto questo può essere motivo di fatica, e farci percepire la fede come esterna alla nostra vita. La fede può così diventare un peso, che si aggiunge ai pesi della vita, anziché essere il cuore pulsante che tutto sostiene e tutto rende leggero.
L'incontro di Gesù con la Samaritana ci dice che conoscere il Signore può sconvolgere un'esistenza: Gesù attende la donna al pozzo, si lascia incontrare mentre è impegnata in una delle sue quotidiane occupazioni. Mai la Samaritana avrebbe immaginato di incontrare il Messia in un giorno qualunque. C'è una regia nell'esperienza della fede che non è nelle mani dell'uomo, ma solo in quelle di Dio. Se la fede dipendesse da noi - dai nostri gesti, dai nostri impegni, dalle nostre decisioni... - avrebbe la nostra ben modesta misura. La fede, invece, assume le proporzioni sorprendenti dell'agire di Dio.

3. Quello con Gesù è un incontro che avviene dentro la vita: la donna di Samaria ha incontrato il Signore durante una delle sue occupazioni quotidiane, nella semplicità della vita di ogni giorno; la sua esistenza è stata raggiunta da Dio dentro un'esperienza familiare come quella di un incontro: un uomo stanco, che le chiede da bere. Poche parole semplici per avviare un dialogo, che a poco a poco si apre alle dimensioni dell'infinito di Dio. Non è stato un incontro facile: non è facile riconoscere Dio in un uomo stanco che chiede aiuto; solo la sua disponibilità ad entrare nel dialogo con Lui, ad assecondare le sue domande e le sue provocazioni... ha fatto sì che le fosse possibile andare oltre quell’immagine di fragilità per scoprire in quel viandante il Messia.
È impossibile riconoscere il Dio del Vangelo se ci si aspetta di vederlo in segni potenti e gloriosi. Il Dio fatto uomo si manifesta a noi nelle pieghe della nostra esistenza: nel viaggio, nella sete, nella strada, nella fatica, nella fragilità, nel bisogno... E tutto questo non fa che dare un valore più grande alla nostra umanità, che il Signore Gesù ha voluto totalmente condividere anche nelle sue dimensioni più deboli.
“Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me”; le parole di Gesù sono sconcertanti, il suo è un invito stupendo, se qualcuno ha sete… sete di amore, sete di gioia, sete di felicità, sete di immortalità, sete di vita, “venga a me”. Il filosofo Platone affermava che l’animo umano è come un’anfora screpolata che non si può mai riempire, solo Dio può colmare totalmente il grande bisogno di felicità che c’è nel cuore di ogni uomo! Che cos’è che disseta? È l’acqua viva! “Chiunque beve di quest’acqua avrà ancora tanta sete, ma chi berrà l’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno”. Cos’è quest’acqua? È lo Spirito Santo, è la sua parola, l’unica che da senso alla vita! Perché dice Gesù: “ le mie parole sono Spirito e vita”, cioè portano il soffio dello Spirito Santo e danno la vita. La Parola di Dio è efficace e tagliente come una spada a doppio taglio e darà sicuramente il suo frutto.
“Fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. La Samaritana incontra Gesù, e questo incontro sarà sconvolgente per la sua vita. Anche noi proviamo a dire a Gesù: “Signore dammi di quest’acqua, così che io non abbia più sete….” Egli conosce il nostro cuore e la nostra sete. Egli trasformerà la nostra vita in sorgente d’acqua viva.

4. Dopo l'incontro con il Signore la vita non è più la stessa per la donna di Samaria. Non può fare a meno di parlare di questo incontro, di raccontare ciò che Gesù le ha detto...; da discepola è diventa immediatamente apostola, missionaria di quell'esperienza straordinaria che ha appena vissuto.
La sua esperienza sembra dirci che non è difficile essere missionari, quando abbiamo vissuto un incontro vero con il Signore e gli abbiamo consentito di toccarci il cuore.
Anche per noi c'è un pozzo presso il quale il Signore ci attende. Ciascuno di noi può ricordare quante volte questo incontro è già avvenuto, quali domande ha svelato, quali orizzonti ha fatto intravedere. Ciascuno di noi sa che questo incontro potrà ripetersi: non si sa quando, non si sa come. Sappiamo che quando avverrà questo incontro ci porrà in dialogo con un uomo stanco che condivide la nostra stessa sete di bene, di verità e di bellezza. Egli ci darà un'acqua viva che disseta per sempre.

venerdì 11 marzo 2011

Domenica 13 marzo 2011 I di quaresima

Approfondimento (questa volta lo metto all’inizio):
Tra i tanti impegni che possiamo prendere per la quaresima, mi pare che uno li sovrasti tutti per importanza: quello di lasciarci plasmare dalla parola di Dio, esattamente come fa Gesù nell’episodio odierno delle tentazioni.
Lo faccio con due brevi citazioni tratte dal Quinto Evangelio di Mario Pomilio edizione Oscar Mondadori:

A pagina 274 leggiamo a proposito del cammino spirituale
di monsieur Du Breuil

E tuttavia, come un albero messo infine a dimora, la sua
lunga carità cominciava a fruttificare e il suo spirito, meno
teso e, aggiungiamolo, meno ozioso, si disabituava ad esse-
re d'impaccio ai movimenti della grazia. Erano effetti, si capisce,
della direzione di padre Saci, che senza modificargliene in alcun modo
la nozione si sforzava di distoglierlo dal partito preso della perfezione e
del suo animo faceva un luogo abitato dalla speranza. Ma più
ancora, erano gli effetti della consuetudine coi Vangeli. Quel
libro, letto sì, ma letto in fretta e male, adesso che, per un assiduo
dovere quotidiano, era tenuto non solo a leggerlo, ma a
intenderlo e interpretarlo, modificava nell'intimo ogni sua di-
sposizione, sciogliendo ciò che c'era di dibattuto nel suo animo
e introducendovi una nuova densità d'esistenza. Era in fondo
come un presagio, se non un preludio della gioia: lo stato
di chi medita per la prima volta sulla Parola e per essa si scuote a
più ariose latitudini. Per essa all'idea d un Dio lontano e
inavvicinabile, ch'era stata l'ossessione del suo lungo
noviziato, subentrava l'immagine d'un Cristo amorevole
e vicino che gli attenuava il tremore della grazia e da una troppo
continua ed esigente applicazione sul tema della nostra infinita
debolezza lo richiamava alla confidenza, alla serenità, alla fidu-
cia e perfino a quella prima innocenza della fede che, seppure
offuscata, non va mai perduta intera.

A pagina 294 leggiamo a proposito di un ragazzo che scopre per la
prima volta il Vangelo e da qui inizierà il cammino per diventare prete:

C'erano però anche alcuni fogli a penna,
tra questi un volume in bei caratteri manoscritti, cucito già
lungo il dorso ma ancora privo di copèrta, sicché ne restava
in vista il frontispizio, sul quale io lessi questo titolo: «II
Vangelo secondo di San Giovanni, ovverosia il quinto evan-
gelo, nuovamente volgarizzato da Mons. Raffaele de Lellis,
canonico della chiesa cattedrale di Lanciano». E sebbene
quel momento io al titolo non badassi né fossi in grado di
stupirmene, ignaro com'era d'evangeli, ricordo che incominciai
subito a esaminarlo curiosamente e per la novità di leggere
cosa del mio prozio e perché mai più fino allora io ave-
vo veduto altro che libri a stampa. Più tardi mi fu detto
come poi si vedrà, che quello era eretico e condannevole li-
bro. E non avendolo più veduto dopo i miei diciotto anni
io non oso giudicarne. Ma nel fatto d'essermi imbattuto il
esso mi par di scorgere tuttora un tratto di provvidenza: per
che io che non avea udito parlare di Vangeli altro che il
chiesa, e per favole fanciullesche più- che per verità, mi ba-
stò incominciare a leggerlo per sperimentarne su di me i
maravigliosi effetti, e una ardente volontà di far bene, e un
divoto desiderio di meditare intorno alla vita del nostro
Salvatore e ai suoi santissimi doni, e una grande vaghezza di
imitarlo. In breve quella lettura fu senza dubbio alcuno il
cominciamento della mia vocazione: ed è per questo che di
quando sono in età di ragione non faccio che predicare un
diverso uso dei Vangeli ne' nostri seminari, perché su di essi
principalmente i nostri sacerdoti vengano formati, e le altre
discipline e la stessa teologia vi sieno di contorno, come quelle
che possono più isterilire la mente che non formare l'animo
all'evangelica carità.




LETTURA
Lettura del profeta Isaia 58, 4b-12b

Così dice il Signore: / «Non digiunate più come fate oggi, / così da fare udire in alto il vostro chiasso. / È forse come questo il digiuno che bramo, / il giorno in cui l’uomo si mortifica? / Piegare come un giunco il proprio capo, / usare sacco e cenere per letto, / forse questo vorresti chiamare digiuno / e giorno gradito al Signore? / Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: / sciogliere le catene inique, / togliere i legami del giogo, / rimandare liberi gli oppressi / e spezzare ogni giogo? / Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, / nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, / nel vestire uno che vedi nudo, / senza trascurare i tuoi parenti? / Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, / la tua ferita si rimarginerà presto. / Davanti a te camminerà la tua giustizia, / la gloria del Signore ti seguirà. / Allora invocherai e il Signore ti risponderà, / implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. / Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, / il puntare il dito e il parlare empio, / se aprirai il tuo cuore all’affamato, / se sazierai l’afflitto di cuore, / allora brillerà fra le tenebre la tua luce, / la tua tenebra sarà come il meriggio. / Ti guiderà sempre il Signore, / ti sazierà in terreni aridi, / rinvigorirà le tue ossa; / sarai come un giardino irrigato / e come una sorgente / le cui acque non inaridiscono. / La tua gente riedificherà le rovine antiche, / ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni».

SALMO
Sal 102 (103)

®Misericordioso e pietoso è il Signore.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. ®

Quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. ®

Egli sa bene di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Ma l’amore del Signore è da sempre,
per sempre su quelli che lo temono,
e la sua giustizia per i figli dei figli,
per quelli che custodiscono la sua alleanza
e ricordano i suoi precetti per osservarli. ®

EPISTOLA
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 5, 18 - 6, 2

Fratelli, tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: / «Al momento favorevole ti ho esaudito / e nel giorno della salvezza ti ho soccorso». / Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 4, 1-11

In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.


S. Matteo racconta le tentazioni di Gesù, presentandole come terzo quadro dopo la
predicazione di Giovanni Battista e il battesimo di Gesù.
Gesù è solidale con l'umanità peccatrice che ha accettato di seguire la nuova parola di
Giovanni. Questo popolo vuole purificarsi dal male e Gesù, scegliendo la strada del Servo
sofferente (vedi Isaia 53), si offre per le moltitudini.
Il Padre aveva approvato questa scelta d'amore di Gesù e nel Battesimo lo aveva consacrato
nella luce dello Spirito e nella chiarezza della Parola.
Satana si oppone alla scelta di salvezza che Dio porta e vuole distogliere Gesù dalla via che
il Padre gli ha assegnato ("un messianismo sofferente"), suggerendo la via della passionalità,
del successo, del potere.
Gesù resta turbato poiché come uomo non può restare indifferente davanti alla prospettiva
di rifiuto, di abbandono, di annientamento e di morte che si profila, ma sa opporsi,
appoggiandosi alla Parola di Dio (ripetuta tre volte) e si rifugia nella fiducia verso il Padre,
pienamente aperto all'amore di Dio. Gesù, infatti, non risponde con argomentazioni o
ragionamenti ma con “Sta scritto”. Il ricorso alla Scrittura in genere è argomento decisivo
per ogni discussione tra i rabbini.
* “Non di solo pane” (vedi Deut 8,3): alla tentazione della fame, comprensibile nel
deserto, Gesù offre la ferma fiducia che hanno i figli di Dio nell'onnipotenza provvidente
della Parola di Dio.
* “Non tenterai” (Deut 6,16): dalla mancanza di fiducia nella Provvidenza il tentatore
passa al lato opposto, suggerendo una eccessiva fiducia, tale da mettere alla prova Dio,
(severamente condannata nella Bibbia).
* “Adorerai” (Deut 6,13): Gesù risponde al tentatore che vuole indurlo ad un messianismo
terreno, richiamando il grande principio della fede ebraica che riconosce solo a Dio il
culto, come unico sovrano del mondo e unico Signore.
In conclusione “gli angeli lo servirono”, Gli angeli sono simbolo della riconquista del
Paradiso terrestre da cui l'uomo era stato cacciato, sono il premio per la fedeltà alla Parola
del Signore..
Gesù è veramente tentato in tutta la sua vita ed ha superato la suggestione, diventando
finalmente il nuovo Adamo, fedele progenitore di un’umanità nuova, contrapposta al
primo Adamo che si è lasciato affascinare e travolgere.
Le tre tentazioni sono nella linea delle tentazioni del popolo, nel deserto del Sinai e, con la
risposta di Gesù tratta dal Deuteronomio, rievocano le tre prove tipiche di Israele nel
deserto: "La fame, la sete, l'idolatria".
Il deserto è il luogo di preghiera, della solitudine che fa diventare essenziale e scarno il
rapporto con Dio. Ma è anche la dimora preferita dei demoni.
I 40 giorni di digiuno si rifanno al soggiorno di Mosé sul Sinai prima di ricevere le tavole
dell'Alleanza (Es 24,16 ss).
Così Gesù è il nuovo Mosé e il nuovo Adamo.

Rito romano

Vangelo: il testo coincide con quello ambrosiano.

venerdì 4 marzo 2011

Domenica, 6 Marzo 2011: il vero pentimento

DOMENICA ULTIMA DOPO L'EPIFANIA - detta "del perdono"

LETTURA
Lettura del profeta Osea 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22

Il Signore disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio lino, / il mio olio e le mie bevande”. / Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, / la sbarrerò con barriere / e non ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, / perché stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio, / e la coprivo d’argento e d’oro, / che hanno usato per Baal. / Perciò, ecco, io la sedurrò, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore. / Le renderò le sue vigne / e trasformerò la valle di Acor / in porta di speranza. / Là mi risponderà / come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì dal paese d’Egitto. / E avverrà, in quel giorno / – oracolo del Signore – / mi chiamerai: “Marito mio”, / e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. / Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nell’amore e nella benevolenza, / ti farò mia sposa nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore».

SALMO
Sal 102 (103)

® Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. ®

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. ®

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 1-4

Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 15, 11-32

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Commento


Il testo può essere compreso meglio se lo si collega alle prime righe del cap.15. Esse, infatti, danno
il vero significato della parabola del Figliol prodigo, oltre quelle della pecora smarrita e della
dramma ritrovata.
“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano
dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi
di voi, se ha cento pecore..;.Oppure, quale donna,.;.Disse ancora: «Un uomo aveva due figli..” (15,1-
4)
Gesù, nel vangelo di Luca, racconta queste tre parabole, e, in particolare la terza, poiché sta
svelando l’amore di Dio verso “i pubblicani e i peccatori” e sta rispondendo alle mormorazioni dei
giusti: i farisei, i teologi, i cultori della legge che rifiutano l’accoglienza e la misericordia di Gesù,
così sfacciata e così scandalosa.

Perciò queste parabole non sono rivolte ai peccatori. Quando nel
Vangelo si dice “Egli disse loro” (v 3) significa che Gesù affronta i perfetti, i puri: sono loro coloro
che pretendono di conoscere Dio e la sua giustizia. A loro Gesù parla e dice: “Ecco, con il loro
rifiuto verso chi sbaglia, i giusti e i puri mettono addirittura a rischio il loro rapporto con Dio e ne
deformano la conoscenza, come il fratello maggiore”.

Questa lettura è particolarmente evidente nella seconda parte della parabola del figliol prodigo, che
pure è un racconto splendido ed esaustivo. Ma nella seconda parte acquista un rilievo fondamentale
l’atteggiamento del fratello maggiore, come posizione precisa e scandalizzata dei giusti.

Il figlio più giovane di un ricco possidente pretende la sua parte di eredità. A lui che è secondogenito
spetta un terzo dei beni mobili mentre il patrimonio immobiliare spetta integralmente al primogenito
(Deut 21,17; Lev 25,23 e ss). Al padre, comunque, resta l'usufrutto di tutto ciò che ha, fino alla sua
morte.

Il padre non fa nessuna resistenza e divide le sostanze tra i due figli. Il figlio più giovane va in un
paese lontano, tra i pagani, visto che usano pascolare i porci. Vive senza una linea morale se non
quella del capriccio, del gusto, dell'interesse, dell'emotività, dell'esibizionismo, dello sciupio. La
ricerca dei piaceri, di falsi amici e di aberrazioni sessuali si concludono non solo per nausea ma
anche per esaurimento di risorse economiche. Alla fine, per poter campare, questo giovane
spensierato deve adattarsi al primo lavoro che capita e che risulta degradante poiché deve pascolare
animali impuri, senza, tra l’altro, la possibilità di ricuperare possibilità di vita.

Il ragazzo, finalmente, "rientra in sé", il che non vuol dire che si pente ma, stretto dal bisogno, riesce a capire
d'aver impostato una linea di vita totalmente sbagliata e inconcludente. Il ricordo della vita ordinata,
del benessere di casa, dell'accoglienza e del rispetto di cui era egli stesso onorato gli fa prendere la
decisione di tornare comunque, calpestando anche l'orgoglio. Scopre che il problema che gli si pone
è quello della sopravvivenza. E, fondamentalmente, ha fiducia di un padre che lo saprebbe
accogliere, almeno così spera, sapendo certamente porre alcune sue condizioni: di resa: “Non più la
considerazione di figlio, ma il lavoro come un salariato” ecc.

La descrizione del padre è riassunta in cinque verbi: "Il padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e continuò a baciarlo" (v 20). E al figlio a cui anche i porci hanno
negato le carrube, dona una veste lunga (la più bella), l'anello al dito (il sigillo dell'autorità sui servi
e sui beni del padre), i sandali ai piedi (è l’uomo libero; gli schiavi camminano scalzi).

La festa è il segno della gioia in cui il padre ripropone il figlio al vertice della sua pregressa dignità,
con un atto completamente gratuito in cui non viene verificato assolutamente la presenza o meno del
pentimento. È il segno di un amore senza condizioni che il padre offre, senza cercare, tra l’altro, il
consenso del figlio maggiore.

Questi ritorna, sfinito dal lavoro, e stordito s'informa con stupore della festa in casa sua, organizzata
a sua insaputa e comunque assolutamente eccezionale. Il servo è corretto e dà le indicazioni
fondamentali di comprensione. Ma a questo punto il padre deve uscire anche per il figlio fedele che
rifiuta di entrare. Questi ritiene, infatti, di avere buoni motivi per dissentire.

Non ha ancora scoperto il cuore del padre (non lo chiama mai così, mentre il figlio minore, ritornato,
chiama il padre cinque volte quasi per riabituarsi a quell'unico elemento che gli permette di fermarsi in quella casa. Ad
analizzare bene le cose, il figlio minore scopre il padre quando torna, il figlio maggiore non sa
ancora scoprire il Padre, con cui ha vissuto poiché nel suo cuore ha sempre e solo considerato un
padrone.

La parabola finisce qui: non si sa se il fratello maggiore sia entrato a far festa, non si sa quali
rapporti siano iniziati tra i due fratelli. L'unica realtà certa è che il padre deve continuamente
rieducare coloro che gli sono figli, perché scoprano in lui una paternità preziosa, profonda ed anche
diversa che si manifesta per ciascuno in modo unico ed ineguagliabile.


Pillola spirituale

E' la gratuità che rende vero e stabile l'amore.
Anche se l'altro ti abbandona,
il tuo amore verso di lui non viene meno.
Soffri, ma non viene meno.
E' come l'amore del Crocifisso: rifiutato, dona la vita per chi lo rifiuta.

Approfondimento

Il vero pentimento
IL PENTIMENTO (O DOLORE DEI PECCATI)


Dal Signore impariamo una certa successione: Egli è venuto per patire, ma finché non è venuta l'ora non anticipa la passione.

Quindi bisogna riconoscere con chiarezza tutti i peccati, la loro gravità, e sentirli come nostri, poi viene il momento del pentimento.

Che cosa significa pentirsi ?

Pentirsi vuol dire che siamo inorriditi per la grande distanza che c'è, a causa del peccato, tra Dio e noi.
Nel pentimento non c'è posto per scuse o per attenuanti in considerazio¬ne delle circostanze.
Dobbiamo guardare in faccia la nostra colpa in quanto colpa e misurarne la gravità.
Per capirne la gravità non dobbiamo guardare solo a ciò che abbiamo commesso, ma soprattutto a ciò che Dio fa per noi.
Anche per il penti¬mento Gesù resta il nostro modello.
Gesù porta i nostri peccati al Padre in un amore cosi purificante che il Padre vede solo l'amore e l'opera di riconciliazione del Figlio.
Nessuna difficoltà, nessuna stanchezza, nessun viaggio, nessun discorso,
nessun miracolo è in grado di distogliere Gesù, durante la sua vita,
da questo atteggiamento di amore.
Da questa vicinanza del Figlio con il Padre, noi possiamo capire quanto ci siamo allontanati.
Non abbiamo altra misura per capire la vicinanza che avevamo nei giorni della grazia e che ora abbiamo perduto.
Solo se usiamo questo modo di misurare il nostro peccato ci avviciniamo al pentimento cristiano.
Infatti il pentimento cristiano non è quello di chi è dispiaciuto di non essere migliore di ciò che è, ma è quello che viene dal percepire quanto ci siamo allontanati dall'amore
di Dio. Questo pentimento deve cagionare dolore, infatti se è cristiano non è un semplice atto d'intelletto, ma coinvolge il cuore.

Il dolore deve essere del nostro cuore, del cuore che avrebbe dovuto amare e che non ha amato.
*****

Da che cosa deve nascere il dolore ?

Dal fatto che abbiamo peccato davanti a Dio, al suo amore che è più grande di ogni altra realtà.

Questa circostanza: "Davanti a lui", deve essere tenuta presente nel modo più concreto possibile per suscitare il pentimento.

Ciascuno deve dire a se stesso: "proprio davanti al suo volto ho preso posizione contro di Lui"; bisogna mettersi davanti agli occhi, al vivo per quanto è possibile, questa situazione.

Dio in Gesù Cristo ha rivelato il suo amore infinito per me e non ha avuto esitazione a salire sulla Croce e io l'ho guardato in faccia e l'ho tradito o, almeno, l'ho dimenticato.

Il suo amore è la realtà sconvolgente che fa nascere il dolore.

Come è accaduto a Pietro che pianse amaramente per aver tradito colui che anche per lui sta per dare la vita.
Proprio perché il dolore nasce dall'amore di Dio per noi esso non può rimanere solo dolore, ma diventa anche certezza della salvezza, certezza che non saremo mai abbandonati.
"Chi potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù" Rm. 8 dice S. Paolo.

L'amore di Dio è il fondamento del dolore, ma anche della speranza.

Il peccatore nel fondo della sua fede conosce questo amore che non può mai andare perduto per lui, e che è la prima causa che rende possibile il pentimento.
Solo mettendosi dal punto di vista di Dio il dolore diventa perfetto.
Quello che veramente conta è che il motivo della conversione: deve essere Dio e l'amore per lui.

Uno potrebbe chiedere se ci sono altri motivi per essere addolorati. oltre all'amore di Dio.
Bisogna rispondere che molte persone si addolorano più per se stesse che non per Dio:
c'è chi si addolora perché non è riuscito ad essere come avrebbe voluto ed è ferito nel suo orgoglio;
c'è chi non è riuscito a mantenere una promessa fatta agli altri e si sente sminuito agli occhi altrui.

Questi tipi di dolore non sono quelli giusti.

Primo perché non ha niente a che fare con Dio, anzi si dimentica di Dio.
Secondo perché molto spesso conduce alla paralisi e allo scoraggiamento. Si vede che non ce la si fa proprio e invece di impegnarsi di più, si lascia pian piano ogni sforzo per migliorarsi: forse senza essere esplicito è questo l'atteggiamento più ricorrente delle cattive confes¬sioni.

Ci sono persone che non si ritengono obbligate a mostrare un serio pentimento davanti a Dio e si limitano a un pò di rammarico solo con se stessi.
Questo significa non ubbidire al Signore, non capitolare davanti a Lui e voler tenere il coltello dalla parte del manico.
In questo modo la relazione di vivo amore tra Dio e l'uomo presto o tardi si estinguerà.

CHE COSA SUCCEDE INVECE QUANDO IL DOLORE E' AUTENTICO ?

Se uno è completamente afferrato da un dolore vero vede non solo i peccati commessi, ma anche tutta la propria vita lontana da Dio. E di tutto ciò non ne vuole più sapere
Emerge il desiderio vivissimo di estinguere questa vita per lasciare il posto alla "novità" dell'amore di Dio e, quindi, alla speranza.

Se vogliamo usare un'immagine, è come se il peccatore vedesse se stesso come un morto al quale il Signore risorto offre la possibilità di rientrare nella vita.
Il Signore ci dona qui una parte della sua vita eterna, e il dolore della confessione è come un raggio della vita eterna che entra nella situazione di morte in cui si trova il peccatore e lo illumina e lo conduce alla rinascita.

Il dolore vero dei peccati proprio perché fa entrare in comunicazione con la luce di Dio, diventa stimolo potentissimo all'azione, al cambia¬mento.

Mentre il dolore falso scoraggia, il dolore vero porta alla trasforma¬zione dell'essere: il cristiano addolorato non vuole stare più lontano dal Signore e cerca la strada del ritorno, che significa la strada della conversione.

Qualcuno potrebbe dire: "ma che senso ha tutto questo discorso sul dolore, quando poi tutto ritorna come prima ?".

Dopo la confessione ritorna tutto come prima ?
E' vero ?
Solo se si ha una fede limitata e un amore povero si può pensare questo.
Può pensare cosi solo chi guarda a se stesso e alle sue impossibilità e si dimentica di guardare a Dio e alle sue possibilità. Dobbiamo ricordarci della parola di Gesù: "ciò che impossibile agli uomini è possibile a Dio".
Chi è veramente addolorato per il proprio peccato cerca di tornare a Dio con tutte le forze e si impegna nel combattimento per una vita rinnovata, avendo fiducia nell'aiuto di Dio.
In tal modo la confessione fatta mensilmente o settimanalmente porta sempre qualche cosa di nuovo. Se non altro il desiderio sincero di stare vicino a Dio e di non tollerare la lontananza da Lui.