giovedì 30 gennaio 2014

I miei occhi hanno visto la tua salvezza domenica 2. 2. 2014



Domenica 2.02.2014
PRESENTAZIONE DEL SIGNORE - Festa

 LETTURA
Lettura del profeta Malachia 3, 1-4a

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore».  
 Commento
Malachia, che in ebraico significa «messaggero del Signore», è il profeta che annuncia «il giorno del Signore» (cioè della sua venuta e del suo giudizio di salvezza o di condanna) e che ravviva la speranza messia­nica. Il Messia va atteso con le migliori disposizioni. Il suo avvento e l'incontro con lui vanno preparati. Malachia esprime tutto ciò attraverso le immagini del «preparare la via», del «fuoco» che purifica e «dell'oro e dell'argento affinati».
«Preparare la via» è un tema caro ai profeti. Il secondo Isaia (cc. 40-55) esorta il popolo biblico ad avere fiducia in JHWH, perché egli aprirà a Israele una strada nel deserto per facilitarne il ritorno nella terra promessa dopo l'esilio babilonese. E anche un tema caro ai Vangeli sinottici, che vedono nel Battista colui che «prepara» (con la sua predi­cazione e il suo severo stile di vita) la strada al Messia che viene. Il messaggio di questa immagine è chiaro: per incontrare il Messia occorre convertirsi, cambiare stile di vita, assumere comportamenti e atteggia­menti ispirati alla Parola del Signore, che orienta tutta la vita del cre­dente.
L'immagine del «fuoco» esprime un duplice significato: da una parte esso è il simbolo della presenza di Dio, che illumina e riscalda l'uomo e il suo mondo; dall'altra esprime, con la forza intensa del suo calore, l'incapacità dell'uomo di stare davanti a Dio, quasi venisse respinto dal suo fulgore a motivo della propria indegnità («Chi resisterà al suo ap­parire?»).
L'affinamento dell'oro e dell'argento indica, nel suo simbolismo, il processo di purificazione e di conversione che la Parola di Dio sa operare nel cuore dell'uomo. I peccati, i vizi, le incorrispondenze, le chiusure dell'uomo sono tanti, ma la Parola di Dio come ha la forza di denunciarli, così sa anche eliminarli e annientare come scorie, per far apparire la luminosità dell'uomo che sa vivere secondo Dio.
Il brano si conclude con il richiamo all'«oblazione secondo giusti­zia». Questo è un richiamo frequente nei Profeti. L'uomo che si converte, che prepara la via al Signore, che accoglie il programma di vita a lui offerto dalla Parola di Dio, che agisce per amore e respinge ogni egoismo è veramente in grado di offrire un culto e una preghiera graditi a Dio.


SALMO
Sal 23 (24)

      ® Entri il Signore nel suo tempio santo.


Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito. ®

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. ®

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 15, 8-12

Fratelli, Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti / e canterò inni al tuo nome». / E ancora: / «Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo». / E di nuovo: / «Genti tutte, lodate il Signore; / i popoli tutti lo esaltino». / E a sua volta Isaia dice: / «Spunterà il rampollo di Iesse, / colui che sorgerà a governare le nazioni: / in lui le nazioni spereranno».  


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio «una coppia di tortore o due giovani colombi», come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Commento

Nel suo contesto storico il brano evangelico è da collocare nella tradizione religiosa della famiglia ebraica. Come tutte le madri, anche Maria obbedisce alla prescrizione biblica che imponeva un rito di puri­ficazione, dopo 40 giorni dal parto. Infatti si legge in Lv 12,2-5: «Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà im­monda per sette giorni. L'ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma se partorisce una femmina sarà immonda due settimane... resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue».
Questo rito è da collegare alla mentalità degli antichi, i quali vede­vano nel parto qualcosa che produceva un impedimento (non morale, ma rituale) al culto.
Al rito della purificazione seguiva il riscatto del primogenito. Se­condo la fede biblica il figlio primogenito era ritenuto proprietà di Dio; i genitori lo «riscattavano» con un sacrificio di un agnello o con l'offerta di una coppia di tortore o giovani colombi, se poveri (Lv 12,6.8: «Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote, all'ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacri­ficio di espiazione. Se non ha mezzi da offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l'olocausto e l'altro per il sacrificio espia­torio»). Così potevano considerare il figlio come loro proprietà (Es 13,12- 13: «Tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del bestiame, se di sesso maschile, appartiene al Signore... Riscatterai ogni primogenito dell'uomo tra i suoi figli»).
Applicato a Gesù il termine «primogenito» (protòtokos in greco; mentre Giovanni usa l'inequivocabile monoghenés, «unigenito») non deve far pensare che Maria abbia avuto altri figli, ma rimanda alla grande considerazione che la tradizione ebraica ha per il figlio che avrebbe continuato il nome dei genitori e garantito l'inserimento della famiglia nella linea delle promesse e delle benedizioni messianiche.
Nel contesto del Vangelo di Luca, questo brano è da leggere alla luce di alcuni temi che caratterizzano il terzo evangelista.
Innanzitutto il tempio . Gesù viene offerto da piccolo nel tempio, anticipando così la sua continua offerta al Padre, compiendone sempre la volontà. Poi Gerusalemme, intesa non tanto come luogo geografico, ma come «luogo» della salvezza definitiva, punto di arrivo del nuovo esodo compiuto da Gesù. Vi è inoltre il tema dello Spirito Santo che, nel Vangelo di Luca e negli Atti, è la guida della storia della salvezza e il vero protagonista dei momenti che più la caratterizzano (come i gesti e le parole di Simeone e Anna). E infine il tema della croce. Il Bambino che entra nel tempio è già il Crocifisso e il Risorto, che addita ai discepoli e a Maria per prima la via della croce, del sacrificio e della rinuncia, per entrare nella vita che nasce dalla Pasqua.

Meditazione

La prima lettura dà uno spunto molto importante per leggere in profondità il mistero della Presentazione al tempio di Gerusalemme del Bambino Gesù, da parte di Maria e Giuseppe, in ossequio ai canoni della Legge di Mosè. Il testo, preso dal libro di Malachia, dice: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate». Dall’insieme dei Vangeli, noi sappiamo bene chi è il Precursore che Dio ha inviato davanti a Sé per preparare la via: è san Giovanni Battista, del quale sappiamo anche che nacque sei mesi prima di Gesù. Mettendo insieme questi dati evangelici, noi comprendiamo le parole di Malachia in questo modo: il Signore Dio preannuncia che verrà tra noi e che, prima di ciò, manderà un Precursore che gli prepari la via. Siccome tra la nascita di Giovanni e di Gesù trascorrono solo sei mesi, è chiaro che nell’oracolo profetico si dica che subito dopo il Precursore, verrà il Signore stesso. Così, subito dopo la venuta del Battista, Dio è entrato nel suo tempio. Ecco quanto è avvenuto nel giorno della Presentazione al tempio di Gesù. Il Dio fatto uomo entra nel tempio, si rende disponibile a coloro che proprio in quel tempio lo cercavano.
Il Vangelo del giorno ci mette davanti diversi personaggi ed avvenimenti e, con ciò stesso, fornisce numerosi insegnamenti e propone temi per l’ulteriore riflessione. Innanzitutto appaiono Maria e Giuseppe, che rispettano i doveri legali prescritti da Mosè. Il loro sacrificio è quello previsto per i poveri: due tortore o due colombi.
Appaiono anche Simeone ed Anna, due venerandi anziani, dediti alla preghiera ed al digiuno, i quali proprio per questo loro spirito fortemente religioso sono capaci di riconoscere il Messia. In questo senso, possiamo vedere nella Presentazione di Gesù al tempio quasi un prolungamento della Giornata pro orantibus, che si celebra nel giorno della Presentazione di Maria (21 novembre), Giornata in cui la Chiesa manifesta la propria gratitudine a tutti coloro che nella Comunità si dedicano in maniera privilegiata al ministero della preghiera, con particolare distinzione per le vocazioni religiose e di vita contemplativa. Anche la Presentazione di Gesù al tempio ci ricorda, nelle figure dei due pii vegliardi, che la preghiera e la contemplazione non sono affatto una perdita di tempo, un ostacolo alla carità. Al contrario, non c’è tempo speso meglio di quello trascorso in preghiera, come non c’è una vera carità cristiana che non sia conseguenza di una solida vita interiore. Solo chi prega e fa penitenza, come Simeone ed Anna, è aperto al soffio dello Spirito: sa riconoscere perciò il Signore in qualunque circostanza Egli si manifesti, perché possiede un più ampio sguardo interiore e impara ad amare con il cuore di Colui il cui nome è Carità!
Infine, il Vangelo valorizza la profezia di Simeone sulla sofferenza di Maria. Giovanni Paolo II insegna a questo proposito che «quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore» (Redemptoris Mater, n. 16). L’annuncio dell’arcangelo era stato fonte di indicibile gioia, perché riguardava la regalità messianica di Gesù e il carattere sovrannaturale del suo concepimento verginale. L’annuncio dell’anziano nel tempio, invece, parla dell’opera della redenzione, che il Signore compirà associando a Sé, nel suo dolore come già nella sua nascita umana, la Madre sua. La dimensione mariana di questa festa è dunque molto forte, motivo per cui nel calendario liturgico della «forma straordinaria» del Rito Romano essa viene indicata come Purificazione della Beata Vergine Maria, dicitura che mette in evidenza l’altro aspetto della Presentazione, consistente nella purificazione rituale delle donne ebree dopo il parto. Nel caso di Maria, tale purificazione, per Lei non necessaria, indica il rinnovamento della sua offerta totale al piano di Dio.
Simeone, nel suo oracolo profetico, annuncia anche che Cristo sarà segno di contraddizione. In una sua omelia (cf. PG 77, 1044-1049), san Cirillo di Alessandria interpreta le parole del santo anziano in questo modo: «Per “segno di contraddizione” intende la nobile croce, come scrive il sapientissimo Paolo: “Scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23) […] Ed è segno di contraddizione nel senso che in quelli che si perdono appare come follia, mentre in quelli che riconoscono la sua potenza si rivela salvezza e vita».


La festa della Presentazione nella liturgia attuale

Secondo le indicazioni del Vangelo, allo scadere del quarantesimo giorno dopo Natale, la Chiesa celebra oggi la Festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Per molti secoli essa era dedicata alla Purificazione di Maria . Ma la riforma liturgica l'ha ricondotta al suo significato origina­rio, sottolineando l'aspetto cristologico.
Luca racconta: «Quando furono compiuti i giorni della loro purifica­zione, portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore» (Lc 2,22). La legge prescriveva, insieme, la purificazione della donna, che aveva dato alla luce un bambino, e l'offerta del bambino, introducendolo nel Tempio del Signore. Quando si trattava del primogenito, era pre­scritto anche un riscatto , con il versamento di cinque sicli d'argento. In tale circostanza era d'obbligo anche un sacrificio a Dio con l'offerta di un agnello di un anno e di una colomba o una tortora, ovvero, per i più poveri, di due colombe, come fece Maria.
La legge non prescriveva la presenza del Bambino. Nel racconto di Luca, invece, Gesù e sua Madre appaiono strettamente congiunti. Egli unisce ambedue nel rito . Tuttavia, invece di descrivere il rito della puri­ficazione, Luca parla della Presentazione del Bambino Gesù e del gesto compiuto per il suo riscatto.
Questa Presentazione ha un significato liturgico e comporta una offerta sacrificale, che aveva il significato di una consacrazione attraverso uno spogliamento. Dunque con il rito del riscatto e dell'offerta per il sacrificio, Maria presenta Gesù al Tempio in quanto lo offre e lo consacra a Dio, spogliandosi dei suoi diritti di proprietà materna sul Figlio (Thu­rian).
Perciò la purificazione, di cui parla Luca e che interessava non solo Maria, ma anche il Figlio, voleva esprimere non tanto la purificazione da una impurità — di cui Maria non aveva bisogno — ma la donazione a Dio, che assumeva l'aspetto di una offerta sacrificale di Gesù tramite la Madre, e coinvolgeva anche Lei.

Il significato profetico svelato nell'incontro con Simeone

Gli incontri, che Luca descrive in questa circostanza all'interno del Tempio, vogliono proiettare una luce su tutto l'evento. I personaggi intro­dotti nella scena sono Simeone , giusto e timorato ad Dio, a Anna fedele nella sua lunga vedovanza alla memoria del marito e dedita alla pre­ghiera e al digiuno.
Questi due spiriti eletti sono in attesa della «consolazione di Israele e della «redenzione di Gerusalemme», cioè del Messia Salvatore. L'attesa o appuntamento era nel Tempio del Signore. Di lui, infatti, Malachia aveva presagito l'ingresso nel Tempio per purificare i sacrifici dei sacer­doti e rendere gradite le loro offerte «secondo giustizia» (cf. Mal 3,1-4; I Lett.). Simeone ed Anna , benché carichi d'anni, sono anime intatte nella fede e colme di speranza.
Simeone aveva avuto assicurazione «che non avrebbe varcato la morte senza prima avere visto li Messia del Signore». Essi erano dotati del carisma profetico, cioè possedevano lo Spirito in sovrabbondanza, quasi a coronamento di una esistenza intensa e sovrabbondante di pietà.
Proprio nel momento in cui Maria e Giuseppe presentano il Bam­bino Gesù nel Tempio, lo Spirito Santo muoveva loro incontro nella persona del santo Simeone . Egli prende in braccio il Bambino e, grato al Signore, esprime i suoi sentimenti in un breve Cantico per dare un sereno addio alla vita, nella esultanza della meta raggiunta.
Saluta il Sole che sorge all'orizzonte del mondo, pago di vederlo spuntare. Questo Sole era Gesù. Il Bambino, che stringe tra le braccia, è la luce di tutti i popoli e la gloria di Israele che gli ha dato i natali. Egli delinea l'identità di quel Bambino e fa intravvedere la sua missione . Le sue parole sono rivelative di un mistero nascosto. Perciò Maria e Giu­seppe restano impressionati e stupiti.
La meraviglia cresce quando Simeone si rivolge in particolare alla Madre per predirgli la sorte del Figlio. Dice: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35).
Gesù è pietra di contraddizione, al cui urto «i pensieri di molti cuori saranno rivelati». Dinanzi a Cristo, cioè, gli uomini dovranno prendere posizione, con Lui o contro di Lui: per chi lo respinge, diventa pietra di inciampo e di rovinosa caduta; per chi lo accoglie , diventa sostegno e principio di salvezza e di vita.
Le parole del profeta, a questo punto, diventano significative e am­monitrici anche per noi. La presenza di Cristo impegna l'uomo in ma­niera decisiva. Non si può rimanere indifferenti o neutrali. Il dono viene offerto, ma non imposto. Ognuno deve decidersi, andando incontro alle inevitabili conseguenze di tale accoglienza o rifiuto. Gesù è segno di contraddizione in quanto oggetto di contraddizione, cioè infinitamente amato, ovvero infinitamente odiato. Simeone annuncia profeticamente un futuro di opposizione e quindi di sofferenza e di morte. In ciò è coinvolta anche la Madre «Anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,35).
Così, fin dagli inizi della sua esistenza, è delineato il dramma salvi­fico del futuro doloroso e glorioso di Cristo. Maria è presente e ne partecipa.

Il nostro coinvolgimento al dramma salvifico di Cristo
La festa odierna si pone tra il Natale e la Pasqua, e vuole farci comprendere il senso della sua venuta tra noi. Egli viene ed è ricono­sciuto e accolto. A riconoscerlo sono Simeone e Anna , e i loro cuori esultano di gioia. In questi due personaggi ci siamo tutti noi e la gioia di tutta la Chiesa. Ma l'incontro con Cristo non è ancora definitivo. La vita del cristiano è un itinerario salvifico in cui si operano continuamente altri incontri. Essi avvengono nella nostra storia e vicenda umana, nella quale la presenza del peccato non è mai completamente superata. Perciò la venuta del Signore fa esplodere le contraddizioni della nostra esistenza cristiana.
Il Signore è luce e rivela in profondità le nostre situazioni, facendo emergere le nostre concessioni al male e svelando i nostri continui com­promessi e ambiguità. Perciò le contraddizioni si nascondono nella nostra vita e noi rimaniamo delusi e spesso irritati. Le cose non vanno come noi ci attendiamo e gli uomini ci deludono. Siamo, quindi, portati a formu­lare giudizi di condanna contro la vita; diciamo che essa non è giusta e ci rammarichiamo di tutto. Questo giudizio coinvolge Dio, la religione, la fede, Cristo. Vi proiettiamo le contraddizioni e le incoerenze nella vita cristiana di cui facciamo esperienza.
Di fronte alla confusione, alle difficoltà e alle ambiguità del nostro esistere, si svelano allora i nostri segreti pensieri. In effetti, se noi ci lasciassimo portare da Cristo, la fede rimarrebbe una forza che ci con­sentirebbe di accettare e di sperare oltre le nostre vedute umane. Ci accorgeremmo, allora, che il torto risiede in noi; e questo perché siamo miopi, interessati, egoisti ... Ci manca lo Spirito del Signore e la decisione necessaria per dire un sì totale a Cristo e consegnarci a Lui nell'atteggia­mento di fiducia incondizionata che salva e rinnova.

La giornata delle anime consacrate

La festa della Presentazione è la giornata delle anime consacrate, cioè di coloro che hanno avuta una vocazione particolare nella sequela del Signore. Affascinate dalla sua luce, sono andate incontro a Lui tenendo in mano la fiaccola vibrante della fede, e hanno varcato la soglia del Tempio, accompagnando Gesù a distanza ravvicinata per vivere identifi­cati a Lui, in un totale e irrevocabile consacrazione. Esse si sono impe­gnate, in maniera originale, a donarsi al suo amore e all'amore dei fra­telli.

Preghiere e racconti

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace»

Spiegando il senso della presentazione del Signore al tempio, S. Am­brogio (t 397) intende mettere in risalto il coinvolgimento universale del­l'umanità agli eventi dell'infanzia, per affermare che nessuno è escluso dai disegni salvifici di Dio. La figura dell'anziano Simeone e le parole che egli dice esprimono, per Ambrogio, il carattere decisivo che assume, per ogni uomo, il suo incontro col Cristo.
«La nascita del Signore non è attestata soltanto dagli angeli e dai profeti, dai pastori e dai familiari, ma anche dagli anziani e dai giusti. Tutte le età, tutt'e due i sessi, e i prodigi avvenuti ne fanno fede: una vergine diventa feconda, una sterile partorisce, un muto si mette a par­lare, Elisabetta profetizza, i magi si prostrano in adorazione, un bimbo esulta benché chiuso nel grembo, una vedova loda Dio, un giusto attende. A ragione è chiamato giusto, perché desiderava non la propria, bensì la salvezza del popolo, e, pur anelando di esser liberato dai vincoli del suo fragile corpo, aspettava di vedere il Promesso; sapeva infatti che beati sarebbero stati gli occhi, che l'avrebbero visto.
Ed esclama: «Ora lascia pure andare il tuo servo» (Lc 2,29).
Guarda questo giusto, che vedendosi rinchiuso nel carcere della terrena gravezza, desidera di partire per cominciare a essere con Cristo; «è assai meglio», infatti, «partire e essere con Cristo» (Fil 1,23). Ma chi desidera di essere lasciato andare, venga al tempio, venga in Gerusa­lemme, attenda l'Unto del Signore, prenda tra le sue mani il Verbo di Dio, lo stringa con le braccia della sua fede. Allora sarà lasciato andare, affinché, avendo veduto la vita, non veda mai più la morte.
Osserva che alla nascita del Signore si diffonde una grazia copiosa su ogni persona, mentre il dono della profezia è negato non ai giusti, ma solo a chi non ha fede. E anche Simeone profetizza che il Signore Gesù Cristo è venuto a caduta e a risurrezione di molti (cf. Lc 2,34), per vagliare i meriti dei giusti e degli iniqui, e, in qualità di giudice giusto verace, decretate la punizione o il premio, a seconda delle nostre azioni».
(Expositio in Lucam, L. II, 58-60; trad. it. di G. COPPA, Opere di Sant'Ambrogio, «Classici delle Religioni», Torino, Utet, 1969, 469-70).

La presentazione al Tempio

Certo le porte al vostro incedere
si sono aperte vibrando da sole
e strana luce si accese sugli archi:
il tempio stesso pareva più grande!

Quando si mise a cantare il vegliardo,
a salutare felice la vita,
la lunga vita che ardeva in attesa;
e anche la donna più annosa cantava!

Erano l'anima stessa di Sion
del giusto Israele mai stanco di attendere.
E lui beato che ha visto la luce
se pure in lotta già contro le tenebre.

Oh, le parole che disse, o Madre,
solo a te il profeta le disse!
Così ti chiese il cielo impaziente
pure la gioia di essergli madre.

Nemmeno tu puoi svelare, Maria,
cosa portavi nel puro tuo grembo:
or la Scrittura comincia a svelarsi
e a prender forma la storia del mondo.
(David Maria Turoldo)

La presentazione di Gesù al tempio di Giovanni Bellini

http://www.jesus1.it/UserFiles/Image/GiovanniBellini.jpg La presentazione di Gesù al tempio dove il volto della Vergine, ritratto nella pena del primo distacco dal figlio, è semplicemente sublime.
Il veneziano Giambellino, come lo chiamavano, nato intorno al 1438 e morto nel 1516, era notissimo già al tempo suo come il "pittore delle Madonne". Tante ne dipinse, su ispirazione o su committenza, e in tutte colpisce l'intreccio delle mani di Maria con le manine del bambino, l'eterno gioco tra madre e figlio.
Ma nella Presentazione il gioco non c'è più, il bambino sta stretto dentro le fasce come una piccola mummia, spunta solo una parte della manina che non riesce più a muoversi in cerca della madre. Maria lo stringe a sé come se non volesse lasciarlo, mentre altre mani lo stanno prendendo e sono quelle del barbuto Simeone, tra gli sguardi muti delle figure sullo sfondo.
La scena sconvolge per la sacralità e il presagio della passione. La si osserva commossi, ci si allontana a guardare altri quadri, poi si torna indietro cercando di capirla meglio e ammirarla una volta di più. Di ritorno a casa, si va a rileggere il passo del Vangelo (Lc 2,22-35) che l'ha ispirata.
L'evangelista Luca racconta che Maria e Giuseppe si recarono al tempio di Gerusalemme per l'offerta del neonato e la purificazione della madre, secondo la legge di Mosè: «Ora, c'era in Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: era un uomo giusto e pio... Anzi, dallo Spirito Santo gli era stato rivelato che non sarebbe morto prima d'aver visto il Cristo del Signore. Andò dunque al tempio, mosso dallo Spirito; e mentre i genitori portavano il bambino Gesù, egli lo prese tra le braccia e benedì Dio dicendo:
"Ora, o Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza"...».
Il vecchio Simeone riconosce in Gesù il Salvatore. Poi unisce nella stessa profezia il figlio e la madre, dicendo a Maria: «Ecco, egli è posto come segno di contraddizione, sicché una spada trapasserà la tua anima».
Molti grandi pittori hanno raffigurato l'episodio della presentazione al tempio. Nell'affresco di Giotto, Simeone ha già in braccio il bambino, mentre la madre tende le mani come per riprenderselo, timorosa di affidare ad altri la sua creatura. Andrea Mantegna, che era il cognato di Giovanni Bellini, aveva dipinto le stesse figure centrali, ma diversi i personaggi che osservano. Nell'arte di Bellini, una luce gentile accarezza i volti, la timidezza pensosa dei gesti esprime il dialogo tra la terra e il cielo. Ma la scena è illuminata soprattutto dalla bellezza di Maria, capolavoro assoluto del "pittore delle Madonne". Ha scritto Paolo VI: «Con Maria, ci viene aperta una duplice via: la via della verità che riguarda la sua collocazione nei misteri di Cristo e della Chiesa. E una via più accessibile, anche agli umili. La definiamo la via della bellezza». 
Franca Zambonini, Il pittore delle madonne e la bellezza di Maria, in «Famiglia cristiana» (2008) 52, 130.

giovedì 23 gennaio 2014

Stupiti e pacificati dall'incontro con Gesù 26 1 2014



Domenica 26 gennaio 2014
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE - Festa


Lettura
Lettura del libro del Siracide 7, 27-30. 32-36

Onora tuo padre con tutto il cuore / e non dimenticare le doglie di tua madre. / Ricorda che essi ti hanno generato: / che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato? / Con tutta l’anima temi il Signore / e abbi riverenza per i suoi sacerdoti. / Ama con tutta la forza chi ti ha creato / e non trascurare i suoi ministri. / Anche al povero tendi la tua mano, / perché sia perfetta la tua benedizione. / La tua generosità si estenda a ogni vivente, / ma anche al morto non negare la tua pietà. / Non evitare coloro che piangono / e con gli afflitti móstrati afflitto. / Non esitare a visitare un malato, / perché per questo sarai amato. / In tutte le tue opere ricòrdati della tua fine / e non cadrai mai nel peccato.                      
 Salmo
Sal 127 (128)
              ®  Vita e benedizione sulla casa che teme il Signore.
 Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene. ®
 La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa. ®
 Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
per tutti i giorni della tua vita! ®
 Epistola
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 3, 12-21
 Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.                
 Vangelo
Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 22-33
 In quel tempo. Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio «una coppia di tortore o due giovani colombi», come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.              

Siracide 7, 27-30. 32-36.

Dopo aver richiamato al giovane figlio, a cui è rivolto l'insegnamento, l'impegno di ricerca della istruzione: " Figlio, fin da giovane ricerca l'istruzione e fino a vecchio troverai sapienza" (6,18), i brani che leggiamo oggi, nel cap.7, fanno arte di raccomandazioni di diverso argomento di natura morale, sociale e religiosa. Per lo più sono precetti in forma negativa in tutto il capitolo, ma qui vengono ripensate anche
proposte aperte alla maturazione ed al progresso della sapienza.

Il libro del Siracide, detto anche "Sapienza di Sirach", detto anche Ecclesiastico, fu inizialmente scritto in ebraico da Ben Sira, (il nome greco è Siracide) verso il 180 a. C. e fu tradotto dal nipote in greco attorno al 130 a.C., lasciandone testimonianza nel prologo nel libro stesso. Composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune, vuole contrastare la penetrazione culturale greca nella cultura ebraica, ponendo una diga morale per i suoi, e incoraggiando a riprendere la Sapienza delle proprie tradizioni. Coraggioso e infervorato dalla Sapienza e del culto ebraico, insiste che non ci si debba vergognare della propria ricchezza morale e della legge. Il mondo ebraico, quando stabilì il Canone (elenco ufficiale dei libri della Scrittura attorno il 90 d.C,) non considerò ispirato questo testo, probabilmente perché la sua diffusione era avvenuta, prevalentemente, con il testo greco. E' rimasto invece come testo sacro ispirato nei testi ufficiali del Canone cattolico. Perciò non è elencato nella Bibbia ebraica (22 libri), né nel Canone del mondo protestante ( che segue, per l'A.T., il criterio ebraico). Nelle bibbie è ricordato come Deuterocanonico. Sono nominate le realtà più sacre della vita quotidiana ebraica: i familiari, compresi i genitori (vv18-28), il rispetto del Signore e dei suoi sacerdoti (29-31), i poveri (v 32), le offerte per i morti secondo criteri propri degli ebrei che pure non avevano ancora con chiarezza il richiamo della vita oltre la morte e la risurrezione dei morti, come la consapevolezza sviluppò più tardi (v 33). Si richiamano, con accenti di tenerezza, l'attenzione alla misericordia verso chi piange e verso i malati (vv 34-35). Il v 33 ricorda che le opere di misericordia non debbono escludere nessuno: "La tua generosità si estenda a ogni vivente, ma anche al morto". E' commovente questa attenzione alla vita e persino al ricordo della vita.

Si può sentire l'eco del comando di Dio nel racconto della creazione: "Coltivare e custodire la creazione" (Gen2,15) è il compito di chi ha ricevuto in dono il mondo e lo mantiene bello e grande. Si suppone il lavoro ma non è il lavoro dello schiavo che opera in conto terzi e a cui non interessa per nulla il risultato. Sono le raccomandazioni a persone libere che mantengono bene la casa, ricevuta in dono da Dio, e la abbelliscono e la arricchiscono per ogni essere vivente. L'ultima raccomandazione ha il significato globale della sapienza di vita: "In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato" (v 36 ) .

Col 3,12-21

Il testo che leggiamo è particolarmente ricco per una scelta cristiana di valori e di sentimenti che debbono maturare in una famiglia cristiana (vv12-13).

C'è una prima immagine: il vestito, il vestito nuovo, bianco, ricevuto e indossato il giorno del battesimo, il segno di quel "rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri". Spogliato dell'uomo vecchio e risorto a vita nuova, la dignità espressa nel vestito è quella di essere cristiani, con una legge nuova costituita, meno di precetti e più di sentimenti degni di Gesù: l'elenco è di 7 e costituisce la pienezza dello stile credente. Nella famiglia deve essere fondamentale il perdono, a somiglianza del perdono che riceviamo dal Signore. Infatti il perdono ricostruisce il tessuto della speranza e della fiducia, rammenda gli strappi, ristruttura i rapporti, rinsalda i cammini comuni. Nella riflessione delle relazione ritorna la dignità dell'accogliersi ("rivestitevi di carità") e costituisce la pienezza dell'armonia ("la pace portata da Cristo"). Vengono quindi indicati i mezzi per vivere e sorreggere l'armonia familiare: prima di tutto la Parola di Dio che alimenta la sapienza della vita e aiuta nel dialogo reciproco per capire e per correggere; poi la preghiera che crea affiatamento e fa intravedere prospettive e valori. E se nella famiglia ci si preoccupa a produrre segni di affetto e di attenzione (si fanno feste, ci si offre regali, si organizzano le vacanze, si richiamano ricorrenze), ancor più si cresce in maturità e letizia con il canto e la lode a Dio: "Cantate a Dio e ringraziatelo mediante Gesù" (v 16).

Infine, nella vita familiare risuonano parole che, alla nostra sensibilità, urtano poiché sono segnate da sospetto come: " Voi mogli siate soggette ai mariti". Questo è nella cultura del tempo, sia ebraico che pagano. Paolo però aggiunge: "come conviene nel Signore", ricostituisce un diverso modo di relazione ed esprime l'atteggiamento di servizio e di accoglienza di Gesù. "Chi vuole diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e chi vuole essere primo tra voi sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo che non è venuto per farsi servire, ma per servire" (Mt 20,27-28). " Voi mariti amate le vostre mogli". E in altri testi si approfondisce l'incoraggiamento. I mariti sono chiamati ad amare le mogli come Dio ama l'umanità e come Gesù ama la Chiesa, sua sposa, per cui ha offerto la propria vita (Ef. 5,25). Nel rapporto familiare c'è sempre il riferimento al Signore. Infine il rapporto con i figli è di autorevolezza e di testimonianza, ma anche di accoglienza. I genitori debbono essere capaci di non esasperarli ma i figli crescano, consapevoli di vita e di fiducia nelle proprie risorse, mentre questi debbono sforzarsi di ubbidire; dalla sapienza dei genitori sorge la capacità di comprendere il valore della vita.

Luca 2, 22-33

Nel Vangelo di Luca il racconto della presentazione di Gesù al tempio ha un particolare significato poiché è l'incontro di Gesù bambino e il mondo del tempio, il luogo della presenza del Signore in Israele. Già una profezia del profeta Malachia aveva preannunciato questa visita: "Ecco, io manderò il mio messaggero... e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate... egli è come il fuoco del fonditore e la lisciva dei lavandai... egli siederà per fondere e purificare" (3,1-4). L'ingresso di Dio che giudica è modulato sulle parole del linguaggio profetico. Angosciati della ingiustizia e della infedeltà del popolo, sconcertati della lontananza dei sacerdoti dalla fedeltà al valore religioso del tempio, il messaggio, sospeso nel tempo, sarà ripreso da Gesù nella sua ultima settimana di vita a Gerusalemme, quando entrerà nel tempio di Gerusalemme e scaccerà i mercanti, ricordando le parole di Isaia: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli"(56,7) e Gesù rimprovererà che "essa è diventata un covo di ladri" (Lc 19,46). E' di questo impatto il messaggio di Malachia e invece, quando Gesù viene portato da Giuseppe e Maria al tempio, è solo un bambino debole, come ogni bambino, incapace di parlare e di capire. Egli si è fatto povero tra i poveri e nessuno lo può riconoscere, tranne un uomo saggio e pio, sensibile alla presenza dello Spirito. Solo per questo può accogliere Gesù che adempie la promessa. Ma è Gesù, in verità, Dio lui stesso, che gli viene incontro. Tutto si realizza secondo la legge (ricordata tre volte): sia la purificazione per la madre (Lv. 12,1-8) sia la presentazione dei figli maschi primogeniti (Es. 13,2.12). Ma Luca, con una sottolineatura appena sfumata, ricorda che il cammino al tempio non è solo quello che la legge chiede per la donna che ha partorito (come è d'obbligo), ma parla di una purificazione per tutta la famiglia di Gesù (v 22 "quando venne il tempo della loro purificazione"). In tal modo viene anticipata quella solidarietà con l'umanità peccatrice che porterà Gesù a farsi battezzare da Giovanni Battista, mettendosi in fila tra i peccatori che volevano manifestare il loro desiderio di conversione. Gesù continuerà a cercare questa umanità peccatrice e ad accoglierla fino alla morte, provocando scandalo, ma garantendo, in tal modo, la misericordia agli impuri e ai peccatori del mondo. Simeone è diretto e guidato dallo Spirito e, per questo, può "accogliere" Gesù che adempie la promessa di venire nel mondo. "Ora lascia che il tuo servo vada in pace": è un canto di lode perché Dio esaudisce la speranza di Israele e la ricerca di tutti i popoli. Anche Giacobbe, nell'incontro con Giuseppe in Egitto, divenuto vice Faraone, dice: "Posso anche morire questa volta...." (Gn, 46,30).

"I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (vv 30-32 ) Il testo che abbiamo letto finisce qui, con lo stupore e la meraviglia dei genitori di Gesù che sentono, inattesa, una rivelazione splendida sul loro bambino su cui, ovviamente, continuano a correre pensieri interrogativi, vista la normalità della crescita. Ma l'episodio nel Vangelo di Luca continua con la predizione: "Sarà un segno di contraddizione" dice Simeone al bambino ed a Maria " e anche a te una spada trafiggerà l'anima"(v v 34-35 ). Questo bambino, diventato adulto, impegnerà a fare delle scelte di luce, ma non tutti lo accoglieranno. Il tempo della Chiesa è il tempo della maturazione e della consapevolezza di Gesù, tempo di fatica e di sofferenza, ma insieme, tempo di speranza e di salvezza. Maria è l'inizio di questa comunità orante e fedele. L'episodio si conclude con l'incontro della profetessa che Anna ha atteso e ora finalmente "parla del Bambino a quanti aspettano la redenzione di Gerusalemme". Essa rappresenta Il popolo fedele di Israele.

Rito Romano
III DOMENICA TEMPO ORDINARIO

LECTIO - ANNO A

Prima lettura: Isaia 8,23b-9,3


      In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.  Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra te-nebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Mádian.


             Nel contesto storico della vittoriosa campagna militare di Tiglat Pileser, re as-siro, si legge il presente annuncio di liberazione. Il brano vive di una luce di speranza. Si apre con uno stridente contrasto tra il passato di umiliazione e un futuro di gloria. «Zàbulon e Nèftali» (8,23) sono due tribù del Nord che hanno come frontiera il monte Tabor. Il loro territorio fu vinto da Tiglat Pileser nel 732. Costui ne deportò l’élite, causando la loro «umiliazione» (cfr. il Sal 136,23, dove 'umiliazione' rimanda a 'esilio') che ora viene riscattata con un annuncio di trionfo. La gloria si concretizza in due immagini: la luce che rischiara la strada al popolo in cammino e la gioia che si prova quando si partecipa alla mietitura e alla divisione del bottino (9,2).
                Alla fine si da il vero motivo della gloria futura: è un'esperienza di liberazione. È qui che la gioia trova un motivo preciso. Si allude alla liberazione dal gravoso peso degli Assiri, reso ancora più duro da un atteggiamento di persecuzione («bastone del suo aguzzino»: 9,3). La vittoria è fatta risalire direttamente a Dio («tu hai spezzato») che anche in questo caso è intervenuto in modo inaspettato e strepitoso, come altre volte; si riporta il caso di Gedeone che con l'aiuto di Dio vinse i Madianiti (cfr. Gdc 7,15-25). Fu un evento che fece storia (cfr. Sal 83,10; Is 10,26) e simboleggia i prodi-giosi interventi di Dio a favore del suo popolo. La gloria di Dio si rivela diventando gloria per il suo popolo. Il profeta gioioso annuncia una primavera di vita che ha in Dio la sua origine. Il testo prepara la comprensione del vangelo, dove Gesù stesso annuncia l'irruzione della signoria di Dio (il suo regno) nella storia degli uomini.




Seconda lettura: 1Corinzi 1,10-13.17


    Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensie-ro e di sentire.  Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?  Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
     

             Dopo il saluto d'apertura e il rendimento di grazie al Signore per la ricchezza spirituale di cui ha colmato la comunità di Corinto, Paolo affronta senza indugi il primo argomento della lettera, il problema su cui gli preme fare subito chiarezza: le fazioni che dividono la giovane chiesa e rischiano di vanificare l'annuncio del Van-gelo di Cristo.
                v. 10 — Con la consueta immediatezza Paolo comincia per così dire dal fondo, dall'esortazione conclusiva, espressa con foga e passione: “Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo”. Le motivazioni verranno solo dopo: l'essenziale è mantenere l'unità nella fede. Paolo la descrive con tre espressioni, due in positivo che si rafforzano a vicenda e ne racchiudono una terza, in negativo: siate unanimi nel parlare («diciate tutti la
stessa cosa» implica non solo identità di contenuti, ma concordia nell'operare), non vi siano divisioni («scismi»), siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
                vv. 11-12 — Successivamente, Paolo spiega cosa ha provocato questo suo accorato intervento: qualcuno (non sappiamo chi siano i «familiari di Cloe») gli ha riferito l'esistenza di gruppi contrapposti nella comunità. Il fatto è sintetizzato da Paolo in un solo, incisivo versetto: non è il caso di soffermarsi sul merito delle divergenze, di analizzare le ragioni degli uni o degli altri. Ciò che Paolo respinge non è una devia-zione dottrinale o un'eresia, ma il fatto stesso della divisione, l'esistenza di fazioni personalizzate che si richiamano a un nome, fosse pure quello di Cristo, per escludere altri fratelli dalla comunità. L'apostolo ricorda quattro di queste fazioni: di Paolo, di Apollo, di Cefa, di Cristo, e le respinge tutte, anche quella «di Paolo» e quella «di Cristo», come contrarie alla carità e al Vangelo.
   v. 13 — Il suo grido accorato è una duplice domanda retorica: È forse diviso il Cri-sto? Dividere la comunità significa infatti lacerare il corpo stesso di Cristo. Richia-marsi ad altri maestri, fossero pure gli apostoli, autentici testimoni dell'evangelo, significa sostituire al Cristo, mediatore unico della salvezza, uomini che sono sol-tanto suoi discepoli: Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
                v. 17 — Paolo accenna brevemente al proprio ministero, nomina le poche persone che ha battezzato, per allontanare da sé qualsiasi sospetto di faziosità, sconfessando pienamente il «partito di Paolo». Il suo compito è l'annuncio del Vangelo, e questo unicamente nel nome di Gesù Cristo, nel segno della kenosi, della «stoltezza della croce», e non della «sapienza di questo mondo». L'apostolo non si vanta della propria capacità oratoria, al contrario, respinge da sé ogni «sapienza di parole» (sofia logou), per non svuotare della sua potenza la croce di Cristo.

Vangelo: Matteo 4,12-23  


     Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.


Esegesi

                Siamo all'inizio del Vangelo di Matteo. Dopo l'introduzione costituita dal «Van-gelo dell'infanzia», la missione di Gesù — preparata dalla predicazione del Battista (3,1-12), dal battesimo al Giordano (3,13-17) e dalle tentazioni nel deserto (4,1-11) — ha finalmente inizio. Matteo la collega esplicitamente con il Battista: quando l'arresto interrompe la predicazione di Giovanni, Gesù inizia la propria, con le stesse parole: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (3,2 e 4,17).
                Tre brevi sezioni sono facilmente riconoscibili in questa pericope, contrassegnate tutte e tre dal riferimento alla Galilea contenuto nel primo versetto.
                1) Inizio della predicazione, sua ambientazione geografica e biblica (4,12-17).
                Secondo la tradizione, il luogo in cui Giovanni battezzava non era lontano dalla foce del Giordano nel Mar Morto, e Gesù si sarebbe poi ritirato sul «Monte della Quarantena», a ovest di Gerico, ai margini del deserto di Giuda.                                                      
                Dalla Giudea, saputo dell'arresto di Giovanni, Gesù si sposta in Galilea, non più a Nazaret (la sua città) ma a Cafarnao, sulla riva settentrionale del lago di Tiberiade. La precisazione geografica non basta però a Matteo, preoccupato ancor più di sottolineare ogni collegamento della storia di Gesù con le profezie dell'Antico Te-stamento, attraverso le cosiddette «citazioni di compimento»: «...perché si compisse ciò che era stato detto...». Eccolo quindi indicare che la Galilea, posta tra il Giordano e la «Via del Mare», corrisponde ai territori delle tribù di Zabulon e Neftali (a ovest e a nord del lago), con la citazione di Is 8,23-9,1. La Galilea è detta «dei pagani», o «dei Gentili», perché molto frequentata dai pagani provenienti dalle nazioni confinanti (la provincia romana di Siria a nord e a ovest, la Decapoli a est del lago). Qui ha inizio la predicazione di Gesù, in continuità ideale con il Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
                2) Chiamata dei primi discepoli (4,18-22).
                Sulle rive del «mare di Galilea» (il lago) Gesù incontra e chiama i primi discepoli. Sono due coppie di fratelli, tutti pescatori (Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni). I due brevi racconti si corrispondono in parallelo; gli uni e gli altri interrompono senza indugio il lavoro in cui sono impegnati, abbandonano tutto (le reti e la barca; Giacomo e Giovanni anche il padre Zebedeo) e seguono Gesù.
                La singolarità di questo rabbi itinerante salta subito all'occhio da alcuni partico-lari: contrariamente alla prassi del tempo, secondo cui l'aspirante discepolo sceglieva il maestro cui affidarsi per la sua formazione, qui è Gesù che sceglie i suoi discepoli; non viene proposto loro lo studio della Torah né una particolare dottrina o prassi, ma semplicemente la sequela di Gesù. Gesù stesso quindi si offre come via, come dottrina, come legge; e la prospettiva indicata è farsi suoi imitatori nel chiamare altri a seguirlo: «pescatori di uomini».
                3) Sintesi dell'attività di Gesù (4,23-25).
                L'ultima sezione sintetizza l'attività di Gesù e ne indica l'efficacia: l'accorrere delle folle e l'aumento del numero dei seguaci.
                Nel v. 23, una serie di quattro verbi offre un quadro vivace e dinamico. Gesù per-correva (periēghen) la Galilea: è lui che si mette alla ricerca degli uomini per portare loro la salvezza. Insegnava (didaskōn) nelle sinagoghe: la sua parola parte dalla radice della Torah e dei profeti. Annunciava (kērussōn) il vangelo del regno: è il contenuto centrale del messaggio di Gesù e dei suoi. Guariva (therapeuōn) tutti i mali: l'annuncio del vangelo è inscindibile dai gesti di liberazione dal male compiuti da Gesù.

Meditazione

L'esperienza della salvezza espressa come irruzione della luce in un contesto di tenebra: questo il messaggio che unisce il testo di Isaia e il vangelo. La zona del nord d'Israele, dove erano stanziate le tribù di Zabulon e di Neftali, in passato umiliate sotto la mano del sovrano assiro che le assoggettò, smembrò in tre distretti (Is 8,23b) e ne deportò la popolazione, conosceranno una liberazione (I lettura): la salvezza è qui una liberazione sul piano storico; Gesù che si stanzia in quella medesima regione è la salvezza di Dio fatta persona: la salvezza si situa sul piano teologico (vangelo). Se la salvezza operata da Dio per le zone settentrionali d'Israele appare come una rinascita a popolo di zone ridotte precedentemente a non-popolo, la venuta di Gesù in Galilea provoca la rinascita di alcuni uomini galilei, dei pescatori, a pescatori di uomini, a discepoli di Gesù. La salvezza è qui colta nella sua dimensione esistenziale. La luce che Gesù è si irradia e suscita una chiamata alla sequela e un invio in missione: la salvezza è una nuova nascita, un venire alla luce.
L'arresto di Giovanni Battista segna la fine del suo ministero pubblico e l’inizio del ministero di Gesù. Il ritiro (Mt 4,12) è il luogo spirituale che consente a Gesù di assumere la fine di Giovanni e decidere l'inizio del proprio ministero. Il ritiro appare luogo di elaborazione della perdita, di confronto con la paura, di assunzione della solitudine, di lettura della realtà alla luce della parola di Dio (cf. la citazione del passo di Isaia: Mt 4,15-16), di accoglienza di un'eredità e infine di elaborazione della decisione nella piena assunzione della propria responsabilità. Responsabilità nei con-fronti di Dio, di Giovanni, ma anche delle persone che, senza Giovanni, abitavano in zone tenebrose, prive della luce che Giovanni irradiava. Persone che, per Matteo, non sono solamente dei figli d'Israele, ma anche dei pagani: la «Galilea delle genti» (Mt 4,15) comprendeva una popolazione mista di ebrei e pagani. La luce postpasquale della resurrezione si riflette sul Gesù che si stabilisce a Cafarnao, anticipando la manifestazione del Risorto in Galilea (Mt 28,16-20).
Gesù inizia il suo ministero situandosi in continuità con il suo predecessore. In effetti, le parole della sua predicazione sono le stesse di Giovanni: «Convertitevi, per-ché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17; cfr. Mt 3,2). In Gesù però la pregnanza delle parole sulla vicinanza del Regno è molto più forte: egli stesso, nella sua persona, narra il regnare di Dio. Gesù appare come successore di Giovanni che ne accoglie l'e-redità e la vivifica innovandola con la sua presenza messianica. Sempre la trasmis-sione della fede e della vita spirituale è opera di testimonianza, di martyría: Giovanni è te-stimone di Dio nella sua vita e nella sua morte (a cui prelude il suo arresto: cfr. Mt 11,2-15; 14,3-12), così la sua vita diviene eloquenza, parola, messaggio di Dio stesso (Mt 21,25). E Gesù, sull'esempio di Giovanni e accogliendone il messaggio, consegna la propria vita al cammino che Dio gli dischiude indirizzandolo sulle orme di Giovanni.
La continuità con Giovanni diviene subito novità dell'agire di Gesù: egli chiama con estrema autorità alla sua personale sequela. E la chiamata chiede all'uomo di re-alizzare il proprio nome (Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni) nella sequela di Cristo; di ordinare la propria umanità alla luce di Cristo, del suo cammino e della sua promessa («Vi farò pescatori di uomini»: Mt 4,19); di lasciare tutto (il lavoro, la famiglia: Mt 4,20.22) con atto di libertà e di impegnare anche il futuro in un «sì» che viene detto in un momento preciso e di cui non si possono sapere le conseguenze («subito ... lo seguirono»: Mt 4,20.22). Il «subito» della sequela immediata e senza condizioni deve divenire durata, perseveranza, definitività, e questo è possibile solo se si rinnova nel prosieguo del cammino il ringraziamento per la vocazione ascoltata e accolta un tempo, la fiducia nella misericordia del Signore, la docilità al suo Spirito, la preghiera umile al Signore.