giovedì 21 marzo 2013

Tutta la casa si riempi dell'aroma di quel profumo Domenica delle palme



Domenica delle Palme
Lettura
Is 52, 13 – 53, 12
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha spogliato se stesso fino alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i colpevoli».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 87 (88))
Signore, in te mi rifugio
Signore, Dio della mia salvezza,
davanti a te grido giorno e notte.
Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l’orecchio alla mia supplica. R.

Io sono sazio di sventure,
la mia vita è sull’orlo degli inferi.
Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa,
sono come un uomo ormai senza forze.
Sono libero, ma tra i morti. R.

Hai allontanato da me i miei compagni,
mi hai reso per loro un orrore.
Sono prigioniero senza scampo,
si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore,
verso di te protendo le mie mani. R.

Epistola
Eb 12,1b-3
Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 12,32)
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Quando sarò elevato da terra,
io attirerò tutti a me, dice il Signore.
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Vangelo: Gv 11,55 - 12,11
 
In quel tempo. 11,55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Parola del Signore.

Lettura del libro del Profeta Isaia. 52, 13 - 53, 12

E' in questa domenica che si celebra e si commemora, liturgicamente, la passione di Gesù. Infatti la prossima domenica celebreremo la Pasqua, la risurrezione del crocifisso e non avrebbe senso se prima non ci siamo fermati a contemplare e a struggerci sulla sua fine e sul significato della scelta lucida e, per Lui prevedibilissima, della sua morte. Perciò la liturgia ha proposto la scelta di questi testi che teologicamente sono i più drammatici ed insieme i più nitidi sulla preparazione e sul significato della croce di Gesù sul Golgota.

Il brano di Isaia, il Secondo Isaia, è un urlo esterrefatto di dolore che vuole insegnarci i parametri di verità su cui scorrono gli avvenimenti del mondo e l'umanità in cerca di significati. E' scritto al ritorno da Babilonia, dopo il secolo VI a.C., dopo l'esperienza della deportazione. Isaia vuole inaugurare una visione nuova sul Messia, non più trionfante, guerriero e potente, ma pastore, maestro, sofferente, re mansueto su un asino. Gesù valorizza queste immagini, anche se nel suo tempo non verranno sufficientemente maturate, poiché sconvolgono i parametri della grandezza di Dio e della sua potenza. Perciò restano sospese a interpretazioni misteriose gli stessi testi di Isaia, di Ezechiele, di Zaccaria ma anche quelli di Geremia a cui Gesù fa spesso riferimento.

Così il testo di Isaia, stupefacente per il VT, viene interpretato come immagine della tragedia del popolo vinto e distrutto, deportato e abbandonato. Resta, tuttavia misteriosa questa sostituzione del peccatore e dei violenti, questo prendersi sulle spalle i peccati degli altri per portare la pace. Il Servo sofferente, in faccia al mondo, ha accettato il disonore di una maledizione.

I vv 52,13-15: E' Dio stesso che parla e che anticipa l'esperienza del Servo e la gloria finale.

I vv 53,1-6 identificano il "noi" di un popolo che fatica a comprendere il senso della sofferenza del Servo.

I vv 53,7-11b. Espressioni di un "solista" annunciano la morte del Servo e la sua glorificazione inattesa.

I vv 53,11c-12 Ritorna l'intervento di Dio che garantisce la esaltazione del Servo.

Quello che si svolge è impensabile poiché la potenza di Dio (il suo braccio), qui, si manifesta nella umiliazione. Ma, nella esperienza e nella storia umana, tutto questo non è evidente. Eppure, si dice, il mondo nuovo nasce da chi spezza il cerchio dell'odio e del male con l'amore, lasciando che su di sé si scarichi la violenza. E lo sconcerto aumenta poiché la vittima non si lamenta, ma vive questo dramma nel silenzio. Radice e terra arida si rifanno alla dinastia di Davide ormai detronizzata e dimenticata.

La conclusione sarà la risurrezione, la vita piena, raccontato per come si può raccontare nel Primo Testamento che non ha ancora maturato, in questo tempo, il significato della risurrezione dai morti.

Ci ritroviamo così davanti all'agnello, che accetta volontariamente di essere portato ovunque, mite e paziente.

Un agnello, mattino e sera, viene ucciso nel tempio, ad espiazione, e Giovanni Battista intravede in Gesù "l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo" (Gv1,29). Giovanni Battista, probabilmente, pensa agli agnelli del tempio, all'agnello pasquale, al servo di JHVH e, forse, anche all'agnello offerto da Abramo a Dio, inviato perché fosse sacrificato al posto di Isacco (Gen 22).

Lettera agli Ebrei. 12, 1b-3

La "Lettera agli ebrei" vuole aiutare ad approfondire la fede in Gesù sviluppando, in modo particolarmente ricco, la teologia precedente del Primo Testamento per far intravedere la pienezza di Gesù e il significato drammatico della sua morte. La prima parte, dottrinale (1,5-10,18), precede quella esortativa (10,19-13,21) da cui è stato tratto questo breve testo. I credenti, a cui l'autore si rivolge, hanno nostalgia del tempo dei Patriarchi e timore ad affrontare la fede in Gesù che risulta drammatica, disorientante e persino pericolosa poiché suscita diffidenze attorno e persecuzioni.

L'immagine cara all'autore di questa lettera, e facile da comprendere, è quella sportiva della corsa negli stadi.

Già presente in altri contesti (1Corinzi 9:24-26; Filippesi 3:12-14) di Paolo, si adatta a significare lo sforzo e la concentrazione nel dover affrontare la fede che è una conquista, ma anche una rivoluzione della propria esistenza. Il vivere la fede, come Gesù ci ha proposto, cambia lo stile e rigenera una comunità credente.
"Deporre ogni peso, correre con perseveranza, tenere gli occhi fissi alla meta senza distrarsi": sono atteggiamenti propri di chi corre per ottenere una corona ed un riconoscimento di gloria, sapendo che tutta la corsa è orientata verso Cristo, origine di quella fede che in Lui viene condotta a compimento.

L'autore ricorda che, per affrontare questo nuovo cammino, bisogna utilizzare e sviluppare una intelligenza tattica, la stessa che usa lo sportivo: si libera di ogni peso, addirittura di vestiti che intralciano poiché decide un risultato e questo diventa orientamento, consapevolezza e criterio di tutte le proprie scelte.

Gesù stesso ci ha dato l'esempio poiché l'obiettivo di pienezza, che voleva raggiungere nella volontà del Padre, e quindi nella conclusione della gioia e gloria, gli ha fatto scegliere la croce e il suo disonore, di conseguenza. Noi siamo abituati alla croce e non capiamo più il significato di distruzione e di infamia che ha nel I° secolo questo supplizio, quando Gesù è giudicato ed ucciso con il più assurdo dei supplizi romani. Egli è abbandonato ai margini del disonore e della abiezione, assolutamente indegno di qualunque considerazione e dignità.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 11, 55 - 12, 11

Il Nel Vangelo di Giovanni l'atmosfera dell'ultima Pasqua di Gesù è già cupa e tragica all'inizio della settimana precedente. Siamo a sei giorni, prima della Pasqua, e la data è particolarmente importante poiché esiste l'obbligo di celebrare puri la Pasqua. E poiché la purità può essere persa se ci sono stati contatti con pagani o si è toccato un morto o la carogna di un animale, bisogna purificarsi per almeno sette giorni. Così si anticipa la venuta a Gerusalemme e ci si può preparare a celebrare in tranquillità la Pasqua (altrimenti la legge obbliga di aspettare il mese dopo).

La molta gente, in giro, commenta fatti e fa previsioni. Si occupa anche di Gesù e scommette che non oserà avvicinarsi a Gerusalemme per la festa poiché il cerchio delle autorità religiose si stringe sempre di più ed si sente feroce la determinazione di distruggerlo. Il racconto sui temi della morte e della vita, cominciato nel cap. 11 nel Vangelo di Giovanni con la risurrezione di Lazzaro, continua qui con l'unzione da parte di Maria, sorella di Lazzaro.

"Sei giorni prima di Pasqua" fa identificare per Giovanni un calendario in cui Gesù, ucciso il giorno prima di Pasqua, risuscita il giorno dopo (l'ottavo giorno). Giovanni ripropone qui "il richiamo alla settimana della nuova creazione" come all'inizio del suo Vangelo. Là si accennava ad una settimana culminante, nel settimo giorno, con le nozze di Cana: il canto della gloria e della manifestazione di Dio tra i suoi. Qui una settimana di sofferenza si conclude nell'ottavo giorno, oltre il tempo, con la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte.

Ormai la presenza di Gesù è troppo ingombrante poiché si è fatto sempre più preciso e sempre più esigente.

Egli chiede una religiosità non fatta di formalismi ma di misericordia, di responsabilità, di attenzione ai piccoli ed ai poveri. Gesù vuole una comunità di persone secondo il desiderio di Dio. Il contesto ebraico in cui Gesù entra in occasione delle feste, in particolare, è, invece, sempre più formale, sempre più lontano dalla Parola del Signore

Gesù, giunto a Betania, è invitato ad una cena di ringraziamento per la vita restituita a Lazzaro. Maria apre, con un gesto di amore profondo e gratuito, un vasetto preziosissimo di profumo, stupefacente per il suo prezzo, per il profumo che spande, per il clima che si ricostruisce surreale.

E se l'unzione della testa è abitudine comune (ma bastano poche gocce), l'unzione dei piedi è sconosciuta. E invece proprio sui piedi è versato tutto il contenuto ( e discepoli, uomini di lavoro ed esperti di soldi, valutano il costo esorbitante, corrispondente alla paga di un anno di un operaio). Tutto si svolge in silenzio, con gesti precisi; i piedi sono asciugati con i propri capelli, gesto in pubblico assolutamente disdicevole. Una rispettabile signora giudea non si sarebbe mai presentata in pubblico con i capelli sciolti. La scena è sconcertante, seguita dagli occhi di tutti. Giuda esplode in una critica dura per quello spreco. rivendicando il primato della elemosina.

"I poveri saranno sempre con voi". E' scritto anche nel libro del Deuteronomio (15,11) per ricordare l'impegno di ogni comunità all'attenzione e all'impegno verso i poveri. Gesù, con discrezione, ridimensiona il disagio e la scorretta obiezione di Giuda. Nella nuova Comunità cristiana il problema non sarà tanto l'attenzione ai poveri con l'elemosina ma l'accoglienza dei poveri per sviluppare con loro una fraternità, in cui ciascuno accoglie quelli che può e sa portare.

La domenica delle Palme inizia un progetto di discussioni, gesti, cammini, segni che via via Gesù sviluppa: egli sa di offrire a ciascuno segnali e progetti di vita.

Gesù, che pure sa di non essere sufficientemente capito, moltiplica, comunque, come per un testamento, i messaggi che poi la Comunità cristiana dovrà decifrare con l'aiuto delle Spirito Santo.

Noi siamo invitati a pregare, a riflettere insieme, a sostenerci ed a capire. E' il compito di una Comunità cristiana che vive nel mondo e deve cogliere attese e incoraggiare energie senza avvilire e senza deludere. Il centro è sempre la misericordia di Dio e i nuovi criteri di vita nella Pasqua.

Perciò ci facciamo solidali con il nuovo Papa, e attendiamo che ci faccia da maestro.

Preghiamo che finisca la guerra in molti paesi.

Ci impegniamo ad impostare seriamente valori e criteri di vita.

Quando ci vengono proposte scelte politiche, valutiamo non, prima di tutto, i nostri interessi ma il bene di tutti.

giovedì 14 marzo 2013

Cristo è il solo che vince la morte e ci dona vita - 17 marzo 2013




Cristo è il solo che vince la morte e ci dona vita

Quinta domenica di Quaresima

Lettura
Dt 6,4a.26,5-11
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia».

Parola di Dio.
Salmo (Sal 104(105))
Lodate il Signore, invocate il suo nome.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie. R.

L’ha stabilita per Giacobbe come decreto,
per Israele come alleanza eterna,
quando disse: «Ti darò il paese di Canaan
come parte della vostra eredità». R.

Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quel luogo,
non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
«Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti». R.
Epistola
Rm 1, 18-23a
Fratelli, l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 8,12)
Onore e gloria a te, Signore Gesù!
Io sono la risurrezione e la vita,
dice il Signore;
chi crede in me non morirà in eterno.
Onore e gloria a te, Signore Gesù!
Vangelo: Gv 11,1-53
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Parola del Signore.
Deut. 26, 5-11

Mosè suggerisce una sintesi della storia d'Israele che diventi consapevolezza e memoria di ogni israelita, iniziando dalla consapevolezza di una origine umile e povera: "Mio padre era un Arameo errante".

Quando ciascun ebreo deve richiamare la propria identità, non dimenticherà mai di essere poi parte di un popolo che il Signore ha voluto, ha liberato, ha condotto in uno spazio proprio e gli ha dato consapevolezza di aver ricevuto terra e doni della terra: frutti e animali che sono il risultato di una predilezione e di una benedizione.

I doni sono gratuiti, perciò suppongono alcune clausole di gradimento. Sono di ciascuno, ma le primizie vanno offerte: il ricevere deve aprire il cuore per poter riconoscere, gradire e offrire.

I doni, poi, che dovranno essere elemento di gioia e di ringraziamento, vanno vissuti e condivisi. Si ricordano due categorie di persone che non hanno la possibilità facile di possedere: i leviti e i forestieri. I leviti sono discendenti di Levi, uno dei figli di Giacobbe. Sono collegati, spesso ai sacerdoti, ma hanno funzioni distinte. I sacerdoti nel tempio sacrificano a Dio e offrono incenso. I leviti svolgono compiti di servitori, organizzatori degli aspetti esterni del culto e cantori. Pur parlando di 48 città affidate ai leviti, essi non possiedono e quindi vivono di carità, ricevendo dagli altri ebrei la possibilità di vivere. La stessa cosa va detta per gli stranieri che hanno spesso una precarietà di lavoro. Perciò il popolo, che possiede e che porta l'offerta al Signore, deve mantenere la memoria di questa rivoluzione storica che il popolo ha vissuto e di cui è consapevole e ringrazia. Va ricostituita la gioia piena della liberazione insieme con il levita e il forestiero. Così, alla fine, sicuramente ci si contrappone alla schiavitù, alla solitudine, all'abbandono. Le risorse ricevute, e che vengono offerte nella gioia, possano essere partecipate anche alla realtà povera.

Rm 1, 18-23a

Paolo si rifà alla esperienza del suo popolo e riscopre che l'intervento di Dio si sviluppa, inizialmente, nella sua ira per l'empietà raggiunta. E' la reazione di Dio che è giusto e vuole un mondo giusto e buono. Ma l'ira di Dio può essere considerata un preludio necessario alla salvezza. Tutti gli uomini sono peccatori, e Paolo stabilisce una situazione generale: essi, pur avendo una conoscenza iniziale di Dio attraverso le opere - la natura per i pagani gl'interventi nella storia per gli ebrei- non hanno agito di conseguenza e hanno smarrito quel barlume iniziale di sapienza, cadendo nella immoralità e nella idolatria. Dio, pur nella sua invisibilità e inaccessibilità dei suoi attributi, si rende visibile "per mezzo delle opere da lui fatte", sia dalle creature del mondo sia dai fatti di liberazione verso il popolo di Dio nella storia. Gli attributi di Dio che generano opere particolarmente significative sono "la sua eterna potenza e divinità" che muovono il creato e hanno liberato il popolo d'Israele. Il non saper intravedere questa formidabile presenza e armonia nel mondo rende gli uomini "inescusabili" poiché non lo hanno "glorificato né ringraziato come Dio". Sono diventati stolti poiché non hanno saputo approfondire questa presenza e si sono fermati a "figure di uomini corruttibili".

Il messaggio arriva anche a noi, nella sua drammaticità. Paolo lamenta che non si sviluppa né si matura il senso delle cose, ci si ferma all'immediato, alla vanità, alle apparenze e non si verifica ciò che conta davvero.

In tal modo non si scopre la profondità e non si sa ringraziare veramente e gioire della pienezza e della grandezza.

Iniziando da qui, si può riprendere a rileggere i segni dei tempi che si susseguono nel tempo, segni anonimi per chi non li sa guardare e interpretare, segni non firmati eppure proposti dal Signore per chi li vuole leggere.

Il Vangelo ci riporta uno splendido testo: " I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose loro: «Quando si fa sera, voi dite: «Bel tempo, perché il cielo rosseggia»; e al mattino: «Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo». Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona». Li lasciò e se ne andò (Mt 16,1-5).

Giovanni XXIII ci ha fatto riscoprire, nella "Pacem in terris" (1963) e nel Concilio, la carica di questi segnali che il Signore discretamente invia nella storia per interpretarli, avere speranza e viverli.

Gv. 11,1-53

Lazzaro, un amico di Gesù, gravemente malato, sta per morire. Il suo nome significa "Dio aiuta"; ma non sembra che ci sia speranza, tanto più che Gesù, che pur lo ama, appena avvisato della malattia, si trattiene ancora due giorni là dove si trova, a est del Giordano. Ci si aspetterebbe che Gesù si precipiti a guarirlo e invece il messaggio che Gesù offre è quello che l'amore del Signore non evita i passi difficili della vita, ma aiuta a rileggerli in una prospettiva nuova, piena di speranza. Su un piano esclusivamente umano, ci si trova però in una conclusione senza speranza, perché Gesù giunge dopo quattro giorni, quando non v'è più possibilità che l'anima del defunto si aggiri ancora nei pressi del cadavere (massimo tre giorni, pensano i rabbini). E poiché c'è il fetore dalla tomba, non si può parlare di morte apparente.

Il testo è complesso e l'interpretazione va dalla restituzione di Lazzaro alla sua famiglia alla restituzione della vita nuova a Lazzaro che giunge, già ora, alla pienezza della vita di Dio, andando dove il Padre destina i suoi amici.

Gesù è riconosciuto come colui che porta la vita e la offre a chi crede. Ma è anche colui che, per rigenerare nella vita il mondo, deve passare lui stesso attraverso la morte (11,53).

Le scene più importanti e i dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e interpellano Gesù sulla morte.

- Nel dialogo tra Marta e Gesù, l'attaccamento e la fiducia di Marta si spalancano sulla fede nuova, ma ella non riesce a seguire Gesù fino in fondo, pur pronunciando l'atto di fede della comunità dei cristiani: "Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo". Ma non è la fede piena del credente, quanto piuttosto la fede dell'ebreo che attende il Messia (per il mondo ebraico "Figlio di Dio" ha ancora il significato di "giusto, santo, prediletto da Dio" e non il significato trinitario di cui noi cristiani lo abbiamo caricato).

- Il dialogo-monologo di Gesù di fronte al sepolcro si svolge davanti agli operai che devono togliere la pietra, davanti alle sorelle, ai discepoli ed agli amici venuti da Gerusalemme. Gesù si rivolge al Padre, ringraziandolo "perché mi hai ascoltato". A questo punto il grido di Gesù è il grido della forza di Dio di fronte al male ed alla morte: "Lazzaro, vieni fuori". Con questo segno Gesù mostra di poter donare la vita e di esserne la fonte, capace di una vita che inizia già ora e non finisce, anche se deve attraversare il passo difficile della morte. Ci troviamo di fronte ad un testo di grande valore battesimale. Siamo diventati figli di un popolo che lotta e vince contro la morte come Gesù e intercede per coloro che soffrono e sono incatenati dalle paure, dalle disavventure, dalle tragedie, dalla ingiustizia del mondo. Il Signore ci chiede di intercedere presso il Padre e di non avere paura e di essere sicuri che egli sa interpretare, capire e soccorrere colui che, per rigenerare nella vita il mondo, deve passare lui stesso attraverso la morte (11,53). Le scene più importanti e i dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e interpellano Gesù sulla morte.

- Nel dialogo tra Marta e Gesù, l'attaccamento e la fiducia di Marta si spalancano sulla fede nuova, ma ella non riesce a seguire Gesù fino in fondo, pur pronunciando l'atto di fede della comunità dei cristiani: "Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo". Ma non è la fede piena del credente, quanto piuttosto la fede dell'ebreo che attende il Messia (per il mondo ebraico "Figlio di Dio" ha ancora il significato di "giusto, santo, prediletto da Dio" e non il significato trinitario di cui noi cristiani lo abbiamo caricato).

- Il dialogo-monologo di Gesù di fronte al sepolcro si svolge davanti agli operai che devono togliere la pietra, davanti alle sorelle, ai discepoli ed agli amici venuti da Gerusalemme. Gesù si rivolge al Padre, ringraziandolo "perché mi hai ascoltato". A questo punto il grido di Gesù è il grido della forza di Dio di fronte al male ed alla morte: "Lazzaro, vieni fuori". Con questo segno Gesù mostra di poter donare la vita e di esserne la fonte, capace di una vita che inizia già ora e non finisce, anche se deve attraversare il passo difficile della morte.

Ci troviamo di fronte ad un testo di grande valore battesimale. Siamo diventati figli di un popolo che lotta e vince contro la morte come Gesù e intercede per coloro che soffrono e sono incatenati dalle paure, dalle disavventure, dalle tragedie, dalla ingiustizia del mondo.

Il Signore ci chiede di intercedere presso il Padre e di non avere paura e di essere sicuri che egli sa interpretare, capire e soccorrere.

giovedì 7 marzo 2013

Quando la luce di Cristo sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza. IV di quaresima

Quando la luce di Cristo sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza.
Lettura
Es 17,1-11
In quei giorni. Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».
Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 35(36))
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. R.

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. R.

È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. R.
Epistola
1Ts 5,1-11
Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 8,12)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Io sono la luce del mondo, dice il Signore;
chi segue me avrà la luce della vita.
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Vangelo: Gv 9,1-38b
In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Siloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Parola del Signore.

Commento

"Voi, fratelli, non siete nelle tenebre; infatti siete figli della luce" (Epist.). E' la nostra fortuna, dal giorno del battesimo, di essere "illuminati", come in antico si chiamavano i nuovi battezzati.
Gesù apre gli occhi al cieco nato. Il prefazio dice: "Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che nel fonte battesimale gli viene donata".
Dal battesimo viene a noi la luce di Cristo e la nuova vita in lui. Purché siamo di quelli che credono, come il cieco, nonostante l'incredulità e forse la paura di fronte ad una cultura che con tanta supponenza ci invade.

1) L'ILLUMINAZIONE
Il fatto narrato è un gesto ben concreto: un cieco dalla nascita è guarito. Costui viene inviato a lavarsi alla piscina di Siloe, "che significa: Inviato", cioè Messia. Il fatto allora è un segno: di Gesù che è luce del mondo: "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Luce come rivelazione piena di Dio: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito .. è lui che lo ha rivelato" (Gv 1,18). Luce che è la vita divina: "A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome" (Gv 1,12). Luce che è indirizzo sicuro di vita pienamente umana: "Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 9,12). Luce che è anche per l'oggi guarigione, consolazione e speranza dentro tante miserie della vita quotidiana. Accogliere Gesù - via per la quale Dio giunge a noi - è arrivare alla verità e alla vita: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6).
Quel segno si attualizza per noi nel battesimo. L'umanità, nata cieca per l'eredità di peccato ricevuta da Adamo, è resa priva della vita divina, ferita nelle più autentiche capacità umane e destinata alla morte, sull'immagine del malcapitato della parabola del Buon Samaritano, bisognoso che Dio si chini su di lui per salvarlo. Gesù ripete anche a noi: "Va' a lavarti alla piscina di Siloe". Va' a lavarti nella piscina del tuo battesimo e ne uscirai illuminato dalla mia grazia, riconciliato con Dio, partecipe ancora della vita divina, rafforzato dallo Spirito santo che ti rende capace di "resistere al male che non vuoi e fare il bene che vuoi" (Rm 7,18-19). Ce lo ripete oggi Paolo: "Dio ci ha destinati a ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (Epist.). "Voi, fratelli, siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre" (Epist.).
Da qui la consapevolezza della nostra nuova dignità e, conseguentemente, la coerenza di una qualità di vita diversa. "Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri" (Epist.). E con la sobrietà, cioè la padronanza di sé, ecco la fede, la carità e la speranza, quasi armi che ci difendono dal mondo: "Noi siamo sobri, vestiti della corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza" (Epist.). La fede che dice il nostro riferimento unico a Cristo; la carità come verifica della nostra professione cristiana; la speranza di un destino eterno che è la grande forza di noi credenti entro le lotte della vita.

2) LA SCELTA
Al gesto - al dono di Dio - deve corrispondere la nostra apertura, la nostra scelta. Il cieco nato, uomo sincero e realista s'arrende all'evidenza del fatto e cammina verso il riconoscimento del segno, passando dalla luce degli occhi alla luce della fede. Il suo ragionamento è semplice: "Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". Passa gradualmente da saperlo "un uomo che si chiama Gesù", a riconoscerlo "un profeta", cioè "uno che viene da Dio". Alla fine lo proclama "Signore", il Figlio dell'uomo che è il Dio venuto tra noi e che è risorto. A tale riconoscimento della divinità di Gesù approda appunto la fede battesimale.
All'opposto sta l'indurimento del cuore dei farisei di fronte a Gesù che non vogliono accettare il fatto per pregiudizio contro il segno, perché non vogliono riconoscere il divino che c'è in Gesù, riconoscerlo cioè Messia. Accanto ai farisei ci sta la folla che si perde in chiacchiere, si ferma alla pura curiosità: è lui il mendicante cieco, .. non è lui? Non prende posizione, non gli interessa più di tanto quel che è capitato...: come avviene per chi del fatto religioso si informa solo alla tv. Per i genitori del cieco poi è questione di paura: è troppo compromettente e rischioso credere in Cristo! E noi? Quale posizione prendiamo di fronte a Gesù? Quella aperta e leale del cieco? O quella supponente dei farisei "che sanno"? O quella indifferente della folla? O quella minimalista dei genitori che non vogliono compromettersi con Cristo?
La vita ha le sue prove, e l‘adesione di fede non è così sempre facile. Come per l‘antico popolo di Dio, nel deserto della vita viene a mancare l‘acqua, o c‘è da affrontare il nemico, viene quindi facilmente da dubitare di Dio, delle sue promesse e del suo aiuto: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no" (Lett.). C‘è bisogno ancora allora del bastone di Mosè e delle sue mani alzate a invocare l‘intervento salvifico di Dio (cf. Lett.). La fede è dono di Dio; ma anche la perseveranza nella fede è dono di Dio. Gesù ha tanto raccomandato la preghiera nei momenti della prova: "Pregate pert non entrare in tentazione" (Lc 22,40). "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). Le mani alzate anche della Chiesa, alla quale vogliamo essere inseriti per un sostegno e una sicurezza nelle scelte anticorrenti che siamo chiamati spesso a fare nel clima culturale di oggi.

******

Un gesto di salvezza, compiuto da Gesù, suscita discussione e divisione. "Non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti.." (Lc 16,31), aveva detto Gesù a riguardo di chi non è disposto a riconoscere i suoi segni. Anche davanti alla risurrezione di Lazzaro ci fu chi non è rimasto convinto, anzi l‘ha vista come occasione per ucciderlo. Come i Giudei di oggi che dicono di "sapere". La fede è un dono, ma che richiede almeno l‘umiltà e la verità interiore di non chiedersi con pregiudizio al fatto soprannaturale. Il brano di Giovanni si conclude con una parola forte di Gesù: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane" (Gv 9,41).


PER LA NOSTRA QUARESIMA

1. Il Vangelo narra il vangelo.

Ogni evento in lui era vita,
la luce per gli uomini era quella vita.
E la luce brilla nelle tenebre. […]
Veniva nel mondo la luce vera
che rischiara ogni uomo.
Era nel mondo e mediante lui fu il mondo,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne tra i suoi, ma i suoi, lui, non l’accolsero.
A quanti però l’accolsero ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel nome di lui,
i quali, non da sangue, né da desiderio carnale,
né da volontà umana, ma da Dio sono stati generati. (Gv 1,4-5. 9-13)
Il segno per colui che è nato nella cecità, illumina la parola del Prologo del Quarto Vangelo. Già si dava a conoscere lo scontro tra luce e tenebra, tra accoglienza e rifiuto. Nessun accomodamento. Da sempre si affrontano: per percepire la tenebra fuori e interiormente occorre la luce. Per contrasto, non c’è continuità.
Luce che rivela, senza accecare.
La luminosità, la luce non si intrattiene con la tenebra.
La luce fa esplodere la tenebra: riceve accoglienza o rifiuto.
Vedere con gli occhi della fede o rimanere nel buio nell’incredulità.
Gesù guarisce gli occhi dell’uomo condotto, trascinato da lui, che niente chiede e niente attende.
Vede e deve dar ragione della luce.
Un balbettio all’inizio, che dice qualcosa dell’immensità dell’amore ricevuto nel gesto di Gesù. Ritorna alla vita e si incammina con le parole a dire l’evidenza dei suoi occhi aperti.
Cerca di dare nome a colui che, passando, si è fermato a guarirlo: un uomo chiamato Gesù, un profeta.
Colui che è nato nella cecità solo una cosa sa: «prima ero cieco e ora ci vedo».
«Noi sappiamo …»: i Farisei invece sono sempre sicuri del fatto loro.
Sono sicuri che Gesù non viene da Dio, perché … non osserva il sabato e dicono: «Noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore».
«Io non so …»: nel processo che i capi del popolo intentano all’uomo nato cieco questi dà prova di una sorprendente saggezza. Non sa e non se ne vergogna.
Ripete: «Non so». Questa affermazione non è reticenza dovuta alla paura, come quella dei genitori, ma è un’ammissione spontanea e sincera.
Pedagogo perdente dei discepoli di Mosè: «Questo il bello, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi!». E viene gettato fuori.
Gesù ritorna per condurre alla confessione di fede colui che ora vede: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Il passo alla luminosità della fede è sempre un incontro vivo con Gesù, la risposta al suo invito. Un incontro “originario”, di nuova nascita.
 La riflessione del n. 1 è di F. CECCHETTOM (Testo inedito).

L’uomo dall’anima consolata può sempre di nuovo costruire case di Dio e case degli uomini, può riempire il tempo traballante di nuovi inni e di canti e dare egli stessa forma alla comunità degli uomini. M. BUBER, citato da R. MANCINI, L’uomo e la comunità, Ed. Qiqajon, Bose 2004, p. 117.

2. La luce vera, per chi è nella tenebra.
L’acqua per chi ha sete della vita.
Il pastore che insegna e guida il camminare.
La porta per entrare nella sua dimora.
Nessuna tenebra, per quanto fitta, fa disperare che una qualche luce, o qualcosa della luce, possa penetrare in essa. […] Ma c’è forse qualcosa nella luce che non sia essa stessa luce, qualcosa che non si risolva in luce? Per questo simbolizza la riuscita, il compimento. […]
Quando nell’istante nascente, lei sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza.
M. ZAMBRANO, Dell’aurora, Traduzione ed edizione italiana a cura di E. LAURENZI (Le Vie 9), Marietti 1820, Genova 2000, p. 58.

3. Quanto noi vediamo compiuto nel cieco nato, è avvenuto parimenti in noi, chiamati dalla benevolenza del Signore al suo regno. Il legame della narrazione evangelica del cieco nato con il battesimo è stato sempre avvertito dalla coscienza cristiana. [...]
L’incontro con la Luce, che è vita, è bellezza, è armonia, è colore, è gusto, è suono: a tutto questo si apre quel cieco. […] Con il battesimo, sacramento della fede, siamo introdotti nel regno del Padre: diveniamo una nuova creatura. Il Nuovo Testamento ci parla dei “sensi nuovi” dell’uomo che si apre alla fede.
Questa novità di vita in assoluto non avviene se non per il dono che è nuovo, la grazia che ci fa figli di Dio; per il donatore stesso che entra in comunione con l’uomo, che è il Padre che si dona in Gesù “stringendoci” per mezzo del suo Santo Spirito. Tale è la realtà che è contenuta nel segno del cieco nato e tale è la realtà che ci dischiude il battesimo.
Questa novità suppone una conoscenza di Cristo e un’esperienza di fede. La maturità del nostro cammino ci fa sperimentare sempre più la provvisorietà e l’estrema relatività di ogni cosa. […]
Nella nostra situazione concreta può emergere il bisogno del cammino o della crescita nella fede. Ed è quanto è insinuato nella narrazione del cieco nato. Dalla fiducia in “quell’uomo” che si chiama Gesù, al riconoscere Gesù come profeta, fino all’adorazione della sua signoria, è un continuo cammino di fiducia in fiducia, di fede in fede, fino alla visione di Cristo e del Padre nella gloria: «Uno con lui».
B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, pp. 47-48.

4. Ciechi e sordi, dobbiamo cominciare dal sentirlo che si narra a noi, e attraverso un ascolto paziente, pervenire a credere, a vedere la luce del giorno, a sperare: attendere tutto da te significa vivere di grazia. Infatti, «tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza» (Romani 15,4).
Sono convinto che la Bibbia è un libro di speranza e che leggerlo ha come risultato la speranza. […]
Tu, sei la nostra speranza. Cioè: eccoci insieme, noi che speriamo un giorno di conoscerti, di vederti in faccia. E noi allora saremo illuminati dal tuo sguardo: con-viventi. […]
Un evento: nascere di nuovo; l’unico potere che mai si potrà conquistare è donato a chi ti accoglie (cf Gv 1,12). «Nascere, è nascere alla speranza». È entrare nel tuo avvenire, e offrirsi affinché avvenga in questo mondo. Proprio quando dicevo: «Le tenebre mi coprano», la notte èdivenuta luce intorno a me (Sal 138). L’umanità è chiamata a divenire volto: «Vedranno il tuo volto». «Non vi sarà più notte… perché il Signore effonderà su di loro la sua luce» (Ap 22).
Sì, un futuro di luce ci attende, e già si dona a vivere: figli della luce lo siamo già (cf Col 1,23). La speranza è la porta che si apre alla novità e mi ingiunge un comandamento nuovo, il comandamento del nuovo di cui tu vuoi farci complici, innamorati.
“Più forti dell’odio”. Gli scritti dei monaci trappisti uccisi in Algeria, a cura della COMUNITÀ DI BOSE, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 137-142.

5. ... Ma tu cammina con noi
Signore
non perderti nel silenzio della tua solitudine.
Ti faremo compagnia
e ti terremo per mano.
Tu cammina con noi
inciampa con noi
sporcando di polvere e fango
i vestiti e le scarpe.
Abbandona velluti
e mantelli
brucia i turiboli
straccia i polverosi libri
delle liturgie.
Con forbici d’acciaio
lacera
pianete e merletti.
Ordina ai tuoi sacerdoti
di cercare il male dov’è
senza attenderlo
nel tiepido calore
delle sacrestie.
La luce è quello
che avanza dal buio
e noi cammineremo
perché ci sia più luce
nel tempo che si apre...
 L. VIOLANTE, Secondo Qoèlet, Dialogo tra Dio e gli uomini, Piemme, Casale Monferrato 2004, pp. 99s.


6. Si disserra la gabbia del prigione
s’avventa in libertà
a capofitto,
non si guarda attorno,
fissa
solo lo spazio che gli s’apre
in fronte, e che lo ingoia,
e come
lampada lo abbaglia.

Attento, non è sgombra
la via della liberazione, non lo è ancora.
Ancora c’è il paese
di malanimo e idiozia
da traversare passo passo.
Lo credevi – ed era buon diritto –
ormai alle tue spalle.
Senonché
non è mai tutto passato il passato
e anche il male rifiorisce.
 M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, p. 198.