venerdì 22 febbraio 2013

Se tu conoscessi il dono di Dio - II di quaresima



Lettura
Dt 6,4a;11,18-28


In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro.
Certamente, se osserverete con impegno tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui, il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. Nessuno potrà resistere a voi; il Signore, vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete.
Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 18(19))
Signore, tu solo hai parole di vita eterna.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. R.

Ti siano gradite
le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. R.
Epistola
Gal 6,1-10
Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 4,42.15)
Gloria e lode a te, o Cristo!
Signore, tu sei veramente
il salvatore del mondo:
dammi dell’acqua viva,
perché non abbia più sete.
Gloria e lode a te, o Cristo!
Vangelo: Gv 4, 5-42
In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunse una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete: ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ha da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Parola del Signore.
L'uomo è un pellegrino, assetato di felicità. Sballottato da illusioni, tenta ogni via, prova ogni esperienza, e alla fine si trova con la bocca amara. Quale la causa vera? Dice Geremia: "Oracolo del Signore. Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne piene di crepe, che non trattengono l'acqua" (2,13). La Quaresima è tempo di verità, e quindi di conversione.

"Se tu conoscessi il dono di Dio..". Non facciamo come Agostino, che alla fine ha dovuto confessare: "Tardi ti ho amato..!". Se lo sapevo prima..!! Il dono di Dio è la sua parola, che è verità; il dono di Dio è lo Spirito Santo che è la forza che cambia il cuore. "I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità".

1) LA VERITA'

Fare verità ("veritatem facientes..", Ef 4,15) è la prima conversione quaresimale. Deve finire il tempo delle "favole". Paolo l'aveva previsto: "Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole" (2Tm 3,3-4). Gesù richiama alla Samaritana anche la verità morale, aprendole gli occhi sulla sua infruttuosa ricerca di nuovi amori: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E risveglia in lei il bisogno di un'acqua più pura che finalmente sazi il cuore e la vita: "Chi berrà dell'acque che io gli darò, non avrà più sete in eterno". Anzi è un'acqua che disseta ben oltre ogni nostra aspirazione: "L'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna".

La Parola di Dio (per gli Ebrei: la Toràh) è la prima verità da ricercare: "Signore, dammi quest'acqua!". Mosè l'aveva indicata come decisiva per una vita fortunata: "Ponete nel cuore e nell'anima queste mie parole, .. perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli". E' come il binario sicuro che guida alla riuscita o al fallimento: "Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio; la maledizione, se non obbedirete.." (Lett.). La donna sa che quella Parola guida al Messia, cioè alla salvezza: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa". Il suo cuore era già oltre le soddisfazioni umane, e mirava, quasi inconsciamente, alla vera fonte d'acqua viva: "Che sia lui il Cristo?".

"Le dice Gesù: Sono io, che parlo con te". Io sono Colui che cerchi come tua sazietà. Alla fine anche tutti i Samaritani del villaggio diranno: "Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo". La verità piena e salvifica è il Cristo: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Lui è il definitivo rivelatore del Padre, nel suo messaggio e, prima ancora, nella sua persona: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9) "Io sono" (cioè Jahvè), ripete continuamente Gesù. "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30). Forse lo abbiamo sempre sospettato che fidarci di Cristo sia la strada giusta: "Signore, vedo che sei un profeta". Si tratta di superare le difese dell'orgoglio per finalmente riposare con fiducia in Colui che sappiamo essere il salvatore anche nostro.

2) LO SPIRITO

Gesù un giorno dirà che il cuore del credente diverrà una sorgente di acqua abbondante per saziare la sete di vita del mondo. Quest'acqua è lo Spirito Santo: "Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Gv 7,37-39). Lo Spirito è il vero Dono di Dio, lo "Spirito del Figlio suo" (Gal 4,6), che ci fa figli nel Figlio e guida tutta la nostra vita: "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio" (Rm 8,14), trasfigurandola gradualmente "a immagine del Figlio suo" (Rm 8,29): "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2Cor 3,18). E' ormai la nuova legge e la forza del vivere cristiano: "La legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù" (Rm 8,2).

Paolo oggi l'invoca per tradurre in vita i propositi di conversione quaresimale: "Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" (Epist.). In questo tempo favorevole, "non stanchiamoci di fare il bene. Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede" (idem). E' il suggerimento del "digiuno" come carità, tipico dell'invito quaresimale: "Portate i pesi gli uni degli altri". Nello stile del perdono e della dolcezza: "Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza" (Idem).

Un altro stimolo viene dallo Spirito Santo: la voglia di divenire testimoni e missionari del vangelo. La Samaritana, convertita, diviene apostola nel suo villaggio fino a portare i suoi compaesani all'incontro col Cristo: "Non è più per i tuoi discorsi che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito..". Aveva detto Gesù: "Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni.. fino ai confini della terra" (At 1,8). E' sorprendente la costatazione che fa Gesù: "Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Io vi ho mandati a mietere..". A dirci che sono sempre più di quel che pensiamo gli uomini che cercano Dio, che sono in cerca dell'acqua che disseta per l'eternità!

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Bella è l'osservazione che fa il prefazio: "Cristo, Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede". Forse è tanto che Gesù anche per te s'è preparato, stanco di cercarti, ad un appostamento per prenderti il cuore e dirti che vuol invitarti a lasciarti amare da Lui. Non snobbare tanta amorosa e paziente ricerca di te che fa il tuo stesso Dio! Questa Quaresima è il tempo buono.
PER LA NOSTRA QUARESIMA
1. Certo, solo la passione di Cristo è fonte di riconciliazione, ma siccome Cristo ha sofferto a causa dei peccati del mondo, siccome su di lui è ricaduto tutto il peso della colpa, e siccome Gesù Cristo attribuisce ai suoi seguaci il frutto della propria passione, per questo anche sul discepolo grava la tentazione e il peccato, lo ricopre d’onta e lo espelle fuori delle porte della città come capro espiatorio. Per cui il cristiano diventa colui che porta il peccato e la colpa per altri uomini. Finirebbe schiacciato da questo peso, se a sua volta non fosse sostenuto da colui che ha portato su di sé tutti i peccati. Ma in tal modo, per la forza della passione di Cristo, egli può vincere i peccati | che ricadono su di lui, perdonandoli. Il cristiano diventa colui che porta dei pesi: L’uno deve portare i pesi dell’altro, così adempirete la legge di Cristo (Gal 6,2). Come Cristo porta il nostro peso, così noi dobbiamo portare quello dei fratelli; la legge di Cristo, che va adempiuta, è quella del portare la croce. Il peso del fratello che devo sopportare non rappresenta solo la sua sorte esteriore, il suo modo di essere e di comportarsi, ma il suo peccato nel senso più specifico. Non posso portarlo altrimenti che perdonandolo, nella forza della croce di Cristo, di cui sono divenuto partecipe. Così la chiamata di Gesù a portare la croce pone ogni suo seguace nella comunione del perdono dei pecca-ti. Il perdono dei peccati è la passione in comunione con Cristo comandata al discepo-lo. Essa è imposta a tutti i cristiani. D. BONHOEFFER, Sequela, a cura di M. KUSKE - I. TÖDT, Traduzione dal tedesco di M. C. LAURENZI, Edizione italiana a cura di A. GALLAS (Biblioteca di Cultura 15 / Opere di Dietrich Bonhoeffer. Edizione critica ), Editrice Queriniana, Brescia 1997, pp. 79-80.

2. [Perdono:] Si trova l’equivalente della parola francese in altre lingue, l’inglese, lo spagnolo, il portoghese, l’italiano.
Nell’origine latina di questa parola si trova un riferimento al “dono”. Non dovremo cedere alle analogie tra dono e perdono, e neanche però trascurarne la necessità. Noi dovremo piuttosto tentare di articolarli insieme. Tra dono e perdono, c’è perlomeno questa affinità: l’uno e l’altro, dono per dono, hanno un rapporto essenziale col tempo. Legato a un passato che in un certo senso non passa, il perdono resta un’esperienza ir-riducibile a quella del dono, di un dono che normalmente è legato al presente, alla pre-sentazione o alla presenza di un presente come dono.
[…] Dovremo prendere in considerazione alcune incoerenze; e per esempio l’aporia che mi rende incapace di dare abbastanza, di essere abbastanza presente al presente che do, e all’accoglienza che offro, tanto che credo, ne sono anzi sicuro di dovermi sempre fare perdonare, chiedere perdono di non dare mai abbastanza, di non offrire o ricevere abbastanza.
Si è sempre colpevoli, ci si deve sempre far perdonare nel dono. E l’incoerenza si aggrava quando si prende coscienza che se si deve chiedere perdono di non dare, di non dare mai abbastanza ci si può sentire colpevoli anche, e dunque obbligati a chiede-re perdono, di dare, perdono perché si dà e per quello che può diventare richiesta di riconoscimento, un veleno, un’arma, un’affermazione di sovranità, ovvero di onnipo-tenza. Si prende sempre nel dare.
Si deve a priori dunque chiedere perdono per il dono stesso, ci si deve far perdonare il dono, il dominio o il desiderio di dominio che sempre aleggia nel dono. E, irresisti-bilmente al quadrato, ci si dovrebbe far perdonare il perdono, che, anche lui, rischia di comportare l’equivoco irriducibile di un’affermazione di sovranità ovvero di dominio.
Sono questi abissi che sono in agguato sempre per noi – non come incidenti da evi-tare ma come il fondo, il fondo senza fondo della cosa stessa detta dono o perdono. Dunque non c’è dono senza perdono, né perdono senza dono. Questo legame verbale del dono col perdono è presente anche in inglese e in tedesco. In inglese: to forgive, for-giveness. In tedesco una famiglia lessicale conserva questo legame del dono col perdono: vergeben vuol dire «perdonare», ich bitte um Vergebung, «chiedo perdono». Da una conferenza pronunciata nelle Università di Cracovia, Capetown e Gerusalemme nel 1997-1998, pubblicata su «Les Cahiers de L’Herne» e ripresa da J. DERRIDA, Tra dono e perdono, «La Repubblica», 10 ottobre 2004, 34.

3. Profondo è il pozzo. Non dovremmo dirlo insondabile? […] avviene che quanto più si scavi, […] quanto più si penetri e cerchi, tanto più i primordi dell’umano si rive-lano insondabili e, pur facendo discendere a profondità favolose lo scandaglio, via via e sempre più retrocedono verso abissi senza fondo.
Giustamente abbiamo usato le espressioni “via via” e “sempre più”, perché l’inson-dabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le offre mete e punti di arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuove vie […] come succede a chi, camminando lungo le rive del mare, non trova mai termine al suo cammino, per-ché dietro ogni sabbiosa quinta di dune, a cui voleva giungere, altre ampie distese lo attraggono più avanti, verso altre dune.TH. MANN, Le storie di Giacobbe, Traduzione di B. ARZENI, Introduzione di L. RITTER SANTINI (Oscar Narrativa 250), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996, p. 23.


4. La pedagogia evangelica.
Il riconoscimento di Gesù come Messia e Salvatore avviene come un fatto improvvi-so ed esplosivo quando Gesù rivela la sua divina capacità di scavare nel cuore e di scrutare gli inviolabili abissi della coscienza; ma insieme matura lentamente, attraverso un paziente itinerario nel quale la donna è invitata a risvegliare in sé una sete nuova e pura, oltrepassando la sete per l’acqua materiale, che appaga solo il corpo e solo per breve tempo. […]
Gesù, dunque, si presenta come verità dell’uomo attraverso parole, gesti, segni, dai quali traspare che egli conosce come è fatto l’uomo, sa quale è il suo vero bene, ha una visione luminosa del mistero che avvolge e spiega la sua vita; ma vuole che questa veri-tà, che è la sua parola, che è la sua venuta tra noi, che è lui stesso, incontri noi come cercatori della verità; come persone disposte a pagare tutti i prezzi che la ricerca della verità comporta; come ragionatori pacati e coraggiosi, che discutono il senso delle cose, valutano l’importanza e la fragilità degli incontri interpersonali, si interrogano sugli aspetti contrastanti della libertà, la quale, per un verso, ci si presenta come un valore ultimo, assoluto, totalmente appagante, per un altro verso è bene sfuggente, non ha contorni precisi, non sa darsi contenuti positivi, è in cerca di valori veramente assoluti, per i quali impegnarsi e nei quali realizzarsi.
Tra la scoperta della verità, che è Gesù, e la ricerca della verità, per cui ogni uomo è fatto, può nascere una benefica cospirazione.
È vero che, ultimamente, è proprio la verità recata da Gesù che rivela noi a noi stes-si, ci dice perché siamo fatti in questo modo, ci spiega perché siamo cercatori della ve-rità, ci incoraggia a non stancarci della ricerca, ci libera dalle ombre e dagli intoppi che ostacolano o interrompono del tutto il nostro cammino verso la verità.
Ma è anche vero che una vigile e incessante chiarificazione dei nostri modi di pensa-re, di giudicare, di fare progetti ci dispone ad accogliere con un frutto maggiore la luce della verità che proviene dall’incontro con Gesù.
Ecco perché alle soglie dell’incontro con Gesù non è inutile una battuta d’arresto sulla nostra condizione spirituale di cercatori della verità, per cogliere il senso e la por-tata di tale ricerca, insieme con i limiti e le oscurità che la affliggono. Tanto più che questa attenzione alla nostra situazione umana diventa indispensabile per comprendere il messaggio evangelico come portatore di una interpellanza vitale per la nostra esisten-za.  L. SERENTHÀ, Passi verso la fede: una nuova esposizione delle ragioni della fede, Prefazione di C.M. MAR-TINI (Testi di Teologia per Tutti), ElleDiCi, Leumann TO 1984, 19872, pp. 10-11.


5. La samaritana è il simbolo della persona di tutti i tempi. È importante che Gesù abbia fatto il discorso dell’acqua viva proprio con la donna, e per giunta una samarita-na scismatica, alle quale offre l’acqua liberatrice. Ormai il Padre, attraverso Gesù, si rivolge a tutti, ed è paradigmatico che si misuri con la samaritana. «Beati i poveri di spirito – in tutti i sensi – perché di essi è il regno dei cieli».
Che cos’è mai quest’acqua? Anzitutto è un dono che non viene da noi. Poi trattasi di acqua viva, e di un’acqua di cui chi ne beve non avrà più sete; ed è infine acqua che zampilla nella vita eterna, anche se ci è data ora. Troppe qualità ha quest’acqua da non far pensare che si tratti di Dio stesso, che si dona all’uomo, che entra nella sua storia, che si coinvolge con lui, che entra in comunione con lui. Per questo dono già i vecchi sapienti pregavano il Dio da cui tutto proviene: «Dio dei padri e Signore di misericordia […] dammi la sapienza che siede in trono accanto a te […] perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito» (Sap 9,1a. 4. 10).B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, p. 45.

6. Ascoltiamo da tanto le fontane.
Per noi suonano quasi come tempo.
Ma è più certo che tengono il passo
con la vicenda dell’eternità.
L’acqua è straniera e l’acqua t’appartiene,
è di qui e tuttavia non è di qui.
Per qualche istante sei la fonte di pietra
e l’acqua specchia le cose in te.
Come tutto è remoto e familiare,
disvelato da tanto e sconosciuto,
pieno di senso e insensato insieme.
Tua sorte è amare quello che non sai
Ti strappa il sentimento che gli doni
e lo trascina con sé oltre. Dove?

R.M. RILKE, Poesie II (1908-1926), Edizione con testo a fronte a cura di G. BAIONI, Commento di A. LAVAGETTO (Biblioteca della Pléiade), Einaudi – Gallimard, Torino 1995, pp. 267 e 269.

venerdì 15 febbraio 2013

Laceratevi il cuore e non le vesti Domenica di inizio Quaresima



Laceratevi il cuore e non le vesti Domenica di inizio Quaresima

Lettura
Gl 2,12b-18
Così dice il Signore Dio:
«Ritornate a me con tutto il cuore,
con digiuni, con pianti e lamenti.
Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore, vostro Dio,
perché egli è misericordioso e pietoso,
lento all’ira, di grande amore,
pronto a ravvedersi riguardo al male».
Chi sa che non cambi e si ravveda
e lasci dietro a sé una benedizione?
Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio.
Suonate il corno in Sion,
proclamate un solenne digiuno,
convocate una riunione sacra.
Radunate il popolo,
indite un’assemblea solenne,
chiamate i vecchi,
riunite i fanciulli, i bambini lattanti;
esca lo sposo dalla sua camera
e la sposa dal suo talamo.
Tra il vestibolo e l’altare piangano
i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:
«Perdona, Signore, al tuo popolo
e non esporre la tua eredità al ludibrio
e alla derisione delle genti».
Perché si dovrebbe dire fra i popoli:
«Dov’è il loro Dio?».
Il Signore si mostra geloso per la sua terra
e si muove a compassione del suo popolo.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 50(51))
Rendimi puro, Signore, dal mio peccato
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore,
nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. R.

Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.
Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe. R.
Epistola
1Cor 9,24-27
Fratelli, non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt4,4)
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!

Non di solo pane vive l’uomo,
ma di ogni parola
che esce dalla bocca di Dio.
Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio!
Vangelo: Mt 4,1-11
In quel tempo. Il Signore 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:
Il Signore, Dio tuo, adorerai:
a lui solo renderai culto».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
Parola del Signore.
All'inizio della Quaresima la liturgia propone alla nostra meditazione l'episodio in cui Gesù viene tentato nel deserto. Sorgono spontanei alcuni interrogativi. Come mai Gesù è stato tentato? In quanto Figlio di Dio non doveva compiere la sua missione senza esitazioni o dubbi? Qual è la storicità di tale episodio?

Cominciamo dalla terza domanda. Il brano non va letto come un resoconto cronachistico, ma neppure come finzione letteraria. Alla base c'è sicuramente una realtà storica: la permanenza di Gesù nel deserto e il fatto delle tentazioni.

Nella tradizione biblica il deserto rappresentava il luogo della preparazione a una missione divina. Così era stato per Mosè, che vi sperimentò la rivelazione di Jahvè (Esodo 3,1 e ss), così per Elia, che vi ascoltò la parola divina (1° Re 19,18) e così fu per Gesù, che rimase nella solitudine del deserto per quaranta giorni, prima di iniziare il suo ministero pubblico.

Quanto alle tentazioni, possiamo essere certi che Gesù abbia fatto questa esperienza, perché è Lui stesso che dice ai suoi discepoli: "Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove" (Luca 22,28).

Dunque Gesù è stato effettivamente "messo alla prova", tentato.

Come? Non nel modo narrato da Matteo, che sintetizza tali esperienze dando loro la forma di un drammatico scontro diretto tra Gesù e Satana, su un fondale paesaggistico (il deserto, la città santa, i regni del mondo) di indubbia efficacia, ma nel corso di tutta la sua esistenza terrena, in varie circostanze.

Nel contesto della Scrittura la "prova" è la situazione di difficoltà in cui si trova il credente, quando i valori che lo guidano vengono sottoposti ad una pressione, sono messi in crisi ed egli deve appunto "dare prova" di sé, operare delle scelte che rivelino la sua fedeltà o meno ai valori minacciati.

La prova può avere un esito positivo, come nel caso di Abramo che proprio "nella tentazione fu trovato fedele" (1° Macc.2,52) e per questo è nostro padre nella fede, o negativo, come fu per Israele che invece nel deserto non resse alla "prova", mormorò contro Mosè e Aronne lamentandosi per la mancanza di cibo (cfr. Esodo 16), tentò Dio a Massa (=prova) e Meriba (=contestazione) e spesso si lasciò trascinare ad adorare divinità straniere (cfr. Deut. 32,15-18).

Ora anche Gesù, il Figlio di Dio, proprio perché realmente ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana (cfr. Ebrei 4,15), non si è sottratto a questa esperienza che mette in gioco la libertà e durante il suo ministero si è trovato più volte a dover operare delle scelte, in cui "dar prova" della sua fedeltà o meno al piano di Dio.

Le tre tentazioni che Satana gli pone nel deserto sono in sostanza riconducibili a una: seguire la via di un messianismo terreno, fatto di gesti spettacolari e imperniato sulla conquista del potere e del consenso popolare.

Questo sarebbe stato effettivamente possibile al Figlio di Dio e questo del resto si aspettava il popolo ebraico, sulla scorta di certe interpretazioni delle Scritture: la ripetizione dei miracoli dell'esodo, la comparsa del Messia sul tetto del tempio e un dominio di Israele sui popoli che avrebbe offuscato persino lo splendore del regno di Davide.

Perciò le parole di Satana nel deserto sono così formulate: per dimostrare di essere davvero il Figlio di Dio, Gesù dovrebbe ripetere il miracolo della manna trasformando le pietre in pani, dovrebbe apparire nel tempio come il liberatore finale e aderire al messianismo politico, facendo di Israele un popolo vincitore.

Storicamente Gesù ha incontrato queste tentazioni quando, ad esempio, farisei e sadducei, "per metterlo alla prova", gli chiedono di mostrare loro un segno dal cielo, quando Pietro tenta di distoglierlo dalla via della croce (Matteo 16), e infine - forma estrema di questa sfida - quando le autorità giudaiche lo scherniscono invitandolo a scendere dalla croce per provare che egli è veramente il "re di Israele" e il "Figlio di Dio" (Matteo 27,43).

Le risposte di Gesù, a Satana nel racconto del deserto e ai suoi interlocutori nella realtà, sono nette e perentorie. Egli respinge come "diabolica" (perché, nel senso etimologico, "separa da Dio") ogni proposta dettata dal desiderio di successo, prestigio e potenza, e riafferma la sua scelta di una radicale fedeltà a Dio.

Gesù è Messia secondo la via del servizio e della dedizione incondizionata di sé; è il nuovo Israele, che nel deserto, al contrario del popolo ebreo, riesce vincitore sulle tentazioni; è il nuovo Adamo, perché nella comunione con Lui ogni uomo, a differenza del vecchio Adamo, può trovare la forza di affrontare e vincere la prova.


giovedì 7 febbraio 2013

Gesù ci cerca per primo. 10 2 2013



10 febbraio 2013 Ultima domenica dopo Epifania (anno C)



Lettura
Sir 18,11-14
Il Signore è paziente verso di loro
ed effonde su di loro la sua misericordia.
Vede e sa che la loro sorte è penosa,
perciò abbonda nel perdono.
La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo,
la misericordia del Signore ogni essere vivente.
Egli rimprovera, corregge, ammaestra
e guida come un pastore il suo gregge.
Ha pietà di chi si lascia istruire
e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 102(103))
Grande è la misericordia del Signore.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno. R.

Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono. R.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. R
Epistola
2Cor 2,5-11
Fratelli, se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma, in parte almeno, senza esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior parte di voi, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; e anche per questo vi ho scritto, per mettere alla prova il vostro comportamento, se siete obbedienti in tutto. A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché ciò che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr 1Gv 4,16;3,20)
Alleluia.
Noi abbiamo conosciuto e creduto
l’amore che Dio ha in noi,
se il nostro cuore ci condanna,
Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Alleluia.
Vangelo: Lc 19,1-10
In quel tempo. Il Signore Gesù 1entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parola del Signore.
Commento
La larghezza di cuore di Dio si traduce nella compassione che Gesù mostra nei confronti dei malati e delle sofferenze umane; ma soprattutto nella comprensione e nel perdono che offre ai peccatori. Gesù guarisce il corpo e salva l'anima.
Vertice di questa gratuità che cancella la colpa è il gesto al calvario col perdono offerto al "buon ladrone": "Oggi con me sarai nel paradiso" (Lc 23,43).
Ma quel perdono è sbocciato là dove s'è levata una invocazione: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,42).
Al perdono deve corrispondere il pentimento. "Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte" (Lc 15,10).

1) IL PERDONO DI DIO
L'episodio di Zaccheo è emblematico. Gesù passa in città, è attorniato dalla folla, ma si dirige a cercare Zaccheo e a interessarsi di lui: "Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". E gli cambia il cuore: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza". Dio viene da lontano per questo incontro, sua è l'iniziativa di portare all'uomo la salvezza; è il nocciolo di tutto il suo esporsi sulla nostra vicenda di peccatori: "Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". "Benedetto il Signore, Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo", preghiamo ogni mattina nella celebrazione delle Lodi. E' passato per le nostre strade, "beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (At 10,38).
E' venuto a cercare l'ultimo, quelli che tutti disprezzavano come un pubblicano, anzi il capo dei pubblicani, strozzino delle tasse per i Romani oppressori. Non c'è esclusione davanti al cuore di Dio, "perché anch'egli è figlio di Abramo". Sant'Ambrogio commenta: "E' consolante che sia presentato come un capo dei pubblicani. Chi mai potrà più disperare se è arrivato anche costui la cui fortuna era di provenienza fraudolenta?" (In Luc.). Non c'è peccato che non possa essere perdonato. Dio è grande e sa trarre proprio dalla peggiore palude i fiori più belli: pensiamo alla Samaritana, la supermaritata; pensiamo alla Maddalena, da cui uscirono sette demoni. Anzi: "I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno dei cieli" (Mt 21,31).
Una visita personalizzata quella di Gesù: "Oggi .. a casa tua". Sono moltissime le visite di Dio ad ognuno di noi, in forme diverse: incontri che stimolano al bene, prove che disincantano le nostre sicurezze e il nostro orgoglio, perché "tutto concorre al bene per quelli che amano Dio" (Rm 8,28). Si tratta di tenere la porta del cuore aperta quando egli viene e bussa: "Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20). Del resto proprio per questa cena con noi Gesù giunge ogni giorno fin sui nostri altari. "Beati gli invitati alla cena del Signore".

2) IL PENTIMENTO DELL'UOMO
Era capo e ricco, ma era inquieto. In mezzo forse alle frustrazioni di sentirsi odiato e scomunicato, desiderava essere capito e accolto. Passa Gesù, ed ecco .. che "cercava di vedere chi era, ma non gli riusciva a causa della folla. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là". Zaccheo è punto dalla nostalgia del Mistero; anche nel peggior peccatore v'è un angolo di bene sul quale ricostruire una vita. "La misericordia del Signore riguarda ogni essere vivente" (Lett.). In ogni uomo è stampato questo ricordo di Dio perché ognuno di noi è fatto a sua immagine, e vi è quasi un bisogno naturale di Lui. L'inizio della conversione avviene quando non si soffoca questo profondo anelito, ma lo si fa emergere, e .. si compie il primo passo "per cercare di vedere Gesù".
"Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia". Bella questa gioia di chi ha finalmente incontrato quello che cercava. Viene in mente la ricerca drammatica di Agostino e la sua soddisfazione, e il rincrescimento di aver tanto ritardato: "Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me e io stavo fuori, Tu eri con me, ma io non ero con te. Tu mi hai chiamato, hai gridato, hai vinto la mia sordità. Tu hai balenato, hai folgorato, hai dissipato la mia cecità. Hai diffuso il tuo profumo, io l'ho respirato e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo del desiderio della tua pace" (Confessioni, X, 27).
Quella di Zaccheo è una ricerca sincera che sfocia in una vera conversione e decisione: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Da strozzino, a uomo che vive la giustizia e la carità. Scrive ancora sant'Ambrogio: "Sappiamo che colpa è non l'esser ricchi, ma di non saper usare le ricchezze; infatti le ricchezze, che sono ostacolo per i malvagi, per i buoni sono fonte di virtù. Sì, il ricco Zaccheo è stato scelto da Cristo" (Idem). E' interessante notare come si configuri la "salvezza entrata in questa casa" di Zaccheo: il nuovo rapporto con Dio si traduce in un nuovo rapporto con le cose e con gli uomini. "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Gv 4,20). Oggi san Paolo lo ricorda alla sua comunità di Corinto il dovere del perdono: "Voi dovreste usargli benevolenza e confortarlo. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità" (Epist.).

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Si dice spesso: una volta si parlava solo di giudizio di Dio e di inferno; oggi si parla solo di misericordia e perdono. Ed è vero, perché "qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata" (Mt 12,31). La bestemmia contro lo Spirito è chiudere volutamente gli occhi e il cuore ai segni di Dio, cioè l'ostinazione a non pentirsi. Una volta - mi ha insegnato un uomo di Dio - tre erano le virtù teologali; oggi sono quattro: fede, speranza, carità e .. pentimento.

PER LA NOSTRA VITA

1. Zaccheo era capo dei pubblicani, uomo di potere. Egli cercava di vedere Gesù. Interesse? Curiosità? Gesù ha fama di profeta e guaritore; l’interesse di Zaccheo può allora benissimo colorarsi di una qualche ricerca religiosa. Zaccheo, piccolo, ostacolato dalla folla, non può vedere Gesù. Zaccheo «cerca di vederlo» e il cieco «si informa» (Lc 18,36). La loro domanda li muove: «Che era questo?», «Chi era?».
Corre innanzi, sale su un albero. La sua ricerca è così ostinata da portarlo in alto. L’ironia raffinata che si legge in questo passaggio ci insegna che il dubbio su “chi sia Gesù” non paralizza quest’uomo importante, ma piccolo, bensì ne svela la determinazione ad andare oltre. La barriera della folla, gli ostacoli non lo fanno desistere. Se veramente si cerca…! Cosa conosceva di Gesù per avere un desiderio così vivo di vederlo? Era la sua unica occasione?
Qualcosa di incorruttibile che si trova in fondo ad ognuno di noi e che non può mai essere ingannato […] è la fame di nascere del tutto. M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima, Traduzione di E. NOBILI, Edizione italiana a cura di R. PREZZO (Minima 31), Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 92.



Un’energia che muove verso il compimento della propria storia […] ancora incerta e sospesa. […]
Nei momenti difficili, quando la morsa troppo stretta degli eventi dà la sensazione di non avere più né spazio in cui stare, né tempo in cui aspettare, la speranza si mette in moto per trovare una via d’uscita. Così la speranza dona prospettiva ad un istante piegato nell’immediatezza di una vita troppo pesante, lasciando intravedere la possibilità di una rinascita. Come un ponte, sostiene una distanza che dà respiro senza cadere nell’evasione.
Gli indica un nuovo orizzonte e mettendolo altresì in contatto con quello spazio scomposto e disarmonico che lo comprime. Il negativo allora non risulta così assoluto e prevede una possibilità di innalzamento.
La speranza ha occhi che funzionano però solo se si accetta di camminare sopra il proprio tumulto interiore. La speranza ha anche passi […] di spostamento dell’asse esistenziale dai propri bisogni ai propri desideri. L. VANTINI, La luce della perla. La scrittura di Maria Zambrano tra filosofia e teo-logia, Prefazioni di W. TOMMASI - V. SARTORI, Appendice di C. SIMONELLI (Sui Generis 3), Effatà Editrice, Cantalupa TO 2008, pp. 153-154.
Nel dubbio, cercare, vedere, lasciarsi chiamare e incontrare. Parabola ironica e compassionevole di un incontro, di un nuova relazione sul cammino verso Gerusalemme.


2. Gesù alza gli occhi, lo vede e gli dice: «Zaccheo, scendi in fretta: oggi infatti bisogna che mi fermi a casa tua». Gesù lo vede – lo cerca, chiamandolo per nome e fermandosi da lui. Con tanti buoni, proprio in casa di un peccatore!
Non c’è indugio, né lamento sulla propria indegnità, o sui peccati. «Ecco la metà del mio patrimonio, Signore, la do ai poveri e, se a qualcuno ho estorto qualcosa iniquamente, restituisco il quadruplo».
Il sovvertimento che investe Zaccheo, nella persona come nelle sue cose, nella sua condizione concreta come nelle sue relazioni, è ratificato dalla risposta di Gesù: «Oggi la salvezza è avvenuta per questa casa, dal momento che persino lui è un figlio di Abramo. Il Figlio dell’Uomo infatti è venuto a cercare e a salvare chi era perduto».
Tutti gli «oggi» del Vangelo di Luca ci consegnano la possibilità, la permanenza della Parola, l’apertura della narrazione sul versante del discepolo di questo tempo e la salvezza
che è racchiusa. «Scendi in fretta», dice Gesù: il tempo favorevole non prevede pigrizie e digressioni.

3. Narrazione di conversione o essenzialmente di grazia. La sua benevolenza (ḥesed) può dimorare nella nostra accoglienza, sempre. All’inizio, prima di ogni bene-fare, essenzialmente come incontro in cui gustare la bellezza della bontà divina, originaria, gratuita.
Ogni desiderio di vedere Gesù, da qualsiasi condizione abbia il suo inizio, incrocia la realtà di Gesù stesso che compie la strada che manca per raggiungerlo. «Lo vede» e gli dice di scendere, perché «bisogna» che entri in casa sua. Di fronte ad un peccatore Gesù vede la necessità. Non è la corsia ordinaria con cui noi trattiamo chi sta al confine… Il modo di Dio disorienta – è solo di Lui questa iniziativa arbitraria. Zaccheo lo chiama «Signore»: «Il Figlio dell’Uomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati», «è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
La consegna è molto impegnativa per il discepolo oggi. Non permette cambiamenti di registro o di priorità. Il Signore narrato da Luca somiglia al Pastore narrato dal profeta Ezechiele (cap. 34): ciò che è smarrito va cercato.


4. Il perdono è Parola che appartiene all’alfabeto di Dio. Ma chi lo incontra e inizia a riceverlo impara da Zaccheo, che era corso avanti, a desiderarlo; lui che era salito a cercare il modo per vederlo, ora discende per accoglierlo. Storia di movimento esistenziale, di cammini di vita.
Le conseguenze che Zaccheo vede per se stesso sono di quelle che cambiano la vita. Ma il vangelo non registra dubbio a questo punto. E dopo averlo visto sull’albero desiderare di conoscerlo, ora ne conosce il cuore per poter dire: «Oggi la salvezza è avvenuta per questa casa, dal momento che persino lui è un figlio di Abramo. Il Figlio dell’Uomo infatti è venuto a cercare e a salvare chi era perduto».
Questi segni di accoglienza e perdono Gesù li donava a chi incontrava, istruivano gli “inadatti” alla sequela, con l’energia per sovvertire la vita stessa e insegnare a conoscere il “cuore di Dio” attraverso quegli incontri di salvezza.
Non conosciamo nella vicenda umana l’abisso di questo perdono, se non perché lo riceviamo. Ma accoglierlo, esplorarne la forza ed esserne lavati radicalmente è la via verso Gerusalemme (e la croce) che anche noi sperimentiamo.
Che cosa cambia in noi? Tutto. Tutto e niente. Lascia le cose, i giorni e i volti come sono. Ma lo sguardo e il cuore cambiano; e ci “fa rinascere” a una vita che da soli non potremmo costruire. È come portare allo sguardo salvifico la nostra condizione di creature, integralmente.
Ogni vita senza perdono è vita perduta. E nel perdono, ogni vita è salvata. Un “dopo” questo passaggio. Molte realtà vengono poste al passato e la rinascita cammina in avanti.

5. A mo’ di conclusione, chiedo l’aiuto al poeta che esprima con una sintesi – ad iride spiegata – la ricchezza del tema del perdono e della grazia divina:
Gratis – di quale gratuità? –
quale non lo sappiamo,
nondimeno
celeste, ultraterrena
ardenza – qui il pensiero,
il ricordo,
il desiderio:
esente
da prezzo e da pedaggio
il nudo incontro
con l’ultrapassato
e col vivente.
Ininterrotto
l’Alito ti solleva alla tua altezza
e sopra
dove non andresti,
ti profonda
esso e ti rimonta
nel dolore delle valli.
C’è e non c’è perdono,
ma grazia
sovrabbonda.
Qualcuno
magnifico e leggero
passato prima
lasciò pagato il conto
per noi, ci statuì liberi, assolti.
Questo pensi o pensano per te
i perpetui pensamenti.
M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, pp. 176s.