mercoledì 21 dicembre 2011

commento al vangelo del santo Natale Luca 2,1-14 e artcolo sull'Europa


riflessione di don Michele sull'Europa dopo aver parlato con un amico che è stato a lungo in Cina.

La primogenitura dell’Europa venduta per un piatto di lenticchie

Considerazioni d’un impolitico. L’Europa è in crisi e non ne esce. Tutti ci chiediamo come abbia fatto a ridursi così. Le dotte e spesso contrastanti spiegazioni hanno solo il potere di confonderci.

Ovviamente siamo anche preoccupati. È in gioco il nostro futuro e in particolare quello delle nuove generazioni. I giovani europei sono i più a rischio, perché essendo nati in condizioni di benessere uniche nel pianeta, faticano ad adattarsi a lavori precari, umili e con scarsa remunerazione. Lavori che in altre parti del mondo, come il Nord Africa, sarebbero un sogno vista la tremenda disoccupazione che li affligge. È la differente visione delle cose che c’è tra chi è costretto a scendere e chi tenta di salire.

Sono certamente preoccupati anche l’americano Obama e il cinese Hu jin tao. Il primo credo per i motivi ovvi legati alla finanza e all’economia. Nonostante la crisi l’Europa è ancora la zona più ricca del mondo con il Pil più alto e gli Usa temono ripercussioni per la loro crescita e il Presidente per la sua rielezione. La preoccupazione americana è perciò al livello dei consumi

Ma che cosa penserà il Presidente cinese della crisi europea? Di sicuro non tralascerà di acchiappare qualche buon affare prestandoci denari e comprando a buon mercato nostre aziende. Credo però che per la dirigenza cinese e per altri governanti del mondo ci saranno anche altri pensieri. Tralasciando le tante discussioni storiche su chi ha sviluppato per primo la civiltà più avanzata, è fuor di dubbio che l’Europa si è fatta conoscere nei secoli per il progressivo rispetto della persona umana, per l’amore per la conoscenza, per l’organizzazione sociale animata da leggi giuste, per lo sviluppo della democrazia e per il riconoscimento dei diritti politici e sociali. Questo cammino è avvenuto con l’apporto decisivo del Cristianesimo. In questo senso l’Europa ha la primogenitura della civiltà. E oggi è prostrata e incapace di rialzarsi.

Ritorno ai dirigenti cinesiche forse ricordano ancora il tempo delle casacche militari maoiste e che da Marx hanno imparato una speranza di giustizia per tutto il genere umano. I Cinesi sanno che la loro cultura antica, quella di Lao Tze è aristocratica, politica, adatta a esperti uomini di corte, non è ideale per l’uomo comune. Dal marxismo hanno ricevuto di più per la persona comune. Certo il marxismo ha confuso persona e individuo e ha fatto danni, ma era certamente, in quanto eresia nata dalla cultura giudaico cristiana, portatore di un ‘idea di uguaglianza, di giustizia e di fraternità. E tutto ciò veniva dall’Europa. Credo che un cinese pensoso e tanti altri nel mondo siano dispiaciuti che il faro europeo sia appannato.

Se fosse appannato per soli errori economici passi. Ma l’appannamento deriva da altro. Rifiutando le radici cristiane, l’Europa rifiuta anche il modello di civiltà che le ha dato splendore e indebolisce la concezione della persona umana, che è il suo vero vanto nel mondo.

La signora Merkel, gode all’interno del suo Paese di una ricchezza datale dall’economia sociale di mercato, che è figlia della dottrina sociale della Chiesa, ma non vuole applicare questo modello solidaristico all’intera Europa. E così vediamo che fa la prima della classe, seguita dal povero Sarkozy, che essendo povero, ma volendo apparire ricco, disprezza gli altri poveri e fa comunella con l’unica vera ricca. Non ci siamo. Per mancanza di solidarietà, l’Europa rischia il tracollo, ma soprattutto perde per un piatto di lenticchie il suo ruolo umanizzante nel mondo.

Messa nel giorno

Lettura

Lettura del profeta Isaia 8, 23b-9, 6a

In passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.

Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse. / Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia. / Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete / e come si esulta quando si divide la preda. / Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, / la sbarra sulle sue spalle, / e il bastone del suo aguzzino, / come nel giorno di Madian. / Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando / e ogni mantello intriso di sangue / saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.

Perché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il potere / e il suo nome sarà: / Consigliere mirabile, Dio potente, / Padre per sempre, Principe della pace. / Grande sarà il suo potere / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul suo regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Salmo

Sal 95 (96)

® Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome,

annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

In mezzo alle genti narrate la sua gloria,

a tutti i popoli dite le sue meraviglie. ®

Gioiscano i cieli, esulti la terra,

risuoni il mare e quanto racchiude;

sia in festa la campagna e quanto contiene,

acclamino tutti gli alberi della foresta. ®

Acclamino davanti al Signore che viene:

sì, egli viene a giudicare la terra;

giudicherà il mondo con giustizia

e nella sua fedeltà i popoli. ®

Epistola

Lettera agli Ebrei 1, 1-8a

Fratelli, Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: / «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»?

E ancora: «Io sarò per lui padre / ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, / e i suoi ministri come fiamma di fuoco», / al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».

Vangelo

Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 1-14

In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

VANGELO: Lc 2,1-14

Il passo evangelico comprende la scena della nascita (Lc 2,1-7) e la prima parte della scena di adorazione dei pastori, con l’annuncio a loro rivolto dal messaggero di-vino (Lc 2,8-14). È lasciata ad altra celebrazione la lettura della seconda parte della scena con l’adorazione dei pastori (Lc 2,15-20).

Il passo si articola in due momenti:

a) i vv. 1-7 descrivono le circostanze della nascita di Gesù e il motivo per cui, nonostante Giuseppe fosse di Nazaret in Galilea, Gesù sia nato a Betlemme in Giudea;

b) i vv. 8-14 sono invece la manifestazione del bimbo che il messaggero divino annunzia ai pastori, i quali poi andranno a rendere omaggio a quel bambino «avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (cf vv. 15-20).

vv. 1-7: Il contrasto tra la storia ufficiale dell’impero e quanto avviene nelle piccole contrade di Nazaret e di Betlemme non intacca l’acribia storica di Luca e le sue meticolose ricerche (cf Lc 1,1-4). Bisogna solo fare attenzione al modo in cui si traduce il v. 2, perché la traduzione ufficiale della CEI – anche nella nuova edizione – porta a un’insostenibile datazione, legata a Quirinio. Quirinio, in greco Κυρηναίος «Cireneo», nacque negli anni '50 del I secolo a.C. e morì il 21 d.C.; fu un uomo ben noto e molto potente in Roma durante i regni di Augusto (31 a.C. – 14 d.C.) e di Tiberio (14-37 d.C.). Egli rivestì la carica di governatore della Siria dal 6 d.C. (cf Ant.Iud. XVIII, 1-10) sino al 12 d.C. (come limite massimo), anni troppo lontani dal verosimile tempo della nascita di Gesù, correttamente fissato da Matteo un po’ prima della morte di Erode il Grande (13 marzo del 4 a.C., un giorno di eclisse lunare, come ricorda Giuseppe Flavio in Ant.Iud. XVI, 6,4). Il suo incarico fu di grande rilievo perché alla Siria fu annesso anche il controllo della Giudea, dato che Augusto aveva rimosso Archelao togliendogli il titolo di Tetrarca della Giudea. Fu proprio Quirinio a porre la Giudea sotto la guida di un praefectus, che sarebbe divenuto in seguito governatore della Siria. E fu proprio allora (6 d.C.) che Quirinio organizzò un grande censimento nella Siria e nei nuovi territori a lui affidati per poter disporre di sufficienti entrate fiscali.

La soluzione dell’intricato problema di come conciliare la data di Luca con la storia ufficiale romana non è impossibile, se si ammette che il greco della koinè possa dare all’aggettivo πρώτη non solo valore attributivo «questo primo censimento», ma anche valore predicativo-avverbiale ed equivalente al comparativo πρότερος «questo censimento avvenne prima che…». Ecco le due versioni a confronto con il testo greco di Luca:

αὕτη ἀπογραφὴ πρώτη ἐγένετο ἡγεμονεύοντος τῆς Συρίας Κυρηνίου

Ecco la traduzione CEI 2008: Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria

Ecco l’altra versione: Questo censimento fu fatto prima che Quirinio fosse governatore della Siria.

La motivazione dello spostamento di Giuseppe da Nazaret a Betlemme è plausibile nel contesto di una registrazione per fissare la tassazione di un territorio. La tradizione che lega Giuseppe (o Maria) al casato di Davide, e quindi a Betlemme, è attestata anche da Mt 1-2, uno dei pochi punti narrativi condivisi tra Luca e il primo evangelista.

Il quadro storico che ricorda Cesare Augusto, l’imperatore del mondo romano allora conosciuto, è presentato da Luca come un fatto provvidenziale che porta Gesù a nascere a Betlemme, la città di Davide. A differenza del Secondo Isaia che attribuisce a Ciro persino il titolo di «unto» e di «messia», Luca legge la figura di Cesare Augusto in antitesi al bimbo che nasce a Betlemme. Augusto aveva fatto erigere in Campo Marzio un altare alla Pax Augusta, la cosiddetta Ara pacis augustae; in Oriente egli era salutato come salvatore e dio; in molte iscrizioni era detto «Salvatore di tutto il mondo»; il suo compleanno (23 settembre) fu celebrato dal 9 a.C. circa come «il compleanno del dio che ha segnato l’inizio per il mondo delle buone notizie che sarebbero venute per suo tramite».

Per Luca, l’associazione della nascita di Gesù alla figura di Augusto diventa la sottolineatura che è Gesù a portare la vera pace, è Lui il vero salvatore del mondo. La nascita di Gesù a Betlemme da una parte porta con sé un’atmosfera tipicamente giudaica, ma – nel contesto dell’impero romano – assume una valenza mondiale, anzi universale: «Gloria a Dio nei luoghi altissimi e sulla terra pace tra gli uomini oggetto della sua benevolenza» (v. 14).

Nei vv. 6-7 è raccontata propriamente la nascita (cf Lc 1,57-18 per la nascita di Giovanni). Il resto della descrizione assume subito valore simbolico, traguardato attraverso allusioni scritturistiche e anticipazioni della vita reale di colui che sarebbe poi stato crocifisso: così si allude a quanto lo pseudo-Salomone dice di sé in Sap 7,4-5 («Fui allevato in fasce e circondato di cure; nessun re ebbe un inizio di vita diverso »), o a quanto Isaia dice in 1,3: «Un bue conosce il suo padrone e un asino la greppia del suo signore; ma Israele non mi conosce e il mio popolo non comprende» (ἔγνω βοῦς τὸν κτησάμενον καὶ ὄνος τὴν φάτνην τοῦ κυρίου αὐτοῦ· Ισραηλ δέ με οὐκ ἔγνω, καὶ ὁ λαός με οὐ συνῆκεν). A questo riguardo, si ricordi che la mangiatoia (ἡ φάτνη) con la presenza dell’asino e del bue nasce proprio dalla lettura di questo versetto di Isaia. Essa era già presente nelle decorazioni dei sarcofagi cristiani (cf Sarcofago di Stilicone, Basilica di S. Ambrogio, IV secolo) e aveva un’intonazione antigiudaica: Israele ancora una volta non ha saputo riconoscere e comprendere. Il riferimento al piano di sopra della casa, dove usualmente stavano le persone ad abitare e a dormire, richiama il testo di Ger 14,8, che parla di JHWH «speranza di Israele» e «Salvatore in tempo di calamità: «perché vuoi essere come un forestiero nella terra e come un viandante che sale in al-loggio (κατάλυμα) solo una notte?» (LXX).

Maria avvolge in fasce il bambino appena nato e lo depone in un mangiatoia (v. 7): si veda qui sotto il senso rivelativo di questi gesti, ripresi nel segno offerto ai pastori.

vv. 8-14: La manifestazione del bambino comprende il messaggio angelico (vv. 8-12) e il canto degli angeli (vv. 13-14). Perché una manifestazione ai pastori? Il vocabolo «pastore» indica spesso nelle lingue dell’antico Vicino Oriente la valenza di «capo politico» (cf 2 Sam 5,2) o di «capo militare». Ma evidentemente non riguarda il presente racconto lucano. Piuttosto, si possono ricordare le nascite di molti personaggi famosi antichi circondati da pastori (ad esempio, Ciro, Romolo e Remo, Mitra). Ma anche a questo proposito il collegamento sarebbe troppo generico, come generico sarebbe il riferimento ai pastori in quanto i custodi della stalla e della mangiatoia di cui parla Luca (così J. Jeremias).

Alcuni commentatori fanno riferimento a Migdal Eder «la torre del gregge» (Gn 35,21 e Mic 4,8) e alla tradizione targumica, secondo cui «il Re Messia sarebbe stato rivelato alla fine dei giorni dalla Torre del gregge» (Targum dello Ps.Jonatan a Gn 35,21). Anche questo collegamento sembra impossibile per diverse ragioni di inopportunità. I pastori sono quasi certamente introdotti da Luca nella sua narrazione proprio per l’ambientazione betlemita della nascita: si ricordi Davide pastore, che è fuori a pascolare il gregge di Iesse, suo padre (1 Sam 16,11; cf anche 1 Sam 17,14-15. 20. 28. 34). Inoltre, si ricordi anche il testo di Mic 5,1 che parla di Betlemme come il luogo più in-significante di Giuda, da cui sarebbe però uscito un mōšēl «dominatore» per governare su Israele (testo citato in Mt 2,6). Tuttavia, Luca non cita mai questo testo. Si dovrebbe allora pensare ad un’allusione indiretta per indicare il luogo di estrema povertà, e forse anche di emarginazione, rappresentato non solo dalla piccola Betlemme, ma anche e soprattutto dall’ambiente dei pastori, invisi al mondo cittadino per le loro condizioni. Non è necessario pensare ad altre caratterizzazioni (peccatori, impuri, ladri…). La loro presenza è un altro elemento tipico di Lc 1-2, con la scelta di una umanità povera ed emarginata (cf Lc 1,38 e 52).

L’annuncio sta propriamente nei vv. 9-12, con gli elementi tipici di un annunzio di nascita: a) l’apparizione dell’angelo del Signore (v. 9a); b) il timore da parte dei pastori (v. 9b); c) il messaggio celeste, sotto forma di oracolo di salvezza («Non temete!»); d) il segno di assicurazione offerto (v. 12). Manca soltanto l’obiezione dell’interlocutore.

Il messaggio angelico è esattamente l’anti-editto imperiale: è il progetto provvidenziale di Dio ad aver donato al mondo un bambino che diventerà per la storia umana il Salvatore, il Messia e il Signore (tre titoli del kerygma pasquale, anticipato al momento della nascita). Nella cornice della Pax Augusta e nel quadro della Città di Davide, i pastori sono invitati a riconoscere in lui la fonte della vera gioia, che sarà di tutto il popolo.

Non solo i titoli cristologici, ma anche il segno offerto anticipa il momento della croce: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Si noti che l’evangelista Luca allude all’azione di Giuseppe di Arimatea che «avvolge in un lenzuolo» (Lc 23,53: ἐνετύλιξεν αὐτὸ σινδόνι) il corpo ormai esanime di Gesù morto in croce. Anche l’azione di Maria che «adagia [il bambino] in una mangiatoia» (ἀνέκλινεν αὐτὸν ἐν φάτνῃ) è un anticipo dell’azione di Giuseppe di Arimatea che «adagia il corpo di Gesù in un sepolcro (ἔθηκεν αὐτὸν ἐν μνήματι λαξευτῷ), scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto» (Lc 23,53b). È un’iconografia molto frequente nella tradizione orientale, presente anche nella tradizione occidentale, almeno sino a Giot-to: raffigurare il bambino Gesù deposto in una mangiatoia che è in verità un sepolcro. Quel segno è dunque un anticipo di quanto avverrà al momento della croce.

Infine, nei vv. 13-14, il coro angelico invita il lettore a unirsi nel canto della Gloria di Dio, perché davvero la nascita di questo bambino significa una manifestazione di salvezza per il suo popolo della risposta. Questa è la fonte della vera gioia per tutto il popolo: sapere che è ormai compiuta l’εὐδοκία «il disegno favorevole» di Dio per l’intera umanità, passando attraverso la chiamata di Abramo e di Israele.

PER LA NOSTRA VITA

1. È una vera gioia, perché viene da Cristo, il Signore. È la confessione di fede. Da lui può veramente venire la vera gioia. “Oggi è nato a noi il Cristo Signore”. Trattandosi del Signore che è Dio, “oggi è nato” potrebbe suonare in chiave solamente meta-forica, potrebbe sembrare “oggi è apparso”, alla pari delle manifestazioni del Primo Testamento. Il testo evangelico non è di questo avviso, ma ci dà il segno che è una na-scita da prendere in tutto il suo senso reale, storico: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). E poco prima il testo aveva specificato il compimento dei giorni del parto della Vergine: “E avvenne che…”.

Il segno: un bambino, che è il Salvatore e Signore, adagiato oltre tutto in una man-giatoia! Tale è, cari fratelli, la strada perenne, adatta alle nostre categorie, con cui Dio interviene per operare la salvezza, il suo amore tra gli uomini. Come pure fa san Paolo proclamando la croce “scandalo” per i giudei, cioè per ogni dimensione religiosa, e “follia” per le filosofie umane mentre invece questo non lo è mai per chi è povero e si apre all’amore. La strada perenne diventa la Sapienza somma di Dio: così è del bam-bino posto nella mangiatoia, segno di salvezza, che sarà poi di colui che regnerà dalla croce. Coincidenza misteriosa tra mangiatoia e croce!

Questa Sapienza è la messa in discussione delle sicurezze dell’uomo, di qualunque tipo esse siano, perché non possono mai dare la salvezza vera, la liberazione. […]

Qual è mai infatti il significato profondo del segno di Dio che si fa uomo, accettan-do le leggi della nascita e del cammino dell’uomo: “Troverete un bambino avvolto in fasce”? Dio si coinvolge nella storia umana attraverso una economia meravigliosa dell’Amore. Dinanzi a Dio che si fa bambino siamo provocati a riscoprire che è lui, Dio, a operare e solo lui a darsi con una legge che è lui stesso, fuori da qualsiasi para-digma delle istituzioni umane. […]

La vita dell’uomo esigeva questa visita-abitazione permanente di Dio per poter esse-re salva dal peccato, il che significa poter entrare in comunione con Dio e scorgere nell’uomo il fratello. Se Dio abita nell’uomo, è nell’uomo che bisognerà ormai trovarlo. […]

Comprendiamo, cari fratelli, che la nascita di Cristo nella grotta, come la morte sulla croce, ci svelano il mistero della povertà e dell’abbassamento di Dio per noi, mistero di disponibilità di Dio per noi, come Paolo che lo descrive nell’inno di Fil 2,7-9: «Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo divenendo simile agli uomini: apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».

[B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, pp. 27-29].

2. Ciò che si annuncia è la vita felice: il risveglio, la premura, la partecipazione – e per tutti – abbandonare la via della tristezza e della crudeltà, passare sul sentiero della gioia e della grazia. È il dolce splendore dell’amore, la pace, la riconciliazione, la fine della colpa, l’armonia delle potenze – la genesi ritrovata!

Niente di debole o di molle, come lo immaginano i violenti, nella loro fondamentale debolezza. Al contrario, la forza più grande, l’inaudito. (p. 31)

Quale parola parla nel silenzio? Quale visione sorge dall’abisso? Il luogo non è qui o là; il luogo è l’unico, che testimonia l’altrove. Ecco la nostra prima dimora. Essa coincide assolutamente con la tenerezza reciproca, che si dà in noi. […]Sì, agape, la divina tenerezza è l’esperienza stessa, nelle nostre vite, di ciò che è come l’esplosione del mondo, o la nascita in esso, germinazione inafferrabile, di ciò che oltrepassa il campo padroneggiabile dei possibili.

[M. BELLET, Incipit o dell'inizio, Traduzione di G. FORZANI, Prefazione all’edizione italiana di A. ROSSI (QdR 54), Servitium Editrice, Gorle BG 1997, pp. 31 e 41]

3. Questo Natale non è stato come gli altri. È ancora carico di significato. Come Maria, conserviamo tutte le cose che ci sono successe. Proseguiamo quella meditazio-ne che lei iniziò nel suo cuore. Il significato, come una spada, ci trafigge. Il Verbo prende questa comunità di carne e di sangue per narrarsi qui, oggi. (p 110) […]

Tutto è pasquale nella vita del Figlio. Dobbiamo avere una visione ampia del miste-ro pasquale. Morte e risurrezione fanno parte del mistero dell’incarnazione che consi-ste a prendere l’umanità per introdurla nella gloria di Dio. Dobbiamo trovare nel mi-stero dell’incarnazione le vere ragioni della nostra presenza. Nella Pasqua di Cristo, la redenzione è il motivo, ma l’incarnazione è il modo. Dopo la prima visita di un gruppo armato in monastero, il Natale del 1993, abbiamo celebrato la messa di mezzanotte. Dovevamo accogliere questo bambino indifeso e già minacciato. Attraverso questi eventi ci siamo sentiti invitati a “nascere”. La vita di un uomo passa di nascita in nasci-ta. Giovanni, l’evangelista dell’incarnazione – «e il Verbo si è fatto carne» –, era l’unico discepolo presente ai piedi della croce. Ci presenta l’intera vita di Cristo come un mi-stero di incarnazione. Nella nostra vita c’è sempre un bambino da mettere al mondo: il figlio di Dio che noi siamo. “Bisogna rinascere”, ha detto a Nicodemo.

Questa nascita ci è proposta nella chiesa. La chiesa è il proseguimento dell’incarna-zione. Essa non ha che noi, qui, per continuare l’incarnazione. Nel bene e nel male. […]

Dobbiamo essere testimoni dell’Emmanuele, cioè del “Dio-con”. C’è una presenza del “Dio tra gli uomini” che proprio noi dobbiamo assumere.

[FRÈRE CHRISTIAN DE CHERGE E GLI ALTRI MONACI DI TIBHIRINE, Piu forti dell’odio, Introduzione e traduzione con raccolta di ulteriori testi di G. DOTTI, Prefazione di E. BIANCHI (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 1997, pp. 110 e 175-177].

4. Non sono le luci della festa, e il calore intimo che vi si avvolge, la pietra dello scandalo.

È il vuoto di realtà che vi si installa, il nostro problema.

Natale è un punto di tangenza con il mistero della nostra origine e della nostra destinazione. Dio non è mai stato così vicino agli esseri umani, come in quel giorno. Quando non vediamo più, quando non siamo più toccati – e persino feriti – dai segni di quella presenza, possiamo allungare le prediche e accendere i fari quando vogliamo. L’occasione è persa.

Se invece batte il cuore, per la nostalgia della presenza bambina di Dio, allora tutto può accadere.

Trafitto mille volte, questo Natale. Dagli aguzzi profili delle nostre insensibili città di pietra, dove si tollerano luci solo per gli ultimi nati di mammona. Dalle terribili ombre di un risentimento disperato e distruttivo, che viene da oscuri fraintendimenti del Sacro. Eppure, mai così vicino al nostro impotente senso di struggimento per il vuoto che lascerebbe se fosse spento.

Guardate i vostri figli. Cercate il respiro della carne del Figlio. P.A. SEQUERI, Editoriale: La luce sul vuoto, «Avvenire», 6 gennaio 2011.

5. È, lui.

È

ed accade,

accade continuamente.

È nel suo accadere,

sì,

lo è unicamente

e rode

e polverizza

la metafora

di sé,

distrugge il proprio simbolo

lui, abrupto ed assoluto evento,

sempre,

sempre,

in ogni istante

al suo cominciamento.

M. LUZI, L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. VERDINO (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, 42001, p. 934.

6. NATALE

È Natale, Signore.

O è già subito Pasqua?

Il legno del presepio è duro,

come il legno della croce.

Il freddo ti punge quasi corona di spine.

L’odio dei potenti ti spia e ti teme.

Fuga affannosa nella notte.

Sangue innocente di coetanei,

presagio del tuo sangue.

Lamento di madri desolate,

eco del pianto di tua Madre.

Quanti segni di morte, Signore,

in questa tua nascita.

Comincia così il tuo cammino tra noi,

la tua ostinata decisione

di essere Dio, non di sembrarlo.

Le pietre non diverranno pane.

Non ti lancerai dalla dorata cima del tempio.

Non conquisterai i regni dell’uomo.

Costruirai la tua vita di ogni giorno

raccogliendo con cura meticolosa,

con paziente amore,

tutto quello che noi scartiamo:

gli stracci della nostra povertà,

le piaghe del nostro dolore,

i pesi che non sappiamo portare;

le infamie che non vogliamo riconoscere.

Grazie, Signore, per questa ostinazione,

per questo sparire,

per questo ritrarti,

che schiude un libero spazio

per la mia libera decisione di amarti.

Dio che ti nascondi,

Dio che non sembri Dio,

Dio degli stracci e delle piaghe,

Dio dei pesi e delle infamie,

io ti amo.

Non so come dirtelo,

ho paura di dirtelo,

perché talvolta mi spavento

e ritiro la parola;

eppure sento che devo dirtelo:

io ti amo.

In questa possibilità di amarti,

che la tua povertà mi schiude,

divento veramente uomo.

Amo gli stracci, le piaghe, i pesi

di ogni fratello.

Piango le infamie di tutto il mondo.

Scopro di essere uomo,

non di sembrarlo.

Il tuo Natale è il mio natale.

Nella gioia di questo nascere,

nello stupore di poterti amare,

nel dono immenso di vivere insieme,

io accetto, io voglio, io chiedo

che anche per me, Signore,

sia subito Pasqua.Preghiera di mons. Luigi Serenthà (1938-1986).

7. I Pastori non stavano al tempio.

Erano ai loro greggi, a guardia, vegliavano.

E pronti anche per il cammino, già fuori. 20

Incontrati dalla luce, avvolti dalla gloria. Loro.

Erano svegli, a veglia del gregge.

La gloria, la luce:

Incontrati nella notte dalla luce,

il pascolo e la gloria del Signore.

Un angelo a rassicurarli:

un annunzio di gioia grande.

È nato il Salvatore, che è Cristo, Signore.

Un segno: vicino più alla loro condizione che alla gloria del Signore annunciata…

Dove la gioia grande?

In un bambino avvolto in fasce, in una mangiatoia.

Attesero tutto l’annuncio, ascoltarono tutto l’annuncio.

Solo dopo fra loro parlavano gli uni gli altri.

Attraversiamo, camminiamo fino a Betlemme e vediamo la Parola accaduta.

Vennero, si affrettarono, trovarono e fecero conoscere …

Attraversarono la notte, sapendo camminare, senza perdere la direzione.

Quale grande fiducia a quell’annuncio per affrettarsi così:

il loro passo, il loro cercare, e la certezza di ciò che avevano visto accaduto.

La fede di chi ha incontrato la salvezza!

Lo spavento non li aveva fermati.

Chi cammina al buio impara a godere della luce,

della voce, dell’annuncio anche solo prefigurato.

Chi cammina non può che giungere là dove si nasconde Dio,

in un così grande annuncio, abissalmente confuso nella invisibilità,

nell’oscurità di quella notte di Betlemme.

F. CECCHETTO, Testi inediti.

giovedì 15 dicembre 2011

18.12.2011 DOMENICA DELL’INCARNAZIONE o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria

Insieme ai testi e al commento ecco i miei auguri per il Santo Natale

Natale 2011

Siamo travolti e inquieti

Tutto corre troppo velocemente

I poveri pensano al denaro necessario

I ricchi a salvare il denaro superfluo

Ad altro occorre pensare perché

È cambiato l’amore e non sappiamo più cos’è

È cambiata la fede e non sappiamo più se c’è

È cambiata la speranza e siamo vuoti, io e te

Tutto ciò che era semplice e faceva vivere si è complicato

I filosofi e gli scienziati non si accordano su nulla

Non sappiamo più parlare, non sappiamo più capire,

né educare, né ritrovarci fratelli.

Chi salverà questo mondo votato alla morte?

È nella mangiatoia del presepe

che la semplicità di Dio

guarisce le nostre assurdità.


Lettura del profeta Isaia 62, 10 - 63, 3b

In quei giorni. Isaia disse: «Passate, passate per le porte, / sgombrate la via al popolo, / spianate, spianate la strada, / liberatela dalle pietre, / innalzate un vessillo per i popoli».

Ecco ciò che il Signore fa sentire / all’estremità della terra: / «Dite alla figlia di Sion: / “Ecco, arriva il tuo salvatore; / ecco, egli ha con sé il premio / e la sua ricompensa lo precede”. / Li chiameranno “Popolo santo”, / “Redenti del Signore”. / E tu sarai chiamata Ricercata, / “Città non abbandonata”».

«Chi è costui che viene da Edom, / da Bosra con le vesti tinte di rosso, / splendido nella sua veste, / che avanza nella pienezza della sua forza?». / «Sono io, che parlo con giustizia, / e sono grande nel salvare». / «Perché rossa è la tua veste / e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». / «Nel tino ho pigiato da solo / e del mio popolo nessuno era con me».

Salmo 71 (72)

® Rallegrati, popolo santo; viene il tuo Salvatore.

Le montagne portino pace al popolo

e le colline giustizia.

Ai poveri del popolo renda giustizia,

salvi i figli del misero e abbatta l’oppressore. ®

Scenda come pioggia sull’erba,

come acqua che irrora la terra.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace.

In lui siano benedette tutte le stirpi della terra

e tutte le genti lo dicano beato. ®

Benedetto il Signore, Dio d’Israele:

egli solo compie meraviglie.

E benedetto il suo nome glorioso per sempre:

della sua gloria sia piena tutta la terra. ®

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 4, 4-9

Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Vangelo secondo Luca 1, 26-38a

In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Commento

Il brano deve essere letto ogni volta con lo stesso stupore, come fosse la prima

volta che l’ascoltiamo, evitando il più possibile di considerarlo troppo noto. Esso rappresenta

«la vocazione di Maria alla maternità».

vv. 26-27: Gli elementi raccolti nel preambolo sono tutti significativi per rendere ragione

di quanto sta accadendo. Nessun particolare è inutile o di troppo. La situazione

riguarda Maria, una ragazza di Nazaret che aveva già sottoscritto il contratto matrimoniale

con Giuseppe, un discendente davidico: μνηστευμένην «sposata», significa che

era stato compiuto il primo atto del matrimonio, lo ʾĕrûsîn, che comportava la scrittura

della ketubbâ, il «contratto» matrimoniale; tuttavia la sposa non era ancora andata a vivere

con lo sposo, e quindi manca ancora il secondo atto della celebrazione matrimoniale,

il nesûʾîn, che comportava la coabitazione come marito e moglie. Quanto a Nazaret,

il giudizio di Natanaele (Gv 1,46: «Da Nazaret, può mai venire qualcosa di buono?

») sintetizza molto bene la considerazione che questo villaggio vicino alla stupenda

città greco-romana di Sipporis aveva per un “autentico” figlio di Israele.

vv. 28-29: Il saluto del messaggero divino e la reazione di Maria sono due punti cruciali

del racconto.

a) Χαρε, κεχαριτωμένη, κύριος μετσο«Rallégrati, riempita della benevolenza [di

Dio]: il Signore è con te!». Χαρε: il problema è di capire se si è in presenza di un normale

saluto o se invece si voglia alludere a contesti profetici, in modo più o meno velato.

Vista la reazione di Maria a un tale saluto, bisogna dire che più c’è molto di più di

un semplice “buongiorno”!

Vi sono infatti alcuni testi profetici che hanno la medesima struttura del saluto utilizzato

da Lc 1,28:

– Gioele 2,21: θάρσει, γ, χαρε καεφραίνου… «non temere, terra, ma rallegrati e gioisci…»

– Sof 3,14: Χαρε σφόδρα, θύγατερ Σιων, κήρυσσε, θύγατερ Ιερουσαλημ· εφραίνου κακα-

τατέρπου ξ λης τς καρδίας σου, θύγατερ Ιερουσαλημ «Rallégrati, figlia di Sion, grida di

gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!»

– Zc 9,9: Χαρε σφόδρα, θύγατερ Σιων· κήρυσσε, θύγατερ Ιερουσαλημ «Esulta grandemente,

figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!»

– Lam 4,21: Χαρε καεφραίνου, θύγατερ Ιδουμαίας «Esulta pure, gioisci, figlia di Edom»

Questi testi permettono di scoprire una tipologia veterotestamentaria che qui è applicata

a Maria. Che il saluto dell’angelo debba essere letto nel senso della «gioia» e come

invito a «gioire» è confermato anche dalla ricorrenza del tema della gioia negli altri

messaggi angelici lucani (cf Lc 1,14 e 2,10). In questo messaggio angelico, centrale e

più significativo, mancherebbe quell’invito alla gioia, se venisse espulso da quel χαρε

iniziale. Andrebbe ricordato anche il tema della gioia in tutta l’opera lucana.

κεχαριτωμένη: anche questa singolare designazione avvicina Maria a Gdc 6,12 (Gedeone

è chiamato nel saluto: δυνατς τῇ ἰσχύι «potente quanto alla forza»). Si tratta di

una designazione “profetica”, una dichiarazione che già contiene tutto il mistero che

sarà esplicitato in seguito. La forma grammaticale è un participio perfetto passivo: è

dunque un “passivo teologico” che rimanda subito alla relazione tra Maria e Dio. Dio

ha fatto Maria oggetto della sua χρις (ḥēn) da sempre; o anche, Dio si è ricordato con

Maria del suo ḥesed. In che cosa consista questa benevolenza sarà spiegato dal seguito

del racconto. Sembrerebbe l’assegnazione di un nuovo nome: il cambio di nome, come

sempre, indica l’inizio di un nuovo ruolo o di una nuova mansione.

La missione per Maria sarà la sua maternità.

b) ecco dunque spiegato perché di fronte a un tale saluto (ὁ ἀσπασμς οτος) la reazione

di Maria sia stata duplice:

– διεταράχθη «rimase confusa» è hapax nel NT, più usuale è il semplice ταρσσω (cf

Lc 1,12 e 24,38), che è anche la reazione emotiva normale di fronte alla manifestazione

del divino;

– διελογίζετο «s’interrogava»: è la reazione di ricerca intellettiva, suscitata dalla stranezza

di quella triplice affermazione dell’angelo.

vv. 30-33: Il primo discorso dell’angelo si compone di due elementi: a) una premessa,

con l’esortazione a «non temere!»; b) l’annunzio di nascita, con il nome del nascituro e

il suo futuro.

a) l’esortazione a «non temere!» (μφοβο, v. 30), inizio di ogni oracolo di salvezza, è

motivata dall’«aver trovato grazia» presso Dio.

«Trovare grazia agli occhi di qualcuno» ricorre una quarantina di volte e 13 volte in

riferimento a Dio. La grazia è il favore che in generale un superiore elargisce a un suo

subalterno. Solo di Noè (Gn 6,8) e Mosè (Es 33,12. 17) si dice esplicitamente che

hanno trovato grazia presso Dio. Inoltre solo a Mosè e a Maria giunge direttamente da

una parola di Dio (elemento in più per ritrovare il formulario di vocazione). Tale “favore”

è un indicatore del rapporto che sussiste tra le due persone in relazione: Dio e

Maria. In questa cornice Maria è abilitata a realizzare il compito che sarà descritto nei

versetti seguenti.

b) annunzio di nascita, nome e futuro del nascituro (v. 31-33). La missione di Maria

sta nella sua maternità. Nei vv. 31-33, si annunzia tale nascita con il formulario tipico

del genere annuncio di nascita: promessa, nome e futuro del nascituro.

Luca non fa che applicare a Gesù l’interpretazione

che un certo giudaismo ipotizzava a proposito del (o dei) Messia. L’affermazione della

filiazione divina in tale contesto può sembrare ancora velata e implicita, in quanto

“funzionale” alla regalità (secondo cui ogni re era figlio dell’Altissimo). Sarà necessario

una precisazione ulteriore per sottolineare l’inedita novità che la filiazione divina porta

con sé nel caso della nascita di Gesù. Proprio a questo scopo serve la “domanda” di

Maria nel versetto seguente.

v. 34: Il senso della domanda di Maria al v. 34 («Come avverrà questo, dal momento

che non conosco uomo?») è centrale per il passo lucano. Si tratta di una vera e propria

domanda, in cui Maria chiede un chiarimento su come possa avverarsi quanto l’angelo

le ha riferito.

La domanda di Maria è un modo per riconoscere la grandezza del

compito cui è chiamata e insieme l’incapacità, o meglio la non-sufficienza, di

colei che è chiamata a svolgere un tale compito. In questo modo, Luca dice anche

il senso teologico della verginità di Maria: fin da principio ella è colei che

ascolta, che medita su quanto ha ascoltato e tenta di comprendere quanto le è

annunziato. Ella è colei che è aperta all’azione di Dio e la vuole solo comprendere.

«La verginità è purezza di dedizione a Dio ed è soprattutto l’estrema impotenza

umana, che lascia il posto all’azione di Dio».

vv. 35-38a: Il secondo discorso dell’angelo presenta quattro spunti che si inseriscono

nel modello di vocazione, sulla cui base Luca ha steso il suo racconto: a) l’azione dello

Spirito (v. 35a); b) il nome (v. 35b); c) il segno (v. 36); d) il “sì” di Maria (v. 38a).

a) l’azione dello Spirito (v. 35a)

Dal punto di vista contenutistico, qui si precisa l’agire di Dio verso Maria, che è così

abilitata a realizzare la sua missione di madre.

È importate sottolineare il soggetto di questo «adombramento», la «potenza dell’Altissimo». L’incarnazione dunque, secondo quest’espressione,

si compie in virtù di Dio stesso, ossia attraverso un processo inafferrabile

dalla ragione umana.

Il linguaggio dell’epoca ci aiuta a spiegare la figura del concepimento secondo Luca: egli

vede in esso un prodigio speciale della Potenza divina, che gli dà pienamente diritto al

nome di Figlio di Dio. È una δύναμις «potenza» che è comunicata a Maria e si trasmette

a Gesù, una δύναμις «potenza» che consiste nello Spirito santo: δύναμις «potenza» e

Spirito santo sono, infatti, intimamente connessi nel racconto lucano (cf ad es., At

10,38).

b) il nome (v. 35b)

Accettando l’interpretazione come una costruzione a duplice predicato,

il nome sarebbe duplice: «perciò colui che nascerà sarà chiamato santo e figlio di Dio».

L’agire di Dio in Maria fonda per il figlio

l’essere santo e l’essere Figlio di Dio. È l’interpretazione della traduzione ufficiale CEI.

Se, invece, si sceglie di mantenere la costruzione originaria del greco, un po’ aspra a

dire il vero, si avrebbe un solo predicato, in quanto il titolo di santo si riferisce al nascituro:

«perciò il nascituro santo sarà chiamato figlio di Dio». Con questa lettura, l’unico

nome del «nascituro santo» è quello di Figlio di Dio.

c) il segno (v. 36)

Il rimando a quanto Dio ha già fatto in Elisabetta ha funzione di conferma dell’agire

efficace di Dio: è la stessa funzione del segno che si ha anche negli altri racconti di vocazione

(cf lo sdoppiamento del segno del vello per Gedeone in Gdc 6,36-40).

All’offerta del segno fa seguito una motivazione che di nuovo riporta il discorso a

sottolineare la potenza di Dio, che è il fondamento di quanto accadrà. Il fatto che il

verbo sia al futuro indica che il riferimento non è a quanto è già avvenuto in Elisabetta,

ma a quanto avverrà in Maria.

d) il “sì” di Maria (v. 38a)

È la terza reazione di Maria, dopo il turbamento e la domanda. Ora ecco la risposta

convinta, di piena adesione per il ῥῆμα detto dall’angelo. Nessun altro racconto di vocazione

o di annuncio di nascita ha una risposta simile: è un tratto caratteristico di

Maria e Luca l’ha voluto sottolineare.

«Ecco la serva di JHWH»:

Questa auto-definizione di Maria mette in risalto che ella ha compreso

di avere un ruolo da svolgere nel piano di Dio e così si sente «ministra di JHWH»

in quanto sta accadendo.

«Mi avvenga secondo la tua parola»: non è soltanto un

assenso formale di Maria all’agire di Dio, ma ancora una volta è il riconoscere il primato

alla «tua parola», la Parola di JHWH che ora prende la carne umana in lei.

v. 38b: L’inclusione della dipartita dell’angelo chiude il quadro narrativo della vocazione

di Maria alla maternità.

PER LA NOSTRA VITA:

1. Stare nelle mani di Dio.

Con fiducia.

Tempio suo e casa …

Terra buona per nascere a lui.

Nulla è impossibile a Dio …

Nulla.

Nazaret,

una donna, l’annuncio

la Vita.

Dio aspetta un “sì”.

E si fa strada in uno spazio accogliente e umano.

Sta alle porte del cuore di una giovane.

Nulla è impossibile a Dio.

L’Onnipotenza viene ad abitare

nella fragilità umana

facendola Infinito.

F. CECCHETTO, Testi inediti.

2. Accettare un vuoto in se stessi è cosa sovrannaturale. Dove trovar l’energia per

una atto che non ha contropartita? L’energia deve venire da un altro luogo. E, tuttavia,

ci vuole dapprima come uno strappo, qualcosa di disperato; bisogna anzitutto, che

quel vuoto si produca. Vuoto: notte oscura. […]

La volontà di Dio. Come conoscerla? Se si fa silenzio in se stessi, se si fanno tacere

tutti i desideri, tutte le opinioni; e si pensa con amore, con tutta l’anima e senza parole:

“Sia fatta la tua volontà”, quel che allora si sente, senza incertezza, di dover fare

(quand’anche, per certi riguardi, fosse un errore) è la volontà di Dio. Perché, se gli si

chiede pane, egli non ci dà pietre”.

(S. WEIL, L’ombra e la grazia, Introduzione di G. HOURDIN, Traduzione di F. FORTINI (Testi di Spiritualità), Rusconi Editore, Milano 1985, p. 58).

3. L’intuizione della chiamata è l’intuizione stessa di Dio come senso della mia vita.

Essa è unità, percepita dallo spirito, di Dio e del soggetto, e di tutto in Dio. […]

È un evento improvviso, imprevisto, imprevedibile. Dio si manifesta, la trascendenza

della sua chiamata si rivela in questo incontro che il soggetto non ha preparato né

ricercato. Questa trascendenza si esprime anche attraverso il tema della debolezza divenuta

forza. [Il soggetto …] si sperimenta impotente, indegno, inadatto. In tale situazione

la sua prima reazione è spesso la protesta, il dubbio, la paura.

Ma Dio insiste, assicura la sua grazia, dilegua le apprensioni dell’eletto.

(M. BELLET, Vocazione e libertà, Edizione italiana a cura di G. COMO - E. PAROLARI (Comunità Cristiana), Cittadella Editrice, Assisi 2008, pp. 32-35).

4. È sempre la beatitudine della fede, dunque, ad essere esaltata in Maria. In questo

senso ella è la “figlia di Sion”: erede della fede di Abramo, capace di vivere autenticamente

la fede.

Maria è credente: è sempre dalla parte di chi accoglie Dio, di chi crede e si fida e si

affida a Dio. Quindi, pur avendo una singolarissima vocazione e una singolarissima

missione, pur avendo un singolarissimo rapporto con il Salvatore che è Gesù Cristo,

resta una credente. È, cioè, dalla nostra parte, non dalla parte di Dio. In questo senso

ella richiama anche il cammino dell’Arca che porta la presenza di Dio (cfr 1 Cr 13-16),

ma non è il Salvatore e la salvezza. (p. 26)

“Ecco la serva del Signore” significa allora questo: io sono disposta a servire il Signore

incondizionatamente, rendendogli il culto della mia vita, vissuta secondo lui, secondo

il suo progetto. Sono disposta a “conoscere” il Signore, facendo quello che lui

vuole, vivendo quello che lui vuole. (p 52)

Nella risposta di Maria vi è dunque un invito, una prospettiva, un criterio di valore

anche per noi, per la nostra vita.

Potremmo anche dire: l’uomo che dà la stessa risposta di Maria è l’uomo della carità,

del servizio, della disponibilità.

È l’uomo che si pone in contestazione con se stesso e in se stesso: contesta cioè la

logica del proprio diritto come l’unico criterio dell’agire. […]

È l’uomo che non rivendica l’assoluto dei propri diritti, ma del “servizio”: non perché

sia male rivendicare il proprio diritto, ma perché la carità dice che si può anche

“perdere” l’assoluto del “mio” diritto, della “mia” verità; e si può dire, non a parole,

sono “servo”, ma del Signore.

È l’uomo che accoglie e assume la prospettiva di Dio per leggere la vita, la storia, gli

avvenimenti. […] E si pone in contestazione con il mondo, con la logica di questo

mondo (cf 1 Gv 2,15).

È l’uomo che accetta la salvezza come il mistero della libertà di Dio che si offre.

Anche se non è facile. Anche se potrà sorgere, inevitabile, la domanda: «come è possibile

questo?». Come è possibile essere uomo di fede così?

È la domanda della Vergine Maria, che non riguarda soltanto la concezione verginale.

Esprime una fede interrogata: quella che ogni credente vive nell’assumere i problemi,

le ansie, gli interrogativi che lo toccano appunto come un uomo, e a cui deve una

risposta. Ma nella fede: lasciando che Cristo sia l’interprete ultimo e definitivo dell’uomo

e della storia.

(G. MOIOLI, Il mistero di Maria, Glossa, Milano 1990, pp. 26. 52. 53-54).

5. Annunciazione

(Le parole dell’Angelo)

Tu non sei più vicina a Dio di noi;

siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende

benedette le mani.

Nascono chiare a te dal manto,

luminoso contorno:

Io sono la rugiada, il giorno,

ma tu, tu sei la pianta.

Sono stanco ora, la strada è lunga,

perdonami, ho scordato

quello che il Grande alto sul sole

e sul trono gemmato,

manda a te, meditante

(mi ha vinto la vertigine).

Vedi: io sono l’origine,

ma tu, tu sei la pianta.

Ho steso ora le ali, sono

nella casa modesta immenso;

quasi manca lo spazio

alla mia grande veste.

Pur non mai fosti tanto sola,

vedi: appena mi senti;

nel bosco io sono un mite vento,

ma tu, tu sei la pianta.

Gli angeli tutti sono presi

da un nuovo turbamento:

certo non fu mai così intenso

e vago il desiderio.

Forse qualcosa ora s’annunzia

che in sogno tu comprendi.

Salute a te, l’anima vede:

ora sei pronta e attendi.

Tu sei la grande, eccelsa porta,

verranno ad aprirti presto.

Tu che il mio canto intendi sola:

in te si perde la mia parola

come nella foresta.

Sono venuto a compiere

la visione santa.

Dio mi guarda, mi abbacina...

Ma tu, tu sei la pianta.

( R.M. RILKE, Poesie, Tradotte da G. PINTOR, Prefazione di F. FORTINI, Einaudi, Torino 1942, 71958, pp. 16-17).