mercoledì 21 dicembre 2011

commento al vangelo del santo Natale Luca 2,1-14 e artcolo sull'Europa


riflessione di don Michele sull'Europa dopo aver parlato con un amico che è stato a lungo in Cina.

La primogenitura dell’Europa venduta per un piatto di lenticchie

Considerazioni d’un impolitico. L’Europa è in crisi e non ne esce. Tutti ci chiediamo come abbia fatto a ridursi così. Le dotte e spesso contrastanti spiegazioni hanno solo il potere di confonderci.

Ovviamente siamo anche preoccupati. È in gioco il nostro futuro e in particolare quello delle nuove generazioni. I giovani europei sono i più a rischio, perché essendo nati in condizioni di benessere uniche nel pianeta, faticano ad adattarsi a lavori precari, umili e con scarsa remunerazione. Lavori che in altre parti del mondo, come il Nord Africa, sarebbero un sogno vista la tremenda disoccupazione che li affligge. È la differente visione delle cose che c’è tra chi è costretto a scendere e chi tenta di salire.

Sono certamente preoccupati anche l’americano Obama e il cinese Hu jin tao. Il primo credo per i motivi ovvi legati alla finanza e all’economia. Nonostante la crisi l’Europa è ancora la zona più ricca del mondo con il Pil più alto e gli Usa temono ripercussioni per la loro crescita e il Presidente per la sua rielezione. La preoccupazione americana è perciò al livello dei consumi

Ma che cosa penserà il Presidente cinese della crisi europea? Di sicuro non tralascerà di acchiappare qualche buon affare prestandoci denari e comprando a buon mercato nostre aziende. Credo però che per la dirigenza cinese e per altri governanti del mondo ci saranno anche altri pensieri. Tralasciando le tante discussioni storiche su chi ha sviluppato per primo la civiltà più avanzata, è fuor di dubbio che l’Europa si è fatta conoscere nei secoli per il progressivo rispetto della persona umana, per l’amore per la conoscenza, per l’organizzazione sociale animata da leggi giuste, per lo sviluppo della democrazia e per il riconoscimento dei diritti politici e sociali. Questo cammino è avvenuto con l’apporto decisivo del Cristianesimo. In questo senso l’Europa ha la primogenitura della civiltà. E oggi è prostrata e incapace di rialzarsi.

Ritorno ai dirigenti cinesiche forse ricordano ancora il tempo delle casacche militari maoiste e che da Marx hanno imparato una speranza di giustizia per tutto il genere umano. I Cinesi sanno che la loro cultura antica, quella di Lao Tze è aristocratica, politica, adatta a esperti uomini di corte, non è ideale per l’uomo comune. Dal marxismo hanno ricevuto di più per la persona comune. Certo il marxismo ha confuso persona e individuo e ha fatto danni, ma era certamente, in quanto eresia nata dalla cultura giudaico cristiana, portatore di un ‘idea di uguaglianza, di giustizia e di fraternità. E tutto ciò veniva dall’Europa. Credo che un cinese pensoso e tanti altri nel mondo siano dispiaciuti che il faro europeo sia appannato.

Se fosse appannato per soli errori economici passi. Ma l’appannamento deriva da altro. Rifiutando le radici cristiane, l’Europa rifiuta anche il modello di civiltà che le ha dato splendore e indebolisce la concezione della persona umana, che è il suo vero vanto nel mondo.

La signora Merkel, gode all’interno del suo Paese di una ricchezza datale dall’economia sociale di mercato, che è figlia della dottrina sociale della Chiesa, ma non vuole applicare questo modello solidaristico all’intera Europa. E così vediamo che fa la prima della classe, seguita dal povero Sarkozy, che essendo povero, ma volendo apparire ricco, disprezza gli altri poveri e fa comunella con l’unica vera ricca. Non ci siamo. Per mancanza di solidarietà, l’Europa rischia il tracollo, ma soprattutto perde per un piatto di lenticchie il suo ruolo umanizzante nel mondo.

Messa nel giorno

Lettura

Lettura del profeta Isaia 8, 23b-9, 6a

In passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.

Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse. / Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia. / Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete / e come si esulta quando si divide la preda. / Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, / la sbarra sulle sue spalle, / e il bastone del suo aguzzino, / come nel giorno di Madian. / Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando / e ogni mantello intriso di sangue / saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.

Perché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il potere / e il suo nome sarà: / Consigliere mirabile, Dio potente, / Padre per sempre, Principe della pace. / Grande sarà il suo potere / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul suo regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Salmo

Sal 95 (96)

® Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome,

annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

In mezzo alle genti narrate la sua gloria,

a tutti i popoli dite le sue meraviglie. ®

Gioiscano i cieli, esulti la terra,

risuoni il mare e quanto racchiude;

sia in festa la campagna e quanto contiene,

acclamino tutti gli alberi della foresta. ®

Acclamino davanti al Signore che viene:

sì, egli viene a giudicare la terra;

giudicherà il mondo con giustizia

e nella sua fedeltà i popoli. ®

Epistola

Lettera agli Ebrei 1, 1-8a

Fratelli, Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: / «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»?

E ancora: «Io sarò per lui padre / ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, / e i suoi ministri come fiamma di fuoco», / al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».

Vangelo

Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 1-14

In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

VANGELO: Lc 2,1-14

Il passo evangelico comprende la scena della nascita (Lc 2,1-7) e la prima parte della scena di adorazione dei pastori, con l’annuncio a loro rivolto dal messaggero di-vino (Lc 2,8-14). È lasciata ad altra celebrazione la lettura della seconda parte della scena con l’adorazione dei pastori (Lc 2,15-20).

Il passo si articola in due momenti:

a) i vv. 1-7 descrivono le circostanze della nascita di Gesù e il motivo per cui, nonostante Giuseppe fosse di Nazaret in Galilea, Gesù sia nato a Betlemme in Giudea;

b) i vv. 8-14 sono invece la manifestazione del bimbo che il messaggero divino annunzia ai pastori, i quali poi andranno a rendere omaggio a quel bambino «avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (cf vv. 15-20).

vv. 1-7: Il contrasto tra la storia ufficiale dell’impero e quanto avviene nelle piccole contrade di Nazaret e di Betlemme non intacca l’acribia storica di Luca e le sue meticolose ricerche (cf Lc 1,1-4). Bisogna solo fare attenzione al modo in cui si traduce il v. 2, perché la traduzione ufficiale della CEI – anche nella nuova edizione – porta a un’insostenibile datazione, legata a Quirinio. Quirinio, in greco Κυρηναίος «Cireneo», nacque negli anni '50 del I secolo a.C. e morì il 21 d.C.; fu un uomo ben noto e molto potente in Roma durante i regni di Augusto (31 a.C. – 14 d.C.) e di Tiberio (14-37 d.C.). Egli rivestì la carica di governatore della Siria dal 6 d.C. (cf Ant.Iud. XVIII, 1-10) sino al 12 d.C. (come limite massimo), anni troppo lontani dal verosimile tempo della nascita di Gesù, correttamente fissato da Matteo un po’ prima della morte di Erode il Grande (13 marzo del 4 a.C., un giorno di eclisse lunare, come ricorda Giuseppe Flavio in Ant.Iud. XVI, 6,4). Il suo incarico fu di grande rilievo perché alla Siria fu annesso anche il controllo della Giudea, dato che Augusto aveva rimosso Archelao togliendogli il titolo di Tetrarca della Giudea. Fu proprio Quirinio a porre la Giudea sotto la guida di un praefectus, che sarebbe divenuto in seguito governatore della Siria. E fu proprio allora (6 d.C.) che Quirinio organizzò un grande censimento nella Siria e nei nuovi territori a lui affidati per poter disporre di sufficienti entrate fiscali.

La soluzione dell’intricato problema di come conciliare la data di Luca con la storia ufficiale romana non è impossibile, se si ammette che il greco della koinè possa dare all’aggettivo πρώτη non solo valore attributivo «questo primo censimento», ma anche valore predicativo-avverbiale ed equivalente al comparativo πρότερος «questo censimento avvenne prima che…». Ecco le due versioni a confronto con il testo greco di Luca:

αὕτη ἀπογραφὴ πρώτη ἐγένετο ἡγεμονεύοντος τῆς Συρίας Κυρηνίου

Ecco la traduzione CEI 2008: Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria

Ecco l’altra versione: Questo censimento fu fatto prima che Quirinio fosse governatore della Siria.

La motivazione dello spostamento di Giuseppe da Nazaret a Betlemme è plausibile nel contesto di una registrazione per fissare la tassazione di un territorio. La tradizione che lega Giuseppe (o Maria) al casato di Davide, e quindi a Betlemme, è attestata anche da Mt 1-2, uno dei pochi punti narrativi condivisi tra Luca e il primo evangelista.

Il quadro storico che ricorda Cesare Augusto, l’imperatore del mondo romano allora conosciuto, è presentato da Luca come un fatto provvidenziale che porta Gesù a nascere a Betlemme, la città di Davide. A differenza del Secondo Isaia che attribuisce a Ciro persino il titolo di «unto» e di «messia», Luca legge la figura di Cesare Augusto in antitesi al bimbo che nasce a Betlemme. Augusto aveva fatto erigere in Campo Marzio un altare alla Pax Augusta, la cosiddetta Ara pacis augustae; in Oriente egli era salutato come salvatore e dio; in molte iscrizioni era detto «Salvatore di tutto il mondo»; il suo compleanno (23 settembre) fu celebrato dal 9 a.C. circa come «il compleanno del dio che ha segnato l’inizio per il mondo delle buone notizie che sarebbero venute per suo tramite».

Per Luca, l’associazione della nascita di Gesù alla figura di Augusto diventa la sottolineatura che è Gesù a portare la vera pace, è Lui il vero salvatore del mondo. La nascita di Gesù a Betlemme da una parte porta con sé un’atmosfera tipicamente giudaica, ma – nel contesto dell’impero romano – assume una valenza mondiale, anzi universale: «Gloria a Dio nei luoghi altissimi e sulla terra pace tra gli uomini oggetto della sua benevolenza» (v. 14).

Nei vv. 6-7 è raccontata propriamente la nascita (cf Lc 1,57-18 per la nascita di Giovanni). Il resto della descrizione assume subito valore simbolico, traguardato attraverso allusioni scritturistiche e anticipazioni della vita reale di colui che sarebbe poi stato crocifisso: così si allude a quanto lo pseudo-Salomone dice di sé in Sap 7,4-5 («Fui allevato in fasce e circondato di cure; nessun re ebbe un inizio di vita diverso »), o a quanto Isaia dice in 1,3: «Un bue conosce il suo padrone e un asino la greppia del suo signore; ma Israele non mi conosce e il mio popolo non comprende» (ἔγνω βοῦς τὸν κτησάμενον καὶ ὄνος τὴν φάτνην τοῦ κυρίου αὐτοῦ· Ισραηλ δέ με οὐκ ἔγνω, καὶ ὁ λαός με οὐ συνῆκεν). A questo riguardo, si ricordi che la mangiatoia (ἡ φάτνη) con la presenza dell’asino e del bue nasce proprio dalla lettura di questo versetto di Isaia. Essa era già presente nelle decorazioni dei sarcofagi cristiani (cf Sarcofago di Stilicone, Basilica di S. Ambrogio, IV secolo) e aveva un’intonazione antigiudaica: Israele ancora una volta non ha saputo riconoscere e comprendere. Il riferimento al piano di sopra della casa, dove usualmente stavano le persone ad abitare e a dormire, richiama il testo di Ger 14,8, che parla di JHWH «speranza di Israele» e «Salvatore in tempo di calamità: «perché vuoi essere come un forestiero nella terra e come un viandante che sale in al-loggio (κατάλυμα) solo una notte?» (LXX).

Maria avvolge in fasce il bambino appena nato e lo depone in un mangiatoia (v. 7): si veda qui sotto il senso rivelativo di questi gesti, ripresi nel segno offerto ai pastori.

vv. 8-14: La manifestazione del bambino comprende il messaggio angelico (vv. 8-12) e il canto degli angeli (vv. 13-14). Perché una manifestazione ai pastori? Il vocabolo «pastore» indica spesso nelle lingue dell’antico Vicino Oriente la valenza di «capo politico» (cf 2 Sam 5,2) o di «capo militare». Ma evidentemente non riguarda il presente racconto lucano. Piuttosto, si possono ricordare le nascite di molti personaggi famosi antichi circondati da pastori (ad esempio, Ciro, Romolo e Remo, Mitra). Ma anche a questo proposito il collegamento sarebbe troppo generico, come generico sarebbe il riferimento ai pastori in quanto i custodi della stalla e della mangiatoia di cui parla Luca (così J. Jeremias).

Alcuni commentatori fanno riferimento a Migdal Eder «la torre del gregge» (Gn 35,21 e Mic 4,8) e alla tradizione targumica, secondo cui «il Re Messia sarebbe stato rivelato alla fine dei giorni dalla Torre del gregge» (Targum dello Ps.Jonatan a Gn 35,21). Anche questo collegamento sembra impossibile per diverse ragioni di inopportunità. I pastori sono quasi certamente introdotti da Luca nella sua narrazione proprio per l’ambientazione betlemita della nascita: si ricordi Davide pastore, che è fuori a pascolare il gregge di Iesse, suo padre (1 Sam 16,11; cf anche 1 Sam 17,14-15. 20. 28. 34). Inoltre, si ricordi anche il testo di Mic 5,1 che parla di Betlemme come il luogo più in-significante di Giuda, da cui sarebbe però uscito un mōšēl «dominatore» per governare su Israele (testo citato in Mt 2,6). Tuttavia, Luca non cita mai questo testo. Si dovrebbe allora pensare ad un’allusione indiretta per indicare il luogo di estrema povertà, e forse anche di emarginazione, rappresentato non solo dalla piccola Betlemme, ma anche e soprattutto dall’ambiente dei pastori, invisi al mondo cittadino per le loro condizioni. Non è necessario pensare ad altre caratterizzazioni (peccatori, impuri, ladri…). La loro presenza è un altro elemento tipico di Lc 1-2, con la scelta di una umanità povera ed emarginata (cf Lc 1,38 e 52).

L’annuncio sta propriamente nei vv. 9-12, con gli elementi tipici di un annunzio di nascita: a) l’apparizione dell’angelo del Signore (v. 9a); b) il timore da parte dei pastori (v. 9b); c) il messaggio celeste, sotto forma di oracolo di salvezza («Non temete!»); d) il segno di assicurazione offerto (v. 12). Manca soltanto l’obiezione dell’interlocutore.

Il messaggio angelico è esattamente l’anti-editto imperiale: è il progetto provvidenziale di Dio ad aver donato al mondo un bambino che diventerà per la storia umana il Salvatore, il Messia e il Signore (tre titoli del kerygma pasquale, anticipato al momento della nascita). Nella cornice della Pax Augusta e nel quadro della Città di Davide, i pastori sono invitati a riconoscere in lui la fonte della vera gioia, che sarà di tutto il popolo.

Non solo i titoli cristologici, ma anche il segno offerto anticipa il momento della croce: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Si noti che l’evangelista Luca allude all’azione di Giuseppe di Arimatea che «avvolge in un lenzuolo» (Lc 23,53: ἐνετύλιξεν αὐτὸ σινδόνι) il corpo ormai esanime di Gesù morto in croce. Anche l’azione di Maria che «adagia [il bambino] in una mangiatoia» (ἀνέκλινεν αὐτὸν ἐν φάτνῃ) è un anticipo dell’azione di Giuseppe di Arimatea che «adagia il corpo di Gesù in un sepolcro (ἔθηκεν αὐτὸν ἐν μνήματι λαξευτῷ), scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto» (Lc 23,53b). È un’iconografia molto frequente nella tradizione orientale, presente anche nella tradizione occidentale, almeno sino a Giot-to: raffigurare il bambino Gesù deposto in una mangiatoia che è in verità un sepolcro. Quel segno è dunque un anticipo di quanto avverrà al momento della croce.

Infine, nei vv. 13-14, il coro angelico invita il lettore a unirsi nel canto della Gloria di Dio, perché davvero la nascita di questo bambino significa una manifestazione di salvezza per il suo popolo della risposta. Questa è la fonte della vera gioia per tutto il popolo: sapere che è ormai compiuta l’εὐδοκία «il disegno favorevole» di Dio per l’intera umanità, passando attraverso la chiamata di Abramo e di Israele.

PER LA NOSTRA VITA

1. È una vera gioia, perché viene da Cristo, il Signore. È la confessione di fede. Da lui può veramente venire la vera gioia. “Oggi è nato a noi il Cristo Signore”. Trattandosi del Signore che è Dio, “oggi è nato” potrebbe suonare in chiave solamente meta-forica, potrebbe sembrare “oggi è apparso”, alla pari delle manifestazioni del Primo Testamento. Il testo evangelico non è di questo avviso, ma ci dà il segno che è una na-scita da prendere in tutto il suo senso reale, storico: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). E poco prima il testo aveva specificato il compimento dei giorni del parto della Vergine: “E avvenne che…”.

Il segno: un bambino, che è il Salvatore e Signore, adagiato oltre tutto in una man-giatoia! Tale è, cari fratelli, la strada perenne, adatta alle nostre categorie, con cui Dio interviene per operare la salvezza, il suo amore tra gli uomini. Come pure fa san Paolo proclamando la croce “scandalo” per i giudei, cioè per ogni dimensione religiosa, e “follia” per le filosofie umane mentre invece questo non lo è mai per chi è povero e si apre all’amore. La strada perenne diventa la Sapienza somma di Dio: così è del bam-bino posto nella mangiatoia, segno di salvezza, che sarà poi di colui che regnerà dalla croce. Coincidenza misteriosa tra mangiatoia e croce!

Questa Sapienza è la messa in discussione delle sicurezze dell’uomo, di qualunque tipo esse siano, perché non possono mai dare la salvezza vera, la liberazione. […]

Qual è mai infatti il significato profondo del segno di Dio che si fa uomo, accettan-do le leggi della nascita e del cammino dell’uomo: “Troverete un bambino avvolto in fasce”? Dio si coinvolge nella storia umana attraverso una economia meravigliosa dell’Amore. Dinanzi a Dio che si fa bambino siamo provocati a riscoprire che è lui, Dio, a operare e solo lui a darsi con una legge che è lui stesso, fuori da qualsiasi para-digma delle istituzioni umane. […]

La vita dell’uomo esigeva questa visita-abitazione permanente di Dio per poter esse-re salva dal peccato, il che significa poter entrare in comunione con Dio e scorgere nell’uomo il fratello. Se Dio abita nell’uomo, è nell’uomo che bisognerà ormai trovarlo. […]

Comprendiamo, cari fratelli, che la nascita di Cristo nella grotta, come la morte sulla croce, ci svelano il mistero della povertà e dell’abbassamento di Dio per noi, mistero di disponibilità di Dio per noi, come Paolo che lo descrive nell’inno di Fil 2,7-9: «Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo divenendo simile agli uomini: apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».

[B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, pp. 27-29].

2. Ciò che si annuncia è la vita felice: il risveglio, la premura, la partecipazione – e per tutti – abbandonare la via della tristezza e della crudeltà, passare sul sentiero della gioia e della grazia. È il dolce splendore dell’amore, la pace, la riconciliazione, la fine della colpa, l’armonia delle potenze – la genesi ritrovata!

Niente di debole o di molle, come lo immaginano i violenti, nella loro fondamentale debolezza. Al contrario, la forza più grande, l’inaudito. (p. 31)

Quale parola parla nel silenzio? Quale visione sorge dall’abisso? Il luogo non è qui o là; il luogo è l’unico, che testimonia l’altrove. Ecco la nostra prima dimora. Essa coincide assolutamente con la tenerezza reciproca, che si dà in noi. […]Sì, agape, la divina tenerezza è l’esperienza stessa, nelle nostre vite, di ciò che è come l’esplosione del mondo, o la nascita in esso, germinazione inafferrabile, di ciò che oltrepassa il campo padroneggiabile dei possibili.

[M. BELLET, Incipit o dell'inizio, Traduzione di G. FORZANI, Prefazione all’edizione italiana di A. ROSSI (QdR 54), Servitium Editrice, Gorle BG 1997, pp. 31 e 41]

3. Questo Natale non è stato come gli altri. È ancora carico di significato. Come Maria, conserviamo tutte le cose che ci sono successe. Proseguiamo quella meditazio-ne che lei iniziò nel suo cuore. Il significato, come una spada, ci trafigge. Il Verbo prende questa comunità di carne e di sangue per narrarsi qui, oggi. (p 110) […]

Tutto è pasquale nella vita del Figlio. Dobbiamo avere una visione ampia del miste-ro pasquale. Morte e risurrezione fanno parte del mistero dell’incarnazione che consi-ste a prendere l’umanità per introdurla nella gloria di Dio. Dobbiamo trovare nel mi-stero dell’incarnazione le vere ragioni della nostra presenza. Nella Pasqua di Cristo, la redenzione è il motivo, ma l’incarnazione è il modo. Dopo la prima visita di un gruppo armato in monastero, il Natale del 1993, abbiamo celebrato la messa di mezzanotte. Dovevamo accogliere questo bambino indifeso e già minacciato. Attraverso questi eventi ci siamo sentiti invitati a “nascere”. La vita di un uomo passa di nascita in nasci-ta. Giovanni, l’evangelista dell’incarnazione – «e il Verbo si è fatto carne» –, era l’unico discepolo presente ai piedi della croce. Ci presenta l’intera vita di Cristo come un mi-stero di incarnazione. Nella nostra vita c’è sempre un bambino da mettere al mondo: il figlio di Dio che noi siamo. “Bisogna rinascere”, ha detto a Nicodemo.

Questa nascita ci è proposta nella chiesa. La chiesa è il proseguimento dell’incarna-zione. Essa non ha che noi, qui, per continuare l’incarnazione. Nel bene e nel male. […]

Dobbiamo essere testimoni dell’Emmanuele, cioè del “Dio-con”. C’è una presenza del “Dio tra gli uomini” che proprio noi dobbiamo assumere.

[FRÈRE CHRISTIAN DE CHERGE E GLI ALTRI MONACI DI TIBHIRINE, Piu forti dell’odio, Introduzione e traduzione con raccolta di ulteriori testi di G. DOTTI, Prefazione di E. BIANCHI (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 1997, pp. 110 e 175-177].

4. Non sono le luci della festa, e il calore intimo che vi si avvolge, la pietra dello scandalo.

È il vuoto di realtà che vi si installa, il nostro problema.

Natale è un punto di tangenza con il mistero della nostra origine e della nostra destinazione. Dio non è mai stato così vicino agli esseri umani, come in quel giorno. Quando non vediamo più, quando non siamo più toccati – e persino feriti – dai segni di quella presenza, possiamo allungare le prediche e accendere i fari quando vogliamo. L’occasione è persa.

Se invece batte il cuore, per la nostalgia della presenza bambina di Dio, allora tutto può accadere.

Trafitto mille volte, questo Natale. Dagli aguzzi profili delle nostre insensibili città di pietra, dove si tollerano luci solo per gli ultimi nati di mammona. Dalle terribili ombre di un risentimento disperato e distruttivo, che viene da oscuri fraintendimenti del Sacro. Eppure, mai così vicino al nostro impotente senso di struggimento per il vuoto che lascerebbe se fosse spento.

Guardate i vostri figli. Cercate il respiro della carne del Figlio. P.A. SEQUERI, Editoriale: La luce sul vuoto, «Avvenire», 6 gennaio 2011.

5. È, lui.

È

ed accade,

accade continuamente.

È nel suo accadere,

sì,

lo è unicamente

e rode

e polverizza

la metafora

di sé,

distrugge il proprio simbolo

lui, abrupto ed assoluto evento,

sempre,

sempre,

in ogni istante

al suo cominciamento.

M. LUZI, L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. VERDINO (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, 42001, p. 934.

6. NATALE

È Natale, Signore.

O è già subito Pasqua?

Il legno del presepio è duro,

come il legno della croce.

Il freddo ti punge quasi corona di spine.

L’odio dei potenti ti spia e ti teme.

Fuga affannosa nella notte.

Sangue innocente di coetanei,

presagio del tuo sangue.

Lamento di madri desolate,

eco del pianto di tua Madre.

Quanti segni di morte, Signore,

in questa tua nascita.

Comincia così il tuo cammino tra noi,

la tua ostinata decisione

di essere Dio, non di sembrarlo.

Le pietre non diverranno pane.

Non ti lancerai dalla dorata cima del tempio.

Non conquisterai i regni dell’uomo.

Costruirai la tua vita di ogni giorno

raccogliendo con cura meticolosa,

con paziente amore,

tutto quello che noi scartiamo:

gli stracci della nostra povertà,

le piaghe del nostro dolore,

i pesi che non sappiamo portare;

le infamie che non vogliamo riconoscere.

Grazie, Signore, per questa ostinazione,

per questo sparire,

per questo ritrarti,

che schiude un libero spazio

per la mia libera decisione di amarti.

Dio che ti nascondi,

Dio che non sembri Dio,

Dio degli stracci e delle piaghe,

Dio dei pesi e delle infamie,

io ti amo.

Non so come dirtelo,

ho paura di dirtelo,

perché talvolta mi spavento

e ritiro la parola;

eppure sento che devo dirtelo:

io ti amo.

In questa possibilità di amarti,

che la tua povertà mi schiude,

divento veramente uomo.

Amo gli stracci, le piaghe, i pesi

di ogni fratello.

Piango le infamie di tutto il mondo.

Scopro di essere uomo,

non di sembrarlo.

Il tuo Natale è il mio natale.

Nella gioia di questo nascere,

nello stupore di poterti amare,

nel dono immenso di vivere insieme,

io accetto, io voglio, io chiedo

che anche per me, Signore,

sia subito Pasqua.Preghiera di mons. Luigi Serenthà (1938-1986).

7. I Pastori non stavano al tempio.

Erano ai loro greggi, a guardia, vegliavano.

E pronti anche per il cammino, già fuori. 20

Incontrati dalla luce, avvolti dalla gloria. Loro.

Erano svegli, a veglia del gregge.

La gloria, la luce:

Incontrati nella notte dalla luce,

il pascolo e la gloria del Signore.

Un angelo a rassicurarli:

un annunzio di gioia grande.

È nato il Salvatore, che è Cristo, Signore.

Un segno: vicino più alla loro condizione che alla gloria del Signore annunciata…

Dove la gioia grande?

In un bambino avvolto in fasce, in una mangiatoia.

Attesero tutto l’annuncio, ascoltarono tutto l’annuncio.

Solo dopo fra loro parlavano gli uni gli altri.

Attraversiamo, camminiamo fino a Betlemme e vediamo la Parola accaduta.

Vennero, si affrettarono, trovarono e fecero conoscere …

Attraversarono la notte, sapendo camminare, senza perdere la direzione.

Quale grande fiducia a quell’annuncio per affrettarsi così:

il loro passo, il loro cercare, e la certezza di ciò che avevano visto accaduto.

La fede di chi ha incontrato la salvezza!

Lo spavento non li aveva fermati.

Chi cammina al buio impara a godere della luce,

della voce, dell’annuncio anche solo prefigurato.

Chi cammina non può che giungere là dove si nasconde Dio,

in un così grande annuncio, abissalmente confuso nella invisibilità,

nell’oscurità di quella notte di Betlemme.

F. CECCHETTO, Testi inediti.

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