mercoledì 30 giugno 2010

Domenica VI dopo Pentecoste - 4 luglio 2010

Domenica VI dopo Pentecoste - 4 luglio 2010

LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 24, 3-18

In quei giorni. Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele. Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: «Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli». Mosè si mosse con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: «Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro». Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti.

COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA

Vv 3-8 Oggi il testo descrive il rito che sancisce l'Alleanza sul Sinai. Come per i popoli
vicini, soprattutto gli Hittiti, un'alleanza comprendeva questi elementi:
1. un prologo storico in cui chi valeva di più (il contendente maggiore: Dio) si
presentava al minore e gli ricordava i vantaggi già sperimentati,
2. il comandamento fondamentale: l'invito ad una adesione reciproca globale,
riassunta nella formula: "Io sono il Vostro Dio e voi sarete il mio popolo",
3. le norme particolari: che specificano i termini del patto,
4. il rito sacro: per compiere l'impegno davanti alla divinità e per siglare il patto;
Dio, in questo caso, è contraente e garante,
5. le benedizioni e le maledizioni legate al patto.
- E’ un testo fondamentale per Israele poiché delinea l’Alleanza attraverso il rito e il mutuo consenso. Così metà del sangue è versato sull'altare (che rappresenta Dio) e l'altra metà è usata per aspergere il popolo, rappresentato da dodici stele o colonnine, probabilmente disposte in cerchio (vv 4-8). La medesima vita, significata dal sangue, lega i due contraenti: Dio e il suo popolo diventano "consanguinei".
- Vi si riscontra così una specie di liturgia della Parola.
"Le Parole di Dio", prima riferite da Mosè al popolo, poi sono messe per iscritto e
infine diventano "libro dell'Alleanza". Inizialmente doveva essere il Decalogo che ha
un prologo storico (richiamo dall'Egitto), un invito all'adorazione di un solo Dio, le norme particolari (o i Comandamenti). Intorno ad esso si sono formate le norme e i
comandi.
- Tre volte viene dato l'assenso dal popolo, all’inizio (in Es 19,8), una specie di
dichiarazione affrettata, in bianco. Ora, per due volte (24,3.7), c’è un assenso
ponderato, consapevole, poiché sono state ascoltate le richieste di Dio.
- Il rito del sangue, che conclude il patto, insieme al banchetto di comunione, esprime adesione, comunicazione, unità con Dio e non certo magia: unità e intreccio
inscindibile tra rito e parola. Esso crea vincoli, ripara, difende, ristabilisce. Nella fedeltà il sangue unisce, lo stesso sangue garantisce. Nel tradimento il sangue é morte, é minaccia, grida la maledizione (vedi l’episodio della morte di Abele da parte di Caino: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo" (Gen 4,10). Anche oggi , se nel bene é vita (trasfusione), nel male il sangue è documento di morte: guerra di sangue, sangue sulle strade, scempio.
- Il popolo è chiamato a diventare sacerdotale, scelto da Dio per rappresentarlo tra le nazioni e vicino a Dio per essere segno e richiamo, ambasciatore delle nazioni. E' un popolo famoso per questo ruolo sacerdotale, rapporto per tutte le nazioni di fronte a Dio (coscienza che a tempi alterni viene richiamata dai profeti).
- v. 9: Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele. Il pasto davanti a Dio non è un altro rito ma la conclusione solenne dell'alleanza che, in un certo senso, rivela che qualcosa è cambiato nel rapporto tra Dio e il suo popolo. Difatti i rappresentanti del popolo possono contemplare Dio e restare in vita. Anzi, in tal caso, viene chiarita e legittimata la loro autorità.
- Vv 12-18: Mosé sale da solo sulla montagna dove il Signore dovrà consegnargli le
tavole di pietra, legge e comandamenti. Agli occhi del popolo appaiono i segni della
presenza di Dio: la gloria e la nube. Quando sarà costruito il santuario, la gloria e la nube non lo abbandoneranno più (Es 40,34- 38).

SALMO
Sal 49 (50)

® Ascoltate oggi la voce del Signore.
Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente.
Da Sion, bellezza perfetta,
Dio risplende. ®

Viene il nostro Dio e non sta in silenzio;
davanti a lui un fuoco divorante,
intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall’alto
e la terra per giudicare il suo popolo. ®

«Davanti a me riunite i miei fedeli,
che hanno stabilito con me l’alleanza
offrendo un sacrificio».
I cieli annunciano la sua giustizia:
è Dio che giudica. ®

EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 8, 6-13a

Fratelli, Gesù ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse. Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: / «Ecco: vengono giorni, dice il Signore, / quando io concluderò un’alleanza nuova / con la casa d’Israele e con la casa di Giuda. / Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri, / nel giorno in cui li presi per mano / per farli uscire dalla terra d’Egitto; / poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza, / anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore. / E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele / dopo quei giorni, dice il Signore: / porrò le mie leggi nella loro mente / e le imprimerò nei loro cuori; / sarò il loro Dio / ed essi saranno il mio popolo. / Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, / né alcuno il proprio fratello, dicendo: / “Conosci il Signore!”. / Tutti infatti mi conosceranno, / dal più piccolo al più grande di loro. / Perché io perdonerò le loro iniquità / e non mi ricorderò più dei loro peccati». / Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 19, 30-35

In quel tempo. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.

COMMENTO AL VANGELO

"Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che tu mi hai dato da fare"
(Giovanni 17,4). Questa è la consapevolezza che Gesù esprime al Padre nella preghiera
dell'ultima cena, ad alta voce, avendo a testimoni i discepoli. Ora, sulla croce, Gesù ricorda che “tutto si è compiuto” fino in fondo.
Persino "quando avevo sete mi hanno dato l'aceto" (Sal 69,22).
Così Gesù "consegnò lo spirito", pronto per essere trasmesso alla sua Chiesa a
Pentecoste, ricco di tutta l'accoglienza del Padre e dell'umanità, forte di tutta la
comunione del Dio Trinitario.
Giovanni sta ricordando alcune coincidenze e alcuni piccoli episodi, ma è consapevole
di rammentare grandi verità e quindi preoccupato di ricordare che la sua testimonianza è attendibile (v 35).
- La morte di Gesù avviene nel giorno della “preparazione” (versetto 31): e nell'ora in cui sulla spianata del Tempio i sacerdoti stanno immolando gli agnelli pasquali. In tal caso Gesù è il vero agnello di Dio, ricordato da Giovanni Battista (Giovanni 1,29), il vero agnello che libera dalla schiavitù d'Egitto (Es 12,46). Ma è più dell'agnello perché è il “servo sofferente”: la parola "servo" e la parola "agnello" sono identiche in ebraico e quindi Giovanni gioca sulle due immagini, sia ricordando che le ossa del crocifisso non sono state spezzate (come per l’agnello pasquale) e sia che il servitore, con le sue sofferenze, espia il peccato del mondo (Sal 34,21).
- Gesù è anche lo sposo, quindi il pastore (Ap 21,9) nella sua fondamentale vocazione
ricevuta dal Padre e, quindi, in Gesù è iniziato il tempo del fidanzamento della sposa.
Con un banchetto di nozze si chiuderà la storia del mondo.
- Attraverso la ferita del costato esce l'ultima goccia di sangue insieme all'acqua.
Rappresentano l’offerta della vita di Dio (sangue) e l'inizio della vita nuova del
credente (acqua).
Il richiamo all'acqua ci riporta al messaggio di Gesù alla samaritana: "L'acqua che io darò diventerà sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Giov 4,14). E ci
ricorda anche il rito dell'acqua nella "festa delle capanne" in cui Gesù ad alta voce, in piedi urla: "Chi ha sete venga a me,... fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giov 7, 37-38).
Il cadavere di Gesù è stato tolto. Sepolto, risorgerà. Risorto, entrerà nella gloria del Padre.
Ma a noi resteranno la sua presenza, il suo Spirito, la sua Parola, i suoi doni
sacramentali che continueremo a celebrare, sapendo che Egli opera continuamente in
noi e con noi. Egli costruisce la Chiesa, e la Chiesa è per il mondo.
Resto sempre stupefatto quando qualcuno dei fedeli che mi parla o si confessa mi dice con gioia e sicurezza che sente la presenza di Gesù vivo accanto a sé, come compagno di vita. Mi interrogo e scopro che, sotto la distrazione del momento, anche per me è così.

martedì 22 giugno 2010

DOMENICA V dopo Pentecoste - 27 giugno 2010

DOMENICA V dopo Pentecoste - 27 giugno 2010

LETTURA
Lettura del libro della Genesi 18, 1-2a. 16-33

In quei giorni. Il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Quegli uomini andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione.

Commento

Questo testo, mentre parla dell'amicizia di Dio con Abramo, svela la fiducia e la confidenza di Dio per l'amico: così gli comunica la sua volontà di purificazione che però diventa tragedia per le due città di Sodoma e Gomorra. Poiché qui abitano i parenti di Abramo, il Signore si preoccupa di comunicare che vuole salvare la discendenza di Abramo, ma sarà possibile solo se ubbidiranno e abbandoneranno questo mondo di corruzione.
È in gioco il soccorso al nipote di Abramo, Lot e alla sua famiglia.
In questo testo si ricorda il famosissimo dialogo di Abramo che intercede perché non siano cancellate le due città in nome dei giusti, anche pochi, che vi possono essere. La conclusione si ferma al numero 10: "Anche se ci fossero 10 giusti, io non cancellerò le città" garantisce il Signore. Ma i 10 giusti non ci sono (Gen 18,32).
- Abramo è l’amico di Dio che ha ricevuto il dono dell’intimità e della scelta privilegiata di generare un popolo "grande e potente: in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra".
L'autore biblico vuole garantire che Dio è giusto e che il clamore del male come, d'altra parte, la preghiera salgono fino a lui. Tutto da lui è conosciuto.
- poiché Abramo è un amico di Dio, può permettersi di pregare e di insistere in un dialogo che non ha costruito con formule, ma con speranza e sincerità. E sembra di assistere all'incontro tra due mercanti orientali in cui si tira il prezzo, scendendo prima di cinque e poi, scoprendo che l'altro è disposto a trattare, di 10 in 10.
- il testo più globale, nella Bibbia, merita di essere letto perché si intersecano insieme la preoccupazione di salvare i propri parenti, da parte di Abramo, e il desiderio di salvare le due città e la popolazione che vi fa parte.
- Due angeli si impegnano alla liberazione dei parenti di Abramo, comunicando il pensiero e la scelta di Dio.
- Non sembra proprio che Lot voglia allontanarsi dalla città e continua ad attardarsi, poiché il nuovo fa paura e al male sociale, in cui viviamo, in un certo senso, è più comodo assuefarsi.
Lot viene così costretto a fuggire mentre il cataclisma inizia a distruggere. La moglie, a cui è stato chiesto di non guardare indietro, viene pietrificata. Il guardare indietro ricrea nostalgia e tentazione: si perdono le forze e non si accetta di cambiare.
- Perché ci si è fermati al 10?
Geremia ed Ezechiele oseranno scendere ancora di più, intuendo che Dio perdona il suo
popolo se incontrasse anche un solo giusto.

Ricorda Geremia: "Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi,
cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la
perdonerò" ( (5,1).

Ricorda Ezechiele: " Ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si
ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non
l’ho trovato." (22,30).

- In un certo senso sono state riprese dall'autore biblico delle leggende e si vuol dare significato, con un tocco di fantasia, alle formazioni saline, che sembrano figure umane cristallizzate. Ma, ancor meglio, l'autore biblico vuole dare un significato teologico ad alcuni sommovimenti, ad antichi ricordi di tradizioni e, probabilmente, a terremoti, che hanno sconvolto la regione, molto prosperosa e, per molti versi, diventata proverbialmente immorale. Il Signore sa salvare e vuole ricostruire un popolo santo, rispettoso della legge, e quindi capace di vivere nella giustizia, sottraendolo al male e al castigo.
Noi cristiani abbiamo trovato l'unico giusto. E’ Gesù, Figlio di Dio; così siamo certi del perdono di Dio stesso.

SALMO
Sal 27 (28)

® Signore, ascolta la voce della mia supplica.
Ascolta la voce della mia supplica,
quando a te grido aiuto,
quando alzo le mie mani
verso il tuo santo tempio. ®

Sia benedetto il Signore,
che ha dato ascolto alla voce della mia supplica.
Il Signore è mia forza e mio scudo,
in lui ha confidato il mio cuore.
Mi ha dato aiuto: esulta il mio cuore,
con il mio canto voglio rendergli grazie. ®

Forza è il Signore per il suo popolo,
rifugio di salvezza per il suo consacrato.
Salva il tuo popolo e benedici la tua eredità,
sii loro pastore e sostegno per sempre. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 4, 16-25

Fratelli, eredi si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi – come sta scritto: «Ti ho costituito padre di molti popoli» – davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono. Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne «padre di molti popoli», come gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 13, 23-29

In quel tempo. Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».


Commento

Gesù, dice l'evangelista Luca, sta svolgendo il suo compito educativo attraverso la
predicazione mentre ha come meta Gerusalemme: "Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme" (v 22).
La domanda che gli viene rivolta da uno sconosciuto "Sono pochi quelli che si salvano?", è suggestiva ed ha già ricevuto alcune risposte negli scritti giudaici dell'epoca e avrebbe aperto un'infinita discussione teologica. Alla fine, però, sarebbe diventata inutile e irrilevante.
Gesù non si presta a questi interrogativi curiosi, ma rimanda alla serietà del problema della salvezza, filtrato tuttavia nel modo di affrontare da parte di ciascuno le proprie scelte.
- "Sforzatevi". In questo caso, però, il problema non si pone più su quanto il Signore è disponibile a salvare. Il problema si pone su quanto ciascuno di noi è disposto ad impegnarsi fino in fondo. Collegato con l'insegnamento che Gesù sta sviluppando nel suo cammino mentre sale a Gerusalemme, lo “sforzatevi” rimanda non solo ad un allenamento sportivo, ma ad un impegno verso mete attese e conquistate.
- La parabola del banchetto, a cui però si accede per una porta stretta e che può essere improvvisamente chiusa, pone infiniti e angosciosi interrogativi. È proprio Luca che riporta questo testo, mentre, normalmente, testi pesanti per la loro durezza siamo abituati a leggerli nel Vangelo di Matteo. Eppure qui Luca divide drammaticamente in due il gruppo di persone che cercano il Signore.
Quelli che sono entrati sono tanti, da tutto il mondo (c'è il richiamo ai quattro punti cardinali), probabilmente neppure conoscitori di Gesù che pure è al centro del banchetto.
Eppure tutti questi, consapevoli o meno, si sono impegnati e si sono sforzati di cercare la strada del Signore.
- quelli che sono rimasti fuori si direbbero conoscenti, ascoltatori e amici di Gesù, alcuni curiosi, alcuni diffidenti, probabilmente, però, molti simpatizzanti del messaggio che Gesù proponeva. Questi bussano con violenza, insistono e, per quello che dicono, pretendono che la porta si apra per loro.
- Chi sono coloro a cui Gesù si rivolge? Certamente, Gesù fa riferimento ai suoi
contemporanei che lo hanno ascoltato, ma non hanno accettato le scelte che Gesù ha
suggerito, insegnamento come traduzione della volontà di Dio nell'oggi. Ma i riferimenti possono essere anche rivolti ai cristiani che Luca ha davanti, mentre scrive, e a cui ha proposto il messaggio di Gesù. Certamente la linea di Luca nel rileggere la proposta di Gesù passa attraverso la sua misericordia: Gesù è accogliente, porta speranza, è attento ai piccoli e ai poveri, racconta l’abbraccio del Padre con il figlio prodigo che torna. Ma questo non significa che allora il messaggio di Gesù sia insignificante, superficiale, generico, banale.
Nell'impegno dello “sforzarsi” c’è tutta la ricerca di un cambiamento, il coraggio di sgretolare le incrostazioni, la fiducia nel ritrovare il senso più profondo della parola che Gesù insegnava, la sua passione ("Gesù cammina verso Gerusalemme”), il superamento della delusione e della disperazione attraverso la risurrezione di Gesù e nostra.
Alla fine Gesù, alla domanda iniziale, risponde. Egli dice che sono infiniti coloro che si salvano, e i loro volti saranno una sorpresa perché verranno da tutte le nazioni. Ma ciascuno saprà di avere avuto un rapporto unico con il Signore, personale, legato alle esperienze di vita, alla parola di Gesù maturata e macerata nella fatica del proprio “sforzarsi di passare per la porta stretta.”
Certamente, nella riflessione su questo testo bisognerebbe esemplificare, lasciando ai fratelli e alle sorelle le risposte. Che cosa significa porre il problema dello sforzarsi nel lavoro, nella giustizia, nelle relazioni, nel rispetto della legge, nella conoscenza delle povertà, nelle chiusure personali per non essere disturbati, nelle competenze, nella politica? E qual è la porta stretta in tutte queste situazioni?

martedì 15 giugno 2010

DOMENICA IV dopo Pentecoste - 20 giugno 2010


LETTURA
Lettura del libro della Genesi 4, 1-16

In quei giorni. Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo. Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.

SALMO
Sal 49 (50)

® Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello.
Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente.
«Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici,
i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti». ®

Al malvagio Dio dice:
«Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle? ®

Ti siedi, parli contro il tuo fratello,
getti fango contro il figlio di tua madre.
Hai fatto questo e io dovrei tacere?
Forse credevi che io fossi come te!
Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa».®

EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 11, 1-6

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile. Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora. Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 5, 21-24

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».

Il Vangelo di Matteo sta sviluppando "il discorso delle Beatitudini," il primo dei cinque lunghi discorsi che

l'evangelista scrive nel suo Vangelo per ricordare che Gesù, nuovo Mosè, porta a compimento la legge

raccolta nei primi 5 libri della Bibbia, detti la Torah.

Dopo le beatitudini e l’affermazione che i discepoli sono "sale e luce del mondo", avendo accolto le

beatitudini, Gesù sviluppa il significato della sua presenza. Egli è "compimento" della promessa, garanzia

di novità e di fedeltà di Dio.

E se invita all’osservanza della legge di Mosè, incoraggia per una "giustizia sovrabbondante". Non si

tratta, infatti, di rispettare alla lettera i comandamenti di Dio, ma di arrivare ad un atteggiamento interiore

profondo del cuore e alla purezza di intenzione.

Per chiarire meglio la rilettura profetica fatta da Gesù che "compie la legge" e per aiutare a scoprire questa

"giustizia superiore", Matteo riporta sei esempi o "antitesi" (contrapposizioni), introducendo con: "In

antico fu detto" e concludendo con: "Ma io vi dico".

Un elenco di sei è il richiamo ad una ricerca di comportamenti che non è però conclusa in sé, ma è

passibile di una ulteriore esemplificazione che la storia ci aprirà (un richiamo simile di sei situazioni di

sofferenza, ma non esaustivo, è sviluppato nello schema del giudizio finale che Gesù riporta in Mt25,31

ss: “Avevo fame, avevo sete, ecc”).

Il “non uccidere” è una disposizione chiara (Gen 9,5-6) che vale anche di fronte ad un criminale (Gen

4,15: Caino). La vita umana è sacra e intangibile. Ma il cuore delle persone può diventare, esso stesso, un

cimitero di uccisi ipotetici quando neghiamo il perdono, quando continuamente rinfacciamo agli altri il

loro errore commesso, quando abbiamo tolto il buon nome con maldicenze e calunnie, quando abbiamo

privato chi ci sta vicino dell'amore e della gioia di vivere. Usare parole offensive, adirarsi, alimentare

l'odio significa uccidere il fratello (v 22). E fa parte di questa operazione di esclusione e di violenza il

denigrare l'altro con una delle parole: "stupido, pazzo, senza Dio...". Non dimentichiamo che queste

parole, per gli ebrei, possono avere dei particolari significati religiosi di contrapposizione al Signore.

Nel testo, per tre volte, viene ripetuta la parola "fratello" (versetti 22-24): si pone, così, come un

fondamentale richiamo ai motivi della riconciliazione.

Ogni ebreo, prima di pregare, doveva sottoporsi a meticolose purificazioni, quindi, una volta iniziata la

preghiera giudaica più importante: "Ascolta Israele", non ci si poteva interrompere neppure se un serpente

si fosse attorcigliato intorno alla gamba di chi pregava. Gesù, invece, afferma che, per riconciliarsi con il

fratello, si può interrompere qualsiasi cosa, anche l'offerta del sacrificio nel tempio.

Il Vangelo va preso per quello che dice, per quello che vuole: non c'è da scegliere. Devi preferire la pace e

poi la preghiera e l’offerta. E poiché è difficile che noi ci rendiamo conto di avere sbagliato, e poiché la

pace incontra sui suoi passi l'orgoglio, la presunzione o la vanità, il Signore vuole veramente che ognuno

di noi cerchi la pace. Come? Non discutendo su chi ha la colpa della inimicizia, o su chi ha cominciato per

primo. L'invito che oggi ci sentiamo fare è, perlomeno, curioso e tuttavia estremamente robusto e virile:

"Guarda e controlla quanti hanno qualcosa contro di te. Se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di

te, lascia il tuo sacrificio davanti all'altare. Rappacificati prima, poi vieni".

San Paolo traduce questa attenzione di Gesù in una sua lettera: "Non tramonti il sole sulla vostra ira"

(Efesini 4,26). Ci troviamo, comunque, in un orizzonte di difficile soluzione, ma proprio questi

suggerimenti ci rimandano alla nonviolenza che Gesù propone alla sua comunità e che spesso ci viene

facilmente oscurata dalla pretesa di avere ragione, o, addirittura, dalla volontà, magari, di voler difendere

Dio. Ma, a questo punto andrebbero inventate infinite situazioni di responsabili accoglienze, di rapporti

nuovi, di criteri di pace.

Il problema si pone poi, in particolare, nella realtà sociale e nel lavoro dove ci sembra scontato avere diritti

ed avere ragioni sull’altro.

giovedì 10 giugno 2010

domenica 13 giugno 2010 III dopo Pentecoste

Domenica III dopo Pentecoste - 13 giugno 2010

LETTURA
Lettura del libro della Genesi 3, 1-20

In quei giorni. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: / «Poiché hai fatto questo, / maledetto tu fra tutto il bestiame / e fra tutti gli animali selvatici! / Sul tuo ventre camminerai / e polvere mangerai / per tutti i giorni della tua vita. / Io porrò inimicizia fra te e la donna, / fra la tua stirpe e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno». / Alla donna disse: / «Moltiplicherò i tuoi dolori / e le tue gravidanze, / con dolore partorirai figli. / Verso tuo marito sarà il tuo istinto, / ed egli ti dominerà». / All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, / maledetto il suolo per causa tua! / Con dolore ne trarrai il cibo / per tutti i giorni della tua vita. / Spine e cardi produrrà per te / e mangerai l’erba dei campi. / Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, / finché non ritornerai alla terra, / perché da essa sei stato tratto: / polvere tu sei e in polvere ritornerai!». / L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

SALMO
Sal 129 (130)

® Il Signore è bontà e misericordia.
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica. ®

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore. ®

Io spero, Signore.
Spera l’anima mia, attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 5, 18-21

Fratelli, come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 1, 20b-24b

In quel tempo. Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: / «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.


Il centro di questo testo è la nascita di Gesù mentre Dio cerca dei collaboratori.
Maria si trova in quel periodo di tempo che va dal fidanzamento al matrimonio. E il fidanzamento è già il primo momento della celebrazione del matrimonio quando la donna viene "consacrata" all'uomo e due giovani possono già essere chiamati marito e moglie. La violazione del fidanzamento è considerato adulterio (Deuteronomio 22,23-27). Così, già promessa, Maria non vive ancora insieme a Giuseppe poiché tra il contratto nuziale e la convivenza sotto lo stesso tetto passa circa un anno.
Le ragazze si sposano molto giovani: 14 o 15 anni. Quel periodo di attesa è veramente un corso accelerato di apprendistato per la conduzione della casa e di perfezionamento di ciò che già fanno; molto presto, infatti, i bambini iniziano ad aiutare i genitori.
Giuseppe è "giusto" secondo la giustizia di Dio che esprime l'ubbidienza alla volontà del Signore. Non si dice se la Madonna avesse parlato dell'incontro con l'angelo a Giuseppe, prima di partire per la casa di Elisabetta, ma certamente Giuseppe, quando il problema gli si pone, scopre un grave interrogativo morale.
Più che il sospetto su Maria, c’è la domanda: "Che significato posso avere, ormai, io in questa nascita”?
E poiché la sua giustizia non è quella della legge ("Se sospettasse un adulterio, sarebbe obbligato a denunciare Maria"), egli è alla ricerca di un comportamento personale coerente, avendo escluso un sospetto di male. Per quello che può e sa, riflette e decide: "Non sono ormai all'altezza di alcun ruolo e, nello stesso tempo, non posso denunciarla, perché la sottoporrei ad una condanna che non può meritare". Perciò "pensa di rimandarla in segreto ".
“Non temere. Il Figlio nascerà per lo Spirito Santo". Ella è la madre: "darà alla luce un figlio", ma tu gli farai da padre perché "tu gli darai il nome di Gesù: il Signore salva". Dare il nome è compito e dovere del padre che si prende cura e che protegge. Anzi, dovrà impegnarsi a rendere credibile quel nome e ad educare Gesù ad avere il coraggio di salvare gli altri.
Così Giuseppe si fida di Dio e accetta di sviluppare i progetti imperscrutabili, camminando, passo passo, con Maria e con Gesù che alleverà con cura e responsabilità. In questo cammino, Dio mostrerà di essere l’Emanuele, "il Dio tra noi".
La nostra è una società detta senza padri. Con questo si intende che mancano coloro che fanno da punto di riferimento per i figli e per le nuove generazioni e si intende anche che mancano coloro che si assumono la responsabilità per la vita degli altri.
Entrambi questi elementi sono essenziali alla famiglia e alla società, e richiedono una grande maturità umana.
Maturità che è fatta di ricerca di valori sui quali fondare la propria vita, valori da testimoniare concretamente, ed è fatta di spirito di dono, di servizio alla vita, di una volontà di prendersi cura dei figli e delle persone che vengono affidate alla nostra responsabilità.
Queste cose mancano spesso. Lo vediamo nell’esperienza quotidiana, ma non è detto che debbano mancare. Non siamo condannati ad essere molluschi.
La vocazione di Giuseppe è quella di essere uomo giusto e di assumersi la responsabilità di Maria e di Gesù. Anche noi siamo chiamati dal Vangelo a diventare persone che si prendono cura dei fratelli che Dio ci affida.

giovedì 3 giugno 2010

Domenica 6 giugno 2010 II di Pentecoste

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE - 6 giugno 2010

LETTURA
Lettura del libro del Siracide 18, 1-2. 4-9a. 10-13

Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo.
/ Il Signore soltanto è riconosciuto giusto.
/ A nessuno è possibile svelare le sue opere
/ e chi può esplorare le sue grandezze?
/ La potenza della sua maestà chi potrà misurarla?
/ Chi riuscirà a narrare le sue misericordie?
/ Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere,
/ non è possibile scoprire le meraviglie del Signore.
/ Quando l’uomo ha finito, allora comincia,
/ quando si ferma, allora rimane perplesso.
/ Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire?
/ Qual è il suo bene e qual è il suo male?
/ Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti.
/ Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia,
/ così questi pochi anni in un giorno dell’eternità.
/ Per questo il Signore è paziente verso di loro
/ ed effonde su di loro la sua misericordia.
/ Vede e sa che la loro sorte è penosa,
/ perciò abbonda nel perdono.
/ La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo,
/ la misericordia del Signore ogni essere vivente.

SALMO
Sal 135 (136)

® Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre.
Rendete grazie al Dio degli dèi,
perché il suo amore è per sempre.
Rendete grazie al Signore dei signori,
perché il suo amore è per sempre.
Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,
perché il suo amore è per sempre. ®

Ha creato i cieli con sapienza,
perché il suo amore è per sempre.
Ha disteso la terra sulle acque,
perché il suo amore è per sempre.
Ha fatto le grandi luci:
perché il suo amore è per sempre. ®

Il sole, per governare il giorno,
perché il suo amore è per sempre.
La luna e le stelle, per governare la notte,
perché il suo amore è per sempre. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 18-25

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente
non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.
L’ardente aspettativa della creazione, infatti,
è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità
– non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta –
nella speranza che anche la stessa creazione
sarà liberata dalla schiavitù della corruzione
per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre
le doglie del parto fino ad oggi.
Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito,
gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli,
la redenzione del nostro corpo.
Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza;
infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo?
Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 6, 25-33

In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo:
«Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita,
di quello che mangerete o berrete,
né per il vostro corpo, di quello che indosserete;
la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo:
non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete forse più di loro?
E chi di voi, per quanto si preoccupi,
può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate?
Osservate come crescono i gigli del campo:
non faticano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone,
con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Ora, se Dio veste così l’erba del campo,
che oggi c’è e domani si getta nel forno,
non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo:
“Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?
Che cosa indosseremo?”.
Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani.
Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia,
e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».


Commento


Il Vangelo di Matteo è dominato, in questo testo, dalla parola "non preoccupatevi (meglio sarebbe dire non affannatevi: il verbo greco, nel brano, è ripetuto 6 volte) ed è preceduto dalla riflessione sulla scelta tra Dio e la ricchezza. "Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza" (v 24).
Nella vecchia traduzione veniva riportata la parola ebraica "Mammona", un termine che indicava i beni e i possedimenti. Non aveva un significato negativo, ma deriva dalla radice "aman" (come il nostro Amen) e vuol dire "stare saldo". Perciò la ricchezza (Mammona) è una realtà a cui mi affido e mi appoggio. Mi dà garanzia, ma può diventare un idolo, quando lo metto alla pari e quindi lo contrappongo a Dio stesso.

Gesù usa poi, al posto di "servire", i verbi: amare, odiare, preferire, disprezzare. Bisogna scegliere di servire (e qui "servire" ha un significato religioso: ubbidire, decidere totalmente, mettersi a disposizione).

II discepolo deve abbandonarsi con fiducia nelle mani del Padre. Non ci si deve "affannare" (in greco "merimnao" viene da "meros": parte, pezzo). Il discepolo non deve "andare in pezzi", perdendo la propria unità e serenità.

Non si vuole qui fare l'elogio alla pigrizia, come se ci si debba sforzare di vivere
nel fatalismo e nell'attesa di un paracadute di viveri dal cielo.
Come uomini e donne adulti, siamo impegnati nei nostri compiti e nella nostra vocazione di persone che trasformano il mondo, ma "non ossessionati dal cibo e dal vestito" (pur elementi fondamentali per la vita, non è un caso che vengano qui ricordati due tipi di lavori: quello degli uomini che è la coltivazione della terra e quello delle donne che è il filare).

Chi segue Gesù "cerca prima il Regno e la sua giustizia". Cercare il Regno significa cercare il senso
della vita, i valori fondamentali che la costituiscono, il significato che Gesù ci propone. Il Regno è,
infatti, la presenza di Gesù nella vita, scoperta di una novità che trasforma e rivela il volto del Padre e la sua volontà. Si traduce allora la giustizia del Regno che è la bellezza e l’armonia, la misericordia e l’accoglienza.

Così nella ritrovata unità del cuore non mancherà l'essenziale, oltre che la pace.

I pagani si occupano solo del mangiare e del bere. Vivono solo in funzione del benessere e del danaro.
Ma, come credenti in Gesù, siamo chiamati a scelte più grandi. Abbiamo qui anche la misura della
nostra fede ed il livello della nostra fiducia e speranza. Se ci preoccupiamo solo delle cose, del benessere e del danaro, del mangiare e del bere, qualunque cosa facciamo o qualunque preghiera diciamo, ci scopriamo pagani e non incontriamo più il Signore e la sua giustizia.

Il seguito del testo è prezioso anche per l’equilibrio interiore: “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena” (v.34).