giovedì 29 novembre 2012

2 dicembre 2012 TERZA DOMENICA DI AVVENTO Dio è fedele alle sue promesse e ci stupisce con il suo amore




2 dicembre 2012  TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Dio è fedele alle sue promesse e ci stupisce con il suo amore

Lettura
Is 45,1-8
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Io marcerò davanti a te;
spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo,
romperò le spranghe di ferro.
Ti consegnerò tesori nascosti
e ricchezze ben celate,
perché tu sappia che io sono il Signore,
Dio d’Israele, che ti chiamo per nome.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri.
Io formo la luce e creo le tenebre,
faccio il bene e provoco la sciagura;
io, il Signore, compio tutto questo.
Stillate, cieli, dall’alto
e le nubi facciano piovere la giustizia;
si apra la terra e produca la salvezza
e germogli insieme la giustizia.
Io, il Signore, ho creato tutto questo».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 125(126))
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. R.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. R.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. R.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. R.
Epistola
Rm 9,1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt11,13-14)
Alleluia.
La Legge e i Profeti hanno profetato fino a Giovanni;
è lui quell’Elia che deve venire.
Alleluia.
Vangelo: Lc 7,18-28
In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio più grande di lui.
Parola del Signore.
Lettura del profeta Isaia:45, 1-8

Gli ebrei si trovano a Babilonia, deportati dopo la sconfitta e la distruzione di Gerusalemme. Sorge un profeta anonimo per noi, ma conosciutissimo ed ascoltato presso gli esuli che ricordano con nostalgia la città di Dio, Gerusalemme, abbandonata e distrutta (siamo nel sec VI a.C.).. Questo profeta anonimo (che si usa chiamare Secondo Isaia, ma i cui vaticini sono inseriti nell'unico libro di Isaia) rivela ciò che Dio ha riservato per il futuro dei suoi fedeli. Essi ritorneranno, se lo vorranno, poiché un nuovo re, Ciro, re dei persiani, nelle sue campagne militari vittoriose, sta conquistando e sottomettendo i regni dell'Asia Minore e dell'Oriente. Si dirige verso Babilonia, la conquista senza incontrare resistenza, libera i popoli sottomessi e proclama, con un editto a tutti i deportati, che possono tornare nelle loro terre se lo desiderano. Di fatto non tutti gli ebrei ritorneranno, ma molti si fermano a Babilonia e addirittura vi si istituisce una scuola ebraica famosa nei secoli futuri.

Ciro si presenta come salvatore degli oppressi e difensore dei deboli.

Se la storia racconta queste vicende, l'autore biblico tenta di aiutare ad interpretare i fatti avvenuti, svelando che questo re è un eletto dal Signore, Dio di'Israele, mandato da lui anche se il re non lo sa e non conosce il Dio degli ebrei e quindi attribuisce la sua vittoria al suo Dio e alla sua buona sorte. "Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re (per disarmarli), per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso" (45,1).

L'avere unito insieme il Dio creatore e il Dio che conduce la storia aiuta a capire che "Io sono il Signore e non ce ne alcun altro; fuori di me non c'è Dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5).

"Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura" (v7). In questo versetto vengono rilette la natura e la storia, le tenebre e la sciagura (che pure fanno parte della vita e sono il suo lato oscuro).

Ma in tutto questo si intravvede l'apertura della speranza perché Dio è presente: forma la luce e fa il bene.

Nell'ultimo versetto (8) si legge il richiamo alla fecondità che Dio offre: rugiada e pioggia, semi e frutti. Il cielo e la terra si uniscono in questa abbondanza per l'opera di Dio perché il popolo viva in pace. Ci si ricollega, così, al versetto 44,23 e fa da chiusura ad un inno che era cominciato con questo invito: "Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilante, profondità della terra". Là si parla di cieli giubilanti e terra, di monti e alberi; qui si dice "Fecondate il suolo perché il ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza".

Mi sembra un testo splendido e inaudito per il VT poiché qui è un pagano che viene esaltato a strumento voluto da Dio per liberare e mostrare la sua misericordia. Per giungere a questa intuizione, ci si deve mettere nell'atteggiamento di chi sa della presenza discreta e anonima di Dio che però opera nel mondo e ci offre "segni": sono i grandi segni della storia e i piccoli segni della nostra vita personale che dobbiamo identificare e interpretare, Vi ricordo un atteggiamento fondamentale che ci ha svelato il Card. Martini per la sua vita interiore. Da pastore si è chiesto: "Perche mi si presenta questo problema concreto (un attentato terroristico, una fabbrica che chiude, un prete che intende lasciare l'abito, un politico che ruba, una coppia che vuole conciliare il proprio amore e la possibilità di decidere quando aver figli e quanti, una donna abbandonata dal marito che si è rifatta una vita affettiva e chiede i sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa vuole dirmi il Signore mettendomi davanti a tali vicende, e come pensa che io possa essere testimone della speranza e della fiducia che ha posto in me?" E' lo stesso atteggiamento di come il Card. Martini si metteva di fronte alla Scrittura per cercare risposte. (Marco Garzonio nella sua recente biografia sul Card. Martini).

Ma dovrebbe essere anche il nostro interrogativo nel tempo dell'attesa.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 9, 1-5

Il cap 8 è un grande canto di amore e di meraviglia per quanto il Signore ha fatto, ha offerto e sta facendo maturare nella vita di ogni credente. E tuttavia Paolo si sente sconcertato proprio dalla lontananza, nell'insieme, del suo popolo dalla fede nel Signore Gesù.

Questa lettera è scritta a circa 30 anni dalla morte e risurrezione di Gesù e ormai si è profilato con certezza l'atteggiamento complessivo del popolo d'Israele, anche se molti hanno aderito alla fede in Cristo. Il dramma sempre acuto di Paolo fa riferimento al cammino del suo popolo. E lo sconcerto aumenta quando Paolo confronta l'entusiasmo di alcuni pagani che accolgono il messaggio di Gesù e parallelamente deve verificare un distacco ormai incolmabile dai suoi. Egli dice che accetterebbe persino di diventare un maledetto ("anatema") se questo potesse servire a qualcosa. E' la stessa sofferenza che visse Mosè di fronte al tradimento del suo popolo, che aveva costruito nel deserto un vitello d'oro, e addirittura alla stanchezza di Dio che voleva cancellare tutti per ricominciare con Mosé, l'ultimo fedele rimasto, un popolo nuovo. Così Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio: "Ora tu perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto" (Es 32,32).

Ma dopo Mosè l'esperienza della fedeltà di Dio si è manifestata in modo impensabile e quindi Paolo continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani.

La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un nemico, come spesso è risultato nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta sconcertato del mistero d'Israele e ricorda i segni della predilezione del Signore. Essi sono Israeliti: gli autentici discendenti di Giacobbe-Israele (Gen 32,29). Da questo privilegio scaturiscono tutti gli altri: l'adozione filiale (Es 4,22; cf.Dt 7,6); la gloria di Dio (Es 24,16) che dimora in mezzo al popolo (Es 25,8; Dt 4,7; cf.Gv 1,14); le alleanze con Abramo (Gen 15,1;15,17;17,1), Giacobbe-Israele (Gen 32,29), Mosè (Es 24,7-8); il culto reso al solo vero Dio; la Legge espressione della sua volontà; le promesse messianiche (2Sam 7,1) e, da ultimo, ma è il dono più grande, l'appartenenza alla stirpe di "Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli" (9,5).

Paolo mantiene un atteggiamento di fiducia poiché crede nella misericordia di Dio, mentre, comunque, assiste ad un allontanamento. Eppure è convinto che il Signore opera continuamente ed è capace di capovolgere le cose.

Dovrebbe essere l'atteggiamento che il Signore ci chiede. Ma certo, non va accettata la fiducia come un alibi per rassegnarsi e non fare niente. La nostra operosità stessa sarà dal Signore utilizzata per una maturazione, ma non sappiamo quando, poiché la volontà di Dio non si capisce mai fino in fondo.

Paolo si fida e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella salvezza.

Lettura del Vangelo secondo Luca 7, 18-28

In questo testo Luca vuol aiutarci a capire quanto fosse diversa l'attesa del Messia e quindi l'interpretazione della sua venuta nel popolo d'Israele: e questo non solo tra le persone semplici e analfabete ma anche tra le persone dotte ed esperte della legge e perfino nelle persone più vicine e più coerenti quale Giovanni Battista.

Luca introduce in un contesto particolare l'interrogativo drammatico di Giovanni Battista sul messianismo di Gesù. Nel cap 6 ha riletto le "beatitudini" di Gesù, riducendole da 9 (secondo la versione di Matteo) a 4, ma confrontandole con i "guai" corrispondenti: 4 "beatitudini" e 4 "guai" (6,20-26). Poi fa seguire alcune raccomandazioni sapienziali sull'amore e sul comportamento coerente.(6, 27-38). Infine Luca conclude, come Matteo, il lungo discorso delle beatitudini, con l'immagine della casa sulla roccia, garanzia di radicamento in Gesù (Lc 46-49; Mt 7,21-27). All'insegnamento di Gesù Luca aggiunge due miracoli: la guarigione del servo di un centurione (7,1-10 dono ad un pagano del servo ristabilito) e la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7,11-17 dono ad una vedova del figlio ritornato in vita). In tal modo Luca ricorda che i poteri di Gesù si allargano su orizzonti immensi con gesti ritenuti finora impossibili: accettare un pagano e risuscitare un morto.

Ora che ha preparato il campo, raccontando, in sintesi, ciò che Gesù ha detto ed ha fatto, Luca sente di poter parlare di Giovanni, del suo ruolo indispensabile, ma anche delle sue difficoltà ad accettare il messaggio di Gesù, poiché è assolutamente inimmaginabile rispetto alle sue attese. Il Messia, si pensa, deve essere un giustiziere e un regolatore di libertà, un personaggio che rimette in valore il giusto, l'Alleanza che è garanzia di un popolo scelto e quindi unico e privilegiato.

Giovanni il Battista ha creduto che bisogna meritarsi questa presenza, riconoscendo il male, chiedendo perdono e facendo penitenza. Sa di aver fatto tutto il possibile, perciò aspetta, ma è anche impaziente. Crede che il primo gesto del Messia sarà la sua liberazione. In prigione deve essere stato trattato con rispetto (poiché può ricevere visite e si intrattiene con i suoi discepoli). Vuole, però, vedere il cambiamento, perché proprio per questo si è giocato tutto.

Gesù risponde in modo indiretto. E' molto chiaro e invita a riferire "ciò che avete visto e udito" (22). Gesù anticipa il vedere all'udire. Bisogna "prima vedere", e saper vedere la novità, la vita nuova, la liberazione che le parole del profeta hanno solo annunciato. "Poi il ciò che è stato udito" diventa testimonianza, significato, messaggio garantito dalla liberazione avvenuta per la parola: pronunciata e percepita.

La missione di Gesù è altro da ciò che si aspettano, e fa prendere coscienza di 6 nuove realtà: "i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia" (7,22). Le guarigioni richiamano Isaia, i lebbrosi fanno ricordare Naaman il Siro, guarito da Eliseo (2 Re 5), la risurrezione dei morti ci riporta ad Elia (1Re 17,21-23; 2Re,4,34).

Non ci troviamo davanti a gesti di potenza ma di fronte al nuovo Regno che viene annunciato ai poveri come "lieta (ma anche nuova) notizia" e liberazione.

Giovanni annuncia un tempo che elimina i peccatori, Gesù annuncia un Regno di misericordia e di consolazione che li accoglie. Perciò è il tempo della pazienza, dell'operosità gratuita, della libertà dove Dio non interviene a castigare poiché egli ama i suoi figli e non vuol fare loro nulla di male.

«E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» E' un avvertimento che fa a tutti, mentre è fiducioso di Giovanni poiché è coerente con la Parola e la Volontà di Dio. Ma tutto questo richiede che bisogna rivedere la propria cultura, attese, la stessa nostra idea di Dio.

Gesù pone 6 domande retoriche e tre affermazioni: Giovanni non è volubile, non è opportunista, non è corrotto. E' il vero credente che non abbandona, lotta, ma continuamente si pone delle domande, anche su Dio, che si presenta a noi nella sua Parola, nei pensieri, nelle attese, nei fatti, nei segni. A noi il Signore chiede ancora di vedere e di udire.

Il nostro esame di coscienza ci riporta a capire che, nel nostro tempo, ci siamo abituati a leggere la Parola di Gesù, ma poco a comprenderla; e non ci misuriamo insieme. Non ci sembra che la proposta cristiana, per noi, sia troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo tranquilla, troppo scontata? Allora, probabilmente, non è quella vera. I tempi e lo stile del Regno sono enormemente nuovi e diversi: aprono ad un mondo assolutamente inaspettato. Dovrebbero disorientare tutti nel tempo, anche noi, come allora. Quali sono i grandi problemi che ci fanno pensare, discutere, cambiare? La guerra, la giustizia, il lavoro, per tutti o non piuttosto il prestigio, il posto, il reddito alto, lo sfuggire alla solidarietà, l'interesse di parte, il moderatismo per sistemare i propri problemi, la gelosia, l'apparire? Non ci sembra di essere troppo vaccinati dallo scandalo di Gesù?



PER LA NOSTRA VITA

1. «Sei tu colui che deve venire?»
Irrompe la sovrabbondanza ed è disorientamento.
Il testimone, il messaggero in carcere. E il dubbio
sopravanzato e travolto da annunci di misericordia senza confine.
Il dubbio, la domanda trasmessa ai suoi discepoli per Gesù.
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro»?
In quale modo si rivela il “passaggio di Dio?”.
Il dubbio e lo sconcerto si fanno strada.
La giustizia divina è quella mostrata nelle opere di Gesù.
I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i sordi odono, i lebbrosi sono purificati, i morti risuscitano, ai poveri è predicato il vangelo.
Tutta la benevolenza di Dio si mostra.
Disarmante nelle parole e nell’itinerario umano di Gesù.
Il Regno di Dio cammina tra gli uomini e queste opere dicono che Gesù è «colui che deve venire».
E dunque è qui, tra noi.
L’azzardo della misericordia,
la gratuità incondizionata sulla vicenda umana.
Irrompe come Parola che sana, come gesto che dà vita. Dio in Cristo cammina con noi.
Da questo punto in poi il pregiudizio, la sordità, la superficialità, la cattiva intenzione, possono impedire il riconoscimento e la conversione di cui Giovanni il precursore annunciava la necessità.
Giovanni e Gesù.
Il confine e la sovrabbondanza.
La Legge, i profeti, il Regno tra noi.
Non si dà l’indifferenza; occorre entrare decisamente in quanto Giovanni ha annunciato, in quanto Gesù inaugura.
E camminare.
F. CECCHETTO, Testi inediti.

2. Noi proveniamo da un amore originario e diventiamo noi stessi, facciamo unità nel nostro essere, quando viviamo con e per amore. Dove però amore non significa il possesso, l’esercizio dell’egoismo, o un generico sentimento di benevolenza, ma apertura all’altro con la gioia. […] È così che l’“altro” diventa unico, valore vivente originale, volto. L’amore che ricapitola non è un qualsiasi amore, ma solo quello che affiora nella misura in cui ho imparato ad amare partecipando a un amore vero in sé, ossia mai violento, distruttivo, accecato. Questo è l’amore comunicatoci dal Dio vivente.
R. MANCINI, Il senso del tempo e il suo mistero (Al di Là del Detto 10), Pazzini, Villa Verucchio 2005, 22009, p. 98.


3. La potenza di Dio è, nella sua qualità di potenza che rende possibile la vita, così prepotentemente presente da non aver bisogno di alcuna misura di protezione. Non solo il modo di agire della potenza vitale divina, bensì anche i suoi destinatari e le sue conseguenze sono definiti in modo nuovo da Gesù. La potenza vitale inflessibile di Dio non è in Gesù il fondamento di una teologia dell’impegno prodigo della vita, impegno prodigo che costituisce la base dell’euforia bellica. La predicazione gesuana della basiléia non è in primo luogo un invito a dare la vita per il regno, bensì piuttosto una parola di guarigione, cioè una parla che parla della vita donata e potentemente rinnovata da Dio. Essa non è indirizzata ai sani per invitarli a sacrificarsi, bensì ai malati che pervengono a una vita non più colpita da disabilità e impedimenti. Il coraggio e l’impegno che questa vita esige, in virtù del messaggio proclamato da Gesù a suo riguardo, sono il superamento della paura della morte non allo scopo di morire, bensì allo scopo di vivere una vita illimitata, che supera le disabilità, e soprattutto, non esclusiva, bensì includente tutti gli uomini.
R. MIGGELBRINK, L’ira di Dio. Il significato di una provocante tradizione biblica, Traduzione di C. DANNA (Giornale di Teologia 309), Editrice Queriniana, Brescia 2005, p. 104.


4. Ciò che di Dio resta (se si può dire) è questo spazio nudo e vuoto che sta tra gli uomini, e che significa solamente (ma che grandezza ha questo: solamente) che non vi è nessuna pretesa degli uni sugli altri; solamente lo sguardo, la voce, il viso, la presenza, che donano a ciascuno la possibilità di essere liberato dall’abisso. […] È in lui che noi possiamo essere, gli uni per gli altri: accoglienza, libertà, nutrimento; noi, insieme, nell’originario legame di umanità, che è anche il più altro, perché è vero che mentre non siamo legati da nulla, nulla precede questa donazione pura che fa sì che la vita sia “essere gli uni per gli altri”.
M. BELLET, Dio? Nessuno l’ha mai visto, Traduzione di A. CLEMENTE (Dimensioni dello Spirito 196), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo MI 2010, pp. 77-78.


5. L’atteggiamento cristiano è quello “del Dio con me”. Dio è il Dio della mia casa, il Dio della mia porta, il Dio della mia mensa; è il mio compagno di viaggio, che mi ha dato la mano e al quale io posso dare la mano; è il Dio della comunione personale, delle pareti domestiche, dell’ottimismo, della speranza; è il Dio che vince in forma radicale la solitudine, che non è vinta da nessun’altra compagnia. Ma tutto questo avviene a un patto: che mi abbandoni, mi fidi. Egli dice: “Non sai che cosa c’è voltato l’angolo, devi fidarti”. […] Egli cammina con noi nella nebbia, non ci permette di vedere col nostro occhio, perché non vuole che prevediamo col nostro cuore.
L. SERENTHÀ, La storia degli uomini e il Dio della storia, a cura di A. CARGNEL - M. VERGOTTINI (Collana di Teologia e Spiritualità 5), O. R., Milano 1987, p. 47.


6. Giovanni che ha conosciuto il mistero del Messia, non lo ha seguito e non è divenuto suo discepolo; non è neppure andato di villaggio in villaggio predicando la venuta del Messia. Siè limitato a dargli testimonianza davanti ai suoi discepoli e davanti alla gente nel luogo in cui battezzava. […]
È la via propria del Precursore che esigeva questo esser messo da parte, il culmine dell’abnegazione. A lui che era il messaggero dell’Antica e della Nuova Alleanza, non fu permesso di aver parte alla gioia di vivere sulla terra accanto al Signore. L’ha soltanto indicato al mondo nel momento in cui stava per ritirarsi. […]
Giovanni non era un taumaturgo, era un testimone della verità; è in questo che consiste la sua grandezza. Molti fecero miracoli prima di lui tra i nati di donna. Ma Giovanni era così grande che non fece alcun segno. L’opera della sua vita fu un solo e unico segno: è lui stesso, l’Amico dello Sposo, nella sua umiltà.
S. BULGAKOV, in Letture per ogni giorno, a cura di E. BIANCHI - L. CREMASCHI - R. D’ESTE, ElleDiCi, Leumann TO 1980, pp. 26-27.

7. Faceva ressa, voleva essere accolto
e appreso tutto quanto
esso, il mondo – ne scoppiava
il cuore, non aveva la capienza.
E lui teneva acceso
quel furente assedio
ai sensi e all’intelligenza
di noi infanti. Suoi dardi
bersagliavano infuocati
il costato
da ogni parte. Suoi messaggi
e sussurri cercavano pertugi
a penetrarci dentro il sangue.
Divampava
a noi creature
il creato come morbo
come amorosa
tracotanza...
A noi sul limitare, sì,
ma ecco
eravamo già fatti sua sostanza
perché in lui era la perla
della nostra conoscenza
e noi saremmo scesi
d’anno in anno
più a fondo
a catturarla. E questo era il tributo,
questa la mutua ricompensa.
Infine si dichiara, appare
ora aperto quel sigillo.
M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, pp. 36-37

giovedì 22 novembre 2012

25 nov 12 Usciamo dalle nostre paure, troveremo Cristo.






25 novembre 2012  SECONDA DOMENICA DI AVVENTO



Lettura
Is 19,18-24
Così dice il Signore Dio:
«In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole.
In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà.
In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri.
In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra».

Salmo (Sal 86(87))
Popoli tutti, lodate il Signore.
Sui monti santi egli l’ha fondata;
il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose gloriose, città di Dio! R.

Iscriverò Raab e Babilonia fra quelli che mi riconoscono;ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: là costui è nato.
Si dirà di Sion: «L’uno e l’altro in essa sono nati
e lui, l’Altissimo, la mantiene salda». R.

Il Signore registrerà nel libro dei popoli:
«Là costui è nato».
E danzando canteranno:
«Sono in te tutte le mie sorgenti». R.


Epistola
Ef 3,8-13
Fratelli, a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

Acclamazione al Vangelo
(Lc 3,4b.6)
Alleluia.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alleluia.
Vangelo: Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaia:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».


Commento


Il titolo dato dalla liturgia ambrosiana a questa seconda domenica di Avvento è, a dire il vero, Figli del Regno. Lo tengo presente sullo sfondo, anche se preferisco interpretare tale tema in relazione alla ricchezza della liturgia dell’Avvento. Questo registro permette di intonare con originalità la proposta della Parola biblica oggi proclamata, evitando di ritornare ancora una volta al tema dell’universalismo della salvezza, già ampiamente perlustrato nelle ultime domeniche dell’anno liturgico, quelle che precedono e fanno seguito alla dedicazione della chiesa cattedrale.
La scelta delle pagine bibliche di oggi sottolinea infatti non solo l’orizzonte universale del progetto divino, ma anche l’attesa della sua realizzazione per un futuro non ancora posseduto in questa storia umana, perché nelle mani di Dio solo; e, soprattutto, la non assimilazione della chiesa con il Regno di Dio. La ἐκκλησία o συναγωγή – comunità chiamata («ekklesía») o raccolta («synagogé») dall’unico Israele e da tutte le genti a formare un unico popolo di Dio – vive l’attesa di Dio e della sua signoria nella memoria del Crocifisso Risorto e nella speranza di essere con Lui nella gloria di Dio.
La pagina di Marco, in certo modo, unisce le due precedenti. L’origine del vangelo annunziato da Gesù diventa emblematica per capire il vangelo pasquale che annunzia Gesù, come Cristo e Figlio di Dio; la figura di Giovanni il Battista non è solo la «voce di colui che grida nel deserto» per preparare la via del Signore Gesù in quegli anni lontani di spazio e di tempo, ma rimane paradigma per il credente di ogni generazione, perché la spiritualità del Battista deve rimanere la nostra spiritualità di credenti che vivono il ricominciamento e attendono il compimento del Battesimo in Spirito santo. Il breve incipit del vangelo secondo Marco non deve sfuggire a causa della sua brevità. Come una lirica, va sorseggiato parola dopo parola, perché nulla si perda.
Anzitutto la sua essenziale struttura:
v. 1: titolo
a) vv. 2-5: Giovanni, il messaggero promesso
b) vv. 6-8: Giovanni, colui che precede (senza diritto di proprietà)

Per essere completi, bisognerebbe aggiungere un terzo quadro, che è strettamente legato a questi due, formato dai vv. 9-13: Giovanni battezza Gesù, che lo raggiunge nel deserto. In ciascuno dei tre quadri compare per una volta il protagonista della sequenza, Giovanni.
v. 1: il primo versetto merita molta attenzione. Si parla di ἀρχή «origine» in stretta connessione con εὐαγγέλιον «buona notizia»: il passato si intreccia con il presente, la narrazione che Marco sta per iniziare è fondata su un risalimento sino alle origini di quanto viene narrato. Si ha quindi bisogno di questa origine per capire quanto sarà narrato e si comprenderà quanto sarà narrato se si tiene viva l’origine da cui tutto deriva. Non per nulla, nei vv. 2-3 abbiamo la citazione più lunga della Sacra Scrittura di tutto il vangelo di Marco.
Ma prima di passare ai versetti seguenti, vi è ancora da sottolineare che l’evangelo riguarda «Gesù, Messia, Figlio di Dio». Davanti a Χριστός non vi è l’articolo, perché Marco vuol subito introdurre una distinzione fondamentale. Non c’è solo il Messia atteso come «Figlio di Davide»: questo sarà il titolo che lungo il vangelo Gesù riceve solo da coloro che ancora non lo conoscono a fondo (Mc 10,47; 12,35). C’è anche un Messia «Figlio di Dio»: quando Gesù così si presenterà davanti al sommo sacerdote, questi lo condannerà per bestemmia (Mc 14,63-64).
vv. 2-5: la citazione dei vv. 2-3 è un piccolo florilegio scritturistico. Da qui si capisce la correzione presente in alcuni manoscritti, che corregge il solo «nel profeta Isaia». Si tratta di Es 23,20a; Ml 3,1 e Is 40,3. È la citazione più lunga in Marco, ma è anche molto curata dal punto di vista esegetico giudaico, in quanto i profeti non sono citati da soli, ma sempre accompagnati da un passo della tôrâ. La cosa non è di poco conto perché forse è l’indizio che Marco dipende dalla tradizione a lui precedente, la quale oltre ai testi gli forniva anche la chiave interpretativa. Il messaggero (ἄγγελος) atteso va identificato con Giovanni Battista, come anche la «voce che grida nel deserto» (testo che segue i LXX): egli è dunque il precursore e colui che si fa araldo di un nuovo esodo (cf la citazione di Isaia, nel suo contesto).
Anche la costruzione sintattica della frase – un po’ pesante – è importante: la citazione scritturistica è la condizione per comprendere la scelta di Giovanni di mettersi sulla collina di Elia e far immergere tutti nel fiume Giordano per «entrare» di nuovo nella terra della promessa come avevano fatto i figli di Israele alla guida di Giosuè (=Gesù).
La predicazione di Giovanni consisteva in una «immersione di conversione per la remissione dei peccati». Il senso originario del verbo βαπτίζω «immergere» è evidente in questo contesto e per questo la nostra traduzione lo usa in alternanza con il significato tardivo ormai lessicalizzato «battezzare». L’immersione è simbolo di morte e di rinascita: Giovanni predica di compiere questo segno come segno di cambiamento di mentalità per il perdono dei peccati, ovvero è un’ultima chance che viene offerta prima del grande giudizio di Dio su questo mondo. L’immersione nell’acqua è la morte al mondo di peccato e l’espressione della volontà di cambiare vita, per vivere di nuovo nella comunione della berît «alleanza» con il Dio dell’esodo.
E Marco sottolinea l’efficacia della predicazione di Giovanni il Battista. Il suo movimento infatti arriva a preoccupare anche Erode (Antipa), che ben presto se lo toglierà di mezzo (cf Giuseppe Flavio, Antiquitates, XVII,5,2). Il fatto che tutto questo avvenga nel deserto e gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme debbano «uscire» dalle loro città per venire da Giovanni è simbolicamente importante: bisogna rinunciare a questa vita mondana e ricominciare daccapo, rientrando di nuovo nella terra promessa con l’attraversamento del Giordano. Segno e parola si accompagnano: mentre egli li immerge nel Giordano, i giudei confessano i propri peccati. Ma l’azione di Giovanni non può andare oltre. Per poter veramente cambiare la situazione e aver la forza di ricominciare occorre ricevere il dono dall’alto, la forza dello Spirito.
vv. 6-8: in un testo tanto stringato, nulla è superfluo. Se si ricorda il modo di vestire di Giovanni e la sua dieta alimentare, è per il fatto che le due cose sono molto eloquenti da sé. Giovanni non è uno dei membri della comunità di Qumran; è probabile che lo sia stato in precedenza. Tuttavia la sua attività è ormai agli antipodi di ciò che voleva essere quella comunità che aveva nella purità alimentare e rituale la sua ricerca prima, insieme all’osservanza scrupolosa della tôrâ, soprattutto nei comandamenti che riguardavano Dio, il tempo e il luogo di culto, rigettando il tempio di Gerusalemme come luogo ormai immondo. Vestire con tessuto di peli di cammello e con una cinghia di pelle ai fianchi significava rifiutare di osservare la purità dei vestiti: a Qumran si vestivano di solo lino purissimo, unica fibra totalmente vegetale disponibile in quel tempo.
Mangiare locuste e miele selvatico significa mangiare cibi impuri, al contrario del pane e vino purissimi preparati dai sacerdoti di Qumran. Le locuste sono un grande problema di purità in tutta la tradizione giudaica, tanto che in molti manuali di kašrût «purità alimentare» per risolvere il problema della purità delle locuste si suggerisce di rivolgersi al rabbino del luogo ove ci si trova e apprendere direttamente da lui quali siano gli usi e i costumi del posto! Il miele selvatico – potendo contenere larve di api o altri resti animali – è considerato potenzialmente impuro. A Giovanni Battista non importa osservare queste prescrizioni: il suo interesse riguarda invece la giustizia e il rapporto con l’altro, perché si ricostruisca la solidarietà di coloro che erano entrati nella terra di Canaan con Giosuè.
Anche il suo messaggio a riguardo di «colui che viene dietro di me ed è più forte di me» ovvero di un suo discepolo che l’avrebbe superato in forza e potenza è molto preciso. Egli non ha diritto di transazione (cf Rut, con lo scambio del sandalo; o anche Am 2,6) e nemmeno alcun diritto nuziale (cf ancora Rut). Giovanni – espliciterà Gv 3,29-30 – non è lo sposo, ma l’amico dello sposo. Israele, separata da JHWH, è una sposa infeconda. Ma a darle fecondità non potrà essere Giovanni.
La differenza tra Giovanni e Gesù è percepita più dai discepoli dei due gruppi: l’immersione di Giovanni era soltanto «in acqua», quella dell’immersione dopo la risurrezione di Gesù è «in Spirito santo», dunque pieno compimento della nuova alleanza promessa dai profeti.
Essendo tre i quadri introduttivi legati a Giovanni, questo dei vv. 6-8 sarebbe il passo centrale. In effetti, qui abbiamo per la prima volta l’esplicitazione di ciò che significa incontrare Dio nella spiritualità del Battista: c’è una dimensione comunitaria, in quanto lo Spirito crea la nuova alleanza tra Israele e il suo Dio; e c’è anche una dimensione individuale, il comportamento di giustizia suscitato dal dono dello Spirito.
Ecco quindi le condizioni che il Battista pone per poter vivere in autenticità l’incontro con Dio e per potersi dire veramente «figli del Regno»:
a) avere il coraggio di uscire da una città malata di ingiustizia per cercare Dio nel deserto e ricostruire la città su fondamenta di giustizia: non si tratta tanto di un allontanamento fisico, ma spirituale;
b) rompere con le alleanze del mondo di peccato e di male che mortifica la bellezza della creazione divina;
c) fare esperienza dell’immersione nello Spirito per poter davvero ricominciare daccapo e vivere secondo Dio, come dimostra il quadro seguente con l’immersione nel Giordano dello stesso Gesù;
d) non mettersi mai «al posto dello sposo»: anche noi, come Giovanni non siamo degni «di chinarci a slegare i lacci dei suoi sandali».

PER LA NOSTRA VITA

1. La Parola sta nel deserto, per voce di Giovanni.
Una geografia profetica, per mappe più limpide ed austere.
A margine, forse, della grande storia.
Debolezza del luogo, saremmo tentati di dire oggi …
Deserto e Parola. Profezia forte e dura, libera dall’intrigo dei potenti.
Dritta al cuore di ognuno e delle folle.
Giovanni, voce per un annuncio tagliente e nudo.
Il cuore della vita nuova indicato dal Testimone.
Il deserto, dove niente è tutto, non è muto.
Coloro che ascoltano Giovanni vengono invitati a cambiare vita. Il testimone nel deserto rilancia sulla storia, sulle relazioni umane giuste.
Passi di conversione.
La conversione non è fatto privato, sordo alle ricadute nella vita umana di ogni giorno, alle relazioni autentiche. Il testimone nel deserto indica una progressione sempre in atto – battesimo di Spirito Santo e fuoco, che ci abilita a stare nel mondo nel segno di un radicale cambiamento per seguire le vie dello Sposo.
Corriamo nelle città, ogni giorno …
Difficile anche porsi la domanda: «Che cosa dobbiamo fare?».
Il nostro correre somiglia a quello di chi si spezza in mille cose per mancare a tutti gli appuntamenti.
Da dove viene la rivelazione della Parola di Dio?
In quale deserto oggi?
La Scrittura ci avverte che c’è un luogo dove essa non è.
Nell’autosufficienza e nella ritrosia ad una conversione che inizia dalle cose di ogni giorno, nel deserto che Dio ci prepara in casa nostra, nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali.
Ci vuole fuggiaschi dalla nostra volontà, per imparare l’obbedienza a Lui.
Un testimone accompagna il cammino penitenziale della folla.
Giovanni parla e ascolta, battezza con acqua.
Grida l’urgenza della conversione: aprire una strada nel deserto per la benevolenza di Dio.
Ascoltassimo come per una prima volta il suo annuncio!
Freschezza di un inizio, disarmati dalla radicalità, dalla rudezza e forse dalla sorpresa di non trovarci da soli in questo itinerario.
È la grazia inconfondibile di chi si sa all’inizio con la fame della salvezza.
Una scintilla, una parola, un testimone.
Nel bel mezzo del “nulla” di un deserto fatto di bilanci in negativo, di legami da rifare, di fiducia da riconquistare.
Il Battesimo di penitenza è la prima straordinaria esperienza di grazia.
Esperienza inconfondibile, che azzera orgoglio e presunta familiarità.
Grazia e libertà, in terra deserta, inedita.
Accade la Parola, sempre.(F. CECCHETTO, Testi inediti).

2. Profeta, precursore, Giovanni compie infine la sua missione: preparare le vie alla gloria di Colui che viene nel deserto. L’avvenimento escatologico è prossimo. Il Verbo di Dio sta per giungere di fronte all’uomo sua creatura. È il Verbo onnipotente: «Ecco che i popoli sono come goccia che cade nel secchio» (Is 40,15). Verrà come un pastore per pascolare il suo gregge, radunare le pecore, tenendo in braccio gli agnelli (Is 40,11). Egli viene a visitare i suoi. E questa ora decisiva della Storia è ormai imminente. Giovanni è inviato per predisporre i cuori ad accogliere il Signore. […]
Questo mondo, Giovanni, non può salvarlo. Persino lui, il maggiore dei profeti, conosce la vanità di qualsiasi predicazione. Egli non sarà l’apportatore di una vita di saggezza, ma l’annunciatore di un avvenimento. A questo mondo peccatore sta per essere offerta una salvezza. La liberazione è prossima. […]Giovanni è strumento di grazia. Giovanni deve scuotere questa apatia. È questo il lato tragico della sua missione. Egli è tutto proteso verso Colui che deve venire ma deve sollevare l’immenso manto d’indifferenza che lo circonda. ( J. DANIELOU, Giovanni Battista, testimone dell’Agnello, Morcelliana, Brescia 1965 (testo integrale in: http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/danielou_giovannibattista5.htm).

3. Aprendo il Vangelo di Marco si incontra il precursore come una voce che grida nel deserto. Non è nemmeno definito profeta o messaggero di Dio. Egli si è così identificato con il messaggio, ha formato una tale unità con la Parola di Dio che deve proclamare e annunciare alla gente, che non si riesce più nemmeno a vederlo dietro il messaggio, non riesce più a sentire il tono della sua voce dietro la tonante testimonianza dello Spirito di Dio che parla attraverso lui. […]
Egli ebbe un cuore puro, una mente illuminata, una volontà inflessibile, un corpo allenato, un completo controllo di sé così che al momento di dare il messaggio la paura non poté travolgerlo e renderlo muto. Le promesse non lo avrebbero ingannato per farlo tacere, né il peso della carne o della mente o del cuore avrebbero distrutto la luminosità e la forza fulminea dello spirito. (A. BLOOM, in E. BIANCHI - L. CREMASCHI - R. D’ESTE (a cura di), Letture per ogni giorno, ElleDiCi, Leumann TO 1980, p. 47-48).

4. No: una torre sarà il mio cuore,
ed io abiterò al suo confine:
dove nient’altro c’è, sarà ancora dolore
e indicibilità e mondo ancora.
Ancora una cosa sola nell’Immenso,
su cui fa buio e poi di nuovo luce,
ancora un volto ultimo che desidera
ed è respinto nel Non-Mai-Saziabile.
Ancora un estremo volto di pietra,
docile ai pesi che ha dentro di sé;
le vastità che in silenzio lo annientano
lo costringono a essere sempre più beato.
(R.M. RILKE, Poesie 1908-1926, Einaudi – Gallimard, Torino – Paris, p. 263).

5. Il cristiano (un po’ deluso): Voi sottovalutate la dinamica escatologica del cristianesimo. Noi prepariamo il futuro regno di Dio. Noi siamo la vera rivoluzione mondiale. Egalité, liberté, fraternité: questo è il nostro compito originario.
Il commissario: Peccato che altri abbiano dovuto lottare per voi. Dopo, non è difficile essere presenti. Il vostro cristianesimo non vale un fico secco.
Il cristiano: Voi siete con noi! Io so chi voi siete. Tu pensi onestamente, sei un cristiano anonimo.
Il commissario: Non diventare insolente, giovanotto. Anch’io ora ne so abbastanza. Vi siete liquidati da soli, e con ciò ci risparmiate la persecuzione. Via.

( H.U. VON BALTHASAR, Cordula ovverosia il caso serio, Traduzione dalla III edizione in lingua tedesca di G. VIOLA - G. MORETTO, Presentazione di E. GIAMMANCHERI (Dibattito sul Cristianesimo 1), Editrice Queriniana, Brescia 1968, 19693, pp. 123-124).