mercoledì 14 novembre 2012

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO




 PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

Avviso: nei venerdì 16 23 e 39 novembre terremo in cappella LIUC la PICCOLA SCUOLA DELLA FEDE.
Dalle 13.05 alle 13.35.  Venerdì 16: “fede e ragione”: fratelli coltelli.

Lettura
Is 13,4-11
In quei giorni. Isaia disse:
«Frastuono di folla sui monti,
simile a quello di un popolo immenso.
Frastuono fragoroso di regni,
di nazioni radunate.
Il Signore degli eserciti passa in rassegna
un esercito di guerra.
Vengono da una terra lontana,
dall’estremo orizzonte,
il Signore e le armi della sua collera,
per devastare tutta la terra.
Urlate, perché è vicino il giorno del Signore;
esso viene come una devastazione
da parte dell’Onnipotente.
Perciò tutte le mani sono fiacche,
ogni cuore d’uomo viene meno.
Sono costernati. Spasimi e dolori li prendono,
si contorcono come una partoriente.
Ognuno osserva sgomento il suo vicino:
i loro volti sono volti di fiamma.
Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile,
con sdegno, ira e furore,
per fare della terra un deserto,
per sterminarne i peccatori.
Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni
non daranno più la loro luce;
il sole si oscurerà al suo sorgere
e la luna non diffonderà la sua luce.
Io punirò nel mondo la malvagità
e negli empi la loro iniquità.
Farò cessare la superbia dei protervi
e umilierò l’orgoglio dei tiranni».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 67(68))
Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo.
Sorga Dio e siano dispersi i suoi nemici
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.
Come si dissolve il fumo, tu li dissolvi;
come si scioglie la cera di fronte al fuoco,
periscono i malvagi davanti a Dio. R.

I giusti invece si rallegrano,
esultano davanti a Dio e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
appianate la strada a colui che cavalca le nubi:
Signore è il suo nome, esultate davanti a lui. R.

Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
Solo i ribelli dimorano in arida terra. R.
Epistola
Ef 5,1-11a
Fratelli, fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.
Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia.
Iddio verrà e si farà vedere;
il nostro Dio non tarderà a venire.
Alleluia.
Vangelo: Lc 21,5-28
In quel tempo. Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore.

Commento

Le tre pagine scelte per la prima domenica di Avvento (del ciclo C) permettono di approfondire il tema del «giorno del Signore» (jôm JHWH) nella tradizione biblica, dal profetismo sino all’Apocalisse di Giovanni; e insieme – come solenne portale d’ingresso – di dare spessore biblico-liturgico all’«Avvento», che la chiesa ambrosiana inizia con questa domenica.
La complessità della pagina di Lc 21, come anche degli altri discorsi “escatologici” dei sinottici, sta soprattutto nel fatto che le parole dell’evangelista ri-orientano in direzione significativamente diversa quell’originale prospettiva apocalittica della tradizione risalente a Gesù. Per meglio comprendere il cambiamento intervenuto, sarà bene ricordarne brevemente le tappe.
Nella predicazione di Gesù, il giorno di JHWH coincide a grandi linee con l’attesa apocalittica del giorno del giudizio di Dio contro tutti i popoli che avevano combattuto Israele e contro quei peccatori tra i figli di Israele che non avevano voluto accogliere l’invito al per-dono, portato come ultima occasione prima del rendiconto finale, come è attestato dal kerygma dell’attività galilaica di Gesù: «Il tempo è compiuto e la signoria di Dio è vicina: convertitevi e credete a questo lieto annunzio» (Mc 1,15).
Anche passando dal kerygma di Gesù al kerygma del Risorto non è stato stravolto, almeno in un primo momento, lo schema apocalittico (si vedano i discorsi negli Atti e le prime let-tere paoline): il giorno del Signore è ancora il giorno del giudizio finale di Dio sulla storia, perché il tempo attuale del credente è vissuto nel «servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira ventura» (1 Tess 1,9-10).
Progressivamente, però, si comprende che quel giudizio è già anticipato nella decisione della fede che definisce la libertà nell’accogliere o nel rifiutare l’occasione del perdono di Dio accordato nella croce di Gesù. Il tema della «giustizia» ovvero del «perdono/condono» che

Paolo introduce nelle lettere maggiori (cf almeno Rm 3,21-31) anticipa qui e ora il giudizio del giorno del Signore che si darà alla fine dei tempi come salvezza o condanna.
Il punto di arrivo della riflessione sta nell’Apocalisse di Giovanni. In quest’opera della tradizione giovannea, si conduce a compimento la speculazione teologica della tradizione del libro apocrifo di Enoch. Potremmo dire che l’Apocalisse è la fine dell’apocalittica. In essa è ormai pienamente chiarita l’identificazione del giorno del Signore con la croce del Risorto, «l’Agnello in piedi, come immolato» (Ap 5,6), che sta al centro della meditazione della storia della sal-vezza (si legga l’intera visione di Ap 4-5). È il Golgota l’Armagedon in cui tutto si compie (Ap 16,16-17): il combattimento finale di Dio contro Babilonia e la rinascita di Gerusa-lemme, che – trasformata da prostituta in sposa – cammina nel tempo in attesa della piena manifestazione di quanto è già anticipato nella risurrezione del Crocifisso e rivissuto nella memoria settimanale della celebrazione liturgica della comunità dei credenti (Ap 1,10).
Alla luce di questa profonda trasformazione teologica avvenuta nei pochi decenni che separano la croce del Risorto dalla fine del primo secolo dell’era cristiana, si com-prendono i diversi piani simbolici che l’evangelista espone, sulla base delle parole di Gesù – anche in questo caso, come attraverso un caleidoscopio: un unico disegno che si cangia impercettibilmente nel successivo. Questi diversi quadri corrispondono alla struttura del discorso, che Luca riprende da Marco o forse, più in generale, dalla tradi-zione della chiesa antiochena, riproponendolo per un interlocutore meno addentro alle speculazioni apocalittiche giudaiche. Marco, ad esempio, parla della fine (ὁ τέλος: Mc 13,7), che per l’interlocutore di cultura greca significa solo la conclusione o il fine verso cui va l’oggi; e allora sottolinea la tensione dell’oggi, «che non è ancora la fine» (Lc 21,9), e di ciò che deve accadere «prima» (v. 12). Certo la rivelazione del Figlio dell’uomo rimane anche per Luca il compimento della storia; ma essa si dà qui e ora, nell’«oggi» del credente (si ricordi il tema dell’«oggi» nel vangelo lucano: Lc 2,11; 4,21; 5,26; 19,5. 9; 22,34. 61; 23,43). Anche la rovina del tempio non è più per Luca un evento del futuro (cf Mc 13,4), ma un fatto di cronaca del presente (Lc 21,9. 28). Ecco dunque il piano del discorso lucano:
A. vv. 5-7: duplice domanda sul “quando” e il “segno premonitore”
B. vv. 8-9: precisazione sul senso del/della «fine» (ὁ τέλος)
C. vv. 10-26: primo sviluppo del discorso
a. vv. 10-11: cornice cosmica
1) vv. 12-19: la persecuzione dei discepoli-testimoni
2) vv. 20-24: il “segno” della caduta di Gerusalemme
a'. vv. 25-26: cornice cosmica
1) v. 27: la glorificazione del Figlio dell’Uomo
2) v. 28: invito alla speranza

A dire il vero, il v. 28 ha più la funzione di versetto-ponte, in quanto potrebbe anche essere considerato come l’inizio del secondo sviluppo, di carattere parenetico, non compreso nella pericope liturgica (vv. 29-38).
vv. 8-9: il preambolo del discorso mette in guardia gli interlocutori di Luca, che hanno già avuto modo di assistere a eventi catastrofici, come la prima rivolta giudaica (66-70 d.C.; Masada cadde nel 73) che ha visto la distruzione del monumentale tempio erodiano, iniziato nel 20 a.C. e terminato solo nel 64 d.C., solo sei anni prima della sua completa distruzione per mano dell’esercito romano. Non si è ancora però alla «fine» della storia! E forse proprio per questa ragione, Luca evita di alludere ai «dolori della

partoriente» (cf Mc 13,8), che nell’interpretazione degli oracoli profetici nel primo secolo era considerato un linguaggio quasi tecnico per parlare della liberazione finale.
vv. 10-11: gli eventi storici collocati in un quadro cosmico assumono il loro valore di «mistero in atto» nella storia, ovvero di profezia dell’agire di Dio. Saper leggere i grandi segni del cielo nella “scrittura” degli eventi storici è sempre stato il carisma principale dell’autentico profeta.
vv. 12-19: ciò che qui è detto è la sintesi della storia sviluppata da Luca nel libro degli Atti. Si tratta della «testimonianza» resa dal discepolo alla Parola di Dio. In questo svi-luppo vi è una considerazione propria di Luca, non presente nel parallelo di Marco e di Matteo: «Con la vostra perseveranza (ὑπομονή) salverete la vostra vita» (v. 19). È la perseveranza che nasce dalla speranza suscitata dallo Spirito di Dio riversato nei nostri cuori: «Ci vantiamo anche delle sofferenze, sapendo che la sofferenza produce perseveranza, la perseveranza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delu-de, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,3-5).
vv. 20-24: la peculiarità di Luca è di presentare il destino del discepolo in parallelo alla caduta di Gerusalemme; senza soluzione di continuità si passa dall’uno all’altra. La vi-vida emozione della presa di Gerusalemme per opera dell’esercito romano attraversa questa sezione e registra allusivamente quanto è realmente accaduto, come la fuga del-la comunità cristiana verso la città di Pella. Lo stereotipo marciano dell’apocalittica giudaica lascia il posto alla descrizione più realistica di quanto è avvenuto, interpretato profeticamente con la citazione diretta di Dt 32,35: «giorni di regolamento di conti», e l’allusione a tanti altri passi profetici (come Os 9,7; Mic 3,12; Ger 5,29; 6,2-6; 46,10…). Vi è anche una variazione molto significativa rispetto a Mc 13,14: nel testo marciano si richiama l’«abominio della desolazione» di Dn 9,27 come causa che avreb-be portato alla catastrofe. Per Luca invece è la stessa città di Gerusalemme che ormai è diventata segno di «desolazione» per tutti i popoli, non certo da intendere in senso anti-giudaico, ma come possibilità di salvezza persino nella persecuzione e nella tragedia. È l’attualizzazione della croce e del perdono concesso sino a quel momento estremo al rivoltoso condannato con Gesù (Lc 23,39-43).
Si noti ancora che per 3× nel v. 24 si parla delle «genti» (ἔθνη): l’insistenza è proprio da interpretare come la prospettiva di salvezza persino davanti alla catastrofe della Città Santa, per la quale Gesù ha pianto. Anche la desolazione di Gerusalemme è segnata dall’ombra della Croce del Risorto e rimane un segno da interpretare come la possibili-tà di Dio di trasformare anche le più grandi tragedie in occasione di speranza.
vv. 25-28: il ritorno alle immagini cosmiche nei vv. 25-26 permette a Luca un altro spostamento di quadro, per giungere alla glorificazione del Figlio dell’uomo, ma in modo sensibilmente diverso rispetto a Marco (e Matteo). Luca infatti elimina ogni no-tazione riferita ai tempi e il passaggio dallo scenario cosmico (per cui si veda Dn 7) e la glorificazione del Figlio dell’uomo (v. 27) è segnalato dalla sola congiunzione «e» (καί). È dunque nella realtà dell’umano che si realizza la potenza del Figlio dell’uomo. Essa deriva dalla croce di Gesù e attraversa l’intero universo. Lo dice in modo ultimativo la parola di perdono dalla croce: egli è il giudice crocifisso, un giudice che offre il perdo-no alla storia degli uomini e alla nostra umanità storica, com’era stato anticipato nelle parole e nei gesti di Gesù (cf il lamento su Gerusalemme di Lc 13,35). Dio sa glorifica-

re colui che era stato rigettato dagli uomini e «annoverato tra gli empi» (Is 53,12, ripre-so da Lc 22,37).
Da qui nasce l’invito alla speranza del v. 28, che fa da “sutura” con la seconda sezione parenetica del discorso, dedicata al tema della vigilanza (vv. 29-38). Abbiamo bisogno di questa speranza per risollevarci dalla deprimente desolazione.

PER LA VITA

1. L’Avvento ci propone in modo peculiare una spiritualità dell’evento, come visita di Dio attraverso il Figlio, una spiritualità della speranza ritrovata. Non c’è bisogno di happening rituali che non lasciano traccia se non qualche preghiera e opera buona supplementare (assecondando l’oggettivismo degli atti e dei meriti). Non una semplice celebrazione fatta di atteggiamenti prefabbricati, destinata a riprodurre la sbiadita imma-gine della nostra anima bella di cristiani già ampiamente accreditati, impegnati, com-piaciuti. Non l’Avvento a nostro servizio, dunque, ma piuttosto noi chiamati a entrare nel mistero del giorno del Signore:
– rivivendo l’attesa profetica della sua manifestazione storica
– celebrando la memoria della sua croce nell’attesa della risurrezione
– ravvivando la speranza di poter vivere il pieno svelamento della gloria di Dio.

Speranza significa un possesso già reale – non solo virtuale – del bene desiderato, ma nella consapevolezza di conseguirlo per dono gratuito, non per propria capacità, e co-munque al prezzo di vigilante perseveranza; nel riceverlo come imprevedibile e non surrogabile da alcunché; come grazia, giorno dopo giorno.
Non è un atto volontaristico di “tenere a tutti i costi”, ma soprattutto una possibilità donata dal vivere il giorno del Crocifisso Risorto per non lasciarsi intimorire o spaventare, e rinnovare la decisione della spoliazione con cui un pellegrino sa di doversi lui stesso disciplinare, bisognoso com’è solo dello stretto necessario per non perdere la mèta e le forze per raggiungerla:

Raccogliere lungo la strada migliaia di sassi
e conservarne, alla fine del viaggio, soltanto uno.
Lègati a una sola stella. La più lontana, diceva.
- Hai il potere di prolungare la vita? chiese un saggio a un altro saggio.
- Ho il potere di prolungare la speranza, gli rispose costui. Il cielo, da lontano è un cielo. Da vicino, è niente.
A Dio, il fardello del Tutto.
All’uomo, la parte del poco.
EDMOND JABÈS (1912-1991)


Da parte nostra, si tratta di vigilare perché ogni evento della nostra vita possa tra-sformarsi in un “avvento sempre nuovo del Signore”. Come ha suggerito l’Apostolo nella pagina letta, occorre avere l’audacia di un cammino asintotico, senza conclusione né facili o superbe mete di perfezione, perché appunto la misura dell’amore di Dio ri-mane sempre oltre: «Fatevi dunque imitatori di Dio, in quanto figli amatissimi». Ma «camminare nell’amore, come Cristo ci ha amato e ha dato se stesso al posto nostro, come offerta e sacrificio per Dio, in gradito profumo», questo ci è dato come mossa possibile. E questo basta per incamminarsi, adorare, offrire, e poi ritornare a casa, forse «per un’altra strada» (Mt 2,1-12).  

2. Mai artificio sostenga
il mio canto
già basti il sorriso del Verbo
a renderlo radioso
e come grembo
lo accolga il silenzio.
Che dunque si spenga
ogni rumore
perché abbia la certezza
di udirti
e più l’anima è deserta
più tu mi invadi.
D.M. TUROLDO, Il mistero del tempo, a cura di L. DEL LAGO, Ed. Messaggero, Padova 2012, p. 146. È l’ultima poesia scritta da P. David Maria Turoldo, il 5 febbraio 1992.

Dio si rivela nel tempo: si rivela e si nasconde. Il tempo è il velo di Dio. […] «Redi-mere il tempo» (cf Ef 5,16; Col 4,5). Così è scritto. Una parola che è immensa. Libera-re il tempo, riscattarlo dalle vanità. Dargli un senso, riempirlo di valore. Questo è ope-rare. Che poi è salvare lo stesso operare di Dio; non vanificare la sua azione, il suo in-tervenire nella nostra storia: in questo miracoloso gioco dei due amori, della due liber-tà. […]
Riprendere a credere, a sperare; riprendere a operare secondo la tua fede! Un segno che non invecchia mai. Per il cristiano perfino il viaggio verso la morte dovrebbe essere un camminare verso la vita, verso la giovinezza che è Dio stesso: «Quando comince-ranno ad accadere queste cose, alzatevi e sollevate il capo, e dite che l’estate è vicina» (cf Lc 21,28). Dunque, riprendiamo il cammino. E però riprendiamolo dal punto in cui ognuno è giunto nella sua vita. […]
Con l’Avvento si riapre il ciclo liturgico: la liturgia ha il respiro e le movenze del mondo; spazio e tempo sono le due dimensioni: il giorno e la notte scandiscono la pre-ghiera del credente che raccoglie nella sua voce il gemito e la gioia dei cieli e della ter-ra. Tutti i sentimenti dell’uomo si intrecciano, nel suo cantare, con la fede e la speran-za e l’amore che formano un’unica trinità di forze, operanti per trasformare la sua vita secondo il modello divino, rivelatogli nel Cristo. Ogni anno pertanto il fedele si trova a confrontarsi con questo modello che sempre lo trascende, e quindi è sempre nuovo. […]
Così la storia, secondo la fede, è un cammino continuo e insieme un incontro. Sei tu che vai a Dio e Dio che viene a te. In questo senso è sempre tempo di Avvento: cioè tempo di attesa e di speranza; tempo di ricerca attraverso il concreto quotidiano, attra-verso i segni di Dio nascosto nelle cose; […] perciò ti è chiesta la “coscienza del mo-mento” e di svegliarti da sonno, perché la salvezza è vicina: «La notte è avanzata e vici-no è il giorno» (Rom 13,12).
D.M. TUROLDO, Il mistero del tempo, pp. 19-20. 25. 26. 27

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