venerdì 30 settembre 2011

Domenica, 2 Ottobre 2011


Frase della settimana: "se non doni la vita, il tempo comunque te la ruba".


LETTURA
Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4-12
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guàrdati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile».


SALMO
Sal 17 (18)
®Amo il Signore e ascolto la sua parola.
Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. ® Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre. Con te mi getterò nella mischia, con il mio Dio scavalcherò le mura. ® Per questo, Signore, ti loderò tra le genti e canterò inni al tuo nome. Egli concede al suo re grandi vittorie, si mostra fedele al suo consacrato, a Davide e alla sua discendenza per sempre. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 5, 1-14
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la Legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete decaduti dalla grazia. Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità. Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità? Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta. Io sono fiducioso per voi, nel Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi turba subirà la condanna, chiunque egli sia. Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della croce. Farebbero meglio a farsi mutilare quelli che vi gettano nello scompiglio! Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».


VANGELO
Matteo 22, 34-40

In quel tempo. I farisei, avendo udito che il Signore Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento

Il ministero di Gesù in Gerusalemme è il momento finale dell’incontro del Messia

con i capi dei Giudei, non solo nei Sinottici ma anche nel Quarto Vangelo. La sequenza

in Matteo è composta da un trio di parabole (Mt 21,28 – 22,14), dalle dispute con i

vari gruppi giudaici (22,15-46: cf Marco) e la diatriba contro i Farisei (cap. 23).

La scena di Mt 22,15-22 inizia dunque la serie delle dispute con i gruppi giudaici

con cui Gesù si confronta nel tempio. Per Matteo, gli interlocutori delle dispute sono

soltanto i Farisei (vv. 15-22 e 34-40) e i Sadducei (vv. 27-31). La conclusione dei vv.

41-46 tratta di un quarto problema, questa volta introdotto da Gesù stesso.

Stando a uno studio di D. Daube, avremmo in questa serie quattro tipi di questioni

rabbiniche: 1) ḥokmâ «sapienza», interpretazione halakica di testi legali; 2) bôrût «volgarizzazioni

», questioni che prendono in giro una qualche credenza; 3) derek ʾereṣ «la via

della terra (d’Israele)», questioni di condotta morale; 4) haggādâ «leggenda», interpretazione

di testi biblici con qualche problema.

In effetti, le pericopi di Mt 22,15-46 riflettono molto bene le caratteristiche di questi quattro generi di disputa.

La pericope letta è la chiusura delle dispute con i Farisei: i vv. 41-46 trattano infatti

di un problema esegetico introdotto da Gesù stesso.

I personaggi in scena sono ben qualificati: si tratta di una discussione

tra Farisei; dal gruppo emerge la domanda posta da uno di loro che era anche uno

Scriba e, in particolare, un esperto della Legge (νομικὸς). Questi – volendo mettere alla

prova (πειράζων αὐτόν) Gesù – gli fa una domanda d’attualità: in effetti, le prime

scuole rabbiniche si stavano ponendo il problema del maggiore tra i comandamenti.

Il problema nasce dalla sistematizzazione dei comandamenti della Tôrâ. Il computo

rabbinico aveva fissato il loro numero a 613…

Rabbi Simlai disse: 613 comandamenti furono dati a Mosè, 365 comandamenti negativi,

corrispondenti al numero dei giorni dell'anno, e 248 comandamenti positivi, corrispondenti

al numero delle membra del corpo umano.

Poi venne Davide e li ridusse a undici (cf Sal 15).

Poi venne Isaia e li ridusse a sei (cf Is 33,15).

Poi venne Michea e li ridusse a tre (cf Mic 6,8).

Poi di nuovo Isaia li ridusse a due, come è detto, «Rispettate il diritto e fate giustizia» (Is

1,17).

Poi venne Amos e li ridusse a uno, come è detto «Cercate me e vivrete» (Am 5,4).

Oppure, uno potrebbe dire, venne Abacuc e li ridusse a uno, come è detto: «Il giusto vivrà

per la sua fede» (Ab 2,4) (Mak 23b-24a).

Si comprende in tale contesto la domanda dell’esperto dottore della Legge, che

Matteo non si accontenta di presentare come un “dotto”, ma ne accentua la sua militanza

religiosa. Egli è infatti parte del movimento farisaico.

La risposta di Gesù è un capolavoro di esegesi rabbinica, in quanto sulla base del

principio della concordanza, remez, cita all’esperto interlocutore gli unici due passi della

tôrâ che hanno la forma verbale weʾāhabtā: Dt 6,5 e Lv 19,18.

Nella citazione di Deuteronomio, Gesù ricorda tre aspetti dell’uomo cambiando però

il terzo elemento: non «con tutta la tua forza», bensì «con tutta la tua mente», a sottolineare

l’aspetto razionale dell’interiorità. La forza di questo primo comandamento

sta infatti proprio nel dare senso a tutti gli altri comandamenti della tôrâ.

Ma la sua forza sta anche nello stare accanto all’altra formulazione: perché l’amore

per Dio non può fare a meno dell’amore per il fratello, anzi per colui che tu incontri

sulla strada della vita, perché così fa Dio, il Dio dell’alleanza, il Padre che sta nei cieli.

L’osservanza di questi due comandamenti avrebbe costruito in Israele una società

giusta e perfetta; e invece il progetto divino è fallito, non per mancanza di Dio, ma

perché hanno cambiato il comandamento dell’amore da un’occasione d’incontrare la

persona di Dio e la persona del prossimo, in un conflitto d’interpretazione di testi che

senza lo Spirito possono diventare lettera morta.

L’originalità della risposta di Gesù non sta nell’accostare i due comandamenti, già

noti alla tradizione giudaica, ma nell’intrecciare l’uno e l’altro comandamento, a partire

proprio da un principio ermeneutico del rabbinismo, il remez, e nell’affermare che

tutta la Legge e i Profeti sono attaccati (κρεμάννυμι) a questi due comandamenti.

Marco, in modo ancora più forte, aveva scritto «Non c’è altro comandamento più

grande di questo» (al singolare!) (Mc 12,31). Non c’è bisogno di entrare nella dizione

problematica del definire questo accostamento il «canone del canone» di tutta la tôrâ,

ma sta di fatto che, come dimostra anche Rom 13,10 e Gal 5,14, qui abbiamo davvero

il riconoscimento del comandamento dell’amore come il centro di tutta la proposta etica

cristiana. Tutto il resto della Legge è davvero soltanto «un corollario» al comandamento

dell’amore che è davvero la pienezza di tutta la Legge.

PER LA NOSTRA VITA

1. La Bibbia è preoccupata di che cosa Dio fa per noi. La nostra situazione odierna,

sempre più diretta dalla concezione storica di prassi operativa, scopre allora la Bibbia

come direttiva della storia in cui Dio pone l’uomo, perché raggiunga l’attuazione

dell’alleanza che Egli stipula con l’uomo. E’ una storia di amoreggiamento; si scopre la

poesia dell’amore nella Bibbia. Tra Dio, che apre il dialogo d’amore, e il suo popolo

c’è una storia carica di tutte le contraddizioni che pone ogni nostra risposta di amore,

ma proprio perché Dio è il grande interlocutore di questo dialogo, pur in un’economia

di prove e di tentazioni, c’è la certezza della fedeltà di Dio a quest’alleanza, che conosce

la pienezza dei tempi in Gesù morto e risorto e nel dono del suo Spirito che fa di

ogni credente alla Parola il tempio della gloria di Dio. La Bibbia viene così riscoperta

come il libro in cui si apprende il cuore di Dio, il libro […] che ci interroga continuamente

e ci stimola a lasciarci coinvolgere anche oggi da questa iniziativa d’amore.

2. Dio è travisato nella religione. […] Si esalta Dio nella misura secondo la quale

si disprezza l’uomo. Si cercano allora dei mezzi per colmare l’abisso esistente tra Lui e

noi: sacrifici, offerte, preghiere, come se una nostra auto-afflizione fosse un cammino

verso di Lui. Oppure, quando non possiamo più sopportare la vicinanza alla perfezione

divina, immaginiamo degli intermediari, angeli, santi, anime dei defunti, a cui offriamo

qualcosa, riti, preghiere, pratiche … per ottenere la loro intercessione o anche il loro

soccorso immediato, come se l’Unico e vero Dio non ci fosse, o rimanesse fuori tiro. Il

cercatore di Dio non sa, o sa poco. Non ha niente da dimostrare, tutto da scoprire.

Siamo dunque invitati a ricominciare da capo. A ritornare umilmente verso il punto

assolutamente primo della nostra esistenza umana. Rifare in un certo senso il procedimento

di Cartesio: quale sarebbe il punto di partenza autentico, indiscutibile, di un

cammino verso Dio? Oppure la roccia sulla quale edificare una struttura ferma? Non vi

propongo: “Penso, dunque sono”, ma “Ascolto, forse Lui è”. Ascolto. Mi sono infatti accorto

che, fra gli organi dei sensi, l’orecchio è l’unico a stare fuori delle nostre prese:

non lo dominiamo affatto. […] Il nostro orecchio è sempre aperto, riempito, volens nolens,

dei rumori e delle parole che avvengono. […]

Se questo è vero per la nostra vita sensibile, vale anche per quella spirituale: ascoltare

i suoni interiori, cosa mormorano, cosa dicono. [..]

La parola ascoltata è invocazione, domanda, racconto, spiegazione. La risposta è

accoglienza, questione, discussione e finalmente consenso, obbedienza; ancora: è fede

e viva comunione all’evento raccontato e condiviso; è azione. L’orecchio che ascolta

invita la bocca a parlare, rispondere, le membra ad agire. […]

Alla luce di questa configurazione antropologica, capiamo cosa sta a cuore di ogni

ricerca di Dio: si daretur Deus, se Dio fosse, sarebbe Colui che si fa sentire. E allora

l’ascolto umano sarebbe in ultima analisi ascolto di Dio. Ora tale è infatti la nostra

convinzione cristiana. I testi fondamentali ritornano alla nostra memoria: «Ascolta, Israele:

il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo…» (Dt 6,4). «La Parola di Dio

non è troppo alta per te, non troppo lontana da te…Anzi questa Parola è molto vicina

a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,11 e 14).

All’orecchio attento, all’ascolto profondo risponde il mormorio della Parola divina e, in

tale mormorio, Dio c’è.

3. Carissimi fedeli, il Signore Gesù è venuto in questo mondo a realizzare una meravigliosa

unità degli uomini a lui, mediante il dono della sua vita. L’unità è l’oggetto

dell’ultima sua preghiera prima della Passione: «Affinché tutti siano una cosa sola come

tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch’essi una cosa sola in noi […] io in

essi e tu in me, affinché sian perfetti nell’unità» (Gv 17,21 e 23). L’unità dei credenti

sarà la dimostrazione della sua divina missione; e le sue parole indicano che non si

tratta soltanto di unità esteriore, ma della più intima e della più profonda unione.

San Paolo sviluppa un simile pensiero ricollegando l’unità cristiana all’azione delle

divine Persone nelle anime: «Non c’è che un corpo solo e un solo Spirito, come per

mezzo della vostra vocazione, siete stati chiamati a una sola speranza» (Ef 4,4). L’unità

dei credenti si realizza col dono dello Spirito Santo; così, essi sono aggregati al corpo

di Cristo. Ora, il dono della Spirito non si può ottenere se non dopo un passo decisivo,

la richiesta del battesimo, la quale non è valida senza la fede in Gesù Cristo: «Non esiste

che un solo Signore, una sola fede, un sol battesimo» (Ef 4,5). Il battezzato riveste

Cristo, diventa partecipe della sua vita, e quindi della sua filiazione divina: «Non esiste

che un solo Dio e Padre di tutti […] il quale agisce in tutti» (Ef 4,6); «A quanti lo accolsero,

il Verbo divino diede il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). L’unità dei

credenti non può essere che unità d’amore, poiché Dio stesso è amore. San Paolo lo

mostra bene scrivendo: «Pertanto vi scongiuro a tenere una condotta degna della vocazione

a cui siete chiamati, con ogni umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi gli uni

gli altri con amore, studiandovi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace

» (Ef 4,1-3).

Qui l’Apostolo non è che l’eco dell’insegnamento più volte formulato dal Salvatore.

Ascoltiamo il Vangelo che la Chiesa oggi ci propone. Un fariseo, dottore della legge,

per mettere in imbarazzo il Maestro gli pone una questione spesso dibattuta tra i rabbini:

Qual è il massimo comandamento della legge? Gesù risponde subito: Amerai il

Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente. Questo è

il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo

tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti.

Il Salvatore li ha portati a perfezione esigendo un amore di Dio, che ci prende tutti

interi, e un amore del prossimo universale, esteso a tutti gli uomini, e generoso, se necessario,

fino al sacrificio della propria vita, come lui stesso ne ha dato l’esempio. I due

comandamenti ne formano uno solo; essi costituiscono l’essenza del Vangelo.

Un amore non fondato sull’amore di Dio non è pienamente vero ed efficace; nonostante

le apparenze gli manca qualcosa. La fraternità umana non può essere perfetta se

ognuno non rispetta negli altri, insieme con la grandezza di una creatura ragionevole,

la qualità di figlio di Dio ordinato a un destino eterno.

Guardiamoci intorno senza condannare nessuno ed esaminiamoci umilmente se la

nostra carità è autenticamente cristiana, disinteressata, esente da orgoglio e da egoismo,

e si estende a tutti, anche ai nemici, se si studia di amare gli altri con lo stesso amore

che ha per essi il divino Redentore. Costateremo facilmente che siamo ben lungi dalla

perfezione alla quale dobbiamo aspirare. L’unità che cerchiamo di realizzare con i nostri

fratelli non è che una pallida immagine dell’unità voluta da Cristo, fondata sul suo

amore e sulla comunanza con la sua vita. Supplichiamo il Signore di illuminarci sulle

nostre fragilità e d’infondere nei nostri cuori quell’amore di cui il suo trabocca,

nell’attesa dell’eterna fiorita della carità e dell’unità, quando lo contempleremo vero

figlio di David, seduto alla destra del Padre e quando Dio sarà tutto in tutti. Così sia!16

4. I difensori dell’integrità della Legge si mostrano come forza avversa a Gesù.

Impongono pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli

neppure con un dito (Mt 23,4).

Dio può divenire un pretesto, se non è ascoltato, amato.

Presumendo di cercare chiarezza, ci si può portare in vie tortuose e aggressive.

Come cercare la verità? «Amerai il Signore tuo Dio nel cuore, nella vita, nella mente …».

Percorsi di profondità di inabissamento, non di controversia e polemica.

Amerai non con le cose, ma con tutto ciò che sei…

Il comando è “per sempre”; amerai è l’itinerario nel tempo – il sempre - che noi

possiamo ascoltare e ricevere. Sta nell’ordine della sua promessa.

Il secondo comando è simile al primo; non sta senza di esso.

Inestricabili, si sorreggono e si alimentano. Impossibile l’uno senza l’altro; illusoria

la dedizione all’uno e la smemoratezza per l’altro.

Gettati nel futuro in quest’unico comando; è per tutta la vita…

Perché a poco a poco impariamo, camminiamo, cresciamo nella fedeltà all’amore.

Chiederci che cosa portiamo nel cuore, nella mente, nella vita è inevitabile.

Dio, le cose, gli affanni?

Chi ama Dio, ami anche il suo fratello (1Gv 4,9-21). Tutto dipende da questo, tutto

è legato e sospeso a questo intreccio tra infinità e quotidianità.

Dio e l’uomo. Il Volto cercato e quelli su cui il nostro sguardo giorno per giorno si

posa.

Con amore o fastidio, con sincerità o ipocrisia.

Il Volto infinito di Dio non s’incontra, se questi volti della quotidianità non vengono

riconosciuti come riconosciamo noi stessi.

E oltre, “come Lui ci ha amati”.

5. «Tu amerai l’Eterno tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e tutto

il tuo “più”». […] In realtà, il testo ebraico del Decalogo è ancora più provocatorio.

Il versetto dice testualmente: «con i tuoi cuori». In ogni uomo ci sono due cuori: a sinistra

e a destra; un cuore oscuro sollecito alla critica accanto a uno generoso e luminoso.

Nell’accezione biblica del termine, il cuore è la sede del discernimento, il luogo

dell’intelligenza intuitiva. Nel primo comandamento del Sinai ci è ordinato di amare il

Signore anche con un cuore ribelle, che dubita e che cavilla.18

6. È noto il passo in cui a Gesù viene chiesto quale sia il comandamento più grande,

ed egli dà la duplice risposta. […] Il senso di tutto il comandamento etico di Gesù

è dire all’uomo: tu stai al cospetto del volto di Dio, la grazia di Dio ha potere su di te,

ma d’altra parte tu sei nel mondo, devi agire e operare, per cui mentre agisci ricordati

che agisci sotto gli occhi di Dio, che egli ha una sua volontà che vuole sia fatta. Quale

sia il suo contenuto, te lo dirà il momento; ciò che importa è soltanto di aver ben chiaro

che la nostra volontà deve essere ogni volta costretta a entrare nella volontà di Dio,

che dobbiamo rinunciare alla nostra volontà se deve essere realizzata quella divina; e

dunque poiché all’uomo, nell’agire davanti agli occhi di Dio, si richiede una completa

rinuncia a pretese personali, l’agire etico del cristiano può essere definito come amore (D. BONHOEFFER, Scritti scelti).