giovedì 29 marzo 2012

domenica della palme 2012 e auguri pasquali

Pasqua 2012

Dall’essere sfigurato
Ogni bellezza è sparita dal tuo volto
e per amore sei divenuto somigliante
agli ultimi della terra sfigurati dall’ingiustizia
è stata la tua scelta, servirci con tutta la vita

all’essere trasfigurato
nella bellezza della risurrezione
bellezza sempre vicina, anzi fraterna, più ancora di nutritore
così attoniti sono i tuoi discepoli pescatori
che affaticati trovano pronto il pesce arrostito.

Ora sei compagno nel cammino
ci scaldi il cuore con la tua parola
e anche noi risorgiamo dalla nostra freddezza
e faremo pasqua scegliendo di stare con te
dalla parte di Dio e dell’uomo, fino alla fine.
















Buona Pasqua
Don Michele









DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE 1 aprile 2012

Messa nel giorno

LETTURA
Lettura del profeta Isaia 52, 13 - 53, 12

Così dice il Signore Dio: / «Ecco, il mio servo avrà successo, / sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. / Come molti si stupirono di lui / – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto / e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, / così si meraviglieranno di lui molte nazioni; / i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, / poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato / e comprenderanno ciò che mai avevano udito. / Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? / A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? / È cresciuto come un virgulto davanti a lui / e come una radice in terra arida. / Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per poterci piacere. / Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia; / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. / Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori; / e noi lo giudicavamo castigato, / percosso da Dio e umiliato. / Egli è stato trafitto per le nostre colpe, / schiacciato per le nostre iniquità. / Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; / per le sue piaghe noi siamo stati guariti. / Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, / ognuno di noi seguiva la sua strada; / il Signore fece ricadere su di lui / l’iniquità di noi tutti. / Maltrattato, si lasciò umiliare / e non aprì la sua bocca; / era come agnello condotto al macello, / come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, / e non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; / chi si affligge per la sua posterità? / Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, / per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. / Gli si diede sepoltura con gli empi, / con il ricco fu il suo tumulo, / sebbene non avesse commesso violenza / né vi fosse inganno nella sua bocca. / Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. / Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, / vedrà una discendenza, vivrà a lungo, / si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. / Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce / e si sazierà della sua conoscenza; / il giusto mio servo giustificherà molti, / egli si addosserà le loro iniquità. / Perciò io gli darò in premio le moltitudini, / dei potenti egli farà bottino, / perché ha spogliato se stesso fino alla morte / ed è stato annoverato fra gli empi, / mentre egli portava il peccato di molti / e intercedeva per i colpevoli».


SALMO
Sal 87 (88)

® Signore, in te mi rifugio.

Signore, Dio della mia salvezza,
davanti a te grido giorno e notte.
Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l’orecchio alla mia supplica. ®


Io sono sazio di sventure,
la mia vita è sull’orlo degli inferi.
Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa,
sono come un uomo ormai senza forze.
Sono libero, ma tra i morti. ®


Hai allontanato da me i miei compagni,
mi hai reso per loro un orrore.
Sono prigioniero senza scampo,
si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore,
verso di te protendo le mie mani. ®


EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 12,1b-3

Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 55 - 12, 11

In quel tempo. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Commento
VANGELO: Gv 11,55 – 12 ,11

Con questa pericope si apre l’ultima sezione della prima parte del Quarto Vangelo (Gv 1,19 – 12,43), dedicata ai ―segni‖ compiuti da Gesù. Da Cana in poi la narrazione sosta nel giorno sesto, il giorno del Figlio dell’Uomo.
La sezione tiene dietro immediatamente alla sequenza dedicata alla risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-54) e potrebbe essere considerata, dopo i tre versetti-ponte di Gv 11,55-57, la somma delle prime due scene che iniziano la preparazione della Pasqua – non più dei Giudei, ma di Gesù – in tensione verso l’«ora» della morte in croce. Con la
crocifissione siamo in un altro giorno sesto, che è l’adempimento del giorno autentico del Figlio dell’Uomo. Con Gv 12,1 inizia infatti un’altra settimana, quella decisiva: es-sa giungerà sino al silenzio di quel sabato – ἦμ γὰο μεγάλη ἡ ἡμέοα ἐκείμξσ ςξῦ ραββάςξσ «era infatti grande il giorno di quel sabato» (Gv 19,31) – e finalmente, come punto di arrivo decisivo, ςῇ μιᾷ ςῶμ ραββάςωμ «al primo giorno dopo i sabati» (Gv 20,1; cf anche 20,19). Ma l’«ottavo giorno» appartiene ormai al tempo del Risorto.19,31) – e finalmente, come punto di arrivo decisivo, ςῇ μιᾷ ςῶμ ραββάςωμ «al primo giorno dopo i sabati» (Gv 20,1; cf anche 20,19). Ma l’«ottavo giorno» appartiene ormai al tempo del Risorto.
La pericope si compone di tre scene: a) Gv 11,55-57 sono tre versetti di passaggio, che uniscono la sequenza della risurrezione di Lazzaro alla cena seguente con l’unzione di Maria; b) Gv 12,1-8 è la cena tenutasi a Betania, in casa di Marta e Maria in onore di Lazzaro, con l’unzione di Maria (vv. 1-3) e la reazione di Giuda che causa l’intervento di Gesù (vv. 4-7. 8); c) Gv 12,9-11 sono i versetti che introducono la se-quenza seguente dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, acclamato dalla folla e andreb-bero quindi uniti a Gv 12,12-19. L’entrata, comunque, è collocata ςῇ ἐπαύοιξμ «il gior-no seguente»; perciò si possono considerare anch’essi versetti di passaggio tra le due scene.

Gv 11,55-57: È la terza Pasqua dei Giudei che il Quarto Vangelo ricorda (la prima in Gv 2,13 e la seconda in Gv 6,4). Ma questa è anche l’ultima volta che si menziona una «Pasqua dei Giudei»: da qui in avanti essa sarà progressivamente oscurata dalla «vera» Pasqua (Gv 12,1; 13,1; 18,28. 39; 19,14), quella che è il contesto memoriale della mor-te in croce e della risurrezione di Gesù.
Dalle fonti possedute, la popolazione di Gerusalemme passava dai circa 25.000 abitanti ai 125.000 presenti, con un afflusso di pellegrini che superava le 100.000 unità. Le informazioni date sono precise. Anche Gv 7,11 e 13 ricorda che prima delle grandi feste il popolo proveniente dalla provincia e dall’esterno di Gerusalemme amava compiere il rito di purificazione nella Città Santa.
Quanto al v. 57, è evidente che l’allusione sta alla scelta strategica dei capi di Gerusalemme. Essi volevano arrestare Gesù nel luogo il più possibile appartato dalla folla, per evitare ogni tentativo di rivolta tra il popolo.

Gv 12,1-3: Sei giorni prima della Pasqua (giudaica) per Giovanni significa dunque la sera che da šabbāt porta al primo giorno della settimana, a chiusura dello šabbāt. In ogni modo, non si può partire dal fatto che Marta serviva per affermare che il sabato era già terminato, in quanto servire a tavola – senza però preparare cibi con il fuoco – era un lavoro permesso di šabbāt.
Un problema aperto è di stabilire chi sia l’ospitante e chi l’ospitato (v. 2): l’antica versione siriaca risolve il problema facendo di Lazzaro l’ospitante, mentre il testo criti-co così come sta farebbe pensare che Marta e Maria siano le sorelle ospitanti e Lazzaro uno degli ospiti ―reclinato‖ con Gesù attorno alla tavola. Se davvero fosse così, sa-remmo davanti a una tradizione diversa rispetto alla composizione familiare così com’è presentata in Gv 11,1-54.
Maria compie un esplicito gesto di amore davanti ai commensali (v. 3), che Gesù non rifiuta ma re-interpreta anticipando il significato della memoria della propria se-poltura. Il balsamo profumato usato da Maria permette questa doppia valenza. Il testo parla di λίςοαμ μύοξσ μάοδξσ πιρςικῆπ πξλσςίμξσ: - λίςοα: ovvero «libra», una misura per liquidi o semisolidi. La libbra romana equivale a 327,168 grammi ed è divisa in 12 once di 27,264 grammi. È ripresa anche in Gv 19,39: Nicodemo porta al sepolcro «una mistura di mirra e aloe di circa cento libre». La connessione non è casuale, in quanto l’unzione di Maria anticipa quella del cadavere di Gesù deposto dalla croce.
- μύοξμ: «unguento, profumo» (cf anche l’anticipo di Gv 11,2; e inoltre Mc 14,3-5; Ap 18,13). Da una parte, il vocabolo ci collega al racconto di Mc 14,3 con quasi la medesima espressione «vasetto di alabastro di unguento di nardo genuino molto costoso». Dall’altra parte, siamo rimandati, alme-no etimologicamente, anche alla mirra che era usato per le unzioni sepolcrali: un altro anticipo della sepoltura di Gesù.
- μάοδξπ: è l’essenza del profumo e nel NT è ricordato solo qui e nel racconto parallelo di Mc 14,3. Il nome deriva dall’indo-iraniano narda, ovvero il nardo siriaco, il più pre-giato che dovrebbe derivare dalla nardostachys grandiflora. Il suo rizoma, che si trova sottoterra, può essere schiacciato e distillato in un olio essenziale ambrato intensamen-te aromatico, molto denso, detto olio di nardo, usato come profumo. Era una delle undici essenze utilizzate per l’incenso del tempio di Gerusalemme. In particolare, è il profumo per l’incontro d’amore con il re, ricordato in Ct 1,12 e 4,13-14.
- πιρςικόπ: «puro, genuino» anche questo vocabolo accomuna il presente testo a Mc 14,3. Non ha nulla a che fare con il «pistacchio», ma rende l’attributo aramaico qušṭāʾ, molto frequentemente usato per la qualità del nardo (nardāʾ qušṭāʾ).
- πξλύςιμξπ: «di molto valore» (cf in Mt 13,46 è attributo per la perla trovata nel campo; in 1 Pt 1,7 in comparativo tra la fede e l’oro). Mc 14,3 invece utilizza il parallelo πξλσςελήπ «molto costoso».
La notazione finale è molto intrigante per la sua allusività: «la casa si riempì dell’a-roma del profumo». Come il tempio nella vocazione di Isaia era pieno del mantello di-vino, della sua gloria e del fumo dell’incenso (cf Is 6,1-4): anche in questa scena d’amore sta avvenendo una teofania tutta particolare (cf Ct 8,6).

Gv 12,4-7. 8: È stridente il contrasto tra l’amore senza prezzo di Maria e il calcolo in-teressato di Giuda, che anticipa il suo calcolo politico nel consegnare Gesù ai sacerdoti e ai capi di Gerusalemme (i Giudei).
Giuda legge il gesto subito facendo il calcolo dello spreco: «trecento pezzi di argen-to» (Mc 14,5: «più di trecento pezzi di argento»), il che comunque vale circa il salario di un operaio per un intero anno di lavoro! La notazione dell’evangelista è amara: non era solo un episodio isolato, Giuda aveva un’amministrazione un po’ allegra …

Dal punto di vista interpretativo, la cosa più importante è riuscire a tradurre bene la reazione di Gesù al v. 7, in quanto il v. 8 è da considerarsi una conflazione con il rac-conto sinottico (cf Mc 14,7 || Mt 26,11 qui ripetuto parola per parola). Ecco di seguito qualche traduzione recente:
NAS: «Let her alone, in order that she may keep it for the day of my burial».
TOB: «Laisse-la! Elle observe cet usage en vue de mon ensevelissement».
Einheitsübersetzung: «Lass sie, damit sie es für den Tag meines Begräbnisses tue».
Nuova CEI: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura.
Nuovissima Versione: «Lasciala, ché lo doveva conservare per il giorno della mia sepoltura».
Si sarebbe quasi tentati di tradurre ἄτεπ αὐςήμ con «perdonala», ma il complemento in accusativo lo impedisce. Preferisco allora, fra tutte le possibilità, la seguente: «permettile di poter con-servare questo gesto per il giorno della mia sepoltura».
Questa versione mette in evidenza il senso di una custodia di una nuova miṣwâ, un nuovo comandamento: la memoria della sepoltura di Gesù. La sepoltura di Gesù si-gnifica la verità del compimento della sua morte, ma anche il fatto che quel cadavere non è più stato trovato e di esso rimane impressa nella memoria quella unzione profe-tica, come una sindone spirituale.
Gv 12,9-11: Persino in questi versetti di transizione, il Quarto Vangelo ricorda il ruolo di Lazzaro. Mentre in Marco (e Matteo) l’unzione di Betania – con la donna peccatri-ce protagonista senza nome – avviene dopo l’entrata gioiosa di Gesù in Gerusalemme con ali di folla acclamante, in Giovanni l’entrata avviene il giorno dopo la cena e l’unzione. Non dobbiamo stupirci se vi sono ripetizioni o anticipazioni di situazioni che sono vissute nei rapporti tra le prime comunità cristiane e le sinagoghe solo alla fi-ne del I secolo d.C.: in effetti, l’attenzione di questi versetti riguarda più il contatto della comunità cristiana con il mondo giudaico che non Gesù direttamente. Non basta aver eliminato fisicamente Gesù, ora bisogna fare i conti con una comunità cristiana viva, «risorta» come Lazzaro.

PER LA NOSTRA QUARESIMA

1. D. Bonhoeffer ha scritto che
anche nell’Antico Testamento colui che è benedetto deve soffrire molto (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), ma mai questo (altrettanto poco come lo è nel Nuovo Testamento) porta a mettere vicendevolmente felicità e sofferenza, o benedizione e croce, in una con-trapposizione escludente. La differenza tra l’AT e il NT sotto questo aspetto sta solo nel fatto che nell’AT la benedizione comprende in sé anche la croce, mentre nel NT la croce ha in se stessa anche la benedizione.

Per troppo tempo, la comprensione della spiritualità di Gesù è stata impedita da pregiudizi teologici. Può sembrare sorprendente il fatto che per molti secoli la rifles-sione su Cristo e la pietà cristiana si siano allontanate l’una dall’altra per limiti così in-cidenti. La stessa interpretazione della morte di Gesù e della sua fedeltà all’amore «si-no alla fine» è stata falsata dal presupposto che egli già conoscesse il suo destino. Que-sto non ha certo impedito lo sviluppo di forme autentiche di spiritualità cristiana. Oc-corre tuttavia ricordare che la potenza della grazia vince anche modelli inadeguati, riu-scendo ad esprimere la luce e la grazia sufficienti a far crescere figli di Dio. Ciò che importa non sono i modelli attraverso i quali si interpretano le esperienze, bensì le of-ferte vitali accolte e le dinamiche messe in moto. È però innegabile che i modelli pos-sono impedire alcuni sviluppi e in certe situazioni divenire ostacoli gravi.
La pietà cristiana oggi può e deve subire una svolta notevole: «fissando lo sguardo su Gesù» (Eb 3,1; 12,2), la comunità ecclesiale può imparare a percorrere il cammino di fede di Gesù e ad assimilare i suoi criteri di scelta. Una fase nuova può aprirsi nella storia della teologia, della pietà e della spiritualità cristiana. Percorrendo il cammino di fede che Egli ha percorso non solo siamo in grado di «avere gli stessi sentimenti che fu-rono in Cristo Gesù» (cf Fil 2,5), di «avere cioè il suo pensiero» (cf 1 Cor 2,16), ma an-che di sviluppare e far fiorire nel nostro tempo le potenzialità ancora inespresse del suo Vangelo. Oggi siamo in grado di fare un notevole passo avanti verso la scoperta dell’autentica spiritualità di Gesù, di penetrare più nel profondo il segreto della sua preghiera, di cogliere in modo più profondo la portata della sua fedeltà al Regno di Dio e di capire meglio l’annuncio del suo Vangelo. A questa possibilità corrisponde il compito di testimoniare l’esito salvifico della via tracciata da Gesù, l’efficacia del suo Vangelo, di mostrare, cioè, a quale ricchezza può condurre lo Spirito che il risorto con-tinua a effondere su coloro che, anche oggi, vivono la sua Parola. Non possiamo tradi-re la responsabilità che grava sulla nostra generazione di credenti. È in gioco la soprav-vivenza dell’umanità.

2. La liturgia ci insegna ad accostare l’evento della Parola perché ci possiamo tra-sfigurare, nelle vicende del tempo, in discepoli autentici e amati dal Signore.
Lo straordinario mondo del Vangelo di Giovanni ci porta a contemplare il duello sempre più serrato tra l’eccedenza del dono della vita di Gesù e ragionevolezza umana. Ci invita a sottrarci alla banalità e alla presunta familiarità, per inabissarci nel mistero dell’accoglienza, della venerazione incessante del mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo.

3. Un gesto profetico … Il simbolo ha un senso assolutamente reale per chi lo crea, un senso che si indeboli-sce quando viene conosciuto e usato da coloro che hanno ormai un altro modo di vive-re e abitano sotto un altro orizzonte, in un mondo logico o che pretende di esserlo.[…] Il simbolo è anche canone, perché deve essere inalterabile. Il simbolo è il linguaggio del mistero.

4. Nella casa di Betania, casa dell’amicizia, il gesto di Maria è il simbolo dell’ec-cedenza, della sproporzione, dello ―spreco‖ di profumo prezioso. La presenza di Gesù suscita questo gesto. Egli ne è anche l’interprete a fronte della ragionevolezza contabile espressa da Giuda.
Maria offre nardo purissimo, senza dire parola.
Giuda ne calcola il valore indicandone una ragionevole destinazione.
La presenza di Gesù, l’amico della casa di Betania, disorienta e suscita l’autenticità del gesto di Maria – paradigma del discepolo (amato). Offre tutto quello che è e che ha, e viene ospitata nel mistero di Gesù, che cammina verso la morte.
Gesù stesso poi si inginocchierà ai piedi dei discepoli, vi verserà dell’acqua, li asciu-gherà. Passaggio di amore e di dedizione, senza calcolo.
Il fine dell’eccedenza e del profumo non è rinuncia, perdita, distacco, ma passaggio dell’amore divino.
Non vi sono garanzie, autodifese, volontarismo etico, prestigio, che tutti insieme, ragionevolmente, possano disseminare il profumo nardo purissimo nelle esistenze dei discepoli.
Gesù, nella casa di Betania, interrompe le logiche umane, parlando del gesto unico, profetico di Maria. ―Permettile di poter serbare questo gesto per il giorno della mia sepoltura”.
Non ci sfugge il contrasto tra la raffinatezza dei gesti silenziosi di Maria verso Gesù e la prospettiva di morte che lo attende. Se Gesù stesso non avesse spiegato quel gesto-simbolo-profezia, il nostro disorientamento sarebbe al pari di quello di Giuda. Do-manda aperta la sua, contrasto tra il silenzio di Maria e le parole di Giuda.
Quel gesto rimarrà, perché narrato nell’evento del Vangelo, per ogni discepolo.
La libertà, la fragranza del profumo e la dolorosa coscienza di Gesù per la prossimi-tà della sua morte costituiscono un ―tempo sospeso‖ di contemplazione del dono della vita, del profumo che il dono di sé spande nella casa.
È il tempo ―altro‖ della contemplazione, che ci porterà, ancora con delle donne che hanno mani cariche di aromi, al giardino dove era custodito il corpo di Gesù, nel mat-tino di Pasqua.
L’unicità del gesto di Maria semina sconcerto e così le parole di Gesù che lo inter-pretano. I silenzi del Vangelo sulle ragioni di Maria per quel gesto, non chiedono le nostre parole. In quelle di Gesù ne accogliamo il significato, abitando sulla soglia di un ascolto inafferrabile, evocandolo alla radice come mistero divino, offerto alle nostre in-telligenze e ai nostri cuori. Unicità del gesto, il sempre dei poveri…
Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,
e cioè che tu (Dio) non puoi aiutare noi,
ma che siamo noi ad aiutare te,
e in questo modo aiutiamo noi stessi.
L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi,
e anche l’unica che veramente conti,
è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche contribuire
a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini.
Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto
per modificare le circostanze attuali
ma anch’esse fanno parte di questa vita …
E quasi a ogni battito del mio cuore,
cresce la mia certezza:
tu non puoi aiutarci,
ma tocca a noi aiutare te,
difendere fino all’ultimo la tua casa in noi…

6. Coro, Preghiera
Dal sepolcro la vita è deflagrata.
La morte ha perduto il duro agone.
Comincia un’era nuova:
l’uomo riconciliato nella nuova
alleanza sancita dal tuo sangue
ha dinanzi a sé la via.
Difficile tenersi in quel cammino.
La porta del tuo regno è stretta.
Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora sì che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L’offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen.

7. Non startene nascosto
nella tua onnipresenza. Mostrati,
vorrebbero dirgli, ma non osano.
Il roveto in fiamme lo rivela,
però è anche il suo impenetrabile nascondiglio.
E poi l’incarnazione – si ripara
dalla sua eternità sotto una gronda
umana, scende
nel più tenero grembo
verso l’uomo, nell'uomo... sì,
ma il figlio dell’uomo in cui deflagra
lo manifesta e lo cela...
Così avanzano nella loro storia

giovedì 22 marzo 2012

DOMENICA 25.03.2012 DI LAZZARO - V di Quaresima

LEGGETE QUESTO VANGELO. CI SONO BUONE NOTIZIE!

LETTURA
Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4a. 20-25


In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».


SALMO
Sal 104 (105)

® Il Signore fece uscire il suo popolo fra canti di gioia.

A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore. ®

Israele venne in Egitto,
Giacobbe emigrò nel paese di Cam.
Ma Dio rese molto fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi oppressori. ®

Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia,
perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 15-20


Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 1-53


In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Commento al vangelo

Con il cap. 11 si chiude la sezione del racconto giovanneo iniziata con il giorno di Cana, ove Gesù compì il suo primo segno. Siamo idealmente sempre nel sesto giorno, il giorno della creazione dell’Uomo (cf Gn 1,26-28), ma anche il vertice dell’opera creatrice di Dio. Il giorno del Figlio dell’Uomo giunge sino al compimento della risurrezione di Lazzaro.

In Gv 11,55 infatti è annunciata l’ultima pasqua e in Gv 12,1 si apre l’ultima settimana prima della Pasqua definitiva, non più chiamata dei Giudei, una Pasqua che cul-mina con la crocifissione che avviene anch’essa il sesto giorno, prima del Grande Sabato. Il giorno sesto è quindi il giorno della nuova alleanza e il giorno della creazione ultimata, quella del Figlio dell’Uomo che culmina nella risurrezione.

La nuova alleanza dello Spirito (cf anche Gv 1,17) fa nascere una nuova comunità di uomini e donne, che potranno veramente godere di una vita definitiva, ovvero della ri-surrezione. Essa prende forza e vita dal Crocifisso Risorto, quando consegna il suo Spirito: è il compimento più profondo della creazione e della liberazione esodica, per-ché davvero con lo Spirito del Risorto «usciamo» dal sepolcro e dalla morte, per «essere guidati» dalla mano del Vivente e poter «entrare» nella gloria.

Gv 11,1-53 si compone di due sequenze narrative disposte come un dittico a contrasto: da una parte, Gesù che conferisce la vita piena al credente che è morto (Gv 11,1-45); dall’altra, la condanna a morte di Gesù da parte delle autorità giudaiche di Gerusalemme (Gv 11,46-53). La pagina si chiude con la notazione del ritiro di Gesù con i discepoli nella città di Efraim, al di fuori della Giudea (Gv 11,54).

La famiglia di Marta, Maria e Lazzaro rappresenta una comunità che non ha ancora compreso la novità della vita nello Spirito comunicato dal Risorto e vive con la paura della morte: l’intervento di Gesù libera dall’impedimento radicale della morte e per-mette alla comunità di comprendersi alla luce della risurrezione del Crocifisso.

Dall’altra parte, la seconda pala del dittico presenta invece la condanna a morte di Gesù proprio da parte delle autorità giudaiche e a motivo del suo dare la vita. Il con-flitto è ormai giunto al massimo di incandescenza. Il popolo è ormai vicino alla deci-sione suprema: per il suo Messia oppure per una libertà compromessa irreparabilmente.

La pagina, un altro racconto condotto magistralmente dal Quarto Evangelista, mo-stra alla fine il superamento della paura di andare incontro alla morte da parte di que-sta comunità, che non ancora aveva capito.

Nella prima sezione del racconto (Gv 11,1-17) si comincia con la presentazione dei personaggi e la situazione di Lazzaro (vv. 1-2), seguita dal dialogo a distanza che la piccola comunità ha avuto con Gesù (vv. 3-6). La decisione di Gesù di andare di nuo-vo in Giudea suscita una forte obiezione tra i discepoli, cui risponde Gesù (vv. 7-10). La parola di Gesù che invita i suoi ad andare con lui suscita la reazione disfattistica di Tommaso (vv. 11-16).

La seconda sezione (Gv 11,17-27) si apre con l’arrivo di Gesù a Betania e la presen-tazione della comunità che lì vive, ancora fortemente legata alle attese del Giudaismo circa la morte e la risurrezione e circa il Messia. A partire dalla situazione descritta nei vv. 17-20, Marta, il personaggio che rappresenta tale comunità, dialogando con Gesù èorte. Ella è chiamata all’incontro dalla sorella Marta (vv. 28-32). L’incontro con Gesù mostra la diversità della sua afflizione rispetto al dolore di Gesù (vv. 33-38a).

Con la quarta scena (Gv 11,38b-46) ci si sposta al sepolcro, dove il simbolo fermo della pietra che sta davanti al sepolcro (vv. 38b-41a) esprime con chiarezza la vittoria della vita conferita da Gesù capace di vincere la morte e di liberare i suoi dalla paura della morte (vv. 41b-44). Più di ogni altro segno, la risurrezione di Lazzaro provoca di-verse reazioni dei Giudei (vv. 45-46).

In sintesi, ecco lo sviluppo della prima pala del dittico:

I. vv. 1-2: presentazione dei personaggi e situazione

vv. 3-6: dialogo a distanza tra Gesù e Marta, Maria e Lazzaro

vv. 7-10: decisione di Gesù di tornare in Giudea

vv. 11-16: il coinvolgimento dei discepoli

II. vv. 17-20: arrivo di Gesù a Betania; situazione di Betania

vv. 21-27: la fede di Marta in Gesù Messia, figlio di Dio

III. vv. 28-32: Marta invita Maria ad andare incontro a Gesù

vv. 33-38a: il dolore di Maria e il dolore di Gesù per la morte di Lazzaro

IV. vv. 38b-41a: la necessità di credere per togliere la pietra dal sepolcro

vv. 41b-44: la vittoria della vita sulla morte

vv. 45-46: le opposte reazioni dei Giudei

Sulla seconda pala del dittico (solo su questa ci soffermiamo, vista la lunghezza del testo), in opposizione all’azione di vita di Gesù, sta la reazione delle autorità dei Giudei, che giungono alla decisione di uccidere Gesù, con il falso principio nazionalistico espresso da Caifa: «È meglio che muoia uno solo, ma non perisca la nazione intera!» (v. 49).

vv. 47-48: il disorientamento del consiglio convocato dopo la risurrezione di Lazzaro

vv. 49-52: la parola profetica di Caifa, sommo sacerdote

v. 53: la decisione di uccidere Gesù

vv. 47-48: I sommi sacerdoti (sadducei) e i farisei (almeno coloro che erano mem-bri del sinedrio) sono i due gruppi che rappresentano l’autorità religiosa di Gerusa-lemme (cf Gv 7,32 e 45). Sono loro infatti i Giudei, di cui parla spesso il Quarto Vangelo, in quanto abitanti a Gerusalemme e quindi della Giudea. Non bisogna confondere questo gruppo direttivo con la totalità dei diversi gruppi giudaici del tempo di Gesù. I loro interessi economici e politici li portarono alla rovina. Sono proprio loro i primi a muoversi contro l’operato di Gesù.

Nel loro dialogo in consiglio, non nominano mai Gesù per nome, quasi per una damnatio prima ancora di averlo condannato a morte. Non bisogna stupirsi troppo del loro atteggiamento. È il rischio di ogni autorità e di ogni potere umano: sconfessare e ritenere negativo ogni opposizione al proprio operato, confondendo il proprio volere con il volere stesso di Dio.

Avevano buone ragioni di temere che tutti andassero con Gesù e si rivoltassero con-tro di loro. Gesù aveva lanciato invettive insostenibili nei loro riguardi. Li aveva chia-mati ipocriti e omicidi (Gv 8,44), li aveva definiti degli schiavi (Gv 8,34) e aveva detto che il loro dio era il denaro (Gv 2,16; 8,20; 8,44); aveva detto di loro che, pur essendo rappresentanti di Dio, non lo conoscevano (Gv 8,54-55), li aveva accusati di non os-servare la Tôrâ di Mosè (Gv 7,19), ma di seguire una dottrina che non viene da Dio, che è un’invenzione per il loro proprio vanto (Gv 7,18). C’è da meravigliarsi di trovare questo gruppo dirigente contro Gesù?

Non è detto che la minaccia dei Romani sia del tutto falsa. Certo è che la paura dei Romani è da leggere come una fine della loro autorità, più che una minaccia contro il popolo giudaico. È però evidente che dietro le parole del v. 48b stanno le ombre vivide di quanto è successo a Gerusalemme nel 70, a seguito della prima rivolta giudaica: quel grandioso e monumentale tempio erodiano, iniziato nel 20 a.C. e terminato sol-tanto dopo 84 anni di lavoro nel 64 d.C., ha avuto una vita di soli sei anni! Poi, raso al suolo, completamente, proprio come Shilo (cf Ger 7 e 26).

vv. 49-52: L’entrata in scena del sommo sacerdote è insieme solenne ed effimera. La sottolineatura che Caifa fosse sommo sacerdote quell’anno potrebbe essere intesa co-me una precisazione cronologica, ma anche come espressione di qualcosa di effimero e caduco. Anche in questo opera tragicamente l’ironia di Giovanni: proprio quell’anno il sommo sacerdote avrebbe dovuto riconoscere la grandezza del Messia di Dio per Israe-le e invece, con la sua parola, contribuisce all’eliminazione di Gesù.

Effettivamente, la parola di Caifa dice profeticamente quale sarebbe stato il disegno di Dio. Ma proprio qui è in tensione quell’ironia che Giovanni semina un po’ dapper-tutto nel suo vangelo: Caifa proclama solennemente ciò che effettivamente Dio avreb-be operato attraverso la loro diabolica presa di posizione. Perché il Dio dell’esodo sa trarre a libertà il suo popolo recluso in «casa di schiavitù» e sa trasformare in sacrificio di espiazione quella morte apparentemente assurda del suo servo (cf Is 53,10).

La parola di Caifa (v. 50) è espressa con linguaggio molto preciso e puntuale: «Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Popolo ha una valenza teologica e richiama il patto di JHWH con Israele (cf soprattutto Es 19 e 24); nazione, al contrario, ha valenza politica e in quel momento significa la struttura legata sì all’autorità dei Romani e dei vari re-fantoccio che si susseguono dopo Erode il Grande (morto nel 4 a.C.), ma legata soprattutto al potere amministrato nel tempio dai sacerdoti.

L’esplicitazione teologica dei vv. 51-52 è fondamentale, non solo per illuminare il presente passo, ma anche per anticipare l’interpretazione corretta della scena della cro-cifissione, quando i soldati, da una parte, decidono di non strappare la tunica (Gv 19,23-24) e, dall’altra parte, la Madre e il discepolo che Gesù amava, al quale Gesù af-fida la Madre (Gv 19,25-27). Entrambe le scene esprimono la riunificazione dei figli di Dio dispersi, di cui parla Giovanni interpretando le parole di Caifa. Il testo giovanneo allude a Ger 38,8 LXX = 31,8 TM che parla del popolo d’Israele disperso:

Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione

e li raduno dalle estremità della terra nella festa di Pasqua…

Le ultime parole in corsivo non sono presenti nel TM, ma solo nella versione greca dei LXX (ἰδοὺ ἐγὼ ἄγω αὐτοὺς ἀπὸ βορρᾶ καὶ συνάξω αὐτοὺς ἀπʼ ἐσχάτου τῆς γῆς ἐν ἑορτῇ φασεκ). L’unità però cui Gesù convoca tutti i dispersi sarà qualcosa di veramen-te eccedente ogni attesa: non sarà soltanto la convocazione in un solo luogo di coloro che si trovano ai quattro angoli della terra, ma sarà la comunione con sé e con il Padre:

20 Non prego solo per questi,

ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola:

21 perché tutti siano una sola cosa;

come tu, Padre, sei in me e io in te,

siano anch’essi in noi,

perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,20-21).

Si leggano anche Gv 10,30 e 14,20. La morte di Gesù in croce sarà la morte del pa-store che dà la vita per le pecore (Gv 10,10s): la croce sarà la massima ingiustizia per quanto gli uomini hanno fatto, ma anche la massima manifestazione della gloria di Dio, del suo amore per gli uomini, perché lì Dio ha dimostrato di saper vincere persino la croce e la massima ingiustizia umana.

v. 53: Caifa ha saputo trovare tragicamente il consenso di tutti. Le autorità di Gerusalemme con questa sentenza dimostrano che la morte in croce non è stata una fatalità, ma una trama politicamente pensata, a freddo, per difendere i propri interessi di parte. Gesù l’aveva loro già rimproverato: «Voi siete dalla parte del vostro padre il Diavolo e volete adempiere i desideri del padre vostro! Egli è un omicida fin da principio, non è rimasto nella verità, poiché non c’è verità in lui» (Gv 8,44).

La pagina si conclude con una notazione geografica. Essa ha pure bisogno di parole profetiche per essere compresa: Gesù e i suoi si ritirano a Efraim, fuori dalla Giudea.

Gesù, che porta lo stesso nome di Giosuè, ha attraversato il mare ed è uscito dalla terra di schiavitù (Gv 6,1); ha attraversato il Giordano come Giosuè, giungendo nella terra della promessa (Gv 10,40); ora, per un complotto contro di lui, come Giosuè, ri-ceve un luogo di rifugio «al di fuori dei suoi», che non hanno voluto accoglierlo (cf Gv 1,11). Si legga il testo di Gs 19,49b-50 secondo la versione greca dei LXX:

I figli di Israele diedero a Giosuè, figlio di Nave, un’eredità in mezzo a loro. Seguendo l’ordine del Signore, gli diedero la città che egli chiese: Timna Serai, nella terra di Efraim. Egli costruì la città e vi si insediò.

Giovanni chiama quel luogo Efraim, cioè Samaria, ricordando che la donna di Sa-maria e i samaritani di Sicar l’avevano riconosciuto come Salvatore del mondo (Gv 4,42).

Un altro testo profetico, Ger 38,8 LXX (= 31,8 TM), promette la riunificazione di tutto Israele nel giorno della pasqua, in quanto Efraim è detto da Dio suo primogenito (Ger 38,9 LXX = 31,9 TM). Samaria, a differenza della Giudea, si mostrerà accogliente del vangelo del Risorto e la riunificazione, di cui ha parlato profeticamente Caifa, av-verrà secondo il progetto sempre sorprendente di Dio.

PER LA NOSTRA VITA

1. Il tempo ci comunica qualcosa della morte, la finitezza, che è insieme l’evidenza del terminare e il mistero del compiersi del tempo ricevuto. Perciò per noi il vedere è, presto o tardi, il veder finire, il vederci finire. E il ricevere è ispirato dal paradossale invito che chiede di restare per accogliere i doni della vita e d’altra parte, di imparare a partire. R. MANCINI, Esistere nascendo. La filosofia maieutica di Maria Zambrano (Saggi 41), Città Aperta Edizioni, Troina EN 2007, p. 154.

2. La Parola di Gesù è secondo Giovanni, nel suo Vangelo, prima di tutto una sfi-da: alla miseria morale degli uomini e, perché no, alla loro angustia mentale. A questa pochezza è contrapposta l’abbondanza di amore del Padre per il Figlio e nel Figlio a tutti gli uomini. Il tema fondamentale resta proprio quello: l’identità di Padre e Figlio. Gesù ritorna sempre sulla primaria proposizione che molti, riluttanti, giudicano una pretesa. Rivolto agli ascoltatori e ai discepoli si dice sempre insoddisfatto del grado di certezza che ha raggiunto la loro fede.

Una rampogna latente o dichiarata rimane sempre nel fondo del suo discorso come preludio alle grandi lezioni. Solo nelle previsioni dell’ultimo giorno c’è al cospetto del Padre indulgenza e tenerezza per i dodici e per i veri seguaci. M. LUZI, Con Giovanni l’uomo tocca il soprannaturale, «Il Corriere della Sera», 10 dicembre 2000, p. 32.

3. Lazzaro è morto da quattro giorni. L’evidenza, la ragionevolezza, il dolore della perdita. Il segno ultimo di Gesù svela nella vicenda più radicale della morte la forza della vita per chi crede in Lui. La ferita aperta del morire è sempre lotta intestina tra vita e morte, tra presenza e rifiuto, tra spirito e carne. È l’appuntamento, sulla soglia, di una esistenza chiamata ad affidarsi totalmente per vincere la morte.

La verità dell’uomo si svela su questa soglia. Credere in Lui non è la negazione della nostra costitutiva creaturalità, ma ricevere e accogliere uno spazio vuoto di invocazione, di attesa per una nuova forma di vicinanza, di affidamento, di relazione con Lui.

L’imprevedibile forza creatrice di Dio può germogliare ovunque come risurrezione dai sepolcri del nostro quotidiano.

Marta ha ragione quando dice a Gesù che suo fratello «manda già cattivo odore». L’odore della morte in un uomo è inenarrabile. Nulla di quanto conosciamo e odoria-mo, nella natura e nelle cose somiglia a quell’odore, che non si può dimenticare.

Noi siamo sulla soglia. E tuttavia l’esperienza della morte ci appartiene e vive nella nostra intimità come paura, come strappo e congedo per coloro che abbiamo amato e questa soglia l’hanno oltrepassata. Il silenzio della morte, tanto più se l’altro ci è fami-liare, prossimo, rivela che noi siamo privati della possibilità di condivisione con l’altro, che coinvolgeva la nostra esistenza.

La fede cristiana si misura con l’ansia e il turbamento; non sono altro dalla fede, ma materia stessa della fede. La casa dell’amicizia, a Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, è abitata dalla morte, dall’assenza: del fratello Lazzaro e dell’amico, Gesù, assente. Il paradosso dell’amico riportato alla vita da Gesù è dato dalla condan-na a morte, a causa di questo segno. Potente e impotente, allo stesso tempo, è l’amore, perché, mentre ridona la forza della vita, si espone al non-essere della morte.

Eccedenza e gratuità abissale.

Il Figlio si consegna ai desideri di morte, e di essa fa un luogo dove si irradia il suo amore. F. CECCHETTO, Testo inedito.

4. La morte non designa né un’alterità né un futuro. Il silenzio che s’instaura at-torno […] alla morte non esprime solo lo strappo della separazione irreversibile, ma anche la nostra angoscia alla vista di questo morto, il nostro orrore davanti a questa as-surdità in forma di cadavere informe, davanti a questo presente-assente rapito in un vuoto per il quale non abbiamo più parole, la nostra disperazione sulla soglia di questo anti-futuro. V. JANKÉLÉVITCH - B. BERLOWITZ, Da qualche parte nell’incompiuto, a cura di E. LISCIANI PETRINI (Piccola Biblioteca Einaudi 561), Giulio Einaudi Editore, Torino 2012, p. 137.

5. L’evangelista narra il cammino di Gesù verso il villaggio, il cammino di Marta verso Gesù, il suo ritorno a chiamare Maria, che “veloce” si orienta verso Gesù. Tutto è in movimento, ma tutto deve anche uscire dalla paralisi della morte.

Tutti i personaggi lasciano il luogo in cui si trovano. Tutti escono: Gesù e i discepo-li dalla Transgiordania; i giudei da Gerusalemme, Marta dal villaggio; Maria con i giu-dei dalla sua casa e dal villaggio; Lazzaro dalla tomba. Se Gesù, arrivato presso Betania, si ferma e non entra nella casa del lutto, si rimette ben presto in cammino col gruppo verso il luogo dove sfida la morte, mentre il movimento degli altri personaggi converge verso di lui. X. LÉON DUFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni II (capitoli 5-12) (La Parola di Dio), Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo MI 1992, p. 506.

6. La speranza è risposta, risonanza e corrispondenza a un appello che non solo la attrae, ma la suscita. La speranza è un cuore che trova il suo battito nella passione amorevole e che nell’amore puro cerca la sua luce, il sogno di una coscienza che aspira a vivere la verità, la risposta di un’anima che è l’identità originale e diveniente di cia-scuno nel mondo. R. MANCINI, Esistere nascendo. La filosofia maieutica di Maria Zambrano (Saggi 41), Città Aperta Edi-zioni, Troina EN 2007, p. 176.

7. Il segno della risurrezione di Lazzaro ci conduce a contemplare la forza dell’umanità di Gesù, il dolore per l’amico amato e le sue sorelle, il turbamento di fronte alla sua Ora ormai vicina, deliberata come condanna a morte dalle autorità giudaiche.

Assumendo la promessa della risurrezione si tratta di accettare di entrare nell’ombra e nel silenzio di un altrove, di un ulteriore e di un altrimenti rispetto al già dato. Ma è l’esperienza dell’ombra e del silenzio tipici del dolore, affrontata con il paradossale af-fidamento necessario ad attraversare la morte in tutte le sue forme. R. MANCINI, Il silenzio, via verso la vita (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 2002, p. 53.

8. [Dio si rivela] nella scelta di far nascere e, sempre di nuovo di far rinascere traversando l’angoscia, il dolore, la morte, superando l’indifferenza e la violenza.

Ma dire che in ciò Dio si rivela è ancora poco. Dio è questa scelta. Dio resta mistero. Ma la sua rivelazione nella scelta di creare, di amare, di farsi prossimo, dice un nucleo essenziale del suo mistero. R. MANCINI, Il silenzio, via verso la vita, p. 171.

9. Attingere alla fede nel Signore, vincitore della morte, è imparare la logica di Dio, nella vita umana, e attraverso l’ombra della morte, imparare che cosa sia la vita auten-tica, quella dei risorti.

10. Fecondità della morte

Accesso a terreni inesplorati,

soglia di nuovo roveto.

Ogni abisso è abitato da Dio, nel suo Figlio.

Non c’è spazio di umanità

– anche quello più abbandonato dalle relazioni umane (la morte) –

che sia abbandonato da Dio.

Il confine tra la morte e la vita:

divelto, come segno.

Prefigurazione, ora.

Infranta l’irreparabilità delle lacrime,

e la coscienza del muro della morte.

Paura troviamo,

nelle parole e nei suggerimenti dei discepoli

a Gesù.

Noi parliamo di ciò che sappiamo (Vg di Gv). F. CECCHETTO, Testi inediti.

11. Dove va,

non avrà scampo

tra cielo e terra

quell’azzurra

e nera transumanza.

La storia umana

non la leggi bene scienza,

non vede la tua lente

dentro quella consustanza

il sogno, l’agonia, la riluttanza

e quel tempo, e quella pastura.

Eppure, eppure …

M. LUZI, Lasciami, non trattenermi. Poesie ultime, a cura di S. VERDINO (Poesia. Gli Elefanti), Garzanti, Milano 2009, p. 51.