venerdì 2 marzo 2012

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA 4 MARZO 2012


DOMENICA DELLA SAMARITANA

LETTURA
Lettura del libro del Deuteronomio 5, 1-2. 6-21


In quei giorni. Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb.
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. / Non avrai altri dèi di fronte a me. / Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato.
Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. / Non ucciderai. / Non commetterai adulterio. / Non ruberai. / Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo.
Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”».


SALMO
Sal 18 (19)

® Signore, tu solo hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. ®

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. ®

Ti siano gradite
le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4, 1-7

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. / A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

VANGELO Giovanni 4, 4-42

4 [Gesù] doveva passare per la Samaria.

5 Arriva così ad una città della Samaria chiamata Sicar, nei pressi del pozzo che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe. 6 Ora, lì c’era la fonte di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato del viaggio, sedeva alla boc-ca di quella fonte. Era circa l’ora sesta.

7 Arriva ad attingere acqua una donna dalla Samaria. Gesù le dice:

– Dammi da bere!

8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a comprare cibo. 9 La don-na samaritana allora gli dice:

– Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una don-na samaritana?

I Giudei in effetti non hanno rapporti con i samaritani. 10 Gesù rispose e le dice: – Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti chiede: “Dammi da bere!”, allora avresti glielo avresti chiesto e lui ti avrebbe dato acqua vi-va!

11 [La donna] gli dice:

– Signore mio, non hai di che attingere e questo pozzo è profondo! Da dove hai dunque l’acqua viva? 12 Non sarai più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo, e ne bevve lui stesso, i suoi figli e il suo bestiame?

13 Gesù le rispose e le disse:

– Chiunque beve di quest’acqua, avrà sete ancora. 14 Ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non patirà più sete in eterno, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna!

15 La donna gli dice:

– Signore, dammi quest’acqua perché non abbia più sete e non debba più venir qui ad attingere!

16 Le dice:

– Va’ a chiamare tuo marito e torna qui!

17 La donna rispose e gli disse:

– Non ho marito.

Le dice Gesù:

– Dici bene: “Non ho marito”. 18 Infatti ne hai avuti cinque e l’uomo che ora hai non è tuo marito! In questo dici il vero.

19 Gli dice la donna:

– Signore, vedo che sei profeta! 20 I nostri padri hanno fatto prostrazio-ne su questo monte, ma voi dite: “In Gerusalemme sta il santuario in cui bisogna fare prostrazione!”.

21 Le dice Gesù:

– Credimi, donna, che viene l’ora in cui né su questo monte, né in Ge-rusalemme farete prostrazione al Padre! 22 Voi vi prostrate a colui che non conoscete, noi ci prostriamo a colui che conosciamo, poiché la sal-vezza proviene dai giudei. 23 Ma viene l’ora – ed è adesso – in cui i veri adoratori si prostreranno al Padre in Spirito e verità. Infatti il Padre cerca chi si prostri a lui in quel modo. 24 Dio è Spirito e bisogna che quanti fanno prostrazione si prostrino a Lui in Spirito e verità!

25 Gli dice la donna:

– So che verrà un Messia (che è detto Cristo)! Quando verrà, ci annun-cerà ogni cosa!

26 Le dice Gesù:

– Io sono, io che ti parlo!

27 In quel momento giunsero i discepoli e si meravigliavano che stesse a parlare con una donna. Nessuno tuttavia disse “Che cosa cerchi?” op-pure “Perché parli con lei?”. 28 La donna dunque lasciò lì la sua brocca, andò in città, e dice alla gente: – 29 Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quanto ho fatto! Non sarà forse lui il Cristo?

30 Uscirono dalla città e vennero da lui.

31 Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo:

– Rabbi, mangia!

32 Ma egli dice loro:

– Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete!

33 Allora i discepoli si dicevano l’un l’altro: “Che qualcuno gli abbia por-tato da mangiare?”. Gesù dice a loro:

– 34 Mio cibo è far la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera! 35 Non dite voi forse: “Ancora quattro mesi e viene la mieti-tura”? Ebbene, vi dico: “Alzate gli occhi e contemplate i campi già bianchi in vista della mietitura!”. Già 36 il mietitore riceve la paga e rac-coglie frutto per una vita piena, perché il seminatore gioisca con il mie-titore. 37 In questo momento si realizza il detto: “C’è uno a seminare e un altro a mietere”: 38 io vi ho inviato a mietere ciò per cui voi non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica!».

39 Molti samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna che attestava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto!”. 40 Come dunque i samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere presso di loro. Ed egli vi rimase due giorni. 41 E molti di più credettero per la sua parola, 42 mentre alla donna dicevano:

– Non crediamo più per ciò che racconti tu, ma noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che costui è veramente il salvatore del mondo!

COMMENTO AL VANGELO

L’opposizione dei farisei costringe Gesù ad abbandonare il territorio della Giudea e a tornare in Galilea, una regione lontana da Gerusalemme e dal suo centro di potere religioso, rappresentato dai sacerdoti. La Galilea è per Gesù una regione ove egli può circolare più liberamente (cf Gv 7,1).

L’attraversamento di queste regioni non è casuale. Gesù appare come un viandante che con il suo cammino riunisce territori divisi: Giuda (con la memoria dell’antico Re-gno della Casa di Davide), Israele e la Samaria (con la memoria della gloriosa Casa di Omri) e la Galilea, territorio delle genti (Is 8,23). La terra della promessa è divisa, da sempre spaccata, al tempo di Gesù spartita tra i quattro figli di Erode. Proprio il “re” della Giudea e Samaria, Archelao, per incapacità aveva già dovuto abbandonare il suo regno nell’anno 6 d.C. e il controllo del suo territorio era stato preso direttamente da Roma. Gesù doveva passare dunque per la Samaria: la sua missione era proprio di riu-nire insieme i figli di Dio dispersi (Gv 11,52).

L’incontro di Gesù con la donna di Samaria rappresenta quindi l’incontro di tutta la storia di Israele con il suo Messia, che rivela un nuovo modo di rendere culto a Dio e di «prostrarsi al Padre con Spirito e Verità» (Gv 4,23).

Il dialogo è lungo, ma la complessità è magistralmente dominata dalla tecnica narra-tiva dell’evangelista. Sebbene si riconosca nei vv. 16-26 il centro del dialogo, con la manifestazione del nuovo culto e dell’identità messianica di Gesù, è necessario lasciare alla narrazione la sua tensione progressiva, evidenziata dai diversi titoli dati a Gesù, di cui parlerò in seguito.

In sintesi questi sono i momenti principali del dialogo:

vv. 4-6: ambientazione presso il pozzo di Giacobbe, verso l’ora sesta

vv. 7-15: la donna di Samaria, l’acqua del pozzo e l’acqua dello Spirito

vv. 16-26: i culti del passato e il nuovo culto del Messia

vv. 27-38: i discepoli, l’annuncio della donna e la mietitura

vv. 39-42: la realtà del raccolto ovvero la fede dei samaritani

vv. 4-6: Ambientazione presso il pozzo di Giacobbe, verso l’ora sesta.

Sicar è la versione greca di šekem ovvero di Sichem, un luogo che porta in sé tante memorie storiche, a partire proprio dal tempo di Giacobbe, il quale acquistò il suo primo appezzamento di terreno proprio a Sichem (Gen 33,18-19) e lo diede in eredità a Giuseppe (Gen 48,21-22). Anche il tempo dell’incontro è registrato con insistita precisione: «era circa l’ora sesta», verso mezzogiorno. Entrambi gli elementi sono però solo l’aggancio per una valenza simbolica ben più profonda, come è solito fare il Quarto Vangelo.

Nei racconti patriarcali, il pozzo è il luogo vitale per i pastori e le loro greggi (cf Gen 29,1-8) e il possesso di un pozzo significa vita o morte (cf le lotte dei pastori di Abramo in Gen 21 e dei pastori di Isacco in Gen 26): scavare un pozzo di acqua sorgiva («acqua viva») è una delle opere degne di memoria per un pastore della steppa (cf Gen 26,19). Il pozzo è spesso un luogo di incontro in vista del fidanzamento e del matrimonio: il servo di Abramo vi incontra Rebecca (Gen 24,15-25), Giacobbe vi incontra Rachele (Gen 29,9-14), Mosè vi incontra Zippora, figlia di Ietro (Es 2,15). Nell’epi-sodio giovanneo questo scenario d’amore è coerente con l’ispirazione oseana dell’in-contro con la donna di Samaria. Anche la letteratura sapienziale assume questo simbo-lo per l’intreccio tra sapienza e la propria donna, contro la donna straniera, emblema della stoltezza (cf Pro 5,15; nei deuterocanonici Sir 26,12; Bar 3,12; Sap 7,25). Me-diante un antichissimo canto, anche Nm 21,16-18 trasforma il pozzo nel simbolo del dono di JHWH per il suo popolo peregrinante nel deserto.

Quanto all’ora sesta, si è subito rimandati a Gv 19,14: Pilato conduce fuori Gesù con la corona di spine che i flagellatori gli avevano imposto sul capo per prendersi gioco di lui e proclama davanti ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Anche nell’incontro con la donna di Samaria si assiste a una progressiva rivelazione dell’identità di Gesù: «giudeo» (v. 8), «più grande del nostro padre Giacobbe» (v. 12), «signore» (v. 15), «profeta» (v. 19), «Messia-Cristo» (vv. 25 e 29), «Io sono» (v. 26), «il Salvatore del mondo» (v. 42).

vv. 7-15: La donna di Samaria, l’acqua del pozzo e l’acqua dello Spirito.

a) L’identità della donna di Samaria. La donna si identifica con la «Samaria» ovvero con la storia dell’Israele del Nord. Per comprendere a fondo il simbolo nuziale dello sposo-Messia che va in cerca della sposa infedele è necessario rileggere Os 2,4-25. Osea fu profeta in Samaria, negli anni 750-730 a.C., dal tempo di Geroboamo II sino a quasi alla caduta di Samaria, in un momento di particolare scontro tra il Regno di Giuda e quello di Israele, quella che Lutero per primo chiamò la guerra della lega siro-efraimita contro Gerusalemme. Di fronte alla sposa-Israele, prima accusata di essere una prostituta infedele e perciò ripudiata (Os 2,4-16), JHWH stesso cambia modo di agire: ricomincia con la sposa un rapporto di amore come quello delle origini del deserto e stipula con lei un patto nuziale eterno (Os 2,17-25; si possono anche leggere alcune riscritture successive del medesimo simbolo in Is 1,21-26; 54,1-10; Ger 2; Ez 16…). La con-clusione del rîb di Osea, che abbiamo appena letto nell’Ultima domenica dopo l’Epifa-nia, è un ciclo di benedizione che da JHWH giunge alla madre terra e da essa a tutte le relazioni di alleanza coinvolte:

23 E avverrà, in quel giorno

– oracolo di JHWH –

io risponderò al cielo

ed esso risponderà alla terra;

24 la terra risponderà al grano,

al vino nuovo e all’olio

e questi risponderanno a Jizreʿ ʾel.

25 Io li seminerò di nuovo per me nel paese

e amerò Loʾ-ruḥama,

e a Loʾ-‘ammî dirò: “Popolo mio”,

ed egli mi dirà: “Dio mio”. (Os 2,23-25).

La conclusione del rîb di Osea è particolarmente importante anche per comprendere i vv. 27-42 della presente pericope, la semina e la mietitura e il loro rapporto con le se-zioni precedenti.

b) L’acqua del pozzo e l’acqua dello Spirito.

Il pozzo dà majīm ḥajjîm «acqua viva» ovvero «acqua corrente» molto migliore dell’acqua piovana stagnante nelle cisterne (majīm lōʾ zômerîm). Si capisce bene allora quale sia la «doppia colpa» di Israele nei confronti di JHWH, stando alla denuncia di Geremia 2,12-13:

12 O cieli, siatene esterrefatti,

inorriditi e spaventati. Oracolo del Signore.

13 Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo:

ha abbandonato me, sorgente di acqua viva,

e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe,

che non trattengono l’acqua.

Il pozzo è vita per una comunità di umani, per sé e per i propri animali (cf Gn 24,15-25; 29,1-14). Per questa ragione l’acqua è uno dei simboli più amati nel Quarto Vangelo per alludere allo Spirito (cf Gv 7,38-39; 9,7; 19,34) e per questo il contrasto tra «battezzare nell’acqua» e «battezzare nello Spirito» diventa un simbolismo al quadra-to (Gv 1,32-34; 3,5).

Isaia promette a Israele di mettere a tacere la fame e la sete attraverso una bevanda e un cibo che non si acquisisce con il denaro (Is 55,1-5). Questo stesso simbolo fu adottato dai sapienti per parlare del desiderio della via divina della Sapienza (Sir 24,21 e 1 Enoc 48,1). La donna di Samaria rappresenta in questo desiderio non solo l’Israele della fede, ma anche l’Israele peccatore e incredulo, e tutta l’umanità che anela a far parte del medesimo corpo di Cristo, perché Gesù è «il Salvatore del mondo» e non solo di Israele.

vv. 16-26: I culti del passato e il nuovo culto del Messia

Dal simbolo dell’acqua/Spirito si passa in modo evidente a quello dei mariti: il salto logico sarebbe incomprensibile senza i riferimenti scritturistici sottesi. Gesù non vuole fare l’indovino per stupire la donna, né vuole darle una lezione di moralità, tanto è ve-ro che con il v. 19 sembra che il tema sfoci nel nulla. Per comprendere questo paragra-fo è necessario ricordare i profeti, e in particolare Osea.

In Osea, la prostituta (Os 1,2) e l’adultera (3,1; cf anche la prima parte del grande rîb di Os 2,4-25) sono simboli del regno di Samaria. La sua prostituzione e il suo adul-terio consistevano nell’aver abbandonato JHWH (Os 2,4. 7-9. 15; 3,1) per seguire altri dei. In 2 Re 17,24-41, si ricordano infatti cinque santuari di dei stranieri, accanto al culto di JHWH. A questo passo fa allusione Gesù. Ecco il senso del “passaggio matri-moniale”. Samaria è insoddisfatta del suo passato e Gesù le offre qualcosa di nuovo. Ma Gesù vuole che prima riconosca la sua situazione affinché rompa con essa; la rot-tura non può essere generica (non tornar più al pozzo), ma deve superare la sua situa-zione concreta. Sul piano in cui si muove la narrazione, il marito (in ebraico baʿal, oltre al nome della divinità cananaica significa anche «marito, padrone, signore») ha una connotazione religiosa; rappresenta la ricerca illusoria di sicurezze opposte a JHWH, la pretesa ingannevole di trovare salvezza al di fuori di lui.

Davanti alla richiesta d’acqua da parte della donna, Gesù l’invita a prender coscien-za che il suo culto si è prostituito. Ciò spiega come mai la donna passi immediatamen-te al tema del tempio.

È Gesù, l’inviato da Dio, ad aver aperto il dialogo con la Samaria e a personificare l’atteggiamento di Dio che cerca i samaritani (4,4: «doveva passare per la Samaria»). Dio desidera ricucire le relazioni con loro e a chiamarli di nuovo suo popolo (Os 2,25: «a Non-mio-popolo dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Mio Dio”»). Con ciò finirà la ricerca di mariti-padroni (Os 2,21-22: «ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, e tu conoscerai JHWH»).

Il paragone fra Giacobbe e Gesù, fatto dalla donna (4,12) e che Gesù aveva già insi-nuato con la sua offerta di acqua, mostra che siamo davanti a un nuovo inizio: Giacobbe sta all’origine di Israele, Gesù sta all’inizio della nuova umanità, che supera ogni distinzione etnica.

La denuncia di Gesù fa chiarezza sulla situazione della donna e le fa comprendere che egli è un profeta. Tuttavia, per lei l'incontro con il vero Dio si riduce ancora a una questione di culto. Vuole sapere qual è il culto vero e quale il falso. Mostra insicurezza; non sa con certezza se la sua tradizione sia legittima. La causa del primo scisma era stato Geroboamo, che aveva proibito agli abitanti del regno di Samaria di andare in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, e aveva eretto i suoi propri altari (1 Re 12,25-33). Lo scisma era divenuto poi definitivo quando, al tempo di Esdra, i Giudei proibirono ai Samaritani di partecipare alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme (Esd 4,1-3), il che li indusse a costruire un loro tempio sul monte Garizim.

Il profeta deve dunque risolvere questo scisma. Ella si sente figlia di Giacobbe: e se vi è stato uno scisma, la soluzione deve essere trovata senza uscire da tale genealogia.

Gesù espone la sua novità (v. 21) con chiarezza. Non si tratta di scegliere fra le due possibilità storiche, culto samaritano o culto giudaico. Anche il tempio di Gerusalem-me si è prostituito ed egli ne ha già annunciata la fine (Gv 2,13ss). Gesù parla di un cambiamento radicale. Non ci sarà più tempio! L'alternativa è Gesù stesso: è in lui che si ha la comunicazione con Dio (Gv 1,51), è lui il nuovo santuario (Gv 2,19-22; cf 1,14), è da lui che sgorga l’acqua dello Spirito (Gv 7,37-39; 19,34).

JHWH acquista ora un nome nuovo, quello di Padre, che stabilisce fra Dio e l’uomo un vincolo familiare e personale e cambia il carattere del culto, che passa ad essere anch’esso personale, com’è la relazione figlio-Padre. Il Padre, il Dio che dà vita e ama l’uomo, fa cadere le barriere, perché egli non dà il suo Figlio a un popolo privilegiato, ma all’umanità intera (Gv 3,16).

Siamo a mezzogiorno, la luce piena (cf v. 6). La paternità di Dio, diretta e senza in-termediari, rende possibile l’unione di tutti e fa sparire ogni particolarismo. Samaria non dovrà più sopportare l’umiliazione di un ritorno alle tradizioni giudaiche. Con Giacobbe spariscono entrambe le tradizioni.

La frase: ciò che non conoscete (v. 22) è allusione a Dt 13,7: « se ... ti incitano di na-scosto proponendoti: “andiamo a render culto a dei stranieri, sconosciuti a te e ai tuoi padri”» (LXX: «che tu non conoscevi e nemmeno i tuoi padri ...»; cf 13,3.14). Gesù de-nuncia l’idolatria dei samaritani. Tra Gerusalemme e il Garizim il vero culto è quello di Gerusalemme. Per questo la salvezza proviene dalla comunità giudaica, non da quella samaritana. Il salvatore deve essere inviato dal vero Dio.

Inoltre i Samaritani, a causa del loro scisma, non hanno ricevuto il messaggio profe-tico, che assicurava la continuità della rivelazione; i Giudei invece, malgrado le loro in-fedeltà, hanno in mano le testimonianze che Dio aveva lasciato nella storia, e che pre-paravano il cammino al Messia (Gv 5,39). Ma la storia giudaica è terminata con Gio-vanni Battista (Gv 1,31). Gesù proviene dalla comunità giudaica (Gv 2,1: la madre di Gesù). La salvezza che «proviene dai giudei» è Gesù stesso come Messia (Gv 4,26), «il re dei Giudei» (Gv 18,33; 19,3. 19). Il suo regno, però, è universale, poiché egli non morirà soltanto per la nazione, ma per riunire i figli di Dio dispersi (Gv 11,52). E pro-prio tale universalità del salvatore sarà riconosciuta dai samaritani (cf v. 42: «il Salvato-re del mondo»).

In alcuni punti della sua narrazione, Giovanni anticipa gli effetti della morte di Ge-su e della sua «ora» (cf Gv 2,4; 13,1; 17,1). Anche in questo punto si parla del culto nuovo che sgorga dal costato di Cristo sulla croce e che sopprimerà il culto samaritano e quello giudaico: un culto per il Padre, unito all’uomo da un rapporto personale e che si realizza «in spirito e verità». Questo sintagma è parallelo a quello del prologo (Gv 1,14): «pieno di amore e verità». D’altra parte, in questo dialogo con la donna, lo Spiri-to è stato simboleggiato dall’acqua viva, che è il dono di Gesù (v. 14). Lo Spirito, ac-qua che sgorga dal costato aperto, è il dono dell’amore comunicato, in corrispondenza con il sangue, l’amore che Gesù dimostra dando la sua vita (Gv 19,34). Lo Spirito è la fonte di vita-amore e in quanto «santo» consacra (Gv 17,17!), dando all’uomo la verità della sua risposta d’amore. In Gv 1,14.17, l’amore si esprime in termini di benevolenza disinteressata e generosa; lo spirito esprime il medesimo amore in termini di forza, vita e azione: è il suo dinamismo, il suo principio attivo. Il culto «in spirito e verità» è per-tanto per l’uomo la risposta d’amore all’amore fedele. Render culto al Padre è collabo-rare nella sua opera creatrice, ponendosi a favore dell'uomo. Per lui l’antico culto dei templi della religione non significa nulla, come già aveva detto Os 6,6, passaggio a cui Giovanni allude: «amore voglio, non sacrifici; conoscenza di Dio, più che olocausti».

Gesù definisce Dio stesso Spirito (v. 24), vale a dire un dinamismo di amore che si è espresso nella creazione dell’uomo e continua ad agire fino al suo compimento; di qui il suo nome di Padre: colui che per amore comunica la sua propria vita. In 1 Gv 4,7s si esprime la stessa duplice realtà dell’amore: l'amore procede da Dio e Dio è amore. Il culto di Dio cessa di essere verticale, poiché egli è presente nell’uomo attraverso lo Spirito; il Padre e Gesù sono compagni di vita di colui che vive l’amore (Gv 14,23).

La donna si dichiara disposta ad accettare il Messia quando egli giungerà (vv. 25-26). Sebbene Gesù, dicendo che è giunta l’ora (v. 23), abbia implicitamente dichiarato il cambiamento di epoca, la donna non l’ha ancora riconosciuto, ma comprende che le sue parole annunciano l’era messianica. Dinanzi a questa sua disponibilità, Gesù le an-ticipa la rivelazione della croce: «Sono io che ti sto parlando».

vv. 27-38: I discepoli, l’annuncio della donna e la mietitura

L’incontro è con la Samaria ovvero con l’Israele del nord. Gesù ha messo in esecu-zione il proposito sorprendente espresso da Osea 2,16: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la con-durrò nel deserto e parlerò sul suo cuore». La sorpresa dei discepoli rimanda al testo di Osea. Tutto sembrava finito e ormai era apparso chiaro che JHWH non avrebbe più vo-luto aver a che fare con Israele, quando Osea per la terza volta fa risuonare il minac-cioso lākēn «perciò» (cf Os 2,8. 11 e 16); al contrario, JHWH stesso cambia modo di agi-re e sceglie di ricominciare. Così Gesù intesse un dialogo con la donna di Samaria, a partire dalla manifestazione della croce. «Dammi da bere» è un evidente collegamento con l’ultima parola di Gesù crocifisso prima del compimento: «Ho sete» (Gv 19,28).

L’anfora vuota lasciata dalla donna vicina al pozzo, in disparte, anche nel nome (ὑδρία) ricorda le giare vuote del segno di Cana (Gv 2,6): in entrambi i passi le ὑδρίαι stanno a significare l’impossibilità della Legge di rendere praticabile la Legge con le so-le proprie forze, senza lo Spirito della nuova alleanza, l’«acqua viva che zampilla per la vita definitiva» (v. 14). Il coraggio di lasciare la materialità della Legge permette a Israele di trovare la pienezza di ciò che la Legge offriva, la benedizione per la vita (cf prima lettura).

La donna di Samaria, portando la notizia ai suoi concittadini, sottolinea che quell’uomo le ha detto tutto quanto aveva fatto: Gesù le ha svelato il passato, come af-ferma l’oracolo di Os 6,11b – 7,1a: «Quando io cambierò la sorte del mio popolo, quando guarirò Israele, si scoprirà il peccato di Èfraim e la malvagità di Samaria, perché si pratica la menzogna». In altre parole, la donna annuncia alla sua città che è giunto il momento promesso per mezzo di Osea a Samaria. Di qui deriva la sorprendente disponibilità dei samaritani di correre verso Gesù, in opposizione alla refrattaria risposta delle autorità di Gerusalemme.

Il rîb di Os 2,4-25 si conclude con la promessa di benedizione che da JHWH giunge a Israele passando attraverso la fecondità della madre terra (ʾereṣ). La benedizione della nuova alleanza non si realizza più nella promessa di una fecondità materiale (cf ancora la prima lettura), ma in una pienezza di vita che coinvolge la realtà dello Spirito. L’alimento di cui Gesù parla porta a compimento ciò che la prima alleanza del Sinai non riusciva a trasmettere, come l’acqua da lui promessa realizza una pienezza inedita per chi pensava di attingere solo fisicamente l’acqua del pozzo. Questo alimento è per Gesù il dono dell’acqua-Spirito (v. 14): egli assimila la volontà del Padre e da tale as-similazione riceve vita; l’umanità è chiamata ad «assimilare» Gesù stesso e da lui riceve la vita di Dio. Vi è dunque una duplice assimilazione o identificazione da vivere, per-ché possa comunicarsi la vita piena all’umanità: assimilazione di Gesù col Padre e as-similazione dell’umanità con Gesù. È quanto dice in modo sintetico Gv 6,57: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me». Così si compie pienamente quella trasformazione dei nomi promessa da Osea: «…questi risponderanno a Jizreʿ ʾel... amerò Loʾ-ruḥama e a Loʾ-ʿammî dirò: “Po-polo mio” ed egli mi dirà: “Dio mio”» (Os 2,23-25).

«Ancora quattro mesi e viene la mietitura» (v. 35). Il proverbio usato dai discepoli e contestato da Gesù ha in sé il simbolismo numerico del “4”, numero che è una com-pletezza indefinita e imprecisata, come i quattro punti cardinali, in contrapposizione con il “7” che invece indica una completezza definita. Il “4” ritornerà due volte nel se-gno della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,17. 39) e un’ultima volta sotto la croce, quan-do i soldati dividono il mantello di Gesù in quattro parti (Gv 19,23). I «quattro mesi» indicherebbero un futuro indeterminato e di là da venire: è la mentalità dei discepoli, come di Marta, che pensano a una salvezza solo escatologica. Gesù invece invita i di-scepoli a rendersi conto della nuova realtà e sottolinea che la salvezza è qualcosa che si dà già qui e ora, perché la nuova alleanza, che si compie sulla croce nella consegna del-lo Spirito, vince la sterilità di Gerusalemme e della Giudea, trasformandosi nella fe-condità della Samaria. Lo sposo-Messia ha rinnovato il suo patto con Samaria, perché in Giudea hanno rifiutato la sua testimonianza (Gv 3,32).

Il disegno del Padre è seminagione e mietitura (v. 36). Giovanni lo dirà ancora, immediatamente prima dell’ultima settimana che precede la pasqua dell’agnello immo-lato sulla croce: «Se il chicco di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). L’ora della mietitura inizierà con la morte in croce di Gesù, quando il progetto del Padre «sarà compiuto» (τετέλεσται: Gv 19,30); da quel momento il dono dello Spirito del Crocifisso Risorto può davvero radunare tutti i figli di Dio dispersi, proletticamente raffigurati dal rapporto tra la Donna-madre e il figlio-discepolo (Gv 19,25-27). Tutti quindi possono partecipare alla gioia della nuova creazione e della nuova umanità che nasce dalla croce di Gesù.

Ma la realtà della storia umana conosce anche il lato oscuro dell’opposizione e della mancata risposta. Come in Deuteronomio e nei contesti di alleanza, vi è dunque una dialettica di benedizione e di maledizione. E la maledizione consiste soprattutto nell’essere esclusi dai proventi della propria seminagione e nel non partecipare alla gioia del raccolto: «Pianterai una vigna e non ne potrai cogliere i primi frutti» (Dt 28,30; cf an-che Lv 26,16; Am 5,11; Mic 6,15). Di contro, i discepoli – come i figli di Israele en-trando nella terra della promessa – godono di doni non procurati dalla loro fatica. Si ricordi soprattutto Dt 6,10-12:

10Quando JHWH tuo Dio ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, 11case pie-ne di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, 12guàrdati dal dimenticare JHWH, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile».

Come la terra fu un dono di JHWH per Israele, così la realtà messianica dello Spirito per i discepoli è un dono che viene dall’alto a produrre la gioia della mietitura.

vv. 39-42: La realtà del raccolto ovvero la fede dei samaritani

La grazia del perdono è la condizione prima della nuova alleanza (cf soprattutto Os 6,11b – 7,1a; e i grandi testi di Ger 31,31-34 ed Ez 36,24-28). Gesù è la vera discen-denza di Abramo (Gal 3,16), nella quale si adempie la benedizione promessa al padre della fede: «Saranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce» (Gen 22,18).

Quanto al tempo di permanenza presso i samaritani di quella città, qui si adempie un’altra parola di Osea, sebbene con un significato negativo nel contesto originario: «In due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà risorgere» (Os 6,2). Non è forse tramite Gesù che è giunta la vera vita a quella città?

L’adesione a Gesù non è qualcosa di imparaticcio, è un’esperienza personale e sin-golare che ciascuno deve sperimentare per se stesso (vv. 41-42): «Non crediamo più per ciò che racconti tu, ma noi stessi abbiamo ascoltato e sappiamo che costui è veramente il Sal-vatore del mondo!». Costoro hanno davvero capito che lo sposo-Messia non è solo per Giuda o per Samaria, ma la sua missione è veramente universale:

14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha aboli-to la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia (Ef 2,14-16).

Egli è davvero «il salvatore del mondo» (v. 42). Questo titolo richiama la confessione del Battista: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che porta il peccato del mondo» (Gv 1,29); e il ri-conoscimento della dimensione universale dell’amore di Dio: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17; cf anche 12,47; Is 49,6; 1 Gv 4,14; 2 Cor 5,19). I samaritani – eterodossi – hanno capito il messaggio di Gesù; i Giudei – i capi dell’ortodossia giudaica, come Nicode-mo – non ne hanno compreso la potenziale forza. Credere in Gesù è aderire con tutta la persona a lui, permettendogli così di donare a chi crede la pienezza della vita: «Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna» (Gv 3,34-36a).

PER LA NOSTRA QUARESIMA

1. Profondo è il pozzo. Non dovremmo dirlo insondabile? […] Avviene che quanto più si scavi, […] quanto più si penetri e cerchi, tanto più i primordi dell’umano si rive-lano insondabili e, pur facendo discendere a profondità favolose lo scandaglio, via via e sempre più retrocedono verso abissi senza fondo.

Giustamente abbiamo usato le espressioni “via via” e “sempre più”, perché l’inson-dabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le offre mete e punti di arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuove vie […] come succede a chi, camminando lungo le rive del mare, non trova mai termine al suo cammino, per-ché dietro ogni sabbiosa quinta di dune, a cui voleva giungere, altre ampie distese lo attraggono più avanti, verso altre dune.TH. MANN, Le storie di Giacobbe, Traduzione di B. ARZENI, Introduzione di L. RITTER SANTINI (Oscar Narrativa 250), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996, p. 23.

2. Dio vuole guidarci. Non tutte le vie degli uomini sono guidate da Dio; possiamo andare a lungo per le nostre vie; su di esse siamo una marionetta mossa dal caso, che può dispensarci felicità o infelicità. Le nostre vie ci riconducono in circolo sempre su noi stessi. Invece, quando è Dio a guidarle, esse ci conducono a lui. Le vie di Dio con-ducono a Dio. […]

Dio vuole consolarci. Egli consola soltanto se c’è un sufficiente motivo per farlo, se gli uomini non sanno più che pesci pigliare, se sono angustiati dall’assurdità della vita. Il mondo così com’è ci sempre paura. Ma chi è consolato vede qualcosa di più e ha qualcosa di più del mondo: ha la vita con Dio. Nulla è distrutto, perso, insensato, quando Dio consola.

“Ho sanato, ho guidato, ho consolato”. Non lo ha forse fatto Dio innumerevoli vol-te nella nostra vita? Non ha guidato sovente i suoi attraverso grandi difficoltà e pericoli? Come guarisce, come guida, come consola Dio? Soltanto facendo risuonare in noi una voce che dice, prega, invoca, grida: “Padre diletto”! Questa voce è lo Spirito Santo. D. BONHOEFFER, Scritti scelti (1933-1945), Edizione critica, Edizione italiana a cura di A. CONCI (Bi-blioteca di Cultura 22 / Opere di Dietrich Bonhoeffer. Edizione critica 10), Editrice Queriniana, Brescia 2009, pp. 219-220.

3. La vita nuova non è uno stato, ma un camminare, compiere dei passi. Ma non è neppure un camminare da sonnambuli, in modo incosciente, bensì un camminare consapevole e responsabile, a cui dobbiamo essere esortati. Dobbiamo camminare “nella vita nuova” (Rom 6,4), nello Spirito (Gal 5,25.16), nell’amore (Ef 5,2), nella lu-ce (Ef 5,9; 1 Gv 1,7). […] Non è quindi solo un essere portati e guidati, bensì anche un camminare. Questo ci dice che la santificazione, lo Spirito, la vita nuova non è una qualitas dell’essere umano, bensì è Cristo stesso come persona, come interlocutore. D. BONHOEFFER, Scritti scelti (1933-1945), p. 220.

4. La pedagogia evangelica.

Il riconoscimento di Gesù come Messia e Salvatore avviene come un fatto improvvi-so ed esplosivo quando Gesù rivela la sua divina capacità di scavare nel cuore e di scrutare gli inviolabili abissi della coscienza; ma insieme matura lentamente, attraverso un paziente itinerario nel quale la donna è invitata a risvegliare in sé una sete nuova e pura, oltrepassando la sete per l’acqua materiale, che appaga solo il corpo e solo per breve tempo. […]

Gesù, dunque, si presenta come verità dell’uomo attraverso parole, gesti, segni, dai quali traspare che egli conosce come è fatto l’uomo, sa quale è il suo vero bene, ha una visione luminosa del mistero che avvolge e spiega la sua vita; ma vuole che questa veri-tà, che è la sua parola, che è la sua venuta tra noi, che è lui stesso, incontri noi come cercatori della verità; come persone disposte a pagare tutti i prezzi che la ricerca della verità comporta; come ragionatori pacati e coraggiosi, che discutono il senso delle cose, valutano l’importanza e la fragilità degli incontri interpersonali, si interrogano sugli aspetti contrastanti della libertà, la quale, per un verso, ci si presenta come un valore ultimo, assoluto, totalmente appagante, per un altro verso è bene sfuggente, non ha contorni precisi, non sa darsi contenuti positivi, è in cerca di valori veramente assoluti, per i quali impegnarsi e nei quali realizzarsi.

Tra la scoperta della verità, che è Gesù, e la ricerca della verità, per cui ogni uomo è fatto, può nascere una benefica cospirazione. È vero che, ultimamente, è proprio la ve-rità recata da Gesù che rivela noi a noi stessi, ci dice perché siamo fatti in questo modo, ci spiega perché siamo cercatori della verità, ci incoraggia a non stancarci della ricerca, ci libera dalle ombre e dagli intoppi che ostacolano o interrompono del tutto il nostro cammino verso la verità. Ma è anche vero che una vigile e incessante chiarificazione dei nostri modi di pensare, di giudicare, di fare progetti ci dispone ad accogliere con un frutto maggiore la luce della verità che proviene dall’incontro con Gesù. Ecco per-ché alle soglie dell’incontro con Gesù non è inutile una battuta d’arresto sulla nostra condizione spirituale di cercatori della verità, per cogliere il senso e la portata di tale ricerca, insieme con i limiti e le oscurità che la affliggono. Tanto più che questa atten-zione alla nostra situazione umana diventa indispensabile per comprendere il messag-gio evangelico come portatore di un’interpellanza vitale per la nostra esistenza. L. SERENTHÀ, Passi verso la fede: una nuova esposizione delle ragioni della fede, Prefazione di C.M. MARTINI (Testi di Teologia per Tutti), ElleDiCi, Leumann TO 1984, 19872, pp. 10-11.

5. La samaritana è il simbolo della persona di tutti i tempi. È importante che Gesù abbia fatto il discorso dell’acqua viva proprio con la donna, e per giunta una samarita-na scismatica, alla quale offre l’acqua liberatrice. Ormai il Padre, attraverso Gesù, si rivolge a tutti, ed è paradigmatico che si misuri con la samaritana. «Beati i poveri di spirito – in tutti i sensi – perché di essi è il regno dei cieli». Che cos’è mai quest’acqua? Anzitutto è un dono che non viene da noi. Poi trattasi di acqua viva, e di un’acqua di cui chi ne beve non avrà più sete; ed è infine acqua che zampilla nella vita eterna, an-che se ci è data ora. Troppe qualità ha quest’acqua da non far pensare che si tratti di Dio stesso, che si dona all’uomo, che entra nella sua storia, che si coinvolge con lui, che entra in comunione con lui. Per questo dono già i vecchi sapienti pregavano il Dio da cui tutto proviene: «Dio dei padri e Signore di misericordia […] dammi la sapienza che siede in trono accanto a te […] perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito» (Sap 9,1a. 4. 10). B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, p. 45.

6. Dall’acqua materiale, che mormora e scaturisce dal fondo del pozzo, Gesù in-troduce la donna al mistero dell’acqua che zampilla per la vita eterna: «Se tu conoscessi il mistero che c’è dentro questo incontro, chiederesti tu l’acqua viva, cioè lo Spirito che è dentro di noi e che dona la vita eterna, perché ci fa figli di Dio». Gesù trasmette questo messaggio attraverso il simbolo dell’acqua, perché questa è vitale: senz’acqua si muore; non solo, ma l’acqua è entrata a indicare cose più profonde: l’avere sete indica il desiderio di vita. Gesù si sostituisce all’acqua in questo desiderio fondamentale dell’uomo, e si definisce acqua viva; e nel dialogo emerge il mistero di essa. Ovvero: il mi-stero dell’origine dell’acqua. L’origine è tutta racchiusa nel fondo di quel pozzo, che disseta perché e purché si scopra in sé la sete. Nel simbolo dell’acqua la vita e la morte stanno fianco a fianco.

Bere l’acqua viva indica quell’atteggiamento di fede che accoglie lo Spirito di Dio, di esso vive, penetrando nella rivelazione di Gesù. Ma più entriamo nella verità di Cristo e più scopriamo la nostra verità: egli è la luce che ci mette a nudo. […] Al di fuori di questo cibo e di questa acqua l’esistenza vacilla incerta, la vita si ripiega su di sé e le nostre professioni di fede restano affermazioni teoriche di un culto formale. G. Stemberger conclude così la sua esposizione del simbolo dell’acqua: «Cristo appare come il centro di tutta la nostra vita religiosa e morale. Egli fa sentire all’uomo una sete che nessuna acqua della terra può estinguere e gli rivela il suo stato di peccatore lontano dall’acqua divina, e dona altresì a ciascuno la possibilità di andare a lui e di bere della sua acqua, sicché non abbia più sete». E. MENICHELLI, I simboli biblici nel Vangelo di Giovanni, Ed. Áncora, Milano 1995, pp. 53. 59-60.

7. Udivo come non avessi orecchi.

Ma una parola viva

fino a me venne dalla vita:

compresi allora di udire.

Vedevo come se i miei occhi

a un altro appartenessero, finché

venne qualcosa – e so che fu la luce,

perché perfettamente li appagava.

Vivevo come se io non vi fossi,

vi fosse solo il mio corpo,

finché una forza mi scoperse

e rimise al suo posto la mia essenza.

Si rivolse lo spirito alla polvere:

“Tu mi conosci, vecchia amica”.

E il tempo uscì per dare la notizia

ed incontrò l’eternità.

E.E. DICKINSON, Tutte le poesie, a cura e con un saggio introduttivo di M. BULGHERONI (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997.

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