martedì 30 ottobre 2012

4 novembre 2012 "Nessun uomo è così cattivo da non poter essere salvato da Dio"





In questa settimana c’è la bella festa di Tutti i santi e la celebrazione della vita eterna nella ricorrenza dei Defunti.


Lettura
Is 56,3-7
In quei giorni. Isaia disse:
Non dica lo straniero che ha aderito al Signore:
«Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!».
Non dica l’eunuco:
«Ecco, io sono un albero secco!».
Poiché così dice il Signore:
«Agli eunuchi che osservano i miei sabati,
preferiscono quello che a me piace
e restano fermi nella mia alleanza,
io concederò nella mia casa
e dentro le mie mura un monumento e un nome
più prezioso che figli e figlie;
darò loro un nome eterno
che non sarà mai cancellato.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saranno graditi sul mio altare,
perché la mia casa si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 23(24))
Il Signore si rivela a chi lo teme.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito. R.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli,
chi non giura con inganno. R.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. R.
Epistola
Ef 2,11-22
Fratelli, ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; In lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Lc14,15b)
Alleluia.
Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio.
Alleluia.
Vangelo: Lc 14,1a.15-24
In quel tempo. Il Signore Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei.
Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
Parola del Signore.
Ad ogni messa il prete annuncia: "Beati gli invitati alla cena del Signore", e subito la Chiesa ci fa rispondere: "Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa". Chi se ne sente degno? La comunione non è il premio a chi è santo, ma la medicina per noi che siamo deboli. E' l'atteggiamento di fondo suggerito oggi dalla Parola: il dono di Dio precede il merito, e quindi ogni uomo è chiamato al suo banchetto, alla salvezza. "Nessun uomo è così cattivo da non poter essere salvato da Dio" (Gandhi).
L'invito è per tutti - anche per quelli che sembrano più lontani -, purché naturalmente si risponda di sì e non si snobbi l'invito di Dio.

1) L'INVITO

"Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo" (Epist.). Voi, cioè noi "pagani nella carne, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo", per l'opera di Cristo siamo diventati "non più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio,.. abbattendo il muro di separazione per riconciliare tutti e due in un solo corpo. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri (ebrei e pagani) al Padre in un solo Spirito". La radice e la causa della nostra salvezza sta nel gratuito gesto di Cristo che ha allargato a tutti gli uomini l'appartenenza al popolo di Dio, per "diventare insieme abitazione di Dio per mezzo dello Spirito". "Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola". Il Cristianesimo realizza il sogno universalistico di Dio "che vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4).

L'accento oggi è posto - in polemica coi farisei - sul fatto che vengono chiamati di preferenza quelli che sembrano i meno preparati, i lontani, "poveri, storpi, ciechi, zoppi", quelli raccolti "per le strade e lungo le siepi", quasi "costretti ad entrare perché la mia casa si riempia". Quante volte Gesù stesso sottolineò provocatoriamente questa preferenza, chiamando la Maddalena, la Samaritana, Zaccheo, .., "perché io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mt 9,13). "Gli stranieri li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera, perché la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli" (Lett.). Diceva Mazzolari: "Davvero la grazia, per strade che solo l'amore conosce, arriva dove neanche arriva il nostro sogno", cioè ben oltre ogni nostro perbenismo presuntuoso che si crede "del giro" e quindi titolare di meriti e riconoscimenti.

Il nostro sia l'atteggiamento umile di chi si sa assolutamente indegno del dono di Dio e ne glorifica la gratuità e la misericordia. E' la nostra fortuna e la nostra serenità sapere - come diceva sant'Ambrogio - che se Cristo ha accettato il buon Ladrone, non abbandonerà neppure noi. "Io non sono degno.., ma dì soltanto una parola e io sarò salvato". Una umiltà che si trasforma in stupore e ringraziamento per essere stati anche noi "edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d'angolo lo stesso Cristo Gesù" (Epist.). Venire a messa la domenica - ritornare nella famiglia di Dio che è la Chiesa - deve essere un bisogno, una gioia e un.. orgoglio per la fortuna che ci è capitata di fare della nostra esistenza "una costruzione ben ordinata per essere tempio santo del Signore", cioè autentici membri della casa di Dio.

2) LA RISPOSTA

All'invito generoso di Dio bisogna che ognuno dica liberamente il proprio sì. Anzitutto trovando concretamente spazio da riservargli. "Ho comprato un campo.., ho comprato cinque paia di buoi.., mi sono appena sposato e perciò non posso venire". Si potrebbe aggiungere: devo andare a sciare, oggi sto tutto il giorno al supermercato, ho le gare di sport..: a messa non posso venire! Per non parlare di altre scuse e pigrizie. Dio viene lasciato per ultimo, d'estate poi non c'è mai la chiesa vicina, e.. "come si fa a lasciare il villaggio"! Ma se manca anche quella poca ora la settimana per incontrarsi con Dio, .. è facile che presto Dio tramonti dal nostro orizzonte, e le cose che ci interessano saranno consumismo e il culto moderno della partita o dello sport!

"Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena". La gravità del rifiuto sembra essere non l'ostilità, ma l'indifferenza, la poca serietà data al problema della propria salvezza o, più profondamente, quella religiosità superficiale che ha accompagnato magari già dall'infanzia una vita cristiana mal conosciuta (mai personalmente assimilata) e vissuta come pratica esteriore e tradizione. In sostanza, frutto di un cristianesimo "sociologico". Necessariamente a questo abbandono di Dio subentra l'adorazione degli idoli, perché chi non crede a Dio non è che non creda a niente, ma crede a tutto..: diventa schiavo delle mode, delle pressioni mediatiche, della secolarizzazione che rende l'uomo illuso della propria sufficienza e ridotto alla più banale alienazione. Ma san Pietro avverte molto fortemente quelli che, conosciuta la fede, poi vi rinunciano: "Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso" (2Pt 2,21).

In fondo il rifiuto e l'indifferenza nascono dal fatto di pensare che a Dio andiamo noi, quando e come ci scappa, con un soggettivismo che non tiene conto che è Dio per primo a venire verso di noi e a offrirci il banchetto della sua stessa mensa di Casa Trinità, della quale la messa è anticipo e caparra. Lui ha fissato gli strumenti per arrivare a toccarci; ha fissato cioè il modo oggettivo di santificarci e rendergli culto: sono la Parola di Dio, i Sacramenti e il vivere fraternamente nella Chiesa. Questo è l'unico modo di essere cristiani. L'altro, quello soggettivistico, è illusione pagana. Si tratta allora di conoscere meglio i fatti che riguardano la nostra salvezza. Quindi obbedire a quel che Dio ha fissato. E magari l'umile preghiera: "Credo, Signore, aiuta la mia incredulità" (Mc 9,24).

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"Costringili ad entrare". E' l'amore di Dio che vuole a tutti i costi i nostri cuori per lui. Dio allunga la mano: sta a noi lasciarci attrarre. Come è in questa preghiera medievale: "Poiché senza di te nessuno arriva a te, dammi la mano; se non tendo la mia verso la tua, afferrami i capelli, tirami verso te quasi per forza. Voglio venire incontro a te, e non so perché non faccio quello che vorrei" (Ausiàs March).

giovedì 25 ottobre 2012

28 ottobre 2012 Dio si affida a noi per giungere a tutti



28 ottobre 2012 I domenica dopo la Dedicazione

Lettura
Ap 8,26-39
In quei giorni. Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora egli fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,
la sua discendenza chi potrà descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 65(66))
La tua salvezza, Signore, è per tutti i popoli
Popoli, benedite il nostro Dio,
fate risuonare la voce della sua lode;
è lui che ci mantiene fra i viventi
e non ha lasciato vacillare i nostri piedi. R.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
A lui gridai con la mia bocca,
lo esaltai con la mia lingua. R.

Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. R.
Epistola
1Tim 2,1-5
Carissimo, raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt 28,19-20)
Alleluia.
Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia.
Vangelo: Mc 16,14b-20
In quel tempo. Il Signore Gesù apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Parola del Signore.


Lettura degli Atti degli Apostoli 8, 26-39

I discepoli di Gesù si erano dispersi nei territori della Palestina. Filippo, uno dei sette "ordinati" dagli apostoli per il servizio delle mense (At 6,2), si era stabilito in Samaria e sviluppava, fondamentalmente, un'azione di evangelizzazione che aveva, tra l'altro, molto seguito. A lui si uni perfino un mago, chiamato Simon mago, che strabiliava inizialmente le folle e le conquistava al suo seguito. Ma poi " cominciarono a credere a Filippo, che annunciava il vangelo del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. Anche lo stesso Simone credette e, dopo che fu battezzato, stava sempre attaccato a Filippo. Rimaneva stupito nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano."

Dalla chiesa di Gerusalemme giungono Pietro e Giovanni…. "imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo" (At 8 13ss). Il potere ingolosisce e Simon mago, "vedendo che lo Spirito veniva dato con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: «Date anche a me questo potere". Pietro reagisce violentemente (dobbiamo essergli grati, altrimenti sarebbe stato un terribile precedente). Piuttosto «Convèrtiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l'intenzione del tuo cuore. Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell'iniquità».

L'altro si converte, perché ha capito l'assurdità, e gli "Atti degli apostoli" riprendono il tema della gratuità e della evangelizzazione con l'episodio di Filippo e l'Eunuco che sta ritornando nella sua patria, dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme. Si parla della regina Candace, ma è un nome comune come "regina Madre" o come Faraone in Egitto o Cesare a Roma.

E' Dio che guida i passi per l'incontro, ed ha bisogno della nostra collaborazione Così Filippo accetta di avventurarsi là dove nessuno si avventura:"su una strada "deserta", probabilmente nella perplessità del discepolo che si domanda :Perché qui?"..nel deserto"

Questo funzionario, uomo di potere, completamente dedicato al suo ruolo, probabilmente nero di pelle, intelligente, legato in qualche modo all'ebraismo, curioso nel voler capire le Scritture, legge (e nel mondo ebraico si leggeva ad alta voce) un testo di Isaia. Filippo è incoraggiato a seguire, a capire, a iniziare un dialogo e si sente invitato a sedersi accanto per leggere e capire il brano.

Filippo non ha altri appuntamenti, salvo che per un uomo che cerca il senso della Parola di Dio.

Per la fede bisogna, inizialmente, affrontare la Scrittura per entrare nel mistero e nella rivelazione di Dio. Il mistero di Dio è Gesù. Rivelato dai profeti e nascosto in immagini sconcertanti di "pecora condotto al macello, muto, sconfitto", Filippo riferisce che si parla di Gesù e lo manifesta come immagine di Dio da onorare e accogliere. E la Scrittura non è sufficiente. Bisogna passare attraverso il segno della purificazione, ma anche della rinascita, della fede in Gesù morto e risorto. "Che cosa c'impedisce che io sia battezzato?"

Se dalla Scrittura si passa al compimento, a Gesù, quel suo carico di mistero e di gloria diventa la scelta fondamentale, gratuita ed esaltante di una vita nuova. Così, allora, si entra a far parte del Popolo di Dio e della sua famiglia riconosciuta e grandiosa, destinata ad essere speranza per tutti

Prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 2, 1-5

Nella lettera a Tito si sente la responsabilità di educare il popolo ai valori di Dio, manifestati nelle struttura del mondo e nella venuta di Gesù. Qui, in particolare, si coglie l'obbligo di sviluppare anche l'attenzione alla struttura civile e politica, poiché ogni persona ne beneficia o ne viene travolta.

C'è una concezione fondamentalmente ottimista della politica, che nasce dalla speranza e dalla fiducia.

Prima di tutto la speranza della preghiera (4 forme: "domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti") è inusuale se si pensa allo scoraggiamento che serpeggia nei confronti della politica. Essa non viene coraggiosamente affrontata né stimolata, ma semplicemente ignorata, dal momento che si ripete spesso: "Io non voto".

C'è la consapevolezza che il compito politico è "condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio" che è la traduzione del "bene comune" dove responsabilità e attenzioni sono "per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere"

Ovviamente il problema iniziale è quello di pregare per "tutti" gli uomini perché la pace è un bene collettivo che si costituisce se tutti vi collaborano. Poi bisogna pregare per i re, in questo caso, a Roma c'è l'imperatore che, nel mondo romano, spesso, ha un profilo di divinità e, a volte, addirittura di salvatore. Tutti hanno bisogno di Dio che aiuti ciascuno e, in particolare, i governanti e quelli che hanno il potere.

Certamente questo testo impegna, oltre l'immaginario, la realtà religiosa e l'impegno politico.

Ma, contrariamente a quello che si ritiene importante, l'operosità non passa attraverso il cercare privilegi o danaro, risorse e riconoscimenti, ma attraverso l'educarsi e l'operare per la pace nel tessuto sociale e per il riconoscimento della dignità di ciascuno. Quel "tutti" fa superare ideologie, razzismi, selezioni, lacerazioni, marginalità.

La vita del mondo è responsabilità di tutti gli adulti: e ognuno, per le sue competenze e maturazioni, deve portare soluzioni. Nei nostri tempi c'è il problema drammatico del lavoro per molti, anche se non per tutti poiché per molti è garantito. Ma tutti quelli che si sentono sicuri non possono ritenersi cautelati e indifferenti. Tutti debbono approfondire l'analisi dei bisogni e maturare una solidarietà ampia di interventi.

Non si comincia un impegno politico maledicendo, ma pregando per avere ogni giorno uno Spirito nuovo, per operare corrette scelte morali, per incoraggiare i migliori, i più competenti, i più saldi, accompagnando tutti coloro che vi si incamminano perché lottino per un "bene che sia sempre più bene per tutti"

Lettura del Vangelo secondo Marco 16, 14b-20

Abbiamo letto la conclusione del Vangelo di Marco in cui vengono sintetizzate le attese di una comunità che spera nella potenza di Dio. Ma il linguaggio è molto simbolico e quindi va capito nello spirito del parlare biblico, La vita della comunità non si presenta come gloriosa o santa, ma come legata alle paure e alla chiusura, dipendente dalla delusione e dall'esperienza tragica sperimentata dalla morte di Gesù.

Tutta la storia della Chiesa è segnata da queste paure e perplessità. E se Gesù rimprovera, richiama insieme una concretezza che mette in guardia dai propri sentimenti e dalla delusione di non essere garantiti, ma insieme consegna ai discepoli la sua eredità più alta: il compito di annunciare il Vangelo, il Regno al mondo.

Essi debbono capire la novità che è stata destinata prima a loro, pur nella contraddizione della loro esperienza; ma, nella pienezza, è una novità destinata a tutti, in un mondo rassegnato alla morte, al male, alla quotidianità senza orizzonti e alla paura.

Il rimprovero, così, non rinnega la vocazione a cui Gesù li ha chiamati, ma li invia comunque, resto del popolo che gli è rimasto fedele, e che non è fuggito. A loro e a noi consegna il messaggio completo da offrire: "Il Padre è assolutamente buono, misericordioso. E' il Dio-amore che si offre a ciascuno, non per togliere qualcosa, ma per rinnovarlo. E da questo amore di Dio nessuna persona, qualunque sia la sua condotta o il suo comportamento, può sentirsi esclusa. E' un amore che trasforma dalla morte alla vita E' la buona notizia di cui ogni persona ha nostalgia, ma ne ha anche paura per non esserne poi disillusa.

E poiché ogni persona ha bisogno di trovare speranza, la missione è urgente e il messaggio va offerto a tutte le creature. Credere non si ferma ad accettare una dottrina, ma si apre al battesimo come vita nuova .

Rifiutare fa rimanere nel proprio egoismo, centrati soltanto sui propri bisogni e sulle proprie necessità, non condannati da Dio che è amore, ma esclusi, da se stessi, dalla vita piena.

Anche le altre creature partecipano a questa novità di vita e la stessa natura gioisce della novità poiché il male rovina e deturpa il creato e la salvezza di Gesù si estende a tutto il mondo di cui facciamo parte.

Accanto alla parola di rivelazione vengono ricordati 5 segni, richiamo della potenza di Dio ed espressione di Gesù risorto: essi non fondano, né tanto meno creano la fede, ma indicano le forze nuove nella Chiesa che liberano il mondo.

Scacciare i demoni raggiunge una novità di cuore e combatte i desideri di morte che i demoni conducono nella nostra vita e nel nostro desiderio.

Prendere in mano i serpenti e bere veleno, senza danno, richiamano la lotta e la vittoria sul male che spesso si avvicina in modo subdolo e allettante, ma, di fatto, porta la morte. I discepoli non debbono aver paura degli ostacoli per lottare e vincere.

Il parlare nuove lingue è riferimento alla Pentecoste e quindi al dono dello Spirito che restituisce alla Chiesa la capacità di parlare alle varie culture e di creare unità tra i popoli. Lingue nuove significa anche linguaggi di perdono, di attenzione, di accoglienza e di gratuità.

Infine l'imposizione delle mani ai malati mette in gioco l'impegno della comunità che vuole portare una liberazione nuova dalla malattia e dal peccato. Così tutto il mondo della cura fa parte della liberazione e della speranza, del riscatto dalle conseguenze del male e dell'impegno di restituire la salute e le attività di autonomia.

Gesù ascende al cielo (richiama Elia: 2 Re 2,11; 1 Macc 2,58) per prendere possesso della gloria di Dio, concludendo così la sua missione sulla terra, garantita, verificata, valorizzata dal giudizio di Dio stesso. Il linguaggio dell'assidersi alla destra ricorda l'abitudine che esisteva, nelle regge, di convocare le persone che eroicamente sono state fedeli al re e, davanti a tutti, farle sedere alla destra della suprema autorità. E' ricordato anche nel Salmo 110,1: "Siedi alla mia destra finche io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi".

Sottraendosi allo spazio e al tempo (non è più visibilmente tra noi), Gesù diventa raggiungibile da ogni discepolo in ogni spazio e in ogni tempo poiché, dove opera un discepolo sulla Parola, lì opera Gesù con la sua potenza.

PER LA NOSTRA VITA

1. «Saluta i miei amici in carcere, ho pregato tanto per loro». Tutte le mattine varco il portone di San Vittore con ancora nella mente le richieste e le domande di chi magari mi ha appena augurato una buona giornata. Da chi fa sue le preoccupazioni dei detenuti al punto da dirsi loro amico, a chi ha ancora qualche remora al vedermi “sprecato” lì dentro. «Don, che ci fai lì? Saresti stato un così bravo prete con i giovani!». Ma qui è pieno zeppo di giovani – mi rispondo sorridendo – e, presa l’ultima boccata d’aria, entro. Entro e scendo. Scendo in un altro mondo, un mondo che sta sotto. Sotto ogni livello. Il corpo è sottoposto a pressioni e fatiche di ogni genere. Mancanza di aria, di spazio, di luce. Mancanza di vestiti e di igiene. Mancanza di calore di inverno e di fresco d’estate. Mancanza di una mano che ti stringa e ti carezzi il viso. Sotto il livello di quell’intimità che ti consentirebbe almeno di piangere. Macché, nemmeno quello puoi fare senza esser visto.
Entro e scendo e, come in ogni abisso, cambiano le proporzioni di ogni cosa. Il “mondo della comunicazione” si ferma alle porte. Qui la parola ha pesi differenti e i metodi di comunicazione interpersonale sono quelli di un fronte di guerra. Guerra punica intendo. Qui si usa la posta. Quando c’è carta però. Quando hai il francobollo, quando conosci la tariffa per l’estero, quando la nave porterà i tuoi auguri al di là del mare e un’altra ti riporterà la risposta (ma tu nel frattempo sarai stato trasferito altrove...).
Entro e scendo, scendo agli inferi. Scendo e scopro che lo Spirito di Dio si aggira per questi lunghi corridoi e lavora per trasformarli. Perché, come diceva sempre il vecchio cappellano don Luigi, «un cattivo diventa buono solo se gli dai bontà». Ho qualche possibilità di diventare buono – mi dico –, per questo sono felice di esser qui. Lo Spirito di Dio trasforma. Trasforma un corridoio in cattedrale, un’inferriata in finestra di monastero, una persona limitata come me in evangelizzatore.
Cinque Messe la domenica, una o due nei giorni feriali. Catechesi, sacramenti, scuola della Parola, rosario, confessioni, dialoghi personali – tanti, infiniti – con richieste di ogni genere, dal paio di ciabatte alla benedizione. Messe con rappresentanze di tutto il mondo da fare invidia al Papa alle giornate della gioventù. Un solo esempio: al reparto dei giovanissimi si stipano nella cappellina per la Messa la domenica mattina alle 8.30. Sono italiani, moldavi, rumeni, sudamericani, cinesi, marocchini ed egiziani. Tra loro ci sono cattolici, ortodossi, evangelici, musulmani e chi nemmeno sa che dire. Chi è cattolico riceve la Comunione, chi non è battezzato ascolta. Chi non sa l’italiano guarda i gesti del prete cristiano. Occhi spalancati, silenzio religioso. Passa Dio quaggiù. Chiedono Bibbie nella loro lingua e libri di preghiera: spagnolo, cinese, francese, inglese, rumeno, russo, italiano. Chiedono rosari: chi lo tiene in tasca, chi lo mette al collo. Chiedono immaginette da stringere forte, che li facciano sentire a casa, quando andavano da padre Pio o dalla Virgen de Guadalupe e davanti alle icone stupende e severe dell’Est.
Chiedono francobolli, carta e penna e ci chiedono pure le tariffe, perché «così magari arriva davvero a casa la mia lettera» (0.60 euro per l’Italia, 0.65 per Europa e Nord Africa, 0.85 per il resto del mondo). Chiedono qualche felpa, qualche tuta, sapone e shampoo. Chiedono di poter sentire bene quanto dicono i cappellani alla Messa, perché se l’impianto audio fa cilecca, addio evangelizzazione! Chiedono – le donne – un tetto nuovo per la loro cappellina, chiusa qualche settimana fa perché pericolante. Era un luogo dove si sentivano a casa, in silenzio e in pace, con la statua della madonna che raccoglieva le loro preghiere, il lume acceso al tabernacolo e le stazioni della Via Crucis alle pareti. La riavranno? Ci sarà un tetto?
Noi chiusi quaggiù sappiamo che voi lassù ci pensate. Voi lassù sapete che sotto il vostro mondo c’è un altro mondo, sotto le vostre Chiese c’è un’altra Chiesa. Una Chiesa che in corridoio prega e celebra in ginocchio e a mani giunte. Una Chiesa che prega per voi e conta sul vostro amore. P. RAIMONDI, Lettera del 18 ottobre 2010, in http://www.chiesadimilano.it/.


2. Il Gesù dei Vangeli, l’unico che conosciamo, è il Salvatore di tutti e vuole un regno universale. E non concede spazi individualistici ai discepoli, ma li manda fino agli estremi confini della terra. Soltanto i Vangeli, poi, proteggono la figura di Gesù dalle imboscate in cui ciascuno di noi lo vorrebbe far cadere, soprattutto quella di ridurlo a misura del nostro stretto orizzonte individuale. Gesù, ridotto ad essere un “Gesù-per-me”, non è il Gesù dei Vangeli, che ha sempre un altrove verso cui muoversi, che ha altre pecore che non sono ancora del suo ovile, che attira tutti a sé, che versa il suo sangue non solo per me, ma per tutti. Solo i Vangeli, infine, proteggono i discepoli dalla tentazione di rinchiudersi nel proprio gruppo, escludendo quelli che non sono dei loro, o dalla tentazione di fermarsi ai legami di sangue senza entrare nella nuova famiglia di Gesù, fondata solo sull’ascolto e sull’obbedienza alla Parola; o, ancora, dalla tentazione di fermarsi in Israele, oggi fermarsi nei confini della Chiesa. […]
Nell’Eucaristia il Crocifisso non è solo: “porta” con sé tutti i crocifissi della terra. L’Eucaristia dà forza alla comunità per camminare col suo Signore sulla strada della povertà e della solidarietà con i poveri fino al martirio: è la strada obbligata della missione. Gesù è stato mandato dal Padre ad “evangelizzare i poveri” e la Chiesa deve continuare a comportarsi come lui si è comportato: da povero, liberatore dei poveri. “Come Cristo, così la Chiesa” ripete con accorata insistenza il Concilio (LG 8). E la Chiesa ha fatto propria in modo irrevocabile la “scelta preferenziale dei poveri”, anche se ne sente tutta la fatica e vede tutti i propri compromessi. Qui tocchiamo un punto decisivo per la missione: se una parrocchia non è povera e solidale con i poveri non potrà essere missionaria. Ma qui sembra ci sia una strozzatura per la missionarietà delle nostre comunità: se né la Parola né l’Eucaristia riescono a schiodarci da una tranquilla non-ricchezza che non disturba nessuno
(perché in realtà non siamo ricchi, ma neppure poveri da lasciare un segno evangelico), la missione si ferma, anche se l’organizzazione missionaria e i suoi macchinari restano in movimento. Le parole di Gesù, che sempre esprimevano la sua stessa vita, sono di una chiarezza impressionante. Basta meditare i discorsi missionari dei Vangeli sinottici. Se non sciogliamo questo nodo la missione si appesantisce e si blocca.
La prima comunità cristiana di Gerusalemme, fresca nella fede, spezzava il Pane nelle case, ascoltava quanto gli Apostoli – anche Andrea! – raccontavano di Gesù; pregava e viveva una comunione fraterna che giungeva a mettere in comune i beni, tanto da non aver nessun bisognoso al suo interno. I discepoli di Gesù godevano la simpatia della gente, che restava attratta da questo stile di vita e si aggregava alla comunità (At 2,42-48; 4, 32-35). Al di là di ogni possibile idealizzazione di questi “sommari” degli Atti degli Apostoli, resta il fatto che la prima comunità cristiana era una comunità missionaria “per irradiazione”. Da questa, come da altre comunità cristiane, partivano anche degli “inviati”, missionari itineranti fino ai confini della terra, in obbedienza al comando di Gesù. Se la condivisione dei beni con la conseguente povertà era la caratteristica più rilevante della missione per irradiazione che i discepoli “sedentari” vivevano, per gli itineranti c’era una forma di povertà ancora più esigente, che i discorsi missionari dei Sinottici documentano. In ogni caso non si concepiva la missione senza povertà.
Si aprono qui prospettive cui possiamo solo accennare. Anche le nostre parrocchie dovrebbero vivere le due forme della missione: per irradiazione-attrazione, con il loro stile di vita evangelico, e per “invio”. L’invio può avvenire in diversi modi: o singoli cristiani rispondono alle chiamate specificamente missionarie che il Signore continua a fare o le comunità si fanno carico degli inviati dalla propria Chiesa locale (i fidei donum) o da altre comunità sorelle. .F. MARTON, Abbiamo trovato il Messia, in «Vocazioni» n. 2 (2008) pp. 34-45.


3. […] Vi è bisogno impellente di vocazioni missionarie. Soprattutto se si considera che nel 1990 i missionari italiani erano 24 mila mentre attualmente sono circa 10 mila tra sacerdoti fidei donum, missionari e missionarie ad vitam e laici impegnati. È per questa ragione che, essendo le risorse umane strategiche nel contesto dell’evangelizzazione, il servizio missionario non va considerato come una sorta d’avventura solitaria, ma interpretato come impegno condiviso. E a questo riguardo, parafrasando la Redemptoris missio (cf 37), va davvero rinnovato, tutti insieme, l’impegno a coniugare Parola e vita non solo in regioni geograficamente lontane, ma anche sul versante dei moderni areopaghi quali il mondo delle comunicazioni, l’impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli oppressi, i diritti dell’uomo e dei popoli, la salvaguardia del creato, oltre ai vastissimi areopaghi della cultura in genere, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo contro i fautori dello scontro tra le civiltà. In un mondo villaggio globale la vocazione ad gentes s’impone pertanto come profezia nell’ambito delle relazioni tra vecchie e giovani Chiese, tra Nord e Sud del mondo, nella consapevolezza che, proprio a partire dal Vangelo, vi è un destino comune. Una cosa è certa: nell’epoca della globalizza-zione, segnata da una preoccupante crisi antropologica per cui sono in molti a negare il valore della persona umana «creata a immagine e somiglianza di Dio», in una società planetaria in cui il mercato dei beni materiali prende prepotentemente il sopravvento sui
diritti sacrosanti delle masse impoverite, il valore aggiunto delle nostre comunità deve tornare a essere quello della testimonianza missionaria.
Si ritorna, in fondo, alla disputa millenaria tra il bene e il male da sottrarre a ogni genere di fondamentalismo perché in questo veloce e complesso divenire della storia, in cui come Chiesa siamo sempre più un piccolo gregge, soprattutto in Europa, la chiave del rapporto con Dio rimarrà sempre quella insegnataci da Gesù che ha dato la vita per ogni uomo e donna di buona volontà. Egli, è bene rammentarlo, non solo ha raccomandato l’accoglienza della «vedova, dell’orfano, dello straniero», dei cosiddetti irregolari nella fede, che chiedono riconoscimento e condivisione, ma è anche morto in croce, dando la vita per l’umanità di ieri, di oggi, di sempre. E allora il sacrificio di tanti missionari e missionarie che cadono ogni anno sul campo, nelle periferie del mondo, nell’adempimento del loro mandato, costituisce un motivo di grande edificazione. Essi, spesso, come autentici «caschi blu di Dio», vengono violentemente messi a tacere perché difendono la vita ed i diritti dei più deboli, ma anche perché sono gli unici che fanno «scudo» tra gli eserciti e la gente comune come accade in molte zone sperdute dell’Africa. Una testimonianza che consente anche a noi, cristiani del terzo millennio, in tempi di crisi, d’individuare gli «argini» della speranza. G. ALBANESE, Testimoni sulle strade del mondo, in «Avvenire», 21 ottobre 2012

venerdì 19 ottobre 2012

Gesù è il nuovo tempio dove Dio abita. III domenica di Ottobre



Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno B)
Lettura
Is 26,1-2.4.7-8;54,12-14a
In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda:
«Abbiamo una città forte;
mura e bastioni egli ha posto a salvezza.
Aprite le porte:
entri una nazione giusta,
che si mantiene fedele.
Confidate nel Signore sempre,
perché il Signore è una roccia eterna.
Il sentiero del giusto è diritto,
il cammino del giusto tu rendi piano.
Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi,
Signore, noi speriamo in te;
al tuo nome e al tuo ricordo
si volge tutto il nostro desiderio.
Farò di rubini la tua merlatura,
le tue porte saranno di berilli,
tutta la tua cinta sarà di pietre preziose.
Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore,
grande sarà la prosperità dei tuoi figli;
sarai fondata sulla giustizia.
Parola di Dio.

oppure


Nel giorno del Signore, venne uno dei sette angeli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Le nazioni cammineranno alla sua luce,
e i re della terra a lei porteranno il loro splendore.
Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno,
perché non vi sarà più notte.
E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.
Non entrerà in essa nulla d’impuro,
né chi commette orrori o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell’Agnello.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 67 (68))
Date gloria a Dio nel suo santuario-
Appare il tuo corteo, Dio,
il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario.
Precedono i cantori, seguono i suonatori di cetra,
insieme a fanciulle che suonano tamburelli.
«Benedite Dio nelle vostre assemblee,
benedite il Signore, voi della comunità d’Israele». R.

Mostra, o Dio, la tua forza,
conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi!
Per il tuo tempio, in Gerusalemme,
i re ti porteranno doni.
Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore. R.

Riconoscete a Dio la sua potenza,
la sua maestà sopra Israele,
la sua potenza sopra le nubi,
Terribile tu sei, o Dio, nel tuo santuario.
È lui, il Dio d’Israele, che dà forza e vigore al suo popolo.
Sia benedetto Dio! R.
Epistola
1Cor 3,9-17
Fratelli, siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr 1Cor3,17.9)
Alleluia.
Santo è il tempio di Dio, campo che egli coltiva,
e costruzione da lui edificati.
Alleluia.
Vangelo: Gv 10,22-30
In quel tempo. Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Parola del Signore.
Nella Diocesi ambrosiana la 3° domenica di ottobre si celebra la Dedicazione della chiesa cattedrale, una festa che nel rito romano trova una certa qual corrispondenza nella liturgia del 9 novembre, in cui si ricorda la Dedicazione della Basilica Lateranense di Roma.

La scelta della data è caduta sulla 3° di ottobre perché proprio in una 3° domenica di ottobre - esattamente il 20/10/1577 - S. Carlo Borromeo consacrò il Duomo della nostra città.

Ora il vangelo odierno ci consente di approfondire la fisionomia e il significato Cristologico della omonima festa ebraica della Dedicazione. Esso inizia infatti con le parole: "In quel tempo ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione" (v.22)

La ricorrenza si celebrava in dicembre a ricordo di un drammatico avvenimento storico: il 25 kislèv (= dicembre) del 168 a. Cr. l'empio re Antioco IV  Epifane, suscitando grande scandalo tra i Giudei, aveva cominciato a celebrare un sacrificio pagano su un altare nientemeno che nel Tempio di Gerusalemme! E la cosa durò per ben tre anni, con grande sofferenza dei giudei fedeli; finalmente nel 165 Giuda Maccabeo riconquistò la città, purificò il santuario e vi celebrò la dedicazione: l'altare fu nuovamente consacrato con canti di ringraziamento e salmi, e venne riaccesa la lampada ad olio che perennemente ardeva davanti ad esso, proprio nello stesso mese e nello stesso giorno in cui era stato profanato: il 25 kislèv, cioè circa il nostro 20 dicembre.

Si decise poi di ripetere ogni anno la celebrazione di questa festa con gioiosa partecipazione, proprio come a quella delle Capanne, e cioè anche per i successivi otto giorni, durante i quali ogni famiglia pone all'esterno della propria casa (o alla finestra) un candelabro a nove braccia chiamato (anziché a 7, come è la "menorah") per ricordare la "novena" di preghiere effettuata da Giuda Maccabeo in preparazione alla purificazione del Tempio. Attingendo alla luce del braccio centrale, giorno dopo giorno, all'apparire della prima stella, si accendono in progressione tutte le luci del candelabro. Con questo gesto si testimonia davanti alle Nazioni che l'unica vera luce del mondo è quella di Dio. Essa vince le tenebre dell'inverno, estendendosi con forza sempre maggiore.

In ebraico il nome della festa è Hanukkah, dalla radice hnk= dedicare, consacrare; essa rientra tuttora tra le feste più importanti dell'anno liturgico ebraico. Anzi nel 2006, a Milano, l'organizzazione giovanile ebraica Chabad Lubavitch propose a tutti i Milanesi di partecipare al rito pubblico dell'accensione in piazza S.Carlo.

Anche al tempo di Gesù l'Hanukkah era tra le feste più importanti per le fede ebraica e, come sappiamo dai vangeli, pure Gesù, da buon ebreo, partecipava ai momenti di preghiera e di culto del suo popolo.

L'evangelista Giovanni, poi, in modo molto originale, imposta la sua narrazione della storia di Gesù inquadrandola proprio nell'ambito delle feste giudaiche, per mostrare, di volta in volta, come il Nazareno rappresenti il senso profondo e il compimento di ciascuna di esse: lo si capisce inequivocabilmente nei momenti in cui Gesù stesso pronuncia con solennità quelle formule di auto- rivelazione che contraddistinguono il quarto vangelo.

Così ad esempio la Festa delle Capanne (Giov.7,2) era caratterizzata da due riti: l'acqua della fonte sacra sparsa sull'altare a propiziare la pioggia e l'illuminazione della città con i quattro lampioni ai lati del cortile del tempio. Non a caso dunque Giovanni narra che "nell'ultimo giorno, il più grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: "Chi ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giov.7, 37-38); e poco dopo: "Io sono la luce del mondo - afferma Gesù - chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Giov.8,12): è Gesù la vera fonte della vita e la vera luce!

Dunque, se in occasione delle precedenti feste giudaiche Gesù si è manifestato come il Messia (nozze di Cana - Giov.2), il vero agnello che toglie il peccato del mondo (3 feste di Pasqua), il Signore del sabato (ricordato in Giov.5,1), l'acqua fonte di vita e la luce del mondo (Festa delle Capanne), ora, nell'ambito della Festa della Dedicazione, rispondendo alla richiesta dei Giudei sulla Sua identità, Egli arriva ad un'affermazione basilare "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Giov.10,30) ed è proprio questa frase che scatena l'ira dei Giudei (come sempre pregiudizialmente ostili a Gesù), i quali vogliono addirittura lapidarlo (cfr. Giov.10,31-33).

A questo punto "Gesù abbandona definitivamente il tempio e con lui si allontana dal tempio anche la presenza di Dio mediata Cristologicamente, il che prepara la liturgia senza tempio successiva alla distruzione del tempio stesso. Per coloro che credono in lui, Gesù è ora il >luogo< consacrato della presenza salvifica di Dio. Poiché però la maggioranza dei giudei non condivide la nuova connotazione e soprattutto il fatto del compimento delle feste nell'azione di Gesù, esse vengono designate ripetutamente come “feste dei giudei”. Per i discepoli di Gesù destinatari del vangelo di Giovanni, invece, Gesù, quale Messia di Israele, ha adempiuto anche le promesse contenute nelle feste del suo popolo." (da P.Dschulnigg, Feste ebraiche e feste cristiane, Dehoniane, p.153)

Del resto ovunque in Giovanni si parla del tempio, c'è una nota polemica: il tempio vero è la Chiesa; come il tempio antico era il luogo del raduno della comunità per la lode e il ringraziamento, così Gesù è il nuovo punto di raduno della comunità, che si riunisce attorno allo spezzare del pane. E' questo il senso più profondo della festa della Dedicazione.

PER LA NOSTRA VITA

1. Una chiesa disinteressata cerca soltanto l’onore del suo Signore e non il proprio, perché anche il Signore non ha mai cercato il suo onore, bensì quello del Padre. Essa cerca nella Scrittura le parole che le insegnano l’obbedienza più completa. Nella sua liturgia non cerca la soddisfazione della comunità, bensì l’adorazione del suo Signore e l’investitura della sua forza per il proprio compito. […] Nelle sue aperture moderne essa non cerca di giustificare se stessa, anzi, proprio in questi movimenti si sentirà umiliata nel più profondo, perché tutte queste cose elementari le son venute in mente incredibilmente tardi, perché è stata così sorda agli incitamenti ed ai suggerimenti non soltanto dello Spirito santo, ma anche di tutto un mondo di credenti e non credenti. H. U. VON BALTHASAR, Chi è il cristiano? Meditazioni teologiche, Traduzione di G. VIOLA (Me-ditazioni Teologiche 2), Editrice Queriniana, Brescia 1966, pp. 121-122.

2. Il nostro modo di parlare, di giudicare, di pensare, sembra confondere spesso la Chiesa e il regno. Ora, la Chiesa è sacramento del regno, nel senso che lo accoglie e lo annuncia. Lo accoglie nella gioia e nell’azione di grazie. Essa non è la fase del regno già presente qui sulla terra, non ne è l’abbozzo. Il regno non cessa di venire nell’universo intero, ma non si può dire che è qui oppure là; si può solamente dire che viene. Quando noi diciamo «Padre nostro, venga il tuo Regno», non preghiamo solo perché il regno si compia nella Chiesa, non pre-ghiamo solo per i cristiani, ma per ogni uomo di buona volontà. Per accogliere il regno, però bisogna riconoscere che esso è già là: Cristo ce lo dice non solo con la sua Parola, ma con la sua stessa presenza. PH. BÉGUERIE, in Letture dei giorni, a cura della COMUNITÀ MONASTICA DI BOSE, Edizioni Piemme, Casale Monferrato AL 1994, 22000, p. 260.


3. Tutta la chiesa nascente agisce e parla “nel nome di Gesù Cristo”. […] Forse anche noi abbiamo tanto zelo quanto ne avevano i primi evangelizzatori. Siamo più irrequieti di loro forse, più fecondi di inventiva. Ma il nostro messag-

gio ha conservato la purezza del loro? La nostra testimonianza è sempre, in egual misura, “conforme al Vangelo del Cristo?” (Martirio di Policarpo 19,1).
Uno zelo attivo e sincero non è necessariamente, sempre egualmente illumi-nato, o libero da vedute umane. La fede da cui procede può non essere sempre sufficientemente pura. Supponiamo tuttavia che tutte le nostre “invenzioni” siano necessario. Possiamo ancora domandarci se, per una proliferazione il cui controllo finisce per sfuggirci, esse non finiscano per intrecciare una rete nella quale il nostro zelo rischia di lasciarci impigliare. […] Stiamo attenti a presenta-re sempre la Chiesa – prima di tutto a comprenderla – nella sua verità totale. Nella Chiesa e attraverso la Chiesa, costantemente di ascoltare Colui che essa annuncia, di risalire fino a Colui che è la ragione della sua esistenza. Ognuno di noi è membro del Corpo unico. Ognuno di noi, nel suo modesto settore, “è” la Chiesa. Per mezzo di ognuno di noi, la Chiesa deve annunciare il vangelo e de-ve annunciarlo “ad ogni creatura”. Deve far brillare la luce agli occhi di ogni uomo che viene in questo mondo, come il candelabro che regge la fiaccola. In ognuno di noi essa deve sparire come una dissolvenza davanti al suo Signore, non essere più che un dito che Lo indica, una voce che trasmette la Sua voce. Ognuno di noi deve essere, alla sua maniera e nel suo ordine, un “servitore della Parola” (At 4,4). H. DE LUBAC, Meditazione sulla chiesa, Traduzione di E. MARTINELLI, Edizione italiana a cura di E. GUERRIERO (Già e Non Ancora 54. Opera Omnia di Henri De Lubac 8), Jaca Book, Mi-lano 1987, p.

4. Per far fronte al presente occorre in primo luogo riconoscere l’odierna si-tuazione di “deserto”. E non è facile farlo, perché l’esistenza nel deserto non è affatto gradevole e viene rimossa in molteplici modi. Possibilità di rimozione sono, tanto per formularle con delle metafore del deserto, la negazione pura e semplice della dura realtà […], il ritorno in Egitto (uscire cioè subito dal deserto e tornare indietro per ritrovare le vecchie sicurezze), l’attribuzione della colpa ad altri. […] Tutte queste sono vie sbagliate, perché come scrive B. Rootmen-sen,
non possiamo sfuggire al deserto che è attorno a noi e in noi. Esso richiede, oltre alla protesta e alla resistenza, anche l’accettazione. Quest’ultima non ha nulla a che fare con il fatalismo, ma ci impone soprattutto di accettare la purificazione e le sfi-de che ci accompagnano al deserto. La prima condizione per sopravvivere e vivere nel deserto è che troviamo fonti di acqua viva. Nei tempi in cui viviamo la parola d’ordine recita più che mai: Alle fonti!
Questa chiamata “Alle fonti!” ha molti significati. Qui ci limitiamo a soffer-mare la nostra attenzione su una sola dimensione: “Alle fonti!” significa trovare oasi, che già fioriscono dappertutto, solo che ci mettiamo a cercarle. G. GRESHAKE, Vivere nel mondo. Questioni fondamentali della spiritualità cristiana, Traduzione dal tedesco di C. DANNA (GdT 356), Editrice Queriniana, Brescia 2012, pp. 147-148.


5. Nelle nostre lingua, abbiamo un solo termine per indicare la vita: si tratta di vita animale, umana, quotidiana, materiale, spirituale, celeste, eterna. Nel Vangelo di Giovanni […] bios non appare mai. […] La vita eterna è in primo luogo, Dio Padre, il vivente come dice l’Antico Testamento: egli vive in eterno,

porta in sé la vita, dà e toglie l’esistenza, e colma l’universo con una freschezza inesauribile. Anche il Figlio dispensa vita al mondo; e dà agli uomini un’acqua zampillante, che non si esaurisce mai. […] Se il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre: se il Padre risuscita e vivifica i morti, così fa il Figlio: se il Figlio dona la sua vita per gli uomini, la dona per volontà del Padre: quando il Padre parla, il Figlio parla per lui; quando il Padre insegna, il Figlio ripete il suo inse-gnamento, “Io non sono mai solo, dice Gesù, perché il Padre è con me”. […] Non c’è niente nella vita eterna, che non sia zampillo e esplosione di luce. Que-sta luce sovrannaturale si esprime con le immagini più semplici e fisiche: Giovanni unisce la sublimità tremenda e la semplicità naturale; ecco l’acqua, il pane, la vite, il tralcio, il mietitore, il seminatore, il buon pastore, le pecore. […] Se-condo Giovanni, morte è soltanto il nome della tenebra – il peccato d’Adamo, l’odio, la malvagità, l’assenza di amore, l’incredulità, le cattive opere, la man-canza di conoscenza, Satana, il “mondo”: tenebra che lascia attorno a sé una fa-scinazione sinistra, turbando anche i primi discepoli, durante e dopo l’ultima cena. Mentre leggiamo il Vangelo di Giovanni, il Padre è una “cosa sola” col Figlio: il Figlio è una “cosa sola” col Padre: i discepoli presenti e tutti gli altri che in futuro leggeranno il Vangelo di Giovanni sono “una cosa sola” tra loro: essi sono “una cosa sola” col Figlio, come il tralcio e la vite; e sono “una cosa sola” attraverso la mediazione di Gesù Cristo, anche col Padre, come nessun cristiano aveva mai detto. Queste successive identità di amore e di conoscenza, queste fusioni sempre più vaste di cuori e di spiriti, che si allargano come onde nel lago dell’amore cristiano, ripetono l’unità originaria, che, prima della crea-zione, esisteva tra le due figure divine. Qualsiasi separazione e divisione, nel cie-lo e nella terra, è caduta. Non c’è che l’Uno celeste e terrestre. Fuori di esso sol-tanto le tenebre, che non riconoscono e non accolgono il Figlio. P. CITATI, Di cosa parla il Vangelo quando parla di vita, «La Repubblica», 3 marzo 2009.
6. Egli entrò nel tempio, cioè entrò nella Chiesa, alla quale ha affidato il compito di predicarlo. Innanzitutto ne scaccia, per un diritto legato al suo pote-re, tutto ciò che è corrotto nel ministero dei sacerdoti. Aveva infatti insegnato che tutti dessero gratuitamente ciò che gratuitamente avevano ricevuto, poiché la libertà del dono non doveva consentire che si comprasse o si vendesse qual-cosa corrompendo un sacerdote. […] Nel tempio guarì anche le infermità di ciechi e zoppi, e le sue opere pubbliche hanno ottenuto il favore del popolo. Ma i principi dei sacerdoti sono invidiosi delle acclamazioni dei fanciulli e trovano a ridire sul fatto che li ascolta: si annunciava, infatti, che era venuto per la reden-zione della casa di Israele. Ed egli rispose loro che non avevano letto: «Dalla boc-ca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode». Infatti, siccome erano cessati i giudizi dei sapienti, i piccoli e i fanciulli, ai quali appartiene il regno dei cieli, gli avevano preparato questa confessione gloriosa. Poiché, se i sapienti e i prin-cipi di questo mondo avevano condannato la sapienza di Dio, i piccoli e i lattan-ti della rigenerazione avrebbero predicato Cristo. ILARIO DI POIETIERS, Commentario a Matteo (Testi Patristici 74), Città Nuova, Roma 1988, pp. 228-229.