venerdì 5 ottobre 2012

7 ottobre 2012 Il Signore non ama la disoccupazione!



7 ottobre 2012 VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B)

Il Signore non ama la disoccupazione!

Lettura
Is 45,20-24a
Così dice il Signore Dio:
«Radunatevi e venite,
avvicinatevi tutti insieme,
superstiti delle nazioni!
Non comprendono quelli che portano
un loro idolo di legno
e pregano un dio
che non può salvare.
Raccontate, presentate le prove,
consigliatevi pure insieme!
Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo
e chi l’ha raccontato fin da allora?
Non sono forse io, il Signore?
Fuori di me non c’è altro dio;
un dio giusto e salvatore
non c’è all’infuori di me.
Volgetevi a me e sarete salvi,
voi tutti confini della terra,
perché io sono Dio, non ce n’è altri.
Lo giuro su me stesso,
dalla mia bocca esce la giustizia,
una parola che non torna indietro:
davanti a me si piegherà ogni ginocchio,
per me giurerà ogni lingua».
Si dirà: «Solo nel Signore
si trovano giustizia e potenza!».

Salmo (Sal 64(65))
Mostraci, Signore, la tua misericordia
Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion,
a te si sciolgono i voti.
A te, che ascolti la preghiera,
viene ogni mortale. R.

Pesano su di noi le nostre colpe,
ma tu perdoni i nostri delitti.
Beato chi hai scelto perché ti stia vicino:
abiterà nei tuoi atri. R.

Ci sazieremo dei beni della tua casa,
delle cose sacre del tuo tempio.
Con i prodigi della tua giustizia,
tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza. R.
Epistola
Ef 2,5c-13
Fratelli, per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.


Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt20,16)
Alleluia.
Gli ultimi saranno primi, dice il Signore,
e i primi, ultimi.
Alleluia.
Vangelo: Mt 20,1-16
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Commenti
Lettura del profeta Isaia 45, 20-24a

Tutto il capitolo 45 esprime la fede di Israele nel Signore che dirige la storia, supera i confini d'Israele stesso e raggiunge l'umanità ( ci sono accenni alla creazione del mondo). Al centro del cammino, in cui Dio porta la salvezza, c'è un re, Ciro, che pure non conosce il Dio d'Israele, e che tuttavia ha la funzione di essere strumento del Signore stesso per la pace e la sicurezza del popolo. Nel Medio Oriente sono avvenuti sconvolgimenti e sono sorte realtà nuove. Dio nasconde la sua operosità nella storia del mondo, ma, al credente, deve restare la consapevolezza che è il Dio d'Israele l'autore della novità. Anche nel nascondimento, Dio conduce la sua opera e l'attuazione del suo disegno. Ai sopravvissuti delle lotte e delle tragedie ("i superstiti delle nazioni") viene rivolto l'invito che non è solo per "il resto d'Israele" ma per tutti popoli che, precedentemente, hanno creduto negli idoli: il Signore si rivolge loro chiedendo una testimonianza ed una requisitoria contro gli idoli che non possono salvare. Chiede loro di riflettere sulla storia e di scoprire che: "Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza".

Il termine "giusto-giustizia" si trova 3 volte: la prima richiama la fedeltà all'impegno preso, le altre due corrispondono alla Salvezza.

Questo testo ha una grande apertura universalistica che spesso si ritrova nei testi di Isaia (soprattutto dopo il capitolo 40: i testi del Secondo e del Terzo Isaia).

Così anche noi siamo tutti invitati a ripensare con intelligenza agli avvenimenti dei nostri tempi: come credenti, siamo invitati a fare mature analisi sulla storia, sulla crisi, sul cammino del nostro mondo sempre più globalizzato.

"Quali sono i segni di Dio e verso quali orientamenti siamo invitati ad incamminarci? Come valutiamo e prendiamo posizione contro le guerre, la fame nel mondo, gli egoismi dei paesi ricchi, le chiusura nel benessere, la scoperta che nessuno di noi è autosufficiente? E ognuno di noi ha bisogno della solidarietà, dell'alleanza, delle competenze, delle materie prime, dei progetti, della forza dell'altro per costruire insieme la pace! Ma allora quali sono gli idoli e quale la giustizia?"

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini. 2, 5c-13

Paolo ha abitato molto tempo ad Efeso e quindi ricorda questo territorio e questa comunità con molta fiducia.

Scrive per i cristiani di Efeso e dei villaggi vicini mentre si trova in carcere a Roma, negli anni 61-63, in attesa di giudizio per essersi appellato a Cesare.

Paolo, dopo i saluti, inizia la lettera, richiamando l'azione del Padre, del Figlio e dello Spirito per la salvezza degli uomini, indicando l'esemplare comunione Trinitaria già prima della creazione e garantendo che essa è dono alla comunità dei credenti nel tempo della salvezza di Gesù.

Il Signore, già prima della creazione, aveva scelto gli uomini affinché vivessero nella carità come santi e immacolati, facendo sì che - abitando in questo mondo - diventassero tutti figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo.

La supremazia di Gesù, fondamentale per la fede dei credenti, offre "uno Spirito di sapienza e di rivelazione" (v 17). Così ci può essere consapevolezza che il Signore ha fatto un popolo nuovo poiché egli è " morto per le colpe ed i peccati " (v 1.5.) e il Padre " ci ha fatti rivivere con Cristo " (v 5). Quello che ci ha salvato, perciò, non sono state le opere, o i meriti, guadagnati di conseguenza, ma ci hanno conquistato l'amore e la grazia, quindi la gratuità di Dio che hanno fatto il miracolo di questa salvezza che continua nel cuore dei credenti. Nella grazia (ripetuta 3 volte) noi riceviamo la vita nuova (la risurrezione) e la dignità. E sempre per questa gratuità possiamo sedere nei cieli per giudicare tempi, opere e persone (immagine di potere). "Per la grazia (dono di Dio) nella fede (nostra partecipazione) siete stati salvati" e non per le opere., "perché nessuno possa vantarsene " (v 9). Sul dono, sull'amore di Gesù, sulla pienezza e la gratuità S. Paolo continua la sua ricerca e il suo insegnamento. Egli vuole che passi dentro di noi questa consapevolezza che diventa anche novità e struttura fondamentale del vivere, della pace, del cammino della giustizia. Solo tale consapevolezza della piena gratuità rimette in discussione i criteri di individualismo, di chiusura e quindi di difesa e di paura.

Paolo non vuole certo far mancare l'aspetto di responsabilità legato all'impegno, la dimensione etica che è affidata alla nostra coscienza e libertà. Perciò " siamo opera sua (di Dio), creati in Cristo Gesù " e impegnati ad operare nel mondo gesti e comportamenti buoni, che diventano criteri nuovi di vita. Non sono certo una nostra invenzione; ma il corredo di generosità e di bontà lo organizza il Signore che ci fa attenti: questi sono essi stessi doni, coerenze, prospettive che sorgono in conseguenza: noi siamo stati "creati per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo " v 10).

Nel cammino verso il Signore è importante il "ricordare", e quindi ripensare a come eravamo, al nostro timore ed indifferenza, alla nostra paura ed egoismo a cui accettavamo, senza speranza, di essere sottomessi. Eravamo lontani, e quindi senza riferimenti, "senza speranza e senza Dio nel mondo" (v 12). Ora "invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo" (13).

Lettura del Vangelo secondo Matteo 20, 1-16

La parabola dei lavoratori della vigna ha interessanti risvolti a livello teologico, ma tocca anche cultura, economia, senso del lavoro, contesto sociale.

Nel vangelo di Matteo la parabola è pronunciata nelle ultime settimane di vita del Maestro, mentre sta camminando verso Gerusalemme. Essa è preceduta da diversi insegnamenti che riguardano la partecipazione al Regno dei cieli: ci sono persone che non si sposano per amore del regno (Mt 19,12), il giovane ricco è invitato a vendere i beni per un tesoro in cielo (19,21), Pietro interviene chiedendo conto della contropartita, visto che i 12 hanno accettato di seguirlo: "Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (19,21). Gesù promette il potere di giudizio sulle 12 tribù d'Israele, la vita eterna e il centuplo di quanto hanno lasciato (19,27-29). Esiste, infine, un raccordo con la parabola attraverso un detto: "Molti dei primi saranno gli ultimi, e molti degli ultimi saranno i primi" (19,30). Con questo aggancio la parabola sviluppa ancora il tema della ricompensa di fronte alla sequela. I discepoli di Gesù sanno di essere come i lavoratori dell'ultima ora, rispetto alla storia degli ebrei e dei profeti, e sentono di condividere la condizione dei poveri e degli esclusi. Eppure ricevono la ricompensa piena. E però proprio gli ultimi debbono stare attenti a non mettersi orgogliosamente al di sopra degli altri, come chiede la madre dei fratelli Giacomo e Giovanni: "Fa' che questi due figli siedano uno alla destra ed uno alla sinistra del tuo regno" (20,21).

A dire il vero, la predicazione di Gesù, e questa parabola, in particolare, risentono della diffidenza e addirittura dello scandalo che Gesù provoca perché Egli prospetta anche "ai pubblicani ed alle prostitute", come ai giusti, il Regno di Dio (21,31); anzi "essi vi precederanno".

Per stare al racconto, si parla della vigna e, probabilmente, siamo al tempo della vendemmia. Il lavoro è faticoso poiché le giornate sono più lunghe (lavoro dall'alba al tramonto: in tutto 12 ore) ma non si richiedono molte competenze ( molto meno del lavoro di innesto delle viti che si opera in primavera). Così, all'alba, come si usa in questi periodi, i salariati si trovano in un luogo convenuto e vengono scelti dopo aver contrattato la paga giornaliera che deve essere consegnata al tramonto del sole: il salario è proprio necessario, giorno per giorno, per le necessità familiari e la legge lo impone. Inizialmente il padrone prende tutti quelli che trova: ne ha bisogno. Poi, via via lungo la giornata, a distanza di tre ore, vengono ingaggiati tutti quelli che il padrone incontra e non si contratta più. "Vi darò quello che è giusto", dice il padrone e tutti accettano. Ma l'imprevisto è per l'uscita dell'ultima ora. A questo punto il problema non è più, probabilmente: "Ho bisogno di lavoratori", ma "Non è accettabile che un adulto resti tutto il giorno inoperoso". Alla domanda:"Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". gli rispondono: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". "C'è la volontà di lavoro, ma nessuno ci fa lavorare". Il padrone manifesta il suo stupore, ma insieme, la sua decisione: "Non è dignitoso che una persona non
lavori. Ed è vergognoso che non si rispetti il diritto del lavorare". Ci si ritrova, così, con il diritto al lavoro, declinato nel condividere le proprie ricchezze di tempo, di competenza, di maturità perché in tal modo si contribuisce perché il mondo cresca e la propria operosità diventi utile a tutti.

Ci si ritrova in una società che poggia il concetto di giustizia sulla corrispondenza proporzionale tra lavoro e ricompensa: tanto lavoro, tanto salario, poco tempo di lavoro, poco salario. Sono in gioco il tempo, la fortuna di poter trovare lavoro, il rischio che in famiglia si soffra l'indigenza per mancanza di lavoro.

Qui, nella parabola, dopo la contrattazione dei primi, il padrone crea un clima di fiducia, che spera reciproco, poiché, con i nuovi venuti della terza ora, non si formula un salario ma si parla di ciò che è "giusto".

Su un piano teologico il lavorare nella vigna è la parabola della dignità di collaborazione con l'annuncio gioioso del Vangelo e il segno dell'amore di Dio per noi che accoglie ciascuno, ricompensando tutti con lo stesso riconoscimento. Su un piano sociale bisogna dire che c'è uno scarto rilevante tra la mentalità corrente e il comportamento di questo padrone. Si usano due aggettivi: "Buono e giusto". E sulla stessa lettura della giustizia ci si trova con due comportamenti e due scelte, legate alle circostanze. "Giusto" perché è stato rispettato il contratto con i primi e "giusto" perché si fa riferimento anche alla necessità del lavoratore disoccupato. Così, rispettando il contratto iniziale, si deve tenere conto del bisogno, prima ancora del lavoro effettivo (si può parlare di salario familiare?). Il "buono" richiama l'attitudine di attenzione e di amore che valorizza la persona, la competenza e la difficoltà, nello stesso tempo.

In fondo, Gesù fa un richiamo alla solidarietà. E infatti, se la possibilità di lavorare un'ultima ora fosse sopraggiunta ad un parente, a un figlio adulto o a una persona generosa a cui siamo molto legati, ci congratuleremmo sulla sua fortuna, apprezzeremmo la scelta del padrone e incominceremmo a scoprire che c'è un nuovo modo di rapportarci.

In fondo il padrone non è uno spendaccione, né una persona superficiale, ma ricompensa la volontà di lavoro, i bisogni e quanto è necessario per vivere. E se la retribuzione incomincia dagli ultimi, in fondo, il padrone vuole dare una provocazione perché se ne parli e si capisca.

Ma, a questo punto, non bisogna discutere sulla possibilità di persone che potrebbero approfittarsene ecc. Se c'è volontà di lavorare, il giorno dopo, dallo stesso padrone ci si mette in fila tra i primi, ringraziando della fiducia e della disponibilità.

Il comportamento nel lavoro e la revisione dei salari creano un rapporto nuovo di fraternità e non di sudditanza.

Questa parabola, oggi, ha molta importanza anche sotto il profilo sociale. Il Signore non sopporta che esistano delle persone disoccupate. "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?" Nella "Caritas in veritate" di Benedetto XVI viene ricordato il valore del "lavoro per tutti" La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza (83) e che si continui a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti (32)."

Dovremmo capire che, in tempo di crisi, il problema fondamentale è la scuola a cui segue l'apprendistato e quindi il lavoro. E proprio in questo tempo ci sono molte realtà che hanno bisogno di interventi della comunità e che non ci si possono affidare ai privati, salvo una organizzazione coerente del terzo settore, verificato e controllato. Quanti servizi alla persona e quanti lavori di manutenzione, di ricostruzione, di prevenzione per terremoti, frane e alluvioni e quanta politica ambientale hanno bisogno di interventi pubblici oltre all'attenzione e all'educazione dei cittadini!

Ma questo è possibile se tutti pagassero, proporzionalmente, le tasse. Così come non si spreca il danaro e ci si deve fare un punto di onore sacrosanto utilizzarlo "per il bene comune".
PER LA NOSTRA VITA – Testi di aiuto tratti da vari autori.

1. Come si comporterà il padrone con gli ultimi? Che paga darà loro? Sentendo, poi, con sorpresa che il padrone comincia a pagare gli ultimi e dà loro il compenso pattuito con i primi, la curiosità dell’ascoltatore aumenta e la domanda si capovolge: che cosa darà allora ai primi? La risposta è del tutto inattesa e sconcertante, paradossale: il padrone dà a tutti la stessa paga, agli ultimi come ai primi. Non è giusto, dicono gli operai della prima ora, e certamente pensano la stessa cosa anche gli ascoltatori: una sola ora di lavoro non merita la stessa paga di un’intera giornata!
Il punto della parabola sta qui, in questo sconcertante comportamento del padrone. La protesta dei primi operai è il tratto in cui l’ascoltatore si sente particolarmente toccato. […]
Se lui, il padrone, agisce come agisce, non è perché trascura chi ha lavorato di più, ma perché ama anche gli ultimi, non soltanto i primi. Non è violata la giustizia, ma la proporzionalità. Lo spazio dell’agire di Dio è quella largo della bontà, non quello angusto del diritto e delle differenze. Il Dio di Gesù Cristo non è senza la giustizia, ma non si lascia imprigionare nello spazio ristretto della proporzionalità.
All’uomo la proporzionalità sembra essere una legge intoccabile. Ma non vale per Dio. Se vuoi sporgerti sul mistero di Dio, liberati dallo schema della rigida proporzionalità, questo è l’insegnamento della parabola. B. MAGGIONI, La cruna e il cammello. Paradossi evangelici e umanità di Gesù (In cammino), Editrice Áncora, Milano 2006, pp. 64-65.

2. La disponibilità alla confidenza con il mistero e la rinuncia a giudicare è già la conversione di chi accetta di essere misurato dalla verità. Chi pensa secondo questa disponibilità, chi si pone alla sequela del senso, impara che, da parte sua, la verità vivente non è misura della nostra vita attraverso il giudizio. Si fa misura, invece, nell’approssimazione. Dove l’uomo metterebbe il giudizio, la verità instaura la prossimità. L’uomo semmai, ricorre al giudizio per colmare l’assenza di relazione reale con la verità stessa. La rinuncia a signoreggiare la verità e l’accettazione della sua prossimità nel dialogo ci affidano la responsabilità di giudicare altrimenti. R. MANCINI, Il silenzio, via verso la vita (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 2002, pp. 117-118.

3. Il Vangelo ci chiede di non stare oziosi, ma lavorare assiduamente nella vigna del Signore. La prima vigna che dobbiamo coltivare è l’anima nostra; Dio ci viene incontro con la sua grazia, ma non vuol santificarci da solo: attende la nostra collaborazione. In questa domenica si rinnova per ogni anima la grande chiamata alla santità; Dio nel suo amore va in cerca dei suoi figli dissipati e sfaccendati e dolcemente li rimprovera: “Perché state qui senza far niente?”. Dio chiama in varie ore, perché vari sono gli stati delle creature, ed in questa varietà si scorge assai bene la grandezza di Dio e la sua benignità che non manca mai – in qualsiasi tempo e stato ci troviamo – di chiamarci con le sue divine ispirazioni. Felici quelli che fin dalla loro giovinezza hanno udito e seguito l’invito divino! “Oh, se oggi ascoltaste la voce di lui! Non ostinatevi in cuor vostro!”
Oltre la vigna dell’anima nostra, dobbiamo considerare la vigna della Chiesa, dove tante anime attendono di essere conquistate da Cristo. Nessuno può ritenersi dispensato dal pensare al bene altrui; per quanto umile sia il nostro posto nel Corpo Mistico di Cristo, siamo tutti suoi membri e quindi ognuno di noi deve cooperare al bene degli altri. Per tutti esiste la possibilità di un’efficace azione apostolica attraverso l’esempio, la preghiera e il sacrificio. Se fino ad ora abbiamo fatto poco, ascoltiamo oggi la parola di Gesù: “Andate anche voi nella mia vigna”. Andiamo e abbracciamo con generosità il lavoro che il Signore ci presenta: niente ci deve sembrare troppo gravoso quando si tratta di guadagnargli le anime. Domandiamo dunque al Signore la grazia del nostro rinnovamento.
Tu mi chiami: vengo alla tua vigna, o Signore, ma se non mi accompagni e sostieni nel lavoro, non riuscirò a far nulla. Tu mi chiami, aiutami a fare quel che mi chiedi. Così sia. P. TARCISIO GEIJER, Omelie, Certosa di Vedana, 1965 (inedito).

4. In ogni istante il nostro essere ha come stoffa e sostanza l’amore che Dio nutre per noi. L’amore creatore di Dio che ci tiene in vita non è solo generosità sovrabbondante: è anche rinuncia, sacrificio. Non solo la passione, ma anche la creazione è rinuncia e sacrificio da parte di Dio. La passione ne è solamente la conclusione. Già come creatore, Dio si svuota della sua divinità, prende la forma di uno schiavo, si sottomette alla necessità, si abbassa. Il suo amore mantiene nell’esistenza. S. WEIL, L’amore di Dio, Traduzione di G. BISSACA - A. CATTABIANI, con un saggio introduttivo di A. DEL NOCE, Edizioni Borla, Roma 1968, 31994, p. 103.

5. L’amore trascende sempre, è l’agente di ogni trascendenza nell’uomo. E per questo apre il futuro; non l’avvenire, che è il domani che si presume certo, ripetizione con

variazioni dell’oggi e replica del passato: il futuro, l’eternità, quell’apertura senza limiti a un altro spazio e a un altro tempo, a un’altra vita che ci appare davvero come la vita. Il futuro che attrae anche la storia.
Ma l’amore ci proietta verso il futuro obbligandoci a trascendere tutto quello che promette. La sua promessa indecifrabile squalifica ogni raggiungimento, ogni realizzazione. L’amore è l’agente più poderoso della distruzione, perché scoprendo l’inadeguatezza e a volte l’inutilità del suo oggetto, lascia aperto un vuoto, un nulla che atterrisce nel momento in cui viene percepito. È l’abisso in cui sprofonda non solo l’amato, ma la vita, la realtà stessa di colui che ama. È l’amore che scopre la realtà e l’inutilità delle cose, che scopre il non-essere e anche il nulla. […]
È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente. Il futuro che ispira, che consola del presente facendo perdere la fiducia in esso; che raccoglierà tutti i sogni e le speranze, da cui scaturisce la creazione, il non previsto. È libertà senza alcuna arbitrarietà. Ciò che attrae il divenire della storia, che corre alla sua ricerca. Quello che non conosciamo e ci invita a conoscere. Quel fuoco senza fine che soffia nel segreto di ogni vita. M. ZAMBRANO, L’uomo e il divino (Classici e Contemporanei), Edizioni Lavoro, Roma 2002, pp. 249-252.

6. L’apostolo che vuole restare fedele al Vangelo, si troverà sempre, anche in mezzo ai suoi, tra due schiere di avversari: quella di coloro che lo giudicano inefficace perché non acconsente a tradire la sua missione per consacrarsi alle opere e alla propaganda temporali, e quella di quanti vedono in lui uno spirito fastidioso, per il fatto che, anziché intrattenerli assecondando la propria autosoddisfazione, non la finisce di inquietare la loro coscienza.
Come può l’apostolo meravigliarsene? Volendosi conformare allo spirito di Gesù, egli ha accettato sin da principio di essere giudicato e trattato come lui. Quello che Pascal diceva di Gesù e della sua predicazione, si ripete a ogni epoca: «A ciò si oppongono tutti gli uomini». H. DE LUBAC, Paradossi e nuovi paradossi. In appendice: Immagini del Padre Monchanin, Traduzione di E. BABINI (Già e Non Ancora 172. Opera Omnia di Henri De Lubac 4), Jaca Book, Milano 1956, 19892, p. 75.

7. Perché a liberarci non sono gli uomini e le ideologie. Se è un uomo a liberarmi, io sarò schiavo di quell’uomo. Per questo nella Bibbia è detto che non è Mosè che libera: nel caso, tu saresti schiavo di Mosè.
La liberazione è molto più misteriosa e radicale, tanto da travolgere e superare ogni ideologia. Ogni ideologia, per quanto rivoluzionaria, una volta arrivata al potere sarà sempre una forza conservatrice: se non altro per conservare il potere che ha conquistato. È così anche per il cristianesimo, qualora lo si riduca a ideologia. La libertà trascende tutti i miti. Ed è la ragione per cui la libertà è molto rara, costosa, e difficile. Perciò gli stessi ebrei nel deserto, a volte, rimpiangevano la loro schiavitù. […] E dunque, perché questo richiamo? Perché il Faraone non è stato vinto. […] Perché ho imparato sulla pelle che la liberazione è sempre un miraggio, e che raramente è una realtà, o meglio, un miraggio da realizzare tutti i giorni.
Perché ho imparato che ogni uomo – e tanto più un cristiano! – deve ritenersi sempre un “resistente”: uno nel deserto, appunto. Perché la Terra Promessa è sempre da raggiungere; come il “Regno” ha sempre da venire; e Cristo è per definizione “posto a segno di contraddizione tra le genti”. Perciò la Resistenza fa corpo con lo stesso essere cristiano. Ho scritto un giorno. «Beati coloro che hanno fame e sete d’opposizione»; oggi aggiungerei: «Beato colui che sa resistere». D.M. TUROLDO, Ritorniamo ai giorni del rischio. Maledetto colui che non spera, Servitium Editrice, Gorle BG 1985, 20012.  


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