giovedì 25 ottobre 2012

28 ottobre 2012 Dio si affida a noi per giungere a tutti



28 ottobre 2012 I domenica dopo la Dedicazione

Lettura
Ap 8,26-39
In quei giorni. Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora egli fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,
la sua discendenza chi potrà descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 65(66))
La tua salvezza, Signore, è per tutti i popoli
Popoli, benedite il nostro Dio,
fate risuonare la voce della sua lode;
è lui che ci mantiene fra i viventi
e non ha lasciato vacillare i nostri piedi. R.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
A lui gridai con la mia bocca,
lo esaltai con la mia lingua. R.

Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. R.
Epistola
1Tim 2,1-5
Carissimo, raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt 28,19-20)
Alleluia.
Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia.
Vangelo: Mc 16,14b-20
In quel tempo. Il Signore Gesù apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Parola del Signore.


Lettura degli Atti degli Apostoli 8, 26-39

I discepoli di Gesù si erano dispersi nei territori della Palestina. Filippo, uno dei sette "ordinati" dagli apostoli per il servizio delle mense (At 6,2), si era stabilito in Samaria e sviluppava, fondamentalmente, un'azione di evangelizzazione che aveva, tra l'altro, molto seguito. A lui si uni perfino un mago, chiamato Simon mago, che strabiliava inizialmente le folle e le conquistava al suo seguito. Ma poi " cominciarono a credere a Filippo, che annunciava il vangelo del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. Anche lo stesso Simone credette e, dopo che fu battezzato, stava sempre attaccato a Filippo. Rimaneva stupito nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano."

Dalla chiesa di Gerusalemme giungono Pietro e Giovanni…. "imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo" (At 8 13ss). Il potere ingolosisce e Simon mago, "vedendo che lo Spirito veniva dato con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: «Date anche a me questo potere". Pietro reagisce violentemente (dobbiamo essergli grati, altrimenti sarebbe stato un terribile precedente). Piuttosto «Convèrtiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l'intenzione del tuo cuore. Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell'iniquità».

L'altro si converte, perché ha capito l'assurdità, e gli "Atti degli apostoli" riprendono il tema della gratuità e della evangelizzazione con l'episodio di Filippo e l'Eunuco che sta ritornando nella sua patria, dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme. Si parla della regina Candace, ma è un nome comune come "regina Madre" o come Faraone in Egitto o Cesare a Roma.

E' Dio che guida i passi per l'incontro, ed ha bisogno della nostra collaborazione Così Filippo accetta di avventurarsi là dove nessuno si avventura:"su una strada "deserta", probabilmente nella perplessità del discepolo che si domanda :Perché qui?"..nel deserto"

Questo funzionario, uomo di potere, completamente dedicato al suo ruolo, probabilmente nero di pelle, intelligente, legato in qualche modo all'ebraismo, curioso nel voler capire le Scritture, legge (e nel mondo ebraico si leggeva ad alta voce) un testo di Isaia. Filippo è incoraggiato a seguire, a capire, a iniziare un dialogo e si sente invitato a sedersi accanto per leggere e capire il brano.

Filippo non ha altri appuntamenti, salvo che per un uomo che cerca il senso della Parola di Dio.

Per la fede bisogna, inizialmente, affrontare la Scrittura per entrare nel mistero e nella rivelazione di Dio. Il mistero di Dio è Gesù. Rivelato dai profeti e nascosto in immagini sconcertanti di "pecora condotto al macello, muto, sconfitto", Filippo riferisce che si parla di Gesù e lo manifesta come immagine di Dio da onorare e accogliere. E la Scrittura non è sufficiente. Bisogna passare attraverso il segno della purificazione, ma anche della rinascita, della fede in Gesù morto e risorto. "Che cosa c'impedisce che io sia battezzato?"

Se dalla Scrittura si passa al compimento, a Gesù, quel suo carico di mistero e di gloria diventa la scelta fondamentale, gratuita ed esaltante di una vita nuova. Così, allora, si entra a far parte del Popolo di Dio e della sua famiglia riconosciuta e grandiosa, destinata ad essere speranza per tutti

Prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 2, 1-5

Nella lettera a Tito si sente la responsabilità di educare il popolo ai valori di Dio, manifestati nelle struttura del mondo e nella venuta di Gesù. Qui, in particolare, si coglie l'obbligo di sviluppare anche l'attenzione alla struttura civile e politica, poiché ogni persona ne beneficia o ne viene travolta.

C'è una concezione fondamentalmente ottimista della politica, che nasce dalla speranza e dalla fiducia.

Prima di tutto la speranza della preghiera (4 forme: "domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti") è inusuale se si pensa allo scoraggiamento che serpeggia nei confronti della politica. Essa non viene coraggiosamente affrontata né stimolata, ma semplicemente ignorata, dal momento che si ripete spesso: "Io non voto".

C'è la consapevolezza che il compito politico è "condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio" che è la traduzione del "bene comune" dove responsabilità e attenzioni sono "per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere"

Ovviamente il problema iniziale è quello di pregare per "tutti" gli uomini perché la pace è un bene collettivo che si costituisce se tutti vi collaborano. Poi bisogna pregare per i re, in questo caso, a Roma c'è l'imperatore che, nel mondo romano, spesso, ha un profilo di divinità e, a volte, addirittura di salvatore. Tutti hanno bisogno di Dio che aiuti ciascuno e, in particolare, i governanti e quelli che hanno il potere.

Certamente questo testo impegna, oltre l'immaginario, la realtà religiosa e l'impegno politico.

Ma, contrariamente a quello che si ritiene importante, l'operosità non passa attraverso il cercare privilegi o danaro, risorse e riconoscimenti, ma attraverso l'educarsi e l'operare per la pace nel tessuto sociale e per il riconoscimento della dignità di ciascuno. Quel "tutti" fa superare ideologie, razzismi, selezioni, lacerazioni, marginalità.

La vita del mondo è responsabilità di tutti gli adulti: e ognuno, per le sue competenze e maturazioni, deve portare soluzioni. Nei nostri tempi c'è il problema drammatico del lavoro per molti, anche se non per tutti poiché per molti è garantito. Ma tutti quelli che si sentono sicuri non possono ritenersi cautelati e indifferenti. Tutti debbono approfondire l'analisi dei bisogni e maturare una solidarietà ampia di interventi.

Non si comincia un impegno politico maledicendo, ma pregando per avere ogni giorno uno Spirito nuovo, per operare corrette scelte morali, per incoraggiare i migliori, i più competenti, i più saldi, accompagnando tutti coloro che vi si incamminano perché lottino per un "bene che sia sempre più bene per tutti"

Lettura del Vangelo secondo Marco 16, 14b-20

Abbiamo letto la conclusione del Vangelo di Marco in cui vengono sintetizzate le attese di una comunità che spera nella potenza di Dio. Ma il linguaggio è molto simbolico e quindi va capito nello spirito del parlare biblico, La vita della comunità non si presenta come gloriosa o santa, ma come legata alle paure e alla chiusura, dipendente dalla delusione e dall'esperienza tragica sperimentata dalla morte di Gesù.

Tutta la storia della Chiesa è segnata da queste paure e perplessità. E se Gesù rimprovera, richiama insieme una concretezza che mette in guardia dai propri sentimenti e dalla delusione di non essere garantiti, ma insieme consegna ai discepoli la sua eredità più alta: il compito di annunciare il Vangelo, il Regno al mondo.

Essi debbono capire la novità che è stata destinata prima a loro, pur nella contraddizione della loro esperienza; ma, nella pienezza, è una novità destinata a tutti, in un mondo rassegnato alla morte, al male, alla quotidianità senza orizzonti e alla paura.

Il rimprovero, così, non rinnega la vocazione a cui Gesù li ha chiamati, ma li invia comunque, resto del popolo che gli è rimasto fedele, e che non è fuggito. A loro e a noi consegna il messaggio completo da offrire: "Il Padre è assolutamente buono, misericordioso. E' il Dio-amore che si offre a ciascuno, non per togliere qualcosa, ma per rinnovarlo. E da questo amore di Dio nessuna persona, qualunque sia la sua condotta o il suo comportamento, può sentirsi esclusa. E' un amore che trasforma dalla morte alla vita E' la buona notizia di cui ogni persona ha nostalgia, ma ne ha anche paura per non esserne poi disillusa.

E poiché ogni persona ha bisogno di trovare speranza, la missione è urgente e il messaggio va offerto a tutte le creature. Credere non si ferma ad accettare una dottrina, ma si apre al battesimo come vita nuova .

Rifiutare fa rimanere nel proprio egoismo, centrati soltanto sui propri bisogni e sulle proprie necessità, non condannati da Dio che è amore, ma esclusi, da se stessi, dalla vita piena.

Anche le altre creature partecipano a questa novità di vita e la stessa natura gioisce della novità poiché il male rovina e deturpa il creato e la salvezza di Gesù si estende a tutto il mondo di cui facciamo parte.

Accanto alla parola di rivelazione vengono ricordati 5 segni, richiamo della potenza di Dio ed espressione di Gesù risorto: essi non fondano, né tanto meno creano la fede, ma indicano le forze nuove nella Chiesa che liberano il mondo.

Scacciare i demoni raggiunge una novità di cuore e combatte i desideri di morte che i demoni conducono nella nostra vita e nel nostro desiderio.

Prendere in mano i serpenti e bere veleno, senza danno, richiamano la lotta e la vittoria sul male che spesso si avvicina in modo subdolo e allettante, ma, di fatto, porta la morte. I discepoli non debbono aver paura degli ostacoli per lottare e vincere.

Il parlare nuove lingue è riferimento alla Pentecoste e quindi al dono dello Spirito che restituisce alla Chiesa la capacità di parlare alle varie culture e di creare unità tra i popoli. Lingue nuove significa anche linguaggi di perdono, di attenzione, di accoglienza e di gratuità.

Infine l'imposizione delle mani ai malati mette in gioco l'impegno della comunità che vuole portare una liberazione nuova dalla malattia e dal peccato. Così tutto il mondo della cura fa parte della liberazione e della speranza, del riscatto dalle conseguenze del male e dell'impegno di restituire la salute e le attività di autonomia.

Gesù ascende al cielo (richiama Elia: 2 Re 2,11; 1 Macc 2,58) per prendere possesso della gloria di Dio, concludendo così la sua missione sulla terra, garantita, verificata, valorizzata dal giudizio di Dio stesso. Il linguaggio dell'assidersi alla destra ricorda l'abitudine che esisteva, nelle regge, di convocare le persone che eroicamente sono state fedeli al re e, davanti a tutti, farle sedere alla destra della suprema autorità. E' ricordato anche nel Salmo 110,1: "Siedi alla mia destra finche io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi".

Sottraendosi allo spazio e al tempo (non è più visibilmente tra noi), Gesù diventa raggiungibile da ogni discepolo in ogni spazio e in ogni tempo poiché, dove opera un discepolo sulla Parola, lì opera Gesù con la sua potenza.

PER LA NOSTRA VITA

1. «Saluta i miei amici in carcere, ho pregato tanto per loro». Tutte le mattine varco il portone di San Vittore con ancora nella mente le richieste e le domande di chi magari mi ha appena augurato una buona giornata. Da chi fa sue le preoccupazioni dei detenuti al punto da dirsi loro amico, a chi ha ancora qualche remora al vedermi “sprecato” lì dentro. «Don, che ci fai lì? Saresti stato un così bravo prete con i giovani!». Ma qui è pieno zeppo di giovani – mi rispondo sorridendo – e, presa l’ultima boccata d’aria, entro. Entro e scendo. Scendo in un altro mondo, un mondo che sta sotto. Sotto ogni livello. Il corpo è sottoposto a pressioni e fatiche di ogni genere. Mancanza di aria, di spazio, di luce. Mancanza di vestiti e di igiene. Mancanza di calore di inverno e di fresco d’estate. Mancanza di una mano che ti stringa e ti carezzi il viso. Sotto il livello di quell’intimità che ti consentirebbe almeno di piangere. Macché, nemmeno quello puoi fare senza esser visto.
Entro e scendo e, come in ogni abisso, cambiano le proporzioni di ogni cosa. Il “mondo della comunicazione” si ferma alle porte. Qui la parola ha pesi differenti e i metodi di comunicazione interpersonale sono quelli di un fronte di guerra. Guerra punica intendo. Qui si usa la posta. Quando c’è carta però. Quando hai il francobollo, quando conosci la tariffa per l’estero, quando la nave porterà i tuoi auguri al di là del mare e un’altra ti riporterà la risposta (ma tu nel frattempo sarai stato trasferito altrove...).
Entro e scendo, scendo agli inferi. Scendo e scopro che lo Spirito di Dio si aggira per questi lunghi corridoi e lavora per trasformarli. Perché, come diceva sempre il vecchio cappellano don Luigi, «un cattivo diventa buono solo se gli dai bontà». Ho qualche possibilità di diventare buono – mi dico –, per questo sono felice di esser qui. Lo Spirito di Dio trasforma. Trasforma un corridoio in cattedrale, un’inferriata in finestra di monastero, una persona limitata come me in evangelizzatore.
Cinque Messe la domenica, una o due nei giorni feriali. Catechesi, sacramenti, scuola della Parola, rosario, confessioni, dialoghi personali – tanti, infiniti – con richieste di ogni genere, dal paio di ciabatte alla benedizione. Messe con rappresentanze di tutto il mondo da fare invidia al Papa alle giornate della gioventù. Un solo esempio: al reparto dei giovanissimi si stipano nella cappellina per la Messa la domenica mattina alle 8.30. Sono italiani, moldavi, rumeni, sudamericani, cinesi, marocchini ed egiziani. Tra loro ci sono cattolici, ortodossi, evangelici, musulmani e chi nemmeno sa che dire. Chi è cattolico riceve la Comunione, chi non è battezzato ascolta. Chi non sa l’italiano guarda i gesti del prete cristiano. Occhi spalancati, silenzio religioso. Passa Dio quaggiù. Chiedono Bibbie nella loro lingua e libri di preghiera: spagnolo, cinese, francese, inglese, rumeno, russo, italiano. Chiedono rosari: chi lo tiene in tasca, chi lo mette al collo. Chiedono immaginette da stringere forte, che li facciano sentire a casa, quando andavano da padre Pio o dalla Virgen de Guadalupe e davanti alle icone stupende e severe dell’Est.
Chiedono francobolli, carta e penna e ci chiedono pure le tariffe, perché «così magari arriva davvero a casa la mia lettera» (0.60 euro per l’Italia, 0.65 per Europa e Nord Africa, 0.85 per il resto del mondo). Chiedono qualche felpa, qualche tuta, sapone e shampoo. Chiedono di poter sentire bene quanto dicono i cappellani alla Messa, perché se l’impianto audio fa cilecca, addio evangelizzazione! Chiedono – le donne – un tetto nuovo per la loro cappellina, chiusa qualche settimana fa perché pericolante. Era un luogo dove si sentivano a casa, in silenzio e in pace, con la statua della madonna che raccoglieva le loro preghiere, il lume acceso al tabernacolo e le stazioni della Via Crucis alle pareti. La riavranno? Ci sarà un tetto?
Noi chiusi quaggiù sappiamo che voi lassù ci pensate. Voi lassù sapete che sotto il vostro mondo c’è un altro mondo, sotto le vostre Chiese c’è un’altra Chiesa. Una Chiesa che in corridoio prega e celebra in ginocchio e a mani giunte. Una Chiesa che prega per voi e conta sul vostro amore. P. RAIMONDI, Lettera del 18 ottobre 2010, in http://www.chiesadimilano.it/.


2. Il Gesù dei Vangeli, l’unico che conosciamo, è il Salvatore di tutti e vuole un regno universale. E non concede spazi individualistici ai discepoli, ma li manda fino agli estremi confini della terra. Soltanto i Vangeli, poi, proteggono la figura di Gesù dalle imboscate in cui ciascuno di noi lo vorrebbe far cadere, soprattutto quella di ridurlo a misura del nostro stretto orizzonte individuale. Gesù, ridotto ad essere un “Gesù-per-me”, non è il Gesù dei Vangeli, che ha sempre un altrove verso cui muoversi, che ha altre pecore che non sono ancora del suo ovile, che attira tutti a sé, che versa il suo sangue non solo per me, ma per tutti. Solo i Vangeli, infine, proteggono i discepoli dalla tentazione di rinchiudersi nel proprio gruppo, escludendo quelli che non sono dei loro, o dalla tentazione di fermarsi ai legami di sangue senza entrare nella nuova famiglia di Gesù, fondata solo sull’ascolto e sull’obbedienza alla Parola; o, ancora, dalla tentazione di fermarsi in Israele, oggi fermarsi nei confini della Chiesa. […]
Nell’Eucaristia il Crocifisso non è solo: “porta” con sé tutti i crocifissi della terra. L’Eucaristia dà forza alla comunità per camminare col suo Signore sulla strada della povertà e della solidarietà con i poveri fino al martirio: è la strada obbligata della missione. Gesù è stato mandato dal Padre ad “evangelizzare i poveri” e la Chiesa deve continuare a comportarsi come lui si è comportato: da povero, liberatore dei poveri. “Come Cristo, così la Chiesa” ripete con accorata insistenza il Concilio (LG 8). E la Chiesa ha fatto propria in modo irrevocabile la “scelta preferenziale dei poveri”, anche se ne sente tutta la fatica e vede tutti i propri compromessi. Qui tocchiamo un punto decisivo per la missione: se una parrocchia non è povera e solidale con i poveri non potrà essere missionaria. Ma qui sembra ci sia una strozzatura per la missionarietà delle nostre comunità: se né la Parola né l’Eucaristia riescono a schiodarci da una tranquilla non-ricchezza che non disturba nessuno
(perché in realtà non siamo ricchi, ma neppure poveri da lasciare un segno evangelico), la missione si ferma, anche se l’organizzazione missionaria e i suoi macchinari restano in movimento. Le parole di Gesù, che sempre esprimevano la sua stessa vita, sono di una chiarezza impressionante. Basta meditare i discorsi missionari dei Vangeli sinottici. Se non sciogliamo questo nodo la missione si appesantisce e si blocca.
La prima comunità cristiana di Gerusalemme, fresca nella fede, spezzava il Pane nelle case, ascoltava quanto gli Apostoli – anche Andrea! – raccontavano di Gesù; pregava e viveva una comunione fraterna che giungeva a mettere in comune i beni, tanto da non aver nessun bisognoso al suo interno. I discepoli di Gesù godevano la simpatia della gente, che restava attratta da questo stile di vita e si aggregava alla comunità (At 2,42-48; 4, 32-35). Al di là di ogni possibile idealizzazione di questi “sommari” degli Atti degli Apostoli, resta il fatto che la prima comunità cristiana era una comunità missionaria “per irradiazione”. Da questa, come da altre comunità cristiane, partivano anche degli “inviati”, missionari itineranti fino ai confini della terra, in obbedienza al comando di Gesù. Se la condivisione dei beni con la conseguente povertà era la caratteristica più rilevante della missione per irradiazione che i discepoli “sedentari” vivevano, per gli itineranti c’era una forma di povertà ancora più esigente, che i discorsi missionari dei Sinottici documentano. In ogni caso non si concepiva la missione senza povertà.
Si aprono qui prospettive cui possiamo solo accennare. Anche le nostre parrocchie dovrebbero vivere le due forme della missione: per irradiazione-attrazione, con il loro stile di vita evangelico, e per “invio”. L’invio può avvenire in diversi modi: o singoli cristiani rispondono alle chiamate specificamente missionarie che il Signore continua a fare o le comunità si fanno carico degli inviati dalla propria Chiesa locale (i fidei donum) o da altre comunità sorelle. .F. MARTON, Abbiamo trovato il Messia, in «Vocazioni» n. 2 (2008) pp. 34-45.


3. […] Vi è bisogno impellente di vocazioni missionarie. Soprattutto se si considera che nel 1990 i missionari italiani erano 24 mila mentre attualmente sono circa 10 mila tra sacerdoti fidei donum, missionari e missionarie ad vitam e laici impegnati. È per questa ragione che, essendo le risorse umane strategiche nel contesto dell’evangelizzazione, il servizio missionario non va considerato come una sorta d’avventura solitaria, ma interpretato come impegno condiviso. E a questo riguardo, parafrasando la Redemptoris missio (cf 37), va davvero rinnovato, tutti insieme, l’impegno a coniugare Parola e vita non solo in regioni geograficamente lontane, ma anche sul versante dei moderni areopaghi quali il mondo delle comunicazioni, l’impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli oppressi, i diritti dell’uomo e dei popoli, la salvaguardia del creato, oltre ai vastissimi areopaghi della cultura in genere, della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo contro i fautori dello scontro tra le civiltà. In un mondo villaggio globale la vocazione ad gentes s’impone pertanto come profezia nell’ambito delle relazioni tra vecchie e giovani Chiese, tra Nord e Sud del mondo, nella consapevolezza che, proprio a partire dal Vangelo, vi è un destino comune. Una cosa è certa: nell’epoca della globalizza-zione, segnata da una preoccupante crisi antropologica per cui sono in molti a negare il valore della persona umana «creata a immagine e somiglianza di Dio», in una società planetaria in cui il mercato dei beni materiali prende prepotentemente il sopravvento sui
diritti sacrosanti delle masse impoverite, il valore aggiunto delle nostre comunità deve tornare a essere quello della testimonianza missionaria.
Si ritorna, in fondo, alla disputa millenaria tra il bene e il male da sottrarre a ogni genere di fondamentalismo perché in questo veloce e complesso divenire della storia, in cui come Chiesa siamo sempre più un piccolo gregge, soprattutto in Europa, la chiave del rapporto con Dio rimarrà sempre quella insegnataci da Gesù che ha dato la vita per ogni uomo e donna di buona volontà. Egli, è bene rammentarlo, non solo ha raccomandato l’accoglienza della «vedova, dell’orfano, dello straniero», dei cosiddetti irregolari nella fede, che chiedono riconoscimento e condivisione, ma è anche morto in croce, dando la vita per l’umanità di ieri, di oggi, di sempre. E allora il sacrificio di tanti missionari e missionarie che cadono ogni anno sul campo, nelle periferie del mondo, nell’adempimento del loro mandato, costituisce un motivo di grande edificazione. Essi, spesso, come autentici «caschi blu di Dio», vengono violentemente messi a tacere perché difendono la vita ed i diritti dei più deboli, ma anche perché sono gli unici che fanno «scudo» tra gli eserciti e la gente comune come accade in molte zone sperdute dell’Africa. Una testimonianza che consente anche a noi, cristiani del terzo millennio, in tempi di crisi, d’individuare gli «argini» della speranza. G. ALBANESE, Testimoni sulle strade del mondo, in «Avvenire», 21 ottobre 2012

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