V DOMENICA DOPO PENTECOSTE 1.07.2012
Rito ambrosiano
LETTURA
Lettura del libro della Genesi 17, 1b-16
In quei giorni. / Il Signore apparve ad Abram e gli disse: / «Io sono Dio l’Onnipotente: / cammina davanti a me / e sii integro. / Porrò la mia alleanza tra me e te / e ti renderò molto, molto numeroso». / Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: / «Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: / diventerai padre di una moltitudine di nazioni. / Non ti chiamerai più Abram, / ma ti chiamerai Abramo, / perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò.
E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio».
Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione, sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comprato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza».
Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei».
SALMO
Sal 104 (105)
® Cercate sempre il volto del Signore.
Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi. ®
Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco. ®
«Ti darò il paese di Canaan
come parte della vostra eredità».
Quando erano in piccolo numero,
pochi e stranieri in quel luogo,
non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro. ®
EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 4, 3-12
Fratelli, che cosa dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia». A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:
«Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate / e i peccati sono stati ricoperti; / beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!».
Ora, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso. In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 12, 35-50
In quel tempo. Il Signore Gesù disse alla folla: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.
Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:
«Signore, chi ha creduto alla nostra parola? / E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?». / Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: / «Ha reso ciechi i loro occhi / e duro il loro cuore, / perché non vedano con gli occhi / e non comprendano con il cuore / e non si convertano, e io li guarisca!».
Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.
Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Commento
Queste domeniche dopo Pentecoste rievocano le grandi tappe della storia della salvezza, iniziata con la creazione del mondo, segnata dalla ribellione dell’uomo, ripresa dalla iniziativa di Dio con l’Alleanza proposta al popolo di Israele, fino al compimento in Gesù di Nazaret, vertice della passione salvifica di Dio per tutti gli uomini.
Ogni tappa richiama l’antico intervento di Dio, visto però come inizio e prefigurazione di quanto Cristo farà in modo definitivo con la sua rivelazione piena e i suoi gesti di salvezza.
Oggi si rievoca l’Alleanza proposta ad Abramo e la sua risposta di fede, per capire la nuova alleanza proposta da Gesù e l’accoglienza di fede che vi corrisponde.
1) L’ALLEANZA CON ABRAMO
Dopo che l’umanità, inquinata dal peccato di Adamo, si era dispersa lontana da Dio, si riprendono ora le fila di un dialogo, quasi spezzato con il diluvio, tra Dio e l’umanità: è l’iniziativa della alleanza che il Signore propone ad Abramo, promettendogli una terra e una lunga discendenza: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne” (Lett.). Ha già uno sguardo lungo il Signore! Come contropartita è richiesta la fedeltà a questa alleanza: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro” (Lett.). Fedeltà richiamata dal segno della circoncisione: “Da parte tua devi osservare la mia alleanza: sia circonciso tra voi ogni maschio” (Lett.).
L’iniziativa è di Dio e precede ogni merito e opera umana. Nulla è dovuto all’uomo; l’alleanza è un dono gratuito, unilaterale e incondizionato. Dio ama sempre per primo e gioca d’anticipo, facendo credito all’uomo. “A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora (cioè non ha pretese di meriti), ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia” (Epist.). San Paolo lo esplicita bene meditando la gratuità dell’opera di Cristo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi” (Rm 5,8). E proprio perché gratuita, l’alleanza è universale, ben oltre il cerchio della discendenza fisica: “In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia” (Epist.).
A gratuità deve corrispondere gratuità. Certo il patto richiede una risposta, quella fede cioè che è pura accoglienza fiduciosa e d’amore: “Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia” (Epist.). E’ l’umiltà di chi sente la sproporzione tra il dono di Dio e la propria piccolezza, anzi spesso la propria ribellione. “Beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere”, si sente cioè oggetto della premura “graziosa” di Dio e cammina quindi “sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione” (Epist.), e - si deve aggiungere - prima della grande prova! “Chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, preciserà Gesù, non entrerà in esso” (Lc 18,17).
2) LA LUCE DI GESU’
Il compimento dell’alleanza è offerto da Gesù: egli porta il dono del Padre, che è “vita eterna”. “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. La nuova ed eterna alleanza l’ha compiuta Gesù sulla croce, offerta gratuitamente da colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Egli è l’incarnazione dell’amore del Padre: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Il Padre che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire”. La sua è stata l’opera della piena riconciliazione dell’umanità con Dio, la definitiva alleanza: “E’ piaciuto a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Ef 1,19-20). A messa ogni giorno il sacerdote ripete: “Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.
L’offerta richiede la risposta, e anzitutto il riconoscimento dell’opera di Gesù: “Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”. Ma i fatti si possono anche misconoscere: “Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui”. Riconoscimento esplicito, pubblico, visibile: “Anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano”. Si richiede una scelta senza paura: “Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”. Accettare l’opera di Gesù è accettare l’iniziativa del Padre: “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato”.
Anche questa, sempre frutto della gratuità, proposta non imposta: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”. Non è però indifferente alla vita accettare o meno l’alleanza con Dio in Cristo: “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”. Se sempre grande e preveniente è l’iniziativa di Dio per salvarci, essa rimane comunque sempre condizionata dal nostro sì, dalla libertà che sa accogliere. Dice sant’Agostino: “Dio che ha creato te senza di te, non salverà senza di te”. Questa, non della paura, ma dell’amore è la reciprocità richiesta dal patto voluto da Dio con l’uomo. In sostanza, si tratta di una fede che sa stimare il dono di Dio e lo ritiene significativo, anzi decisivo, per la pienezza di vita che è iscritto nel cuore dell’uomo.
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Parlare di fede oggi non è più così ovvio: l’uomo si fa da sé, anzi non si crede più neanche ad una libertà perché tutto è solo biologia, e quindi determinismo e caso ciò che avviene in lui. Abbandonarsi a Dio sembra una castrazione della propria autonomia; e per altri una illusione mitologica che non tiene conto della realtà pesante che costringe la nostra vita quotidiana.
Leggere la Bibbia è incontrare uomini coraggiosi come Abramo - o come Gesù - pienamente fiduciosi e abbandonati a Dio, creduto come un padre appassionato alla nostra vita, e per di più fedele e misericordioso!
Rito romano
Letture della liturgia per il giorno
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Prima Lettura
Sap 1,13-15; 2,23-24
Dal libro della Sapienza
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
Salmo responsoriale (Sal 29)
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Seconda Lettura
2Cor 8,7.9.13-15
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
Acclamazione al Vangelo
(Cf 2Tm 1,10)
Alleluia, alleluia.
Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.
Alleluia.
Vangelo: Mc 5,21-43
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Parola del Signore.
Forma breve (Mc 5, 21-24.35b-43):
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Commento
"Dio non gode per la rovina dei viventi, egli ha creato tutto per l’esistenza" (Sap 1,14). Queste parole tratte dal libro della Sapienza, che stiano meditando proprio in questi giorni, ci introducono alla lettura del lungo brano evangelico della tredicesima domenica del tempo ordinario. In esse appare chiara la volontà di Dio su tutta la creazione: "Dio non ha creato la morte... Ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo". È quindi nella "natura" stessa di Dio, da quando la morte è entrata nella vicenda umana, lottare contro di essa perché prevalgano la vita, il bene e la felicità. L’opera di Gesù altro non è che la realizzazione di questa volontà di Dio. E lo si vede in ogni pagina evangelica.
La scena che Marco ci presenta è piuttosto comune nella vita pubblica di Gesù: una folla di bisognosi si accalca attorno a lui cercando guarigione e conforto. Anche uno dei capi della sinagoga di Cafarnao, facendosi largo tra la folla, gli si avvicina e lo implora: "Mia figlia è ormai agli estremi, ma vieni, poni la tua mano su di lei, e vivrà". Quasi certamente Giairo - Matteo lo ricorda per nome forse perché ancora noto nella prima comunità - conosce Gesù per la sua frequentazione nella sinagoga; ne ha potuto apprezzare la pietà, la profondità dello spirito, la bontà e la straordinaria misericordia. Trovandosi nella disperazione più totale, e non sapendo più a chi altro ricorrere, si avvicina a Gesù. Forse pensa tra sé e sé: "È sufficiente che questo uomo di Dio imponga le mani su mia figlia, perché essa guarisca". Di fronte all’impotenza degli uomini, l’unica speranza è nel Signore. E in questo ci troviamo tanto vicini al capo della sinagoga: nella disperazione, quest’uomo, che pure è tra i potenti di Cafarnao, si sveste dell’orgoglio del capo, dell’arroganza del potere e della sicurezza della dignità sociale. Si inginocchia e non si vergogna di supplicare aiuto. Le sue parole non sono un lungo discorso ma una preghiera semplice e assieme drammatica. Gesù non pone tempo in mezzo e subito "va con lui".
Durante il tragitto accade il singolare episodio della guarigione dell’emorroissa. L’evangelista sembra sottolineare che la misericordia del Signore sovrabbonda; essa si riversa su tutti coloro che cercano di mettersi in contatto con Gesù. Il camminare del Signore tra gli uomini non è mai senza effetto. Una donna, affetta da una emorragia ormai da dodici anni senza che i medici abbiano potuto far nulla, è disperata. Pensa che l’unico che può aiutarla sia proprio Gesù. Forse è timida, non vuol farsi notare, e comunque sembra non voler disturbare. Ha tanta fiducia in quel giovane profeta buono che crede sia sufficiente toccargli appena il lembo del mantello per essere guarita. È una fiducia semplice che si esprime in un gesto ancor più semplice. Si fa largo tra la folla e giunge a toccare il lembo del mantello di Gesù. Non è difficile immaginare la sua trepidazione mentre allunga la mano per toccare l’orlo del mantello; non il corpo e neppure la veste. Quale lezione per noi che spesso con noncuranza o troppa abitudine riceviamo il corpo stesso di Gesù!
Quella donna ha pensato di fare tutto nascostamente. Ed in effetti nessuno se n’è accorto. Come del resto nessuno si era preoccupato più di tanto della sua malattia. Non così Gesù, che "avverte la forza uscita da lui". Si rivolge ai discepoli e chiede loro chi l’ha toccato. Nella loro solida ragionevolezza i discepoli gli fanno notare l’assurdità della richiesta: "Tu vedi la folla che si stringe attorno e dici: chi mi ha toccato?". Gesù volge lo sguardo attorno per cercare chi l’ha toccato. Non c’è anonimato nel contatto con Gesù, non c’è un gregge tutto uguale e senza nome. C’è bisogno di guardarsi, di sentirsi, di parlarsi. Quella donna risponde allo sguardo di Gesù, fissa i suoi occhi negli occhi del giovane profeta e si getta ai suoi piedi. E Gesù: "Figlia, la tua fede ti ha salvato! Va in pace e sii guarita dal tuo male". Da quel momento le cessa il flusso di sangue: è guarita. "La tua fede ti ha salvato!" dice Gesù; non "io ti salvo". Il Vangelo suggerisce che è la fede della donna ad operare la guarigione, più che la potenza di Gesù. Questo sta a dire che il miracolo avviene se c’è un rapporto personale con Gesù, un legame di fiducia e di abbandono a lui. Non siamo, infatti, nel campo della magia o delle pratiche esoteriche ma in quello dei rapporti di amicizia e di affetto. La fede è affidarsi.
È quanto accade anche nella guarigione della figlia del capo della sinagoga. Quando si sparge la notizia della morte della fanciulla, tutti perdono ogni speranza nella sua guarigione e dicono di non disturbare più il maestro di Nazareth. Forse anche Giairo sta per rassegnarsi. I galilei conoscono bene la loro impotenza, non la grande misericordia di Dio. Ma Gesù che ha già risposto alla preghiera del capo della sinagoga, lo esorta a non perdere la speranza. Si potrebbe dire che esaudisce la sua preghiera oltre le stesse aspettative: lui voleva che la figlia guarisse dalla malattia, Gesù la risorge dalla morte. Avviene sempre così con la preghiera fatta con fede. Gesù dice a quell’uomo disperato: "Non temere, continua solo ad aver fede!". Giunto alla casa di Giairo, di fronte al pianto e alle urla della folla Gesù dice di calmarsi perché la "fanciulla non è morta, ma dorme". Tutti, come spesso accade di fronte al Vangelo quando va oltre la nostra ragionevolezza, lo prendono in giro e lo deridono. Ma egli caccia via tutti, ed entra con i più intimi nella casa.
Nel linguaggio biblico la morte è intesa come un addormentarsi in attesa del risveglio. I morti perciò giacciono come nel sonno e aspettano la voce stessa del Signore che li svegli. Così Gesù sta davanti alla fanciulla. Ed è lui, Verbo del Padre, che la chiama: "Fanciulla, alzati!". La prende per mano e la mette in piedi. Sta scritto: "Il giusto se cade non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano" (Sal 37,24). "Subito - nota l’evangelista - la fanciulla si alza e si mette a camminare": è tornata in vita. La morte non è più invincibile. La misericordia di Dio è più forte. Ed è su questa misericordia che edifichiamo la nostra vita, come l’uomo saggio che edifica la sua casa sulla roccia.
giovedì 28 giugno 2012
giovedì 21 giugno 2012
IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE e san Giovanni Battista
IV DOMENICA
DOPO PENTECOSTE nel rito ambrosiano 24.06.2012
LETTURA
Lettura del
libro della Genesi 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29
In quei
giorni. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto
per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui
si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto,
perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la
via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia
per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di
Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio
scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido
fino a me; lo voglio sapere!».
I due angeli
arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di
Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò
con la faccia a terra.
Quegli
uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le
tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi
stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti
al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli».
Quando apparve
l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le
tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città».
Il sole
spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece
piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal
Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle
città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e
divenne una statua di sale.
Abramo andò
di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore;
contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che
un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
Così, quando
distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot
alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva
abitato.
SALMO
Sal 32 (33)
®
Il Signore regna su tutte le nazioni.
Il Signore
annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i
progetti dei popoli.
Ma il
disegno del Signore sussiste per sempre,
i progetti
del suo cuore per tutte le generazioni. ®
Beata la
nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo
che egli ha scelto come sua eredità.
Il Signore
guarda dal cielo:
egli vede
tutti gli uomini. ®
Dal trono
dove siede
scruta tutti
gli abitanti della terra,
lui, che di
ognuno ha plasmato il cuore
e ne
comprende tutte le opere. ®
EPISTOLA
Prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 6, 9-12
Fratelli,
non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi:
né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né
avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di
Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati
santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello
Spirito del nostro Dio.
«Tutto mi è
lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò
dominare da nulla.
VANGELO
Lettura del
Vangelo secondo Matteo 22, 1-14
In quel
tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno
dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli
mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano
venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco,
ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già
uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e
andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi
servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue
truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi
disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano
degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,
chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti
quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di
commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non
indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza
l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo
mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Commento
Nel suo Vangelo, Matteo, nei capitoli 21-22, racconta tre parabole che sembrano riferirsi a tre successivi momenti della storia della salvezza, contrassegnati da un rifiuto:
- la parabola dei due figli (si riferisce all'accoglienza per Giovanni Battista: 21, 28-32),
- la parabola dei vignaiuoli ribelli (si riferisce a coloro che hanno ucciso i profeti e che uccideranno Gesù: 21,33-44),
- la parabola del convito, che leggiamo oggi (si riferisce alla predicazione apostolica che riesce a farsi accettare dai piccoli e dai poveri e non dagli amici del re: 22,1-14).
Questa terza parabola è diretta specificamente, come le prime due, d'altra parte, ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo per il loro insegnamento e la responsabilità che stanno assumendosi rispetto alle scelte del popolo. Matteo tiene a raccontare la durissima polemica finale con le autorità religiose poiché vuole ricordare che la Parola di Dio non può essere ambigua. Nello stesso tempo il significato della parabola ricorda che non basta una parola di fede, ma bisogna sviluppare la fede fino a renderla operosa.
La parabola del banchetto per le nozze del figlio del re risente di racconti favolosi che gli ebrei immaginavano nella loro povertà e che rimandavano "all'aldilà" come il luogo della grande festa in cui Dio è presente, accoglie, invita a sedersi con lui.
Gesù utilizza questo racconto per aprire, "sull'aldiquà", gli orizzonti del mondo ebraico e gli orizzonti della comunità cristiana al suo messaggio. La festa delle nozze è la fine dell'attesa. I tempi messianici sono giunti e Dio è tra noi.
Così, per primi, sono invitati coloro che hanno fatto parte, privilegiati, del popolo di Dio, scelti da Dio stesso. Ma i servi sono rimasti inascoltati e in due gruppi successivi (sono i profeti che hanno annunciato i tempi nuovi) ritornano a mani vuote, delusi che siano caduti ogni attesa e ogni interesse per la festa del re. Ma i primi chiamati non se la sono sentita di abbandonare i loro interessi, il campo e gli affari. Si sentivano sazi, ritenevano di avere già tutto per una vita senza problemi, sufficientemente soddisfatti della propria religiosità e delle sicurezze che questa procura. Chi non ha fame o sete non entra nel nuovo mondo che Gesù porta: il regno di Dio.
Allora
il terzo gruppo di servi, gli apostoli e i membri della comunità cristiana, è
inviato nei luoghi poveri, sulle strade, dove non si abita, ma ci sono persone
anonime che passano. Proprio questi vengono chiamati, (prima "i cattivi
poi i buoni", per chiarire la totale gratuità).
Finalmente
la stanza, per quanto grande possa essere, è riempita di gente. Tutti sono
invitati, ma il rispondere non è un gioco che si affronta nella superficialità
o nel solo proprio interesse.
Esiste qui un problema culturale di comprensione che si lega al linguaggio di Matteo che si fa aspro e duro, poiché egli scrive il suo Vangelo agli ebrei convertiti, il cui modo d'esprimersi ha abitualmente i caratteri apocalittici di drammi, di guerre, di morte.
Esiste qui un problema culturale di comprensione che si lega al linguaggio di Matteo che si fa aspro e duro, poiché egli scrive il suo Vangelo agli ebrei convertiti, il cui modo d'esprimersi ha abitualmente i caratteri apocalittici di drammi, di guerre, di morte.
Così
Matteo utilizza gli schemi ancora validi per la cultura ebraica, anche se
convertiti, per aiutarli a comprendere il messaggio.
- Chi non ha accettato, chiamato tra i primi, dovrà sostenere una guerra e sarà travolto. E probabilmente Matteo adombra qui la distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. (Il Vangelo di Matteo viene completato dopo questa data).
- Chi dei commensali raccogliticci, presi dalla strada, è però trovato senza la veste nuziale, viene cacciato con parole durissime.
- Chi non ha accettato, chiamato tra i primi, dovrà sostenere una guerra e sarà travolto. E probabilmente Matteo adombra qui la distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. (Il Vangelo di Matteo viene completato dopo questa data).
- Chi dei commensali raccogliticci, presi dalla strada, è però trovato senza la veste nuziale, viene cacciato con parole durissime.
Né
l'una né l'altra situazione ci fanno riscoprire la misericordia che Gesù ha
portato, quanto piuttosto il volto di un Dio duro, esigente, inflessibile nella
giustizia e nella rigidità.
Ma il Signore, che noi conosciamo, porta il volto di Gesù crocifisso che ama ed è amato dal Padre: e in Lui ciascuno di noi è amato. Il testo va allora interpretato nella cultura cristiana successiva che ha approfondito teologicamente il significato dell'Incarnazione di Gesù.
Ma il Signore, che noi conosciamo, porta il volto di Gesù crocifisso che ama ed è amato dal Padre: e in Lui ciascuno di noi è amato. Il testo va allora interpretato nella cultura cristiana successiva che ha approfondito teologicamente il significato dell'Incarnazione di Gesù.
-
Chi rifiuta il dono di Dio, alla fine, non troverà assolutamente nulla di ciò
che sperava e tutto si dissolverà e diventerà inutile.
-
Il malcapitato, che ha accettato di entrare nella sala del banchetto, ma che
non si è preoccupato di fare scelte coerenti con il luogo dove si trova (non
porta l'abito nuziale, che spesso viene regalato, soprattutto in frangenti del
genere), non è degno di restare. Giovanni nell'Apocalisse (19,8) dice che la
veste nuziale di lino della sposa di Gesù sposo (la comunità cristiana)
"sono le opere giuste dei santi".
Questo
testo conclude: "Tutti sono presi sul serio e amati dal Signore, tutti
hanno una vocazione di vicinanza con lui che è una vocazione di festa. Ma la
festa suppone coscienza e responsabilità, coraggio e fedeltà a Dio e non ci si
risolve con dei gesti di culto, semplicemente, o nella pigrizia.
Matteo qui si preoccupa della tentazione della prima Comunità cristiana ma anche di ogni cristiano: noi tendiamo, infatti, a dare per scontato di essere stati scelti, per via del battesimo, per cui ci sembra sufficiente rispettare alcuni gesti di culto. Però si mantiene una mentalità superficiale e lassista che non si preoccupa di compiere la volontà di Dio, ogni giorno, nella vita quotidiana.
Matteo qui si preoccupa della tentazione della prima Comunità cristiana ma anche di ogni cristiano: noi tendiamo, infatti, a dare per scontato di essere stati scelti, per via del battesimo, per cui ci sembra sufficiente rispettare alcuni gesti di culto. Però si mantiene una mentalità superficiale e lassista che non si preoccupa di compiere la volontà di Dio, ogni giorno, nella vita quotidiana.
Rito romano
Natività di
S. Giovanni Battista
Prima
Lettura
Is 49,1-6
Is 49,1-6
Dal libro
del profeta Isaìa
Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.
Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.
Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.
Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.
Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
Salmo
responsoriale (Sal 138)
Io ti rendo
grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda.
Signore, tu
mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.
Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.
Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.
Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.
Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.
Acclamazione
al Vangelo
(Lc 1,76)
(Lc 1,76)
Alleluia,
alleluia.
Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade.
Alleluia.
Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade.
Alleluia.
Vangelo: Lc
1,57-66.80
Dal Vangelo secondo Luca
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Dal Vangelo secondo Luca
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Commento
Per
Elisabetta si compì il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengono alla
luce come compimento di un progetto, vengono da Dio. Caduti da una stella
nelle braccia della madre, portano con sé scintille d'infinito: gioia ( e i
vicini si rallegravano con la madre) e parola di Dio.
Non
nascono per caso, ma per profezia. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono
che il piccolo appartiene ad una storia più grande, che i figli non sono
nostri: appartengono a Dio, a se stessi, alla loro vocazione, al mondo.
Il
genitore è solo l'arco che scocca la freccia, per farla volare lontano.
Il
passaggio tra i due testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al tempio
e al sacerdozio, si sta intessendo nel ventre di due madri. Dio traccia la sua
storia sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle istituzioni.
Un
rivoluzionario rovesciamento delle parti, il sacerdote tace ed è la donna a
prendere la parola: si chiamerà Giovanni, che in ebraico significa: dono di
Dio.
Elisabetta
ha capito che la vita, l'amore che sente fremere dentro di sé, sono un
pezzetto di Dio. Che l'identità del suo bambino è di essere dono. E questa è
anche l'identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è «dono perfetto».
Stava
la parola murata dentro, fino a quando la donna fu madre e la casa, casa di
profeti.
Zaccaria era rimasto muto perché non aveva creduto all'annuncio dell'angelo. Ha chiuso l'orecchio del cuore e da allora ha perso la parola.
Zaccaria era rimasto muto perché non aveva creduto all'annuncio dell'angelo. Ha chiuso l'orecchio del cuore e da allora ha perso la parola.
Non
ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire.
Indicazione
che mi fa pensoso: quando noi credenti, noi preti, smarriamo il riferimento
alla Parola di Dio e alla vita, diventiamo afoni, insignificanti, non
mandiamo più nessun messaggio a nessuno.
Eppure
il dubitare del vecchio sacerdote non ferma l'azione di Dio. Qualcosa di
grande e di consolante: i miei difetti, la mia poca fede non arrestano il fiume
di Dio.
Zaccaria incide il nome del figlio: «Dono-di-Dio», e subito riprende a fiorire la parola e benediceva Dio.
Zaccaria incide il nome del figlio: «Dono-di-Dio», e subito riprende a fiorire la parola e benediceva Dio.
Benedire
subito, dire-bene come il Creatore all'origine ( crescete e moltiplicatevi):
la benedizione è una energia di vita, una forza di crescita e di nascita che
scende dall'alto, ci raggiunge, ci avvolge, e ci fa vivere la vita come un
debito d'amore che si estingue solo ridonando vita.
Che
sarà mai questo bambino?
Grande
domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla. Cosa
sarà, oltre ad essere dono che viene dall'alto? Cosa porterà al mondo? Un dono
unico e irriducibile: lo spazio della sua gioia; e la profezia di una parola
unica che Dio ha pronunciato e che non ripeterà mai più (Vannucci). Sarà
«voce», proprio come il Battista, la Parola sarà un Altro.
venerdì 15 giugno 2012
III DOMENICA DOPO PENTECOSTE 17.06.2012 e XI del rito romano
III DOMENICA
DOPO PENTECOSTE 17.06.2012
anche in questa domenica trovate i commenti sia la rito ambosiano sia a quello romano
buona domenica a tutti
Rito ambrosiano
LETTURA
Lettura del libro della Genesi 2, 18-25
Lettura del libro della Genesi 2, 18-25
In quei giorni. Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta / è osso dalle mie ossa, / carne dalla mia carne. / La si chiamerà donna, / perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
SALMO
Sal 8
®
Mirabile è il tuo nome, Signore, su tutta la terra.
O Signore,
Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
per ridurre al silenzio nemici e ribelli. ®
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
per ridurre al silenzio nemici e ribelli. ®
Quando vedo
i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi? ®
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi? ®
Davvero
l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna. ®
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna. ®
EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 21-33
Fratelli,
nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai
loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come
Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è
sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Marco 10, 1-12
In quel
tempo. Partito di là, il Signore Gesù venne nella regione della Giudea e al di
là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli
insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per
metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la
propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero:
«Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse
loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma
dall’inizio della creazione “li fece maschio e femmina; per questo l’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una
carne sola”. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida
quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su
questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa
un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne
sposa un altro, commette adulterio».
Commento
L’amore
tra un uomo e una donna è tutto per una vita. Ne sentiamo il fascino, vi dedichiamo
tutte le nostre risorse perché da lì scaturisce la nostra felicità.
D’altro canto ne sentiamo trepidazione e timore. Dubitiamo della resistenza del nostro e altrui sentimento. Intuiamo che l’amore vero è una tal somma di elementi psicologici, spirituali, fisici, morali e soprannaturali, che ci sembrano difficili da combinare assieme con equilibrio e reciprocità totale.
Per cui spesso si entra nell’amore già con quella riserva sul tempo che ne taglia il vigore e ne inquina la più profonda soddisfazione. Eppure anche quello dell’indissolubilità è elemento costitutivo, e quindi decisivo, per la riuscita dell’amore umano.
Ce ne parla oggi Gesù, riconducendoci al fondamento dell’amore tra un uomo e una donna, segnalando il male che lo minaccia e aprendolo alla grazia di Dio che salva.
1) ALL’INIZIO
La radice dell’amore tra un uomo e una donna sta nell’atto creativo di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Crea la donna, tratta dall’uomo, a dire quanto le sia simile, quanto sia della stessa dignità, anzi della stessa carne; e quindi ad esigerne l’unione, la complementarietà, il ritornare ad essere “una carne sola”. Allora l’uomo esce in quel primo canto d’amore che dice la soddisfazione profonda dell’opera fatta da Dio: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne”. Io, uomo, ne sento tutta la sintonia, la risonanza, trovando in lei comprensione, reciprocità, fisica e spirituale, appunto: completamento.
Se l’amore è la struttura dell’uomo e della donna, ne costituisce il progetto, il fine, il traguardo, - noi diciamo: la chiamata. Non è indifferente per l’uomo e per la donna la realizzazione piena di questo amore. Il suo fallimento è fallimento d’un progetto di Dio, d’una “macchina” già essenzialmente strutturata, affidata alle nostre mani da far funzionare, da portare a pieni giri perché esplichi tutte le sue risorse di felicità e di vita. L’amore combacia con la vita. La nostra vita è una scintilla di quel fuoco d’amore che è Dio: siamo stati fatti a sua immagine per riprodurre il suo elemento qualificante, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).
Ne deriva che l’amore è la realtà più alta e più matura nell’esistenza di una persona, e anche la più ardua e difficile, la più complessa e piena, proprio perché è la vita stessa - dicevamo -, che determina il nostro destino terrestre ed eterno. E’ certamente sentimento ed emozione spontanea iniziale, che poi richiede di divenire atto pienamente umano, cioè esercizio della intelligenza e della volontà, atto libero, consapevole e responsabile. E ancora: allenamento al dono, al rispetto, all’accoglienza, alla convivenza, alla reciprocità del dare e anche del ricevere. Alla fine deve avere una dimensione anche religiosa, cioè collegata a Dio per capirne l’origine, per raggiungerne il fine, per essere redento nelle sue fragilità, debolezze e insufficienze. L’amore non è un gioco da bambini, ma vuole il massimo delle potenzialità umane e spirituali. Altrimenti necessariamente fallisce!
2) LA SCLEROCARDIA
Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma”. Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio, gioco...; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto di Dio a determinare il fallimento del matrimonio.
Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita, indebolita dal peccato, e il nostro cuore ha ricevuto come una iniezione di veleno, cioè di egoismo. Scrive san Paolo: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne. É necessario far rifluire di nuovo quella capacità e quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi.
Il riferimento e il modello dell’autentico amore è Cristo “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”, per fare della Chiesa la sua sposa “senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Epist.). Si prende cura di Lei come del proprio Corpo, “poiché siamo membra del suo corpo”. “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo”. Questo dell’amore tra marito e moglie “è mistero grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Non è allora un di più folklorico o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di ignorarlo, si rischia la pelle!
Dice una bella sentenza rabbinica commentando la pagina della Genesi che abbiamo letto come prima lettura: “Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo, perché gli comandasse; né dai suoi piedi, perché fosse la sua schiava; ma dal suo fianco, perché fosse sempre vicina al suo cuore” (Talmud).
Evitare che l’amore divenga possesso, che la comunicazione si sciupi in banalità e cose, scommettere sempre sulla sincerità e la tenerezza, e... alla fine avere il coraggio del perdono, costituiscono quel primo mazzetto di virtù che abbellisce ogni nuova famiglia che nasce e la profuma dei valori più sicuri e necessari alla felicità del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna.
D’altro canto ne sentiamo trepidazione e timore. Dubitiamo della resistenza del nostro e altrui sentimento. Intuiamo che l’amore vero è una tal somma di elementi psicologici, spirituali, fisici, morali e soprannaturali, che ci sembrano difficili da combinare assieme con equilibrio e reciprocità totale.
Per cui spesso si entra nell’amore già con quella riserva sul tempo che ne taglia il vigore e ne inquina la più profonda soddisfazione. Eppure anche quello dell’indissolubilità è elemento costitutivo, e quindi decisivo, per la riuscita dell’amore umano.
Ce ne parla oggi Gesù, riconducendoci al fondamento dell’amore tra un uomo e una donna, segnalando il male che lo minaccia e aprendolo alla grazia di Dio che salva.
1) ALL’INIZIO
La radice dell’amore tra un uomo e una donna sta nell’atto creativo di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Crea la donna, tratta dall’uomo, a dire quanto le sia simile, quanto sia della stessa dignità, anzi della stessa carne; e quindi ad esigerne l’unione, la complementarietà, il ritornare ad essere “una carne sola”. Allora l’uomo esce in quel primo canto d’amore che dice la soddisfazione profonda dell’opera fatta da Dio: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne”. Io, uomo, ne sento tutta la sintonia, la risonanza, trovando in lei comprensione, reciprocità, fisica e spirituale, appunto: completamento.
Se l’amore è la struttura dell’uomo e della donna, ne costituisce il progetto, il fine, il traguardo, - noi diciamo: la chiamata. Non è indifferente per l’uomo e per la donna la realizzazione piena di questo amore. Il suo fallimento è fallimento d’un progetto di Dio, d’una “macchina” già essenzialmente strutturata, affidata alle nostre mani da far funzionare, da portare a pieni giri perché esplichi tutte le sue risorse di felicità e di vita. L’amore combacia con la vita. La nostra vita è una scintilla di quel fuoco d’amore che è Dio: siamo stati fatti a sua immagine per riprodurre il suo elemento qualificante, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).
Ne deriva che l’amore è la realtà più alta e più matura nell’esistenza di una persona, e anche la più ardua e difficile, la più complessa e piena, proprio perché è la vita stessa - dicevamo -, che determina il nostro destino terrestre ed eterno. E’ certamente sentimento ed emozione spontanea iniziale, che poi richiede di divenire atto pienamente umano, cioè esercizio della intelligenza e della volontà, atto libero, consapevole e responsabile. E ancora: allenamento al dono, al rispetto, all’accoglienza, alla convivenza, alla reciprocità del dare e anche del ricevere. Alla fine deve avere una dimensione anche religiosa, cioè collegata a Dio per capirne l’origine, per raggiungerne il fine, per essere redento nelle sue fragilità, debolezze e insufficienze. L’amore non è un gioco da bambini, ma vuole il massimo delle potenzialità umane e spirituali. Altrimenti necessariamente fallisce!
2) LA SCLEROCARDIA
Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma”. Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio, gioco...; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto di Dio a determinare il fallimento del matrimonio.
Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita, indebolita dal peccato, e il nostro cuore ha ricevuto come una iniezione di veleno, cioè di egoismo. Scrive san Paolo: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne. É necessario far rifluire di nuovo quella capacità e quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi.
Il riferimento e il modello dell’autentico amore è Cristo “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”, per fare della Chiesa la sua sposa “senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Epist.). Si prende cura di Lei come del proprio Corpo, “poiché siamo membra del suo corpo”. “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo”. Questo dell’amore tra marito e moglie “è mistero grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Non è allora un di più folklorico o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di ignorarlo, si rischia la pelle!
Dice una bella sentenza rabbinica commentando la pagina della Genesi che abbiamo letto come prima lettura: “Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo, perché gli comandasse; né dai suoi piedi, perché fosse la sua schiava; ma dal suo fianco, perché fosse sempre vicina al suo cuore” (Talmud).
Evitare che l’amore divenga possesso, che la comunicazione si sciupi in banalità e cose, scommettere sempre sulla sincerità e la tenerezza, e... alla fine avere il coraggio del perdono, costituiscono quel primo mazzetto di virtù che abbellisce ogni nuova famiglia che nasce e la profuma dei valori più sicuri e necessari alla felicità del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna.
Rito romano
17.06.2012
XI DOMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Prima
lettura
Ez 17,22-24
Così dice il
Signore Dio:
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami lo coglierò
e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;
lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,
faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò».
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami lo coglierò
e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;
lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,
faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò».
Salmo responsoriale
Sal 91
R.: È bello
rendere grazie al Signore.
È bello
rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.
Il giusto
fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
Nella
vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.
Seconda
lettura
2Cor 5,6-10
Fratelli,
sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore
finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione
–, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare
presso il Signore.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
Vangelo
Mc 4,26-34
In quel
tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che
getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme
germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce
spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e
quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la
mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Commento
Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme
sul terreno. Gesù parla delle cose più grandi con una semplicità disarmante.
Non fa ragionamenti, apre il libro della vita; racconta Dio con la freschezza
di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di
senape. Perché la vita delle creature più semplici risponde alle stesse leggi
della nostra vita spirituale, perché Vangelo e vita camminano nella stessa
direzione, che è il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio come quando un uomo semina.
Accade nel regno di Dio come quando un uomo semina.
Dio è il seminatore infaticabile della nostra terra, continuamente
immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito
è portarle a maturazione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi
germi vitali.
Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, perché la mano di
Dio continua a creare.
La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci
stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore.
Senza alcun intervento esterno. Ecco: Che tu dorma o vegli, di notte o di
giorno, il seme germoglia e cresce.
Com'è pacificante questo!
Le cose di Dio fioriscono per una misteriosa forza
interna, per la straordinaria energia segreta che hanno le cose buone, vere e
belle. In tutte le persone, nel mondo e nel cuore, nonostante i nostri dubbi,
Dio matura.
E nessuno può sapere di quanta esposizione al sole, al
sole della vita, abbia bisogno il buon grano di Dio per maturare: nelle
persone, nei figli, nei giovani, in coloro che mi appaiono distratti, che a
volte giudico vuoti o senza germogli.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello
di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà.
Senza voli retorici: il granello non salverà il mondo.
Noi non salveremo il mondo. Ma, assicura Gesù, un altro è il nostro compito:
gli uccelli verranno e vi faranno il nido.
All'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo
e conforto.
Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo
diresti un grumo di materia inerte. Ma nella sua realtà nascosta quel granello
è un piccolo vulcano di vita, pronto a esplodere, se appena il sole e l'acqua
e la terra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio.
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio.
Mentre il nemico semina morte, noi come contadini
pazienti e intelligenti, contadini del Regno dei cieli, seminiamo buon grano:
semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia.
Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce
dell'alba, che appare minoritaria eppure è vincente. Qui è tutta la nostra
fiducia: Dio stesso è all'opera in seno alla terra, in alto silenzio e con
piccole cose.
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