giovedì 28 giugno 2012

V DOMENICA DOPO PENTECOSTE 1.07.2012

V DOMENICA DOPO PENTECOSTE 1.07.2012




Rito ambrosiano



LETTURA

Lettura del libro della Genesi 17, 1b-16





In quei giorni. / Il Signore apparve ad Abram e gli disse: / «Io sono Dio l’Onnipotente: / cammina davanti a me / e sii integro. / Porrò la mia alleanza tra me e te / e ti renderò molto, molto numeroso». / Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: / «Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: / diventerai padre di una moltitudine di nazioni. / Non ti chiamerai più Abram, / ma ti chiamerai Abramo, / perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò.

E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio».

Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione, sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comprato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza».

Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei».



SALMO

Sal 104 (105)



® Cercate sempre il volto del Signore.



Ricordate le meraviglie che ha compiuto,

i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,

voi, stirpe di Abramo, suo servo,

figli di Giacobbe, suo eletto.

È lui il Signore, nostro Dio:

su tutta la terra i suoi giudizi. ®



Si è sempre ricordato della sua alleanza,

parola data per mille generazioni,

dell’alleanza stabilita con Abramo

e del suo giuramento a Isacco. ®



«Ti darò il paese di Canaan

come parte della vostra eredità».

Quando erano in piccolo numero,

pochi e stranieri in quel luogo,

non permise che alcuno li opprimesse

e castigò i re per causa loro. ®





EPISTOLA

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 4, 3-12





Fratelli, che cosa dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia». A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:

«Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate / e i peccati sono stati ricoperti; / beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!».

Ora, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso. In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.





VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 12, 35-50



In quel tempo. Il Signore Gesù disse alla folla: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

«Signore, chi ha creduto alla nostra parola? / E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?». / Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: / «Ha reso ciechi i loro occhi / e duro il loro cuore, / perché non vedano con gli occhi / e non comprendano con il cuore / e non si convertano, e io li guarisca!».

Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».



Commento

Queste domeniche dopo Pentecoste rievocano le grandi tappe della storia della salvezza, iniziata con la creazione del mondo, segnata dalla ribellione dell’uomo, ripresa dalla iniziativa di Dio con l’Alleanza proposta al popolo di Israele, fino al compimento in Gesù di Nazaret, vertice della passione salvifica di Dio per tutti gli uomini.

Ogni tappa richiama l’antico intervento di Dio, visto però come inizio e prefigurazione di quanto Cristo farà in modo definitivo con la sua rivelazione piena e i suoi gesti di salvezza.

Oggi si rievoca l’Alleanza proposta ad Abramo e la sua risposta di fede, per capire la nuova alleanza proposta da Gesù e l’accoglienza di fede che vi corrisponde.



1) L’ALLEANZA CON ABRAMO



Dopo che l’umanità, inquinata dal peccato di Adamo, si era dispersa lontana da Dio, si riprendono ora le fila di un dialogo, quasi spezzato con il diluvio, tra Dio e l’umanità: è l’iniziativa della alleanza che il Signore propone ad Abramo, promettendogli una terra e una lunga discendenza: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne” (Lett.). Ha già uno sguardo lungo il Signore! Come contropartita è richiesta la fedeltà a questa alleanza: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro” (Lett.). Fedeltà richiamata dal segno della circoncisione: “Da parte tua devi osservare la mia alleanza: sia circonciso tra voi ogni maschio” (Lett.).

L’iniziativa è di Dio e precede ogni merito e opera umana. Nulla è dovuto all’uomo; l’alleanza è un dono gratuito, unilaterale e incondizionato. Dio ama sempre per primo e gioca d’anticipo, facendo credito all’uomo. “A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora (cioè non ha pretese di meriti), ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia” (Epist.). San Paolo lo esplicita bene meditando la gratuità dell’opera di Cristo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi” (Rm 5,8). E proprio perché gratuita, l’alleanza è universale, ben oltre il cerchio della discendenza fisica: “In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia” (Epist.).

A gratuità deve corrispondere gratuità. Certo il patto richiede una risposta, quella fede cioè che è pura accoglienza fiduciosa e d’amore: “Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia” (Epist.). E’ l’umiltà di chi sente la sproporzione tra il dono di Dio e la propria piccolezza, anzi spesso la propria ribellione. “Beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere”, si sente cioè oggetto della premura “graziosa” di Dio e cammina quindi “sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione” (Epist.), e - si deve aggiungere - prima della grande prova! “Chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, preciserà Gesù, non entrerà in esso” (Lc 18,17).



2) LA LUCE DI GESU’



Il compimento dell’alleanza è offerto da Gesù: egli porta il dono del Padre, che è “vita eterna”. “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. La nuova ed eterna alleanza l’ha compiuta Gesù sulla croce, offerta gratuitamente da colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Egli è l’incarnazione dell’amore del Padre: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Il Padre che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire”. La sua è stata l’opera della piena riconciliazione dell’umanità con Dio, la definitiva alleanza: “E’ piaciuto a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Ef 1,19-20). A messa ogni giorno il sacerdote ripete: “Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.

L’offerta richiede la risposta, e anzitutto il riconoscimento dell’opera di Gesù: “Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”. Ma i fatti si possono anche misconoscere: “Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui”. Riconoscimento esplicito, pubblico, visibile: “Anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano”. Si richiede una scelta senza paura: “Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”. Accettare l’opera di Gesù è accettare l’iniziativa del Padre: “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato”.

Anche questa, sempre frutto della gratuità, proposta non imposta: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”. Non è però indifferente alla vita accettare o meno l’alleanza con Dio in Cristo: “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”. Se sempre grande e preveniente è l’iniziativa di Dio per salvarci, essa rimane comunque sempre condizionata dal nostro sì, dalla libertà che sa accogliere. Dice sant’Agostino: “Dio che ha creato te senza di te, non salverà senza di te”. Questa, non della paura, ma dell’amore è la reciprocità richiesta dal patto voluto da Dio con l’uomo. In sostanza, si tratta di una fede che sa stimare il dono di Dio e lo ritiene significativo, anzi decisivo, per la pienezza di vita che è iscritto nel cuore dell’uomo.



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Parlare di fede oggi non è più così ovvio: l’uomo si fa da sé, anzi non si crede più neanche ad una libertà perché tutto è solo biologia, e quindi determinismo e caso ciò che avviene in lui. Abbandonarsi a Dio sembra una castrazione della propria autonomia; e per altri una illusione mitologica che non tiene conto della realtà pesante che costringe la nostra vita quotidiana.

Leggere la Bibbia è incontrare uomini coraggiosi come Abramo - o come Gesù - pienamente fiduciosi e abbandonati a Dio, creduto come un padre appassionato alla nostra vita, e per di più fedele e misericordioso!



Rito romano



Letture della liturgia per il giorno

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Prima Lettura

Sap 1,13-15; 2,23-24

Dal libro della Sapienza



Dio non ha creato la morte

e non gode per la rovina dei viventi.

Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;

le creature del mondo sono portatrici di salvezza,

in esse non c’è veleno di morte,

né il regno dei morti è sulla terra.

La giustizia infatti è immortale.

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,

lo ha fatto immagine della propria natura.

Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo

e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

Salmo responsoriale (Sal 29)

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,

non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.

Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,

mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.



Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,

della sua santità celebrate il ricordo,

perché la sua collera dura un istante,

la sua bontà per tutta la vita.

Alla sera ospite è il pianto

e al mattino la gioia.



Ascolta, Signore, abbi pietà di me,

Signore, vieni in mio aiuto!

Hai mutato il mio lamento in danza,

Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

Seconda Lettura

2Cor 8,7.9.13-15

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi



Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.

Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

Acclamazione al Vangelo

(Cf 2Tm 1,10)

Alleluia, alleluia.

Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte

e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.

Alleluia.

Vangelo: Mc 5,21-43

Dal Vangelo secondo Marco



In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.



Parola del Signore.



Forma breve (Mc 5, 21-24.35b-43):



Dal Vangelo secondo Marco



In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Commento

"Dio non gode per la rovina dei viventi, egli ha creato tutto per l’esistenza" (Sap 1,14). Queste parole tratte dal libro della Sapienza, che stiano meditando proprio in questi giorni, ci introducono alla lettura del lungo brano evangelico della tredicesima domenica del tempo ordinario. In esse appare chiara la volontà di Dio su tutta la creazione: "Dio non ha creato la morte... Ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo". È quindi nella "natura" stessa di Dio, da quando la morte è entrata nella vicenda umana, lottare contro di essa perché prevalgano la vita, il bene e la felicità. L’opera di Gesù altro non è che la realizzazione di questa volontà di Dio. E lo si vede in ogni pagina evangelica.

La scena che Marco ci presenta è piuttosto comune nella vita pubblica di Gesù: una folla di bisognosi si accalca attorno a lui cercando guarigione e conforto. Anche uno dei capi della sinagoga di Cafarnao, facendosi largo tra la folla, gli si avvicina e lo implora: "Mia figlia è ormai agli estremi, ma vieni, poni la tua mano su di lei, e vivrà". Quasi certamente Giairo - Matteo lo ricorda per nome forse perché ancora noto nella prima comunità - conosce Gesù per la sua frequentazione nella sinagoga; ne ha potuto apprezzare la pietà, la profondità dello spirito, la bontà e la straordinaria misericordia. Trovandosi nella disperazione più totale, e non sapendo più a chi altro ricorrere, si avvicina a Gesù. Forse pensa tra sé e sé: "È sufficiente che questo uomo di Dio imponga le mani su mia figlia, perché essa guarisca". Di fronte all’impotenza degli uomini, l’unica speranza è nel Signore. E in questo ci troviamo tanto vicini al capo della sinagoga: nella disperazione, quest’uomo, che pure è tra i potenti di Cafarnao, si sveste dell’orgoglio del capo, dell’arroganza del potere e della sicurezza della dignità sociale. Si inginocchia e non si vergogna di supplicare aiuto. Le sue parole non sono un lungo discorso ma una preghiera semplice e assieme drammatica. Gesù non pone tempo in mezzo e subito "va con lui".

Durante il tragitto accade il singolare episodio della guarigione dell’emorroissa. L’evangelista sembra sottolineare che la misericordia del Signore sovrabbonda; essa si riversa su tutti coloro che cercano di mettersi in contatto con Gesù. Il camminare del Signore tra gli uomini non è mai senza effetto. Una donna, affetta da una emorragia ormai da dodici anni senza che i medici abbiano potuto far nulla, è disperata. Pensa che l’unico che può aiutarla sia proprio Gesù. Forse è timida, non vuol farsi notare, e comunque sembra non voler disturbare. Ha tanta fiducia in quel giovane profeta buono che crede sia sufficiente toccargli appena il lembo del mantello per essere guarita. È una fiducia semplice che si esprime in un gesto ancor più semplice. Si fa largo tra la folla e giunge a toccare il lembo del mantello di Gesù. Non è difficile immaginare la sua trepidazione mentre allunga la mano per toccare l’orlo del mantello; non il corpo e neppure la veste. Quale lezione per noi che spesso con noncuranza o troppa abitudine riceviamo il corpo stesso di Gesù!

Quella donna ha pensato di fare tutto nascostamente. Ed in effetti nessuno se n’è accorto. Come del resto nessuno si era preoccupato più di tanto della sua malattia. Non così Gesù, che "avverte la forza uscita da lui". Si rivolge ai discepoli e chiede loro chi l’ha toccato. Nella loro solida ragionevolezza i discepoli gli fanno notare l’assurdità della richiesta: "Tu vedi la folla che si stringe attorno e dici: chi mi ha toccato?". Gesù volge lo sguardo attorno per cercare chi l’ha toccato. Non c’è anonimato nel contatto con Gesù, non c’è un gregge tutto uguale e senza nome. C’è bisogno di guardarsi, di sentirsi, di parlarsi. Quella donna risponde allo sguardo di Gesù, fissa i suoi occhi negli occhi del giovane profeta e si getta ai suoi piedi. E Gesù: "Figlia, la tua fede ti ha salvato! Va in pace e sii guarita dal tuo male". Da quel momento le cessa il flusso di sangue: è guarita. "La tua fede ti ha salvato!" dice Gesù; non "io ti salvo". Il Vangelo suggerisce che è la fede della donna ad operare la guarigione, più che la potenza di Gesù. Questo sta a dire che il miracolo avviene se c’è un rapporto personale con Gesù, un legame di fiducia e di abbandono a lui. Non siamo, infatti, nel campo della magia o delle pratiche esoteriche ma in quello dei rapporti di amicizia e di affetto. La fede è affidarsi.

È quanto accade anche nella guarigione della figlia del capo della sinagoga. Quando si sparge la notizia della morte della fanciulla, tutti perdono ogni speranza nella sua guarigione e dicono di non disturbare più il maestro di Nazareth. Forse anche Giairo sta per rassegnarsi. I galilei conoscono bene la loro impotenza, non la grande misericordia di Dio. Ma Gesù che ha già risposto alla preghiera del capo della sinagoga, lo esorta a non perdere la speranza. Si potrebbe dire che esaudisce la sua preghiera oltre le stesse aspettative: lui voleva che la figlia guarisse dalla malattia, Gesù la risorge dalla morte. Avviene sempre così con la preghiera fatta con fede. Gesù dice a quell’uomo disperato: "Non temere, continua solo ad aver fede!". Giunto alla casa di Giairo, di fronte al pianto e alle urla della folla Gesù dice di calmarsi perché la "fanciulla non è morta, ma dorme". Tutti, come spesso accade di fronte al Vangelo quando va oltre la nostra ragionevolezza, lo prendono in giro e lo deridono. Ma egli caccia via tutti, ed entra con i più intimi nella casa.

Nel linguaggio biblico la morte è intesa come un addormentarsi in attesa del risveglio. I morti perciò giacciono come nel sonno e aspettano la voce stessa del Signore che li svegli. Così Gesù sta davanti alla fanciulla. Ed è lui, Verbo del Padre, che la chiama: "Fanciulla, alzati!". La prende per mano e la mette in piedi. Sta scritto: "Il giusto se cade non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano" (Sal 37,24). "Subito - nota l’evangelista - la fanciulla si alza e si mette a camminare": è tornata in vita. La morte non è più invincibile. La misericordia di Dio è più forte. Ed è su questa misericordia che edifichiamo la nostra vita, come l’uomo saggio che edifica la sua casa sulla roccia.

giovedì 21 giugno 2012

IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE e san Giovanni Battista


IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE nel rito ambrosiano 24.06.2012



LETTURA
Lettura del libro della Genesi 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29

In quei giorni. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra.
Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli».
Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città».
Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.         

SALMO
Sal 32 (33)

 ®   Il Signore regna su tutte le nazioni.

Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
Ma il disegno del Signore sussiste per sempre,
i progetti del suo cuore per tutte le generazioni. ®

Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Il Signore guarda dal cielo:
egli vede tutti gli uomini. ®

Dal trono dove siede
scruta tutti gli abitanti della terra,
lui, che di ognuno ha plasmato il cuore
e ne comprende tutte le opere. ®


EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 6, 9-12

Fratelli, non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio.
«Tutto mi è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla.  


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 22, 1-14

In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». 
Commento

Nel suo Vangelo, Matteo, nei capitoli 21-22, racconta tre parabole che sembrano riferirsi a tre successivi momenti della storia della salvezza, contrassegnati da un rifiuto:
- la parabola dei due figli (si riferisce all'accoglienza per Giovanni Battista: 21, 28-32),
- la parabola dei vignaiuoli ribelli (si riferisce a coloro che hanno ucciso i profeti e che uccideranno Gesù: 21,33-44),
- la parabola del convito, che leggiamo oggi (si riferisce alla predicazione apostolica che riesce a farsi accettare dai piccoli e dai poveri e non dagli amici del re: 22,1-14).
Questa terza parabola è diretta specificamente, come le prime due, d'altra parte, ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo per il loro insegnamento e la responsabilità che stanno assumendosi rispetto alle scelte del popolo. Matteo tiene a raccontare la durissima polemica finale con le autorità religiose poiché vuole ricordare che la Parola di Dio non può essere ambigua. Nello stesso tempo il significato della parabola ricorda che non basta una parola di fede, ma bisogna sviluppare la fede fino a renderla operosa.
La parabola del banchetto per le nozze del figlio del re risente di racconti favolosi che gli ebrei immaginavano nella loro povertà e che rimandavano "all'aldilà" come il luogo della grande festa in cui Dio è presente, accoglie, invita a sedersi con lui.
Gesù utilizza questo racconto per aprire, "sull'aldiquà", gli orizzonti del mondo ebraico e gli orizzonti della comunità cristiana al suo messaggio. La festa delle nozze è la fine dell'attesa. I tempi messianici sono giunti e Dio è tra noi.

Così, per primi, sono invitati coloro che hanno fatto parte, privilegiati, del popolo di Dio, scelti da Dio stesso. Ma i servi sono rimasti inascoltati e in due gruppi successivi (sono i profeti che hanno annunciato i tempi nuovi) ritornano a mani vuote, delusi che siano caduti ogni attesa e ogni interesse per la festa del re. Ma i primi chiamati non se la sono sentita di abbandonare i loro interessi, il campo e gli affari. Si sentivano sazi, ritenevano di avere già tutto per una vita senza problemi, sufficientemente soddisfatti della propria religiosità e delle sicurezze che questa procura. Chi non ha fame o sete non entra nel nuovo mondo che Gesù porta: il regno di Dio.

Allora il terzo gruppo di servi, gli apostoli e i membri della comunità cristiana, è inviato nei luoghi poveri, sulle strade, dove non si abita, ma ci sono persone anonime che passano. Proprio questi vengono chiamati, (prima "i cattivi poi i buoni", per chiarire la totale gratuità).

Finalmente la stanza, per quanto grande possa essere, è riempita di gente. Tutti sono invitati, ma il rispondere non è un gioco che si affronta nella superficialità o nel solo proprio interesse.
Esiste qui un problema culturale di comprensione che si lega al linguaggio di Matteo che si fa aspro e duro, poiché egli scrive il suo Vangelo agli ebrei convertiti, il cui modo d'esprimersi ha abitualmente i caratteri apocalittici di drammi, di guerre, di morte.
Così Matteo utilizza gli schemi ancora validi per la cultura ebraica, anche se convertiti, per aiutarli a comprendere il messaggio.
- Chi non ha accettato, chiamato tra i primi, dovrà sostenere una guerra e sarà travolto. E probabilmente Matteo adombra qui la distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. (Il Vangelo di Matteo viene completato dopo questa data).
- Chi dei commensali raccogliticci, presi dalla strada, è però trovato senza la veste nuziale, viene cacciato con parole durissime.

Né l'una né l'altra situazione ci fanno riscoprire la misericordia che Gesù ha portato, quanto piuttosto il volto di un Dio duro, esigente, inflessibile nella giustizia e nella rigidità.
Ma il Signore, che noi conosciamo, porta il volto di Gesù crocifisso che ama ed è amato dal Padre: e in Lui ciascuno di noi è amato. Il testo va allora interpretato nella cultura cristiana successiva che ha approfondito teologicamente il significato dell'Incarnazione di Gesù.

- Chi rifiuta il dono di Dio, alla fine, non troverà assolutamente nulla di ciò che sperava e tutto si dissolverà e diventerà inutile.

- Il malcapitato, che ha accettato di entrare nella sala del banchetto, ma che non si è preoccupato di fare scelte coerenti con il luogo dove si trova (non porta l'abito nuziale, che spesso viene regalato, soprattutto in frangenti del genere), non è degno di restare. Giovanni nell'Apocalisse (19,8) dice che la veste nuziale di lino della sposa di Gesù sposo (la comunità cristiana) "sono le opere giuste dei santi".

Questo testo conclude: "Tutti sono presi sul serio e amati dal Signore, tutti hanno una vocazione di vicinanza con lui che è una vocazione di festa. Ma la festa suppone coscienza e responsabilità, coraggio e fedeltà a Dio e non ci si risolve con dei gesti di culto, semplicemente, o nella pigrizia.
Matteo qui si preoccupa della tentazione della prima Comunità cristiana ma anche di ogni cristiano: noi tendiamo, infatti, a dare per scontato di essere stati scelti, per via del battesimo, per cui ci sembra sufficiente rispettare alcuni gesti di culto. Però si mantiene una mentalità superficiale e lassista che non si preoccupa di compiere la volontà di Dio, ogni giorno, nella vita quotidiana.


Rito romano 
Natività di S. Giovanni Battista

Prima Lettura
Is 49,1-6
Dal libro del profeta Isaìa

Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.
Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.
Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
Salmo responsoriale (Sal 138)
Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda.
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.

Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.

Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.
Acclamazione al Vangelo
(Lc 1,76)
Alleluia, alleluia.
Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade.
Alleluia.
Vangelo: Lc 1,57-66.80
Dal Vangelo secondo Luca

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Commento
Per Elisabetta si compì il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengo­no alla luce come compi­mento di un progetto, vengo­no da Dio. Caduti da una stel­la nelle braccia della madre, portano con sé scintille d'infinito: gioia ( e i vicini si ralle­gravano con la madre) e pa­rola di Dio.
Non nascono per caso, ma per profezia. Nel lo­ro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appar­tiene ad una storia più gran­de, che i figli non sono nostri: appartengono a Dio, a se stes­si, alla loro vocazione, al mon­do.
Il genitore è solo l'arco che scocca la freccia, per farla vo­lare lontano.
Il passaggio tra i due testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al tem­pio e al sacerdozio, si sta in­tessendo nel ventre di due madri. Dio traccia la sua sto­ria sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle i­stituzioni.

Un rivoluzionario rovescia­mento delle parti, il sacerdo­te tace ed è la donna a pren­dere la parola: si chiamerà Giovanni, che in ebraico si­gnifica: dono di Dio.
Elisabet­ta ha capito che la vita, l'a­more che sente fremere den­tro di sé, sono un pezzetto di Dio. Che l'identità del suo bambino è di essere dono. E questa è anche l'identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è «dono per­fetto».

Stava la parola murata den­tro, fino a quando la donna fu madre e la casa, casa di profe­ti.
Zaccaria era rimasto muto perché non aveva creduto al­l'annuncio dell'angelo. Ha chiuso l'orecchio del cuore e da allora ha perso la parola.
Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire.
Indicazio­ne che mi fa pensoso: quan­do noi credenti, noi preti, smarriamo il riferimento alla Parola di Dio e alla vita, di­ventiamo afoni, insignifican­ti, non mandiamo più nessun messaggio a nessuno.
Eppu­re il dubitare del vecchio sa­cerdote non ferma l'azione di Dio. Qualcosa di grande e di consolante: i miei difetti, la mia poca fede non arrestano il fiume di Dio.
Zaccaria incide il nome del fi­glio: «Dono-di-Dio», e subito riprende a fiorire la parola e benediceva Dio.
Benedire su­bito, dire-bene come il Crea­tore all'origine ( crescete e mol­tiplicatevi): la benedizione è una energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall'alto, ci raggiunge, ci avvolge, e ci fa vivere la vita come un debito d'amore che si estingue solo ridonando vi­ta.

Che sarà mai questo bambi­no?
Grande domanda da ri­petere, con venerazione, da­vanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere do­no che viene dall'alto? Cosa porterà al mondo? Un dono unico e irriducibile: lo spazio della sua gioia; e la profezia di una parola unica che Dio ha pronunciato e che non ripe­terà mai più (Vannucci). Sarà «voce», proprio come il Batti­sta, la Parola sarà un Altro.

venerdì 15 giugno 2012

III DOMENICA DOPO PENTECOSTE 17.06.2012 e XI del rito romano


III DOMENICA DOPO PENTECOSTE 17.06.2012

anche in questa domenica trovate i commenti sia la rito ambosiano sia a quello romano

buona domenica a tutti 

Rito ambrosiano

LETTURA
Lettura del libro della Genesi 2, 18-25


In quei giorni. Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta / è osso dalle mie ossa, / carne dalla mia carne. / La si chiamerà donna, / perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.


SALMO
Sal 8

®   Mirabile è il tuo nome, Signore, su tutta la terra.

O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
per ridurre al silenzio nemici e ribelli. ®

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi? ®

Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 21-33

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Marco 10, 1-12
In quel tempo. Partito di là, il Signore Gesù venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione “li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
 

Commento
L’amore tra un uomo e una donna è tutto per una vita. Ne sentiamo il fascino, vi dedichiamo tutte le nostre risorse perché da lì scaturisce la nostra felicità.
D’altro canto ne sentiamo trepidazione e timore. Dubitiamo della resistenza del nostro e altrui sentimento. Intuiamo che l’amore vero è una tal somma di elementi psicologici, spirituali, fisici, morali e soprannaturali, che ci sembrano difficili da combinare assieme con equilibrio e reciprocità totale.
Per cui spesso si entra nell’amore già con quella riserva sul tempo che ne taglia il vigore e ne inquina la più profonda soddisfazione. Eppure anche quello dell’indissolubilità è elemento costitutivo, e quindi decisivo, per la riuscita dell’amore umano.
Ce ne parla oggi Gesù, riconducendoci al fondamento dell’amore tra un uomo e una donna, segnalando il male che lo minaccia e aprendolo alla grazia di Dio che salva.

1) ALL’INIZIO

La radice dell’amore tra un uomo e una donna sta nell’atto creativo di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Crea la donna, tratta dall’uomo, a dire quanto le sia simile, quanto sia della stessa dignità, anzi della stessa carne; e quindi ad esigerne l’unione, la complementarietà, il ritornare ad essere “una carne sola”. Allora l’uomo esce in quel primo canto d’amore che dice la soddisfazione profonda dell’opera fatta da Dio: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne”. Io, uomo, ne sento tutta la sintonia, la risonanza, trovando in lei comprensione, reciprocità, fisica e spirituale, appunto: completamento.
Se l’amore è la struttura dell’uomo e della donna, ne costituisce il progetto, il fine, il traguardo, - noi diciamo: la chiamata. Non è indifferente per l’uomo e per la donna la realizzazione piena di questo amore. Il suo fallimento è fallimento d’un progetto di Dio, d’una “macchina” già essenzialmente strutturata, affidata alle nostre mani da far funzionare, da portare a pieni giri perché esplichi tutte le sue risorse di felicità e di vita. L’amore combacia con la vita. La nostra vita è una scintilla di quel fuoco d’amore che è Dio: siamo stati fatti a sua immagine per riprodurre il suo elemento qualificante, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).

Ne deriva che l’amore è la realtà più alta e più matura nell’esistenza di una persona, e anche la più ardua e difficile, la più complessa e piena, proprio perché è la vita stessa - dicevamo -, che determina il nostro destino terrestre ed eterno. E’ certamente sentimento ed emozione spontanea iniziale, che poi richiede di divenire atto pienamente umano, cioè esercizio della intelligenza e della volontà, atto libero, consapevole e responsabile. E ancora: allenamento al dono, al rispetto, all’accoglienza, alla convivenza, alla reciprocità del dare e anche del ricevere. Alla fine deve avere una dimensione anche religiosa, cioè collegata a Dio per capirne l’origine, per raggiungerne il fine, per essere redento nelle sue fragilità, debolezze e insufficienze. L’amore non è un gioco da bambini, ma vuole il massimo delle potenzialità umane e spirituali. Altrimenti necessariamente fallisce!

2) LA SCLEROCARDIA

Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma”. Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio, gioco...; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto di Dio a determinare il fallimento del matrimonio.

Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita, indebolita dal peccato, e il nostro cuore ha ricevuto come una iniezione di veleno, cioè di egoismo. Scrive san Paolo: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne. É necessario far rifluire di nuovo quella capacità e quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi.

Il riferimento e il modello dell’autentico amore è Cristo “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”, per fare della Chiesa la sua sposa “senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Epist.). Si prende cura di Lei come del proprio Corpo, “poiché siamo membra del suo corpo”. “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo”. Questo dell’amore tra marito e moglie “è mistero grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Non è allora un di più folklorico o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di ignorarlo, si rischia la pelle!


Dice una bella sentenza rabbinica commentando la pagina della Genesi che abbiamo letto come prima lettura: “Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo, perché gli comandasse; né dai suoi piedi, perché fosse la sua schiava; ma dal suo fianco, perché fosse sempre vicina al suo cuore” (Talmud).
Evitare che l’amore divenga possesso, che la comunicazione si sciupi in banalità e cose, scommettere sempre sulla sincerità e la tenerezza, e... alla fine avere il coraggio del perdono, costituiscono quel primo mazzetto di virtù che abbellisce ogni nuova famiglia che nasce e la profuma dei valori più sicuri e necessari alla felicità del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna.



Rito romano
17.06.2012
XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Prima lettura
Ez 17,22-24
 
Così dice il Signore Dio:
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami lo coglierò
e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;
lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,
faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò».


Salmo responsoriale
Sal 91

R.: È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.

Seconda lettura
2Cor 5,6-10
 
Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.


Vangelo
Mc 4,26-34
 
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
Commento
Così è il regno di Dio: co­me un uomo che getta il seme sul terreno. Ge­sù parla delle cose più gran­di con una semplicità disar­mante. Non fa ragionamen­ti, apre il libro della vita; rac­conta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di senape. Perché la vita delle creature più semplici risponde alle stesse leggi della nostra vita spirituale, perché Vangelo e vita camminano nella stessa direzione, che è il fiorire del­la vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio co­me quando un uomo semi­na.
Dio è il seminatore infa­ticabile della nostra terra, con­tinuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito è portarle a matu­razione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali.
Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, per­ché la mano di Dio continua a creare.

La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci stu­piamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Ecco: Che tu dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce.
Com'è pacificante questo!
Le cose di Dio fiori­scono per una misteriosa forza interna, per la straordi­naria energia segreta che hanno le cose buone, vere e belle. In tutte le persone, nel mondo e nel cuore, nono­stante i nostri dubbi, Dio ma­tura.
E nessuno può sapere di quanta esposizione al so­le, al sole della vita, abbia bi­sogno il buon grano di Dio per maturare: nelle persone, nei figli, nei giovani, in colo­ro che mi appaiono distratti, che a volte giudico vuoti o senza germogli.

La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granel­lo di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albe­ro che ne nascerà.
Senza vo­li retorici: il granello non sal­verà il mondo. Noi non sal­veremo il mondo. Ma, assi­cura Gesù, un altro è il no­stro compito: gli uccelli ver­ranno e vi faranno il nido.
Al­l'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto.
Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo diresti un grumo di materia inerte. Ma nella sua realtà nascosta quel granel­lo è un piccolo vulcano di vi­ta, pronto a esplodere, se ap­pena il sole e l'acqua e la ter­ra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio.
Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Re­gno dei cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia.
Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce dell'alba, che appare mino­ritaria eppure è vincente. Qui è tutta la nostra fiducia: Dio stesso è all'opera in seno al­la terra, in alto silenzio e con piccole cose.