giovedì 24 gennaio 2013

La famiglia: il luogo della cura e della comunione domenica 27 gennaio 2013



Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno C)
domenica 27 gennaio 2013

La famiglia: il luogo della cura e della comunione

 La festa della Santa Famiglia è un’occasione da sfruttare favorevolmente per lo svi-luppo di quella “spiritualità di Nazaret” tanto cara a Charles de Foucauld (1858-1916), che interpretò il periodo di silenzio della vita di Gesù, prima di presentarsi sulla scena pubblica non come un momento transitorio e di attesa, ma come un modo essenziale per vivere la κένωσις, lo «svuotamento» che avrà il suo punto culminante nella croce.
La misura di questo amore, che raggiunge il suo valore estremo sulla croce, è ciò che permette di guardare all’unicum della famiglia di Nazaret per trovare luce e orientamento anche per i nostri rapporti e le nostre relazioni consumate all’interno delle mura domestiche: tutto questo si compia «nel Signore», perché «Nazareth è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione» (P.A. Sequeri).
È questa la rivoluzione alla quale il credente è chiamato per portare nella vita quotidiana il mistero di quella “consacrazione”, che il nāzîr per eccellenza per primo ha vissuto nel suo sacrificio spirituale quotidiano.


Lettura
Sir 44,23 – 45, 1a.2-5
In quei giorni. La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza
Dio fece posare sul capo di Giacobbe;
lo confermò nelle sue benedizioni,
gli diede il paese in eredità:
lo divise in varie parti,
assegnandole alle dodici tribù.
Da lui fece sorgere un uomo mite,
che incontrò favore agli occhi di tutti,
amato da Dio e dagli uomini:
Mosè, il cui ricordo è in benedizione.
Gli diede gloria pari a quella dei santi
e lo rese grande fra i terrori dei nemici.
Per le sue parole fece cessare i prodigi
e lo glorificò davanti ai re;
gli diede autorità sul suo popolo
e gli mostrò parte della sua gloria.
Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza,
lo scelse fra tutti gli uomini.
Gli fece udire la sua voce,
lo fece entrare nella nube oscura
e gli diede faccia a faccia i comandamenti,
legge di vita e d’intelligenza,
perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza,
i suoi decreti a Israele.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 111(112))
Beato l’uomo che teme il Signore.
Beato l’uomo che teme il Signore
e nei suoi precetti trova grande gioia.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza degli uomini retti sarà benedetta. R.

Prosperità e ricchezza nella sua casa,
la sua giustizia rimane per sempre.
Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto. R.

Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore. R.
Epistola
Ef 5,33 – 6,4
Fratelli, ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.
Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Sal 65 (66),1b-2a)
Alleluia.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome.
Alleluia.
Vangelo: Mt 2,19-23
In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Parola del Signore.

Commenti
Lettura del libro del Siracide 44, 23 - 45, 1a. 2-5

Ben Sirà o Siracide (figlio di Sira) è uno scriba e maestro di sapienza, vissuto probabilmente a Gerusalemme tra il III e il II secolo a.C. Il testo porta anche la firma del suo autore, uno dei pochi nella Scrittura (50,27). E' un'opera scritta in ebraico intorno al 180 a.C. e tradotta in greco dal nipote attorno al 130 a.C. ( come dice nel Prologo, all'inizio del libro).

E' uno di quegli scritti accolto nell'elenco dei testi ispirati dalla Chiesa Cattolica e ortodossa ma non considerato nell'elenco ebraico dei libri ispirati e quindi non incluso dal mondo protestante.

Tutto il cap. 44 sviluppa la lode degli antichi padri d'Israele che manifestano, nella loro grandezza, la sapienza e lo splendore di Dio. In loro il progetto di Dio si è irrobustito poiché hanno offerto l'esempio e la fedeltà, pur nelle difficoltà e nella fatica quotidiana. "Facciamo ora l'elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Il Signore li ha resi molto gloriosi e la sua grandezza è da sempre" (44,1-2). La lunga rassegna inizia con i Patriarchi, da Enoc fino a Giacobbe (44,16-23). Poi il Siracide parla di Mosè, "amato da Dio e dagli uomini" (45,1) e continua, ricordando che l'intervento di Dio su di lui è stato particolarmente carico di attenzioni. Così Mosè diventa depositario della legge e quindi custode della sapienza di Dio per il suo popolo e per le generazioni future. Lo santifica "nella fedeltà e nella mansuetudine" e questo suggerisce quali miracoli Dio è capace di fare. Sa mantenere il cuore nella continuità e nella non violenza poiché, qualunque cosa si voglia dire della Prima Alleanza, il vertice della Santità è la misericordia e quindi la mansuetudine come virtù attiva.

Mosè è trattato come un amico, un messo, un ambasciatore, un interprete presso il popolo. Introdotto nella nube misteriosa, riceve i comandamenti che sono progettati per vivere, per capire e per maturare l'Alleanza.

Ci si rende conto, pur in pochi versetti, come l'impegno morale si gioca continuamente con diffidenze, paure, stanchezze, oscurità. Il Signore sa che sono in gioco due libertà: la sua che è fedele ed ha garantito con giuramento che non sarà ritirata, e insieme la libertà dell'uomo che è soggetta a ripensamenti e a fatica, a delusioni ed a dimenticanze. Mosè è descritto come il maestro dotato di virtù e di responsabilità tali da saper condurre questo popolo alla piena obbedienza e fedeltà.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 33 - 6, 4

Questa lettera esprime una grande attenzione e tenerezza verso gli abitanti credenti di Efeso. Può essere stata scritta a Roma, nel periodo della prigionia (61-63 d.C), oppure qualche anno prima a Cesarea (58-60 d. C.). E' una grande lettera teologica in cui è centrale l'amore grande di Dio, "ricco di misericordia" ed è centrale la Chiesa, luogo carico di novità e di vita. Poiché la Chiesa ha una sua visibilità che la porta a diventare segno, significato ed esempio, i rapporti tra le famiglie, tessuto fondamentale dell'esperienza e della quotidianità, debbono svolgersi in correttezza e sapienza. Quello che leggiamo oggi è solo una piccola parte della conclusione della lettera in cui vi sono cenni ad una morale familiare con destinatari precisi:

5,22-33 il rapporto della coppia,
6,1-4: il rapporto tra padri e figli,
6,5-9: il rapporto tra schiavi e padroni.
Dopo il ricordo di un comportamento rispettoso tra marito e moglie che è di reciprocità e di chiara attenzione, ci si sofferma al rapporto tra figli e padri.

Come in ogni comunità, antica o contemporanea, la riflessione sul comportamento verte molto nel rapporto tra padri e figli. Gli esempi sono lampanti, le differenze tra generazioni sviluppano diverse logiche di comportamento; spesso prevalgono l'emotività e la intemperanza contro il comando e la rigidità.

" Fate attenzione al vostro modo di vivere" (5,15): è la sintesi di una esemplificazione successiva che richiama la saggezza:"il buon uso del tempo" (16), il non essere sconsiderati, il non ubriacarsi per non perdere il controllo di sé, desiderosi di ricevere e di vivere nello Spirito, attenti ad un preghiera interiore e ad un continuo rendimento di grazie" (5,15-20). Viene suggerito il cammino nella sapienza che permette di superare contrasti, discordie, incomprensioni familiari che rivelano, spesso, la volontà di prevaricazioni che l'uno vuole avere sull'altro. Perciò, viene formulata la regola d'oro dei rapporti educativi, a iniziare dai rapporti di coppia: "Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri" (5,21). Quando ci si sente perplessi per una teologia di Paolo che richiama la lettura ebraica del rapporto uomo-donna, non bisogna mai dimenticare questo versetto che ridimensiona e corregge immediatamente l'idea della sudditanza o della supremazia.

Nel rapporto con i figli ci si ritrova in quei conflitti perenni che hanno bisogno di equilibrio e di pazienza. E qui Paolo tenta di proporre il comandamento fondamentale: "Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra". Corrispettivo che si ritrova nel libro dei Proverbi: "Figlio mio, osserva il comando di tuo padre e non disprezzare l'insegnamento di tua madre (Prov 6,20).

Il rapporto educativo, oggi, sembra molto complesso e, in questi tempi, molto più difficile poiché non c'è facilmente un pensiero etico comune, c'è molta capricciosità anche negli adulti, derivata da una mancanza educativa della libertà che si suppone senza regole, da molteplicità di modelli di comportamento diversissimi senza una corretta e tempestiva analisi critica, almeno in presenza dei giovani, dal moltiplicarsi di spettacoli amorali o immorali nella vita e nei mezzi di comunicazione sociale, dalla difficoltà di parlare in modo convincente di tali problemi in famiglia, dal disagio dei genitori che non sanno essi stessi motivare i perché morali. E si può continuare. Ma ci sono anche molte più occasioni di confronto, la possibilità di una migliore apertura mentale, più scuola e più cultura, più generosità e disponibilità al confronto, un più profondo desiderio di pace e di non violenza. Tutto questo suppone che educare è fondamentale poiché dipende dal modo di comportarsi più che dal modo di argomentare, dipende dalla correttezza normale di un contegno non occasionale, dalla misericordia che si ha con altri ma, insieme, dalla responsabilità e lucidità su di sé.

La Comunità cristiana dovrebbe senz'altro attrezzarsi per aiutare i genitori, prima che aiutare i figli. Ma questa è la scommessa di ogni generazione che affronta i problemi dell'etica e tenta di dare soluzioni coerenti al proprio credo.

La conclusione ai padri è saggia: "E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore: " e corrisponde ad un suggerimento simile nella lettera ai Colossesi. "Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino (Col3,20-21).

Lettura del Vangelo secondo Matteo 2, 19-23

Il racconto ci riporta a preoccupazioni di richiami teologici. Le vicende di Gesù ci ricollegano a Mosé ed alle sue avventure, ci ricorda il cammino dell'Esodo e il ritorno dall'Egitto del popolo di Giacobbe liberato.

L'evangelista, che vuole motivare il perché Gesù non sia cresciuto nel paese di Davide, a Betlemme, vuole garantire che Gesù è stato osteggiato fin dall'inizio, ma il Signore aveva un suo progetto di salvezza e, per quanto ci si accanisca contro, se chi porta il progetto accetta di essere disponibile e fedele, arriverà a concludere: porterà la fiducia e la novità.

Certo, e qui ci ritroviamo nella tragedia della storia. L'adesione a Dio e al suo disegno costa vittime, sangue e morte. E perché Dio non è intervenuto?

Il grande interrogativo non ha da parte nostra soluzioni. Ma lo stesso interrogativo si ritrova nella persecuzione a Gesù, nella fatica che egli vive, pur essendo giusto e, quindi, nella sua stessa morte in croce.

Erode muore qualche anno dopo la nascita di Gesù, tra atroci dolori a circa 70 anni. Gli succede Archelao, designato dal padre come re di Giudea, Idumea e Samaria ma l'imperatore Augusto non accetta il testamento di Erode e nomina Archelao solo etnarca dal 4 a.C a 6 d.C, quando è esiliato da Augusto stesso. Non sembri strana la cronologia poiché la data della nascita di Gesù è stata posticipata di circa 6 o 7 anni, quando l'hanno fissata verso il secolo VI d.C. Perciò Gesù sarebbe nato il 6/7.a C.

Il brano che abbiamo letto è un semplice fatto di cronaca, molto arido, se non nascondesse la fatica e la sofferenza di trasferimenti di persone povere, in cerca di una patria, di una casa e di un lavoro e il piano di Dio che deve districarsi nelle avventure umane. La famiglia vive con amore e unità questo tempo, pur dovendo affrontare l'incertezza del domani e la paura dell'oggi. Questo avviene in Egitto, nel ritorno non più praticabile a Betlemme, nella decisione di raggiungere Nazareth da cui erano partiti senza alcuna intenzione di ritorno.

Così, bisogna ricominciare sempre tutto da capo.

L'evangelista Matteo accenna al Nome che sarà dato a Gesù nella sua vita pubblica. Sarà chiamato Nazareno.

E la parola conserva insieme un filo di ironia: Nazareth è una città insignificante (Gv1,46). Ma il nome Nazareth nasconde anche la parola "germoglio, nezer" come il profeta Isaia chiama il Messia (11,1). Qualcuno dice che il nome Nazareth è stato attribuito a questo sperduto villaggio della Galilea poiché un gruppo di rifugiati, discendenti da Davide, sono arrivati esuli qui, in fuga dalla Giudea.

Così la vita quotidiana per questa piccola famiglia inizia nel nascondimento, nel lavoro, nella ferialità di ogni giorno sempre uguale, mentre Gesù cresce, custodito da Giuseppe e Maria e matura la sua umanità nel lavoro, nella convivenza e nello studio della Scrittura, frequentando la sinagoga e la scuola del villaggio. Anche Gesù ha avuto bisogno di una famiglia

Dice il Card. Martini ( nella sua lettera "Dio educa il suo popolo"): "In ogni momento della nostra vita abbiamo bisogno di persone che si interessino veramente di noi, di cui noi stessi ci interessiamo. Abbiamo bisogno di persone, prima che di cose. Non di persone qualsiasi, ma di persone che sentiamo "vive per noi", che abbiano un forte sentimento della nostra esistenza e avvertano come indispensabile la loro esistenza per noi." Tutto questo porta all'educare.

Educare ricorda con chiarezza il rapporto con il tempo, le esigenze, le aspettative, le povertà.

Educare suppone l'avventura di un progetto che i genitori debbono avere ben presente con la domanda: "Quale adulto sarà questo ragazzo/a?".

Educare è il tentativo di trasmettere la sperimentazione ed il valore dell'essere adulto, della comprensione e dell'accoglienza, delle chiarezze e delle responsabilità

Educare è "uscire da" per "orientarsi verso", accettando di scoprire il senso del proprio camminare. Ci piacerebbe conoscere i tanti "perché" di Gesù bambino e le tante spiegazioni di Maria e Giuseppe.

Educare è imparare a saper lavorare e ad offrire la propria competenza, rendendosi consapevole dei bisogni degli altri.

Educare matura la libertà per le scelte migliori.

PER LA NOSTRA VITA

1. Nazaret. Spazio di umanità lunga trent’anni del Figlio di Dio. Luogo di verità dell’incarnazione di Dio nella storia umana. Il Vangelo di Matteo, nel suo racconto, sembra chiudere la soglia delle parole, e lasciarci all’incontro “nudo” con l’umanità disarmante del Figlio di Dio. Per noi difficile da pensare, e scrutare. Nazaret è la vita umana nella sua essenzialità, ed è ritorno all’essenzialità per il cammino del discepolo.

2. «La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a pe-netrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgerce-ne, ad imitare.
«Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui sco-priamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
«Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo com-prendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ar-dentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa ca-sa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
«In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tan-ti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tem-po. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
«Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la fami-glia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in fami-glia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto de-sideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua li-bertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma an-che da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tut-to il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore». PAOLO VI, Discorso tenuto a Nazaret (5 gennaio 1964).

3. «Nazareth è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione. È la missione redentrice in atto, non la sua mera condizione storica. Nazaret è il lavoro, la continui-tà, la prossimità domestica del Figlio che si nutre per lunghissimi anni di ciò che sta a cuore all’abbà-Dio (“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio”? Lc 2,49). Identificazione di Dio che passa per lo più inosservata, e proprio perciò rivela-zione clamorosa; presenza assolutamente discreta, e proprio perciò miracolo dell’affec-tus Dei. Nazareth è già per il Figlio la kenosi lunghissima – una vita! – di una identifica-zione immemore di privilegi con l’umanità perduta e sperduta, irriconoscibile e dimen-ticata (Fil 2). […]
«L’annuncio del Regno dei Cieli “che è già in mezzo” a noi, non trae forse spessore altrimenti inimmaginabile nella vita già vissuta e condivisa con gli uomini in nome e per conto dell’abbà-Dio?
«Il “mistero” di Nazareth appartiene di diritto e interamente, alla forma della rivela-zione. Al di fuori del radicamento e della comunione che questa forma realizza, la rive-lazione evangelica rischia infatti ad ogni momento l’assorbimento nella proiezione ideologica della sua predicazione e nell’enfasi esibizionistica dei suoi gesti.
«L’ascesi cristiana conserva il suo rigore; ma la forma evangelica della vita religiosa si misura rigorosamente con la forma cristologica dell’incarnazione: condivisione radi-cale dei luoghi oscuri dell’esistenza in vista della persuasività dell’amore di Dio. […]
«E la forma evangelizzatrice trova, nella prossimità realizzata dalla homousia di Gesù di Nazareth con la condizione umana, la figura elementare della relazione ecclesiale. Fraternità iscritta nella struttura stessa della fede testimoniale. Parola biblica e presen-za eucaristica insostituibilmente al centro». P.A. SEQUERI, «Ripartire da Nazareth?», in Rivista del Clero Italiano 77,9 (1996) 567-587.
4. Nazaret è un punto d’inciampo per ogni discepolo. Di fronte a questa soglia non si attinge a nessuna delle discipline che noi conosciamo, ma all’arte di un radicale ascolto del “silenzio” del vangelo. E se si può dire, occorre convertirsi all’“apparente irrilevanza” di questo evento. Non si spiega. Questa prossimità di Dio con noi, così disarmante, appartiene all’ordine della gratuità.
Nazaret è la sfida del nascondimento di Dio nella storia, sotto la forma della picco-lezza, sfida alle nostre manie di grandezza e di affermazione e alla “tentazione che cer-care Dio sia una volontaristica ascesa”. Non può essere così. Stagioni lunghe di ascol-to, di familiarità con la Parola non possono che vivere del fuoco della fedeltà, insieme ad un inesauribile ricominciamento.
La spogliazione di Nazaret, l’inabissamento del Verbo ci invitano al viaggio “illumi-nato” dalla sua Parola nelle profondità della nostra umanità, per nascere e rinascere al-la “sua volontà”. Cammino che si apre all’inedito, oggi si direbbe a evoluzioni e trasfi-gurazioni della nostra esistenza.
Nazaret è lo strappo dei fili più intimi della vita del discepolo, quelli della “paura del poco”, della banalità, dell’irrilevanza, secondo i nostri criteri di giudizio. La fami-liarità nell’esperienza spirituale è sottomissione al discrimine della Parola, come evento vivo oggi, non l’ovvietà della conoscenza, l’addomesticamento di ciò che non com-prendiamo.
Cosa porta di nuovo Nazaret, che nulla dischiude con le parole evangeliche?

How brittle are the Piers On which our Faith doth tread No Bridge below doth totter so Yet none hath such a Crowd. It is as old as God Indeed ’twas built by him He sent his Son to test the Plank And he pronounced it firm.

Come sono precari i piloni Sui quali la nostra fede avanza – Nessun ponte quaggiù oscilla così – Eppure nessuno ha una simile folla. È vecchio come Dio – Infatti – fu costruito da lui – Egli mandò suo figlio a saggiare le assi – E lui le dichiarò solide.

E.E. DICKINSON, «J1433 (1878) / F1459 (1878)», in The Complete Poems / Tutte le poesie: J1401 – 1450, Traduzione e note di G. IEROLLI (da http://www.emilydickinson.it/j1401-1450.html).

venerdì 18 gennaio 2013

e se fossimo anche noi il vino che porta la gioia? 2a domenica dopo Epifania (anno C)



Letture della liturgia per il giorno della
2a domenica dopo Epifania (anno C)

Lettura
Est 5,1-1c.2-5
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi.
Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura.
Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!».
Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla.
Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Aman al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Aman, per compiere quello che Ester ha detto».
E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 44(45))
Intercede la regina, adorna di bellezza.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio. R.

Entra la figlia del re: è tutta splendore,
tessuto d’oro è il suo vestito.
È condotta al re in broccati preziosi;
dietro a lei le vergini, sue compagne, a te sono presentate. R.

Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai principi di tutta la terra.
Il tuo nome voglio far ricordare per tutte le generazioni,
così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre. R.
Epistola
Ef 1,3-14
Fratelli, benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 2,2.11)
Alleluia.
Invitato alle nozze in Cana di Galilea,
il Signore Gesù trasformò l’acqua in vino,
e manifestò la sua gloria
e i suoi discepoli credettero in lui.
Alleluia.
Vangelo: Gv 2,1-11
In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta e centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parola del Signore.
Ester 5, 1-1c. 2-5

Riporto la sintesi del breve testo di Ester che è prezioso per il mondo ebraico. "Durante una festa, l'imperatore persiano Assuero (Serse I, 485-465 a.C) ripudia sua moglie Vasti (cap. 1), fino ad allora la preferita. Al suo posto è fatta regina Ester (il cui nome ebraico è Adassa), cugina e figlia adottiva dell'ebreo Mardocheo, che abita a Susa e discende da una famiglia giudaica (cap. 2). In seguito il secondo dignitario dell'impero persiano dopo l'imperatore, Aman l'Agaghita, progetta un colpo mortale contro gli Ebrei, senza però sapere che la regina Ester è ebrea (cap. 3). Mardocheo spinge Ester a intercedere per il popolo, per cui Assuero fa giustiziare Aman (capp. 4-7). Mardocheo diventa successore di Aman e insieme con Ester fa sì che il re dei Persiani emani un nuovo editto che permette agli Ebrei di esercitare la legittima difesa contro i loro nemici (cap. 8). Quando gli Ebrei sono perseguitati il 13 di Adar (forse l'8 marzo del 473 a.C), riescono a resistere e a vincere (cap. 9,1-19).

A ricordo della salvezza degli Ebrei dallo sterminio, Ester e Mardocheo istituiscono la festa di Purim (9,20-32).

Per i Persiani e per il popolo ebraico il governo di Mardocheo è assai fecondo di benedizioni (cap. 10).

Questo bellissimo testo, continuamente riletto nella festa di Purim, ricostruisce la fiducia nel Signore che protegge il suo popolo e porta al ringraziamento per i risultati raggiunt, anche con il contributo intelligente e diverso dei personaggi che vi partecipano..

Qui vengono riferiti solo alcuni spunti di tutta la tragica situazione che si stava profilando. E se un nemico giurato di Mardocheo, Aman, ottiene l'autorizzazione per attuare un pogrom (una strage) contro il popolo ebraico, Ester, che vuole difendere il suo popolo, invita il re e Aman a un banchetto e intercede per il proprio popolo. Il re, finalmente, si ricorda della onestà di Mardocheo ( che lo aveva liberato da una congiura) e condanna a morte Aman. Anzi i Giudei sono autorizzati ad opporsi agli assalitori e punire i loro nemici nel giorno fissato da Aman per la strage.

Da qui la commemorazione della liberazione per le molte stragi che questo popolo ha subito, in particolare, durante il nazismo. La regina osa disperatamente lottare per convincere il re alla giustizia ed alla clemenza mentre la visione del re è come una manifestazione potente e terribile di Dio: lo splendore, la gloria, la bellezza. La regina aveva osato avvicinarsi al re senza essere stata chiamata e questo aveva riempito di collera il re.

Però davanti a sé non vede una provocatrice, ma una persona debole, terrorizzata. Dio interviene (qui il testo è omesso) e "volse a dolcezza l'animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia". Il re la consola, le dice di essere "fratello (v. 9)" (garanzia di legame che rassicura Ester, nonostante la sua origine ebraica), e parla il linguaggio dell'amore: "la bacia (v 12)".

Il re garantisce che accoglierà qualunque richiesta di Ester: "Fosse pure metà del mio regno, l'avrai" e questo ci ricorda la morte di Giovanni Battista, causata da un altrettanto esigente giuramento, fatto alla figlia di Erodiade (Salomé) in un banchetto. Certo l'intercessione può avvenire per scopi di liberazione o per scopi di distruzione.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-14

Questa lettera riporta sicuramente le linee teologiche nello spirito di Paolo che è custode fedele della rivelazione di Gesù e, tuttavia, si discute se la lettera sia stata scritta (o dettata, come spesso avveniva) da Paolo stesso e, allora, si tratterebbe di un testo che, tradizionalmente, viene collocato agli inizi degli anni 60 durante la prigionia a Roma, o sia stata scritta da un discepolo attorno agli anni 80- 90.

Siamo ad una preghiera di benedizione (in ebraico "beraka"), costituta da un'unica frase lunga 11 versetti, molto elaborata e molto complessa. Per fortuna le traduzioni la spezzettano altrimenti è un solo respiro nei vv 3-14. Paolo inizia dal Padre che sta nei cieli e che realizza, alla fine dei tempi, le «benedizioni spirituali» che i versetti seguenti esporranno nei particolari. A lui noi dobbiamo la lode, riconoscimento e riconoscenza per ciò che ha fatto per noi. Ci ha benedetti con una benedizione che è spirituale poiché viene dallo Spirito di Dio che è creatore ed efficace: in Cristo poiché tutto passa attraverso Lui.

- Prima benedizione: abbiamo ricevuto la vocazione degli eletti alla vita beata, comunque già cominciata in maniera mistica con l'unione dei fedeli a Cristo glorioso. La «carità» richiama, prima di tutto l'amore di Dio per noi, che ispira la sua «elezione» e la sua chiamata alla «santità» (cf.Col 3,12;1Ts 1,4;2Ts 2,13;Rm 11,28), ma poi attrae anche il nostro amore per Dio, che ne deriva e gli risponde (cf.Rm 5,5).

- Ef 1,5 Seconda benedizione: siamo stati scelti per questa santità, come figli, fratelli di quel Figlio unico, Gesù che è la fonte e il modello (cf.Rm 8,29).

- Ef 1,6 Ci ha fatti grandi per quella grazia (in greco "charis" ) che significa il favore divino nella sua gratuità. Essa manifesta la «gloria» stessa di Dio (cf.Es 24,16) poiché egli opera così per pura liberalità e la pienezza della sua bellezza nella creazione. Tutto viene da lui e deve tornare a lui, nel Figlio amato.

- Ef 1,7 Terza benedizione. Dio ci ha amato mediante la redenzione della croce di Cristo. E' stato il Padre stesso che ci ha investito di questo amore totale.

- Ef 1,9 Quarta benedizione: Ci viene svelato il «mistero» (Rm 16,25) di Dio: finalmente, nell'offerta totale di Gesù tutte le realtà del cielo e della terra si riuniscono. La lettera garantisce che è Gesù che rigenera e unisce sotto la sua autorità ciò che il male ha disperso, corrompe e travolge. In questa unificazione si riuniscono nella stessa salvezza Giudei e pagani.

- Ef 1,11 Quinta benedizione: In lui,: in Cristo, si attua l'elezione di Israele, «eredità» di Dio, e testimone nel mondo dell'attesa messianica. Paolo, che si sente parte viva del popolo d'Israele, parla in prima persona plurale: «noi».

- Ef 1,13 Sesta benedizione: scopriamo la chiamata dei pagani con cui, perciò, condividiamo la salvezza già riservata a Israele. :"Anche voi che avete ricevuto la Parola di Dio e l'avete creduta, avete ricevuto il dono dello Spirito" Con la certezza dello Spirito promesso, si coronano l'esecuzione del piano divino e la sua esposizione in forma trinitaria. Iniziato fin d'ora in modo misterioso mentre il mondo antico dura ancora, sarà completo quando il regno di Dio si stabilirà in modo glorioso e definitivo, nella venuta gloriosa di Cristo (cf.Lc 24,49; Gv 1,33+;14,26). Così si compie la piena redenzione.

Lettura dal vangelo secondo Giovanni 2, 1-11

Ci ritroviamo in un racconto molto complesso per i richiami che Giovanni pone in questo primo "segno". I "segni" non sono miracoli, nel linguaggio del quarto Vangelo ma indicazioni per scoprire il signficato di Gesù. Tutto il brano, infatti vuole identificare colui che porta la novità, il vino della gioia e della Sapienza, il salvatore che supera la legge ebraica per sostituirla con la gioia di Dio.

Per questo bisogna analizzare con attenzione i fatti e le parole poiché altrimenti riduciamo tutto a un intervento veloce e tempestivo, carico di misericordia e di compassione, da supermercato di fronte a giovani sposi sprovveduti, tra l'altro il settimo giorno.

Se è richiamato il terzo giorno dopo l'incontro con Filippo e Natanaele (e tre giorni possono ricordare il tempo della risurrezione) il Vangelo ha sviluppato una settimana completa, calcolata quasi giorno per giorno, fino alla manifestazione della gloria di Gesù.

Cana è vicina a Nazareth e con gli sposi ci debbono essere legami familiari. Maria è invitata ed è chiamata "la madre di Gesù", presente al primo miracolo che rivela la gloria di Gesù e, di nuovo, presso la croce (19,25-27).

E Maria è chiamata anche "donna" (Gv 2,4), ripreso in 19,26 sotto la croce, dove il significato si illumina come un richiamo ad Eva di Gen 3,15.20: Maria è la nuova Eva, «la madre dei viventi». "Che vuoi da me?: lett.: «che cosa a me e a te?», Un tale linguaggio lo si usa per respingere un intervento giudicato inopportuno: Gesù obietta: «La mia ora non è ancora giunta». E' l'ora della sua glorificazione, del suo ritorno alla destra del Padre. Maria anticipa l'annuncio simbolico.

Gesù si sente coinvolto nella speranza di questo popolo, di questi sposi che sono il segno del popolo, dell'attesa della novità di Dio. Allora le sei idrie (non sette), segno della incompiutezza che portavano l'acqua per la purificazione, ma che sono anche vuote, vengono riempite perché si possa attingere la gioia della novità di Dio (in questo caso dai 600 a 800 litri di vino): questo testo inizia anche una lunga riflessione sulla fede in Gesù: si contrappongono due gruppi alla rivelazione di Gesù: i suoi discepoli che credono (2,11) e l'incredulità dei giudei (2,13-22) poiché Gesù scaccia i venditori dal tempio e discute sullo stesso significato del tempio ("Distruggete questo tempio ed io lo farò risorgere" 2,19). Giovanni continua la sua riflessione di ricerca di fede, presentando l'ambiente giudaico (Nicodemo: 3,1-21), quello samaritano (4,4-45) e quello ellenistico pagano (l'ufficiale regio e il figlio guarito: 4,46-54).

Il testo di Giovanni, per la profondità con cui affronta il messaggio di Gesù, perciò, si presenta carico di richiami, di storia biblica, di anticipazioni, di progetti, di novità.

PER LA NOSTRA VITA
1. Il Quarto Vangelo offre dei simboli, che hanno la forza di scavare in noi l’interiorità, spesso inaridita dal disincanto e dall’indifferenza; siamo ancora tentati di risalire alla superficie, perché i simboli, che chiedono spazio, ci tolgono il fiato, trascinano su un terreno nuovo.

La profondità ha molte pretese ed è tanto misteriosa perché è lo spazio che sentiamo crear-si, grazie all’azione di qualcosa che è sul punto di tradire il suo essere per offrirlo in una consegna suprema, come è ogni consegna di ciò che non si possiede originariamente e s’acquisisce per offrirlo a chi solo così può volgersi verso colui che lo chiama. La profondità è un appello amoroso. Per questo ogni abisso attrae. M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima, Ed. Cortina, Milano 1996, p. 51

Nei segni – e Cana è il prototipo dei segni con cui Gesù si rivela – noi cerchiamo ri-sposte. Ma tutto il Vangelo di Giovanni pone i segni come svelamento dell’identità profonda di Gesù, il suo “essere da Dio”, e come domanda proposta all’interlocutore dell’evento evangelico. Siamo abituati all’evidenza e alla constatazione più che all’iti-nerario, allo spazio aperto e progressivo della conoscenza dei segni. Intuire, crescere nella consapevolezza, avere la pazienza dei percorsi è laboriosità e azione pasquale per il discepolo.

2. Gesù svela progressivamente la sua condizione divina tra di noi, e lo fa ad una festa di nozze, a Cana di Galilea. Il simbolo delle nozze tra Dio e l’umanità, tracciato nella Scrittura fino alla pagina intrisa di un vino nuovo di Alleanza, che diventa sangue, sul Calvario, vita donata a noi, ha il suo primo svelamento a Cana. Quell’«ora» non an-cora giunta è infatti l’ora della croce.
Il segno è una domanda posta a noi, non è la tanto attesa risposta, aspettativa di mi-racolo da soddisfare. La pagina evangelica interroga e risponde, a suo modo. L’inganno sarebbe di considerare i segni come dei miracoli, delle cose strepitose. In un’umanità talvolta inaridita noi cerchiamo prodigi per dire “Dio”, identificandolo con qualcosa di miracoloso.
La festa nuziale è il simbolo di pienezza e di inaudita gratuità, di Gesù che è “da Dio”. Segno che manifesta la gloria, apre alla fede in Lui i discepoli, ri-vela Dio. «Ve-dere Dio – nessuno ha mai potuto. Un Dio unico generato – proteso al cuore del Padre – Lui ha saputo narrarne» (Gv 1,17-18).
I passi di Gesù raccontati dal Vangelo di Giovanni, incontreranno la fede ma anche l’opposizione dura: riveleranno e scandalizzeranno. Il segno non è dunque un miracolo da catturare, comprendere, desiderare, ma un avanzamento e un’attesa. «Dio è lo sposo e tocca allo sposo avanzare verso colei che egli ha scelto, parlarle, condurla con sé: la sposa de-ve solo attendere».S. WEIL, L’amore di Dio.

3. Ogni volta che leggo questo brano mi stupisco sempre di nuovo: perché mai – mi chiedo – il quarto Vangelo comincia a descrivere l’attività di Gesù con un fatto in apparenza così profano come un banchetto di nozze? […]
Come mai l’evangelista ha potuto farne l’inizio dell’attività pubblica di Gesù e addi-rittura della sua rivelazione? Infatti, il brano termina proprio con le parole: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli» e «manifestò la sua gloria».
Vorrei dunque provare a rileggerlo con attenzione. Innanzitutto occorre partire dall’indicazione cronologica d’apertura: «Tre giorni dopo…». Che senso può avere una simile indicazione? Se si sommano questi tre giorni con quelli menzionati nel capitolo precedente giungiamo a una settimana intera, in cui si descrive l’inizio del ministero di Gesù. Sembra vi sia una corrispondenza tra questa prima settimana e l’ultima settima-na di vita di Gesù, quella della resurrezione. C’è anche probabilmente un riferimento alla prima settimana del mondo, quella della creazione, portato a termine nella resur-rezione e nell’effusione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,22).
L’occasione di questa rivelazione del mistero di Gesù è data da una realtà umanis-sima, ossia un banchetto di nozze, nel quale Gesù si inserisce con naturalezza. Questa festa ci ricorda quelle dell’Antico Testamento e la gioia della festa promessa ai disce-poli di Gesù. C.M. MARTINI, Colti da stupore. Incontri con Gesù, a cura di D. MODENA (Saggi Mondadori), Mondadori, Milano 2012, pp. 159-160.
4. Che cos’è la festa se non la sovrabbondanza della bellezza, […] liberata dall’utilità, dalla pesantezza, lo scambio dell’amicizia, la vita tanto intensa da far di-menticare la morte. […] La festa ci rivela ogni essere e ogni cosa come un miracolo ed è là la ragione per cui, intorno all’uomo santificato, anche il mondo entra in festa, ri-trovando nel miracolo la propria trasparenza originale. […]
Ora la festa pasquale, come la festa eucaristica che l’attualizza sono esse stesse un’anticipazione vera, nutritiva, della festa definitiva della nuova Gerusalemme. Allora, Dio stesso «asciugherà le lacrime dai nostri occhi» (Ap 21,4) e il simbolismo della festa della Chiesa sarà contemporaneamente abolito ed universalizzato: la festa si rivelerà come l’essenza delle cose. Non vi sarà più un tempio perché l’Agnello irradierà diret-tamente tutte le cose. […] L’essenza stessa della natura umana concepita nell’amore tra le persone, ad immagine e cala mitizzazione della Trinità si rivelerà come una festa, e festa si rivelerà in particolare l’essenza dell’eros e del nutrimento, doppio rapporto eucaristico con “l’altro” e con il mondo. Il regno sarà un banchetto di nozze, come a Cana: «Rallegriamoci, beviamo il vino della grande gioia… Ecco il fidanzato e la fidan-zata… Ecco il nostro Sole… Per amore si è fatto simile a noi e come noi si rallegra; trasforma l’acqua in vino per non interrompere la gioia degli ospiti; ne attende degli al-tri, li chiama continuamente, nei secoli dei secoli. Ecco che viene portato il vino nuo-vo» (DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov). O. CLEMENT, Riflessioni sull’uomo (Già e non ancora 200), Jaca Book, Milano 31990, pp. 168-170.