giovedì 10 gennaio 2013

Domenica 13 gennaio 2013 BATTESIMO DEL SIGNORE




Domenica 13 gennaio 2013

BATTESIMO DEL SIGNORE

La Festa del Battesimo di Gesù, pur essendo “eccedente” rispetto alla nostra tradi-zione ambrosiana che già contempla il battesimo nell’unica solennità dell’Epifania del Signore, offre alle nostre comunità l’opportunità di soffermarsi più pacatamente su un momento che tutte le tradizioni neotestamentarie considerano importante per la rico-struzione della fede di Gesù. Unanimemente esse attestano che il battesimo di Gio-vanni Battista è il punto di partenza di ciò che il discepolo della prima ora deve testi-moniare a riguardo di Gesù (oltre ai racconti dei sinottici, si vedano la testimonianza del Quarto Vangelo e i seguenti passi di Atti: 1,22; 10,37; 13,24; 18,25; 19,1-7).
Lettura
Is 55, 4-7
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 28(29))
Gloria e lode al tuo nome, Signore
1ate al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo. R.

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza. R.

Tuona il Dio della gloria.
Nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre. R.
Epistola
Ef 2,13-22
Fratelli, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in sé stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt 3,16-17/Lc 9,35)
Alleluia.
Si aprirono i cieli e la voce del Padre disse:
Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo.
Alleluia.
Vangelo: Lc 3,15-16.22-22
In quel tempo. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Parola del Signore.
VANGELO: Lc 3,15-16. 21-22

La liturgia ci propone la scena del battesimo di Gesù secondo Luca, accostata a una sezione della pericope precedente (Lc 3,1-20), in cui il terzo evangelista riassume il ministero del Battista, quale importante punto di incrocio tra il Battista e Gesù. Sono parole che servono a interpretare il senso dell’immersione (βάπτισμα) nell’acqua del Giordano da parte di Gesù, che pur non avendo peccato si pone sino in fondo dentro la storia di peccato dell’umanità. A differenza dell’aperta dichiarazione del QuartoVangelo, Luca sembra quasi voler cancellare il fatto che Gesù sia stato discepolo del Battista: sebbene Gesù riceva il battesimo insieme a tutto il popolo, non si dice esplici-tamente da chi lo riceve, anzi – pur essendo legato alla figura del Battista – è racconta-to dopo il ricordo dell’imprigionamento di Giovanni per opera di Erode Antipa.
La pericope di Lc 3,1-20 inizia con una solenne ambientazione storica della missio-ne di Giovanni – quindi anche degli inizi dell’attività di Gesù – e le citazioni che già la tradizione precedente aveva consegnato all’evangelista, per interpretare l’opera del precursore. Poi, prima di passare al battesimo di Gesù, Luca recensisce dettagliata-mente il messaggio del Battista: a) Lc 3,7-9: l’invito generico alla conversione; b) vv. 10-14: la sintesi del messaggio “sociale” del precursore, una sezione propria di Luca; c) vv. 15-18: la posizione del Battista in relazione all’identità del Messia (è questa la sezione ripresa dalla lettura liturgica di questa domenica); d) e infine, nei vv. 19-20, la reazione di Erode Antipa davanti alla predicazione troppo diretta e urtante del Battista contro di lui, per la convivenza con Erodiade e le altre malefatte commesse; si ricordi che Lu-ca parlerà dell’imprigionamento del Battista solo nell’episodio dei suoi discepoli inviati a Gesù (Lc 7,18-35) e al martirio di lui farà cenno solo attraverso una citazione diretta di Erode in Lc 9,9: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io».
Solo dopo questa sintesi è introdotta la breve scena del battesimo di Gesù (3,21-22), che dovrà essere letta con l’attenzione rivolta ai tratti narrativi propri di Luca rispetto alla trama del racconto tradizionale condivisa con gli altri vangeli.
I vv. 15-17 sono l’ultima parte della sintesi lucana del messaggio del precursore. In modi diversi tutti gli evangelisti hanno trattato del problema dell’identità del Battista in relazione al Messia, Giovanni (1,19-28) e Luca in modo diretto ponendo al Battista stesso la domanda cruciale: «Sei tu dunque il Cristo?». Il confronto per Luca inizia già nei vangeli dell’infanzia (Lc 1-2), che sono di fatto costruiti su questa dialettica (cf so-prattutto le parole di Elisabetta a Maria Lc 1,41). In questo momento, il Battista af-ferma di non essere il Messia, distinguendosi da Gesù, con tre affermazioni:
a) Giovanni, che battezza solo con acqua, è consapevole di essere araldo della venuta di uno “più forte”;
b) Giovanni non è degno nemmeno di sciogliere i legacci dei sandali del Messia, ovve-ro non ha alcun titolo per iniziare una qualche transazione, in particolare nessun dirit-to sponsale (cf Rut); lo Sposo-Messia battezzerà in Spirito santo e fuoco;
c) l’azione del Messia sarà il giudizio finale.
Come ripetutamente appare nell’opera lucana, lo Spirito Santo è presentato come il segno distintivo della nuova alleanza inaugurata da Cristo Gesù e continuata nella sua chiesa (cf Lc 24,49; Atti 1,8; 2,38; 10,47; ecc.). Infatti è sconosciuto ai discepoli del Battista che sopravvivono al maestro (come afferma qui il Battista nel v. 16; e inoltre cf Atti 18,24-28; 19,1-7).
La terza affermazione riguardante il giudizio del Messia sarà proprio il punto di crisi che giustifica l’invio di due dei suoi discepoli a Gesù con il dubbio esplicitato: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7,19). Il Battista dovrà inve-ce comprendere il modo diverso in cui Gesù interpreta il giudizio di Dio: Gesù, nella sua parola e nei suoi gesti, offre l’ultima opportunità di perdono offerta da Dio prima del giudizio finale.
I vv. 21-22 sono la presentazione della brevissima scena del battesimo. Luca non ri-corda il luogo del battesimo (al v. 3 è però indicata «la regione del Giordano» come luogo di attività del Battista). Al di là di questo particolare, sono molti i tratti caratteri-stici che differenziano la redazione lucana della scena.
Anzitutto lo spostamento del battesimo dopo la notizia dell’imprigionamento di Giovanni (nei precedenti vv. 19-20, che ho riportato nella traduzione) è un elemento teologico rilevante, anche se storicamente inverosimile. Come afferma il resto della tradizione neotestamentaria, non può essere stato altri che Giovanni Battista a battez-zare Gesù; ma nella forma lucana, scompare la mediazione del Battista e al centro ri-mane soltanto Gesù e la sua esperienza spirituale in mezzo a tutto il popolo.
Anzi, Luca non è affatto interessato al momento stesso in cui Gesù viene battezzato: in mezzo a tutto il popolo anche Gesù è battezzato, ma tutto questo è detto con frase subordinata e circostanziale rispetto all’evento principale che segue e che accade al se-guito della preghiera di Gesù.
La dimensione della preghiera è il sistema linfatico dell’esperienza di fede di Gesù. Non solo perché Luca presenta spesso Gesù in preghiera, soprattutto nei momenti cruciali delle sue scelte, come quando deve scegliere i Dodici, deve porre loro la do-manda circa la propria identità, al momento della trasfigurazione, quando insegna ai suoi discepoli come pregare, per non parlare della preghiera al Getsemani o persino sulla croce (Lc 3,21; 6,12; 9,18-22. 28-29; 11,1; 22,32. 41; 23,34. 46). Ma perché lapreghiera è anche il tratto caratteristico dei discepoli. Come Gesù prega prima che lo Spirito scenda su di Lui, così anche la comunità dei discepoli è in preghiera mentre at-tende la promessa dall’alto (Atti 1,8. 14) e rimane fedele alla preghiera (Atti 2,42; 3,1; 4,31; 6,4; 12,12; 13,3. Davvero il modo di “fare storia” di Luca non è semplice cronaca, ma testimonianza di un’esperienza che nasce dalla propria comunità.
Fin qui le premesse e le condizioni dell’evento. Propriamente dovremmo dire che Luca è interessato a quanto avviene in Gesù dopo il battesimo ricevuto da Giovanni, a partire dal suo ritirarsi in preghiera. Senza dubbio vi potrebbe essere una qualche ve-natura apologetica in tale scelta contro quei gruppi battisti che affermavano la superio-rità del Battista rispetto a Gesù. Ma vi potrebbe anche essere semplicemente la volontà positiva di Luca di mettere in primo piano l’esperienza di rivelazione che Gesù ebbe do-po avere ricevuto il battesimo.
Presupponendo infatti che il verbo iniziale ἐγένετο δέ «avvenne allora che» sia un semitismo (= wajehî) trasportato in greco, la prima frase principale della scena è «il cie-lo si aprì». Proprio per questo la tradizione liturgica della chiesa già dai primi secoli ha inteso il valore epifanico del battesimo di Gesù come una proclamazione della messia-nicità di Gesù al mondo intero. L’esperienza di rivelazione sperimentata da Gesù dopo il suo battesimo è descritta da Luca con tre tratti specifici:
a) «il cielo fu aperto»: è un richiamo diretto all’invocazione di Is 63,19: «Se tu squar-ciassi i cieli e scendessi!». Siamo davvero, come implorava Isaia, all’inizio di un nuovo esodo con tutti i suoi prodigi rinnovati (cf il seguito di Is 64,1-4);
b) «discese lo Spirito Santo in forma corporea come una colomba sopra di lui»: lo Spi-rito discende su Gesù nel battesimo, come prima ancora al momento del suo conce-pimento (Lc 1,35) e nei momenti decisivi della sua vita (Lc 4,1. 14. 18; 10,21; Atti 2,33), come sulla comunità dei discepoli (Atti 2,1-12. 33) e nei momenti decisivi della sua crescita (Lc 12,12; Atti 4,8. 31; 5,32; 6,3. 5. 10; 7,55; ecc.). Per questo l’unico pec-cato che non può essere perdonato è quello contro lo Spirito santo (Lc 12,10), perché significa rifiutare il dono dall’alto che permette di accogliere il perdono e di vivere se-condo Dio. La precisazione σωματικῷ εἴδει «in forma corporea» è propria di Luca e molto si è discusso al riguardo. Tra tutte le possibilità, la interpreto come una specifi-cazione limitativa, nel senso che il paragone seguente ὡς περιστερὰν «come una co-lomba» non deve essere inteso come un simbolo in senso generale, ma solo nel suo va-lore eidetico, metaforico, ovvero come un segno che rimanda ad altro.
Il primo valore è sviluppato, ad esempio, nel commento di s. Ambrogio:
Perché come una colomba? Perché la grazia del battesimo richiede la semplicità, affinché siamo semplici come colombe. La grazia del battesimo richiede la pace, quella pace che, nell’antico simbolo, la colomba portò un giorno a quell’arca, che, sola non fu travolta dal diluvio. Colui che ora si è degnato di discendere in forma di colomba, mi ha insegnato di chi fosse simbolo quella colomba, mi ha insegnato che quel ramoscello, quell’arca era il simbolo della pace e della chiesa, poiché, pur fra le rovine del mondo, lo Spirito Santo reca alla sua Chiesa una pace feconda. Me l’ha insegnato anche Davide, il quale, scorgendo per ispirazione profetica il sacramento del battesimo, ha detto: «Avessi ali come una colomba».Un secondo valore simbolico può essere dedotto dall’ampliamento redazionale che chiude il “soliloquio dell’amore invincibile” di JHWH in Os 11:
Dietro JHWH andranno ed egli ruggirà come un leone:
quando egli ruggirà, tremeranno i suoi figli dall’occidente,
tremeranno come uccelli dall’Egitto, come colomba dall’Assiria
e io li farò abitare nelle loro case. Oracolo di JHWH (Os 11,10-11).
Colomba in ebraico è jônâ: ovvero accorreranno tremando come Giona. Forse pro-prio a partire da questa parola profetica uno scrittore del dopo esilio ha voluto chiama-re Giona il protagonista della novella sulla misericordia inattesa e illogica di Dio nei ri-guardi di Ninive, la grande città capitale dell’Assiria, che si converte per la predicazio-ne di un profeta di Israele (cf la presenza provocatoria del libro di Giona, nel mezzo della raccolta dei XII profeti, pur non essendo propriamente un libro profetico). Se così fosse, sarebbe una sottolineatura stupenda da non perdere: il battesimo di conversione al quale Gesù stesso si sottopone in condiscendenza verso di noi, suo popolo, è un pellegrinaggio del cuore, della coscienza, per condurci a contemplare il pellegrinag-gio di Dio verso di noi.
c) «ci fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio Figlio amatissimo: in te ho compiuto il mio progetto”». La voce dal cielo che proclama l’identità di Gesù è un anticipo dell’an-nuncio pasquale e della voce che sarà di nuovo udita dai discepoli prescelti al momen-to della trasfigurazione (Lc 9,35), prima di salire verso Gerusalemme. Si tratta di una parola di rivelazione che combina insieme almeno tre testi biblici: l’attacco σὺ εἶ ὁ υἱός μου «Tu sei mio figlio» ci riporta direttamente al rapporto singolare tra JHWH e il re istituito dal Sal 2,7, testo ripreso all’inizio del secondo canto del servo di JHWH in Is 49,3 adattando il salmo alla relazione singolare tra JHWH e il servo («Mio servo tu sei,6 sul quale manifesterò la mia gloria»); il titolo ὁ ἀγαπητός «amatissimo» richiama la ʿăqēdâ «la legatura» di Isacco (Gn 22); e infine il modismo ἐν σοὶ εὐδόκησα «in te ho compiuto il mio progetto [positivo]» come allusione al primo canto del Servo di JHWH (Is 42,1). Tale prospettiva cristologia, oltre ai paralleli passi sinottici del battesimo e della trasfigurazione, è confermata anche da Mt 12,18-21, dove è citato l’intero passo di Is 42,1-4 (il v. 18 = Is 42,1 ha questa forma più vicina al testo ebraico: ὅν εὐδόκησεν ἡ ψυχή μου).
La combinazione delle tre pagine scritturistiche dà una confessione di fede o, letto narrativamente, un programma di vita che sarà sviluppato nel modo con cui Gesù vivrà il suo ministero in Galilea, e sarà di nuovo ripreso al momento della trasfigurazione per confermare che lo stesso stile del servo di JHWH continuerà sino a Gerusalemme e si compirà definitivamente quando, morendo in croce, «egli fu annoverato tra gli empi» (Lc 22,37 che cita il quarto canto del servo di JHWH, Is 53,12).

PER LA NOSTRA VITA

1. Il battesimo di conversione è pellegrinaggio del cuore, della coscienza, per con-durci insieme a contemplare il pellegrinaggio di Dio verso di noi, la sua condiscendenza alla nostra esistenza. Chi accetta di essere preso per mano dalla liturgia può aprirsi allo stupore.
Il tempo e gli uomini corrono, ma oggi più che mai mancano all’appuntamento es-senziale: udire l’invito a «vedere il volto di Dio». La storia cammina per vie maestre di cecità, di distruzione, di incomunicabilità.
L’oggi è il limite delle nostre preoccupazioni e delle nostre pene. È lungo abbastanza per trovare Dio o per perderlo, per conservare la fede o per cadere nel peccato e nel disonore. […] Comprendere ogni mattina in modo nuovo la fedeltà di Dio, poter iniziare ogni giorno, in mezzo a una vita con Dio, una nuova vita con lui; questo è il dono che Dio fa con ogni nuovo giorno. D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A. AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 14.

Essere svegli significa vedere il mondo, per come è davanti a Dio, senza giudicarlo. Essere svegli significa essere aperti, pronti al futuro, averlo davanti agli occhi senza impaurirsi. Si-gnifica vedere la trasparenza del giorno di Dio per come è; amare la sua creazione e la sua opera, ma al tempo stesso vedere la sofferenza della creatura, la miseria e disperazione dell’altro uomo.
Questo essere svegli l’uomo non può darselo da sé, è qualcosa a cui lo deve chiamare Dio. Vivi di fronte a Dio per come egli ti ha fatto! Ma questo “vivi” non può essere un comando, ma la parola creatrice di Dio stesso.  D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, p. 258.

Un profeta è un uomo che, a un preciso e sconvolgente momento della sua vita, sa di esse-re afferrato da Dio e chiamato da lui, e che non può fare altrimenti che andare dagli uomi-ni e annunciare la volontà di Dio. La chiamata è divenuta punto di svolta della sua vita, e per lui vale oramai soltanto l’andare dietro a questa chiamata, anche se portasse alla disgra-zia e alla morte. Non è un vero profeta chi invoca sempre pace, pace e vittoria, ma lo è chi ha il coraggio di annunciare la perdizione, come disse una volta Geremia (Ger 23,9s.). Il punto centrale, a partire dal quale è acquisita la comprensione dell’anima profetica, è il fat-to che il profeta sa di essere alleato con Dio e che questa alleanza renderà la sua vita una tragedia d’incomparabile serietà, proprio perché si tratta di un’alleanza con Dio.
Dal fatto che il profeta sia alleato con Dio dipende che le sue parole siano così strane, che egli sia così inflessibile, così temibile, che sia incomprensibile dal punto di vista umano e psicologico. Dio lacera, manda in frantumi, annienta l’armonia spirituale dell’uomo che è il suo annunciatore. Dio stesso è autore della tragedia della vita del profeta, affinché in que-sta sconfitta dell’uomo venga alla luce la forza e il peso della richiesta divina. D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, p. 390.


2. La cecità – l’oscurità è la parabola della vicenda umana. Dio vede, conduce, il-lumina attraverso la pietà, il dolore e la miseria; e si insinua in un pellegrinaggio di spoliazione per incontrarci. Egli entra nella nostra storia senza devastarla; il suo rispet-to per la libertà umana è tale da rendersi ordinario.

Eppure: ecco, Dio entra nella vita umana prendendo forma di fragilità, di carne, di parola, di finitudine. Egli si lascia scomporre nella parola umana, ridurre alla parte per ricondurre al tutto, indebolire, per portare alla forza della rinascita, al suo disegno.
Egli si lascia fra-intendere nell’esistenza umana.
Attraverso il suo Figlio; alla sua umanità consegna il suo mistero, nella Parola, nella vita, nel suo disegno di salvezza.
Il pellegrinaggio di Dio è la strada aperta per noi, tempo per un radicale battesimo di conversione e di cammino, per giungere fino a «vedere il suo volto».
Credere all’incarnazione è oltrepassare la miseria della nostre aspettative, dei nostri desideri, della nostra piccola fede. Trascendersi.
Dio cammina nella nostra umanità per trascenderla, lasciandosi contaminare. Si dissemina nella Parola – Verbo – Logos, si perde, si annulla nel volto del crocifisso. Si dà nelle mani e si lascia dire nella parola di tutti.
La gloria di Dio appare nel frammento, nel simbolo, in tracce sempre più impercet-tibili nel nostro tempo. Il Logos è la salvezza di queste tracce di testimonianza, di frammenti che sono andati perduti, che appaiono come sconfitti. È la memoria viva di ciò che appare dimenticato; è il dono e la capacità di poter vedere le cose dal basso, nella logica dei vinti.
Occorre lasciarsi battezzare dalla sua misericordia. Nel chiasso, nell’evanescenza, nella sicurezza non si scorgono le sue orme. In molto strepito, agitazione, disperazione possiamo guardare solo la fragilità delle nostre costruzioni. Siamo vinti, in altro caso, da una pigra incredulità, volto del nostro tempo. Ed è solo nel silenzio dello stupore, del dolore, della pietà, della coscienza che evochiamo le tracce della sua benevolenza.
Nel suo Figlio avvenne tutto, nulla di nulla senza di Lui.

3. Bisogna essere umili quando si tratta di Dio, sappiamo così poco di Lui. Siamo deboli e ignoranti quando si tratta di essere veraci nell’amare lui. Dio sa molto meglio di noi cosa occorre per noi, per fare veramente la sua volontà. Siamo sempre debitori davanti a Dio quando si tratta di amore: rassicuriamo il nostro cuore dinanzi a lui, che se in qualche cosa il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro amore.
Davanti a lui vale un’altra misura tra grande e piccolo, tra attivo ed inerte. Ciò che dall’esterno può apparire debole e indigente, interiormente è pieno di forza e vitalità. È la potenza della vita di Dio che opera nella nostra pochezza.
La fede è misteriosa, un salto nello sconosciuto; vedere con gli occhi della fede è vedere con gli occhi di Dio. Questo cambia la nostra vita, la nostra maniera di amare e sperare; di soffrire e di essere felici. L’uomo non può impedire a Dio di amarlo. Trop-po piccolo!
Non c’è per la creatura altra alternativa che naufragare in questo abisso di salvezza o in quello della propria solitudine. La sua volontà è severa, esige e comanda. Mentre l’incredulità ci permette di indugiare nei nostri dilemmi in cui siamo adagiati come in una comoda dimora.
Talvolta sembra che ci abbandoni. Egli vuole misurandoci da soli a soli con le no-stre difficoltà, che ci rendiamo maggiormente conto della nostra insufficienza. Egli sol-tanto si nasconde e nasconde nell’oscurità l’opera sua.
È allora il momento di credere, credere fortemente e attendere con umile pazienza e con piena fiducia. Mentre non nega consolazioni sensibili e segni più o meno palpabili
della sua presenza ad anime ancora titubanti nella fede, spesso conduce per vie del tut-to oscure coloro che si sono dati a lui e sulla cui fede sa di poter contare.
Egli è padre, ad ogni anima che lo cerca con sincerità, non nega quanto è necessario per sostenere la sua fede, ma spesso rifiuta ai più forti quello che concede ai più deboli. P. TARCISIO GEIJER, monaco certosino, [manoscritto inedito risalente al 1989].


4. Luca è sempre sobrio nella narrazione è molto esigente nel provocare l’uditorio: su chi sia Gesù, da dove venga, su cosa sia venuto a fare tra noi. Tace sulla “conversione” annunciata da Giovanni Battista, proclama la salvezza e “il tempo della grazia”. Perché il Regno è Lui, la sua Parola e la sua itineranza nella geografia umana conduce ai poveri, ai ciechi, ai prigionieri, per promettere ciò di cui sono privi: il cibo, la vista, la libertà. Lo stile assunto da Gesù a partire dal battesimo di Giovanni è provocatorio per i nostri progetti, così precisi, umani, diffidenti, carichi di contabilità e di sanzioni, di “giustizia retributiva”: Hai sbagliato? Paghi. Sei forestiero? Vattene nella tua terra. Sei prigioniero? Anzitutto la nostra sicurezza.
Gesù di Nazaret è «da Dio». Il suo inizio prefigura la sua fine: la misericordia, ina-scoltata e rifiutata dagli ascoltatori, rimane il dissidio tra i nostri calcoli e la logica arbi-traria di Dio. Fa problema la misericordia di Dio, la nostra umanità rimane giustiziali-sta!
Gesù di Nazaret è la salvezza e il “compimento” di tutte le profezie.
Gli ascoltatori chi conoscevano? Gesù, il figlio di Giuseppe? Gesù «da Dio», il figlio dell’Altissimo? Egli interroga il lettore su questioni essenziali. La vita, la guarigione, la liberazione. Lui Amante della vita, Lui atteso come nuovo liberatore, al modo di Davide lotterà perché i perdenti abbiano salvezza, morirà per sconfiggere la morte.
Anche i discepoli, dopo tutto l’itinerario fatto dietro a lui non lo conosceranno, cre-dendo di conoscerlo e attenderanno persino dopo la risurrezione la ricostituzione del regno di Davide.
Noi comprendiamo, ma non accogliamo. La nostra diffidenza sta nel non lasciarci afferrare dalla misericordia divina, che in Gesù di Nazaret si fa corpo, cammino, guari-gione, perdono. Noi non siamo «da Dio», ma con quell’annuncio di salvezza, siamo chiamati a diventare conformi al suo Figlio, figli nel Figlio Gesù.

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