venerdì 25 maggio 2012

DOMENICA DI PENTECOSTE 2012-05-24 - Solennità


DOMENICA DI PENTECOSTE 2012-05-24 - Solennità

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 2, 1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».            
SALMO
Sal 103 (104)
   ®  Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
La terra è piena delle tue creature. ®

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. ®

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 1-11
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.                  
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 14, 15-20
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».                                                                               
Commento

L’ampia sezione di Gv 13-17, che è una “contemplazione teologica” della Pasqua di Gesù; è divisa in tre sequenze, ciascuna con una propria caratterizzazione:
a) capp. 13-14: l’ultimo δεῖπμομ «pasto» (13,2. 4) consumato da Gesù con i suoi discepoli, prima di uscire fuori (14,31; in realtà l’attraversamento del Cedron per entrare nel «giardino» del Getsemani avviene solo in 18,1). Questa prima sequenza è la fondazione della comunità dei discepoli che deve costituirsi sul comandamento dell’amore;
b) capp. 15-16: il “testamento” di Gesù, con un’ambientazione “spirituale” più che topografica (sembra che Gesù parli al di fuori di ogni luogo). Le parole del Maestro sono una consegna alla comunità dei discepoli che dovrà passare in mezzo a un mondo di odio e di morte. Il sostegno dello Spirito permetterà ad essi di non smarrire la certezza di essere amati dal Padre e di poter vincere quel mondo;
c) cap. 17: la “preghiera” di Gesù, con la sua intercessione per i discepoli del primo gruppo (vv. 6-19) e i discepoli delle generazioni future (vv. 20-23), perché tutti possano portare a compimento quel disegno di comunione già voluto dal Padre «prima della creazione del mondo».
Nei capp. 13-14, si ha il primo sviluppo del “testamento” di Gesù, a partire da quanto egli ha compiuto lavando i piedi ai suoi discepoli, che si potrebbe titolare «l’addio di Gesù e il futuro dei discepoli» (Gv 13,31 – 14,31):

Introduzione (13,31-38): L’addio e il suo comandamento dell’amore
A. vv. 14:1-14: Gesù come via al Padre per coloro che credono il lui
B. vv. 15-24: Il Paraclito, Gesù e il Padre andranno da coloro che amano Gesù
C. vv. 25-31: Ultimi suggerimenti di Gesù prima della sua dipartita

Il passo della liturgia odierna è tratto dunque dalla seconda unità testuale (vv. 15-24), che sarebbe meglio leggere per intero, evitando di sospendere lo sviluppo del pensiero giovanneo, che sta costruendo un parallelo tra il ritorno di Gesù, la presenza del Padre e, insieme, la venuta dello Spirito già annunziata nei vv. 16-17. D’altra parte a giustificare una cesura dell’unità dopo il v. 20 sta il cambio di soggetto: la seconda per-sona plurale sino al v. 20 e la terza persona singolare dal v. 21 al v. 24 (a parte la domanda incidentale del v. 22, che però serve a connettere il v. 21 ai vv. 23-24 più che a separare le diverse sottounità in cui appare la triade).
[Gesù disse ai suoi discepoli:]
15 Se mi amerete, osserverete 5a i miei comandi 16 e io pregherò il Padre, e vi darà un altro Difensore, perché sia con voi per sempre: 17 il vero Spirito, che il mondo non può ricevere, poiché non lo vede e non lo riconosce. Voi invece lo riconoscete, perché presso di voi rimane 6b e starà b in voi! 18 Non vi lascio orfani; sto per venire da voi! 19 Ancora poco e il mondo non mi ve-drà più. Ma voi mi vedrete, poiché io vivo e anche voi vivrete. 20 In quel giorno saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi!
21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.
22Gli disse Giuda, non l’Iscariota:
– Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?
23 Gli rispose Gesù:
– Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Molti commentatori hanno scorto in questo passo un andamento triadico. Il sintagma «amatemi» (o simili), domina in questa pericope e occorre per tre volte, nei ver-setti 15, 21 e 23. Ciascuna volta è ripetuta la promessa che si avrà una presenza divina in coloro che adempiranno la richiesta: nei vv. 15-17 è lo Spirito-Paraclito che verrà ad abitare nei discepoli; nei vv. 18-21 è Gesù che verrà ad abitare nei discepoli; (la do-manda del v. 22 è funzionale); nei vv. 23-24 è il Padre che verrà con Gesù a prendere dimora nei discepoli. È sorprendente che queste formule triadiche siano frequenti an-che nelle lettere di Paolo (cf 1 Cor 12,4-6; 2 Cor 13,14; Ef 4,4-6). Rimangono aperte tante ipotesi su come spiegare l’evoluzione della triade. Per quel che riesco a capire del Medio Giudaismo, allo schema tipicamente giudaico della šekînâ divina (la presenza di JHWH in mezzo a Israele), si è aggiunta l’idea profetica della nuova alleanza (lo Spirito di Ez 36,24-28) e la presenza dello Spirito si è venuta precisando – con la confessione pasquale – come la presenza dello Spirito del Risorto e quindi la presenza del Figlio dell’Uomo glorificato.
Senza entrare in sterili dispute, si possono effettivamente notare tre tipi di inabitazione divina. Difficile rintracciare l’ambiente preciso della loro origine. Sta di fatto che ciascuna di esse, come nota R. E. Brown, inizia o finisce con Gesù che invita il discepolo ad amarlo e ad osservare i suoi comandamenti.
Nella teologia giovannea è il vero Spirito (τὸ πμεῦμα τῆς ἀληθείας), lo Spirito di Gesù – per questa ragione lo Spirito è un «altro» Paraclito rispetto a Gesù – che porta a pienezza la rivelazione del Dio vivo e vero, colui che rende possibile l’inabitazione del Padre e del Figlio nel credente.
Il Paraclito è la presenza di Gesù mentre Gesù è assente, così che la frase «Io torno a voi» nel v. 18 non è in contraddizione con l’idea che il Paraclito sarà inviato. E dal momento che il Padre e Gesù sono uno, la presenza del Padre e Gesù non è altra cosa rispetto alla presenza di Gesù nel Paraclito.
C’è poi da notare che Gv 16,4b-33 sarà una duplicazione di questo capitolo, ma con sfumature diverse. La vera ripresa, come ha sottolineato M.É. Boismard, sta nelle let-tere giovannee, ma iuxta modum: in quanto il cap. 14 è cristocentrico, mentre la 1 Gv è centrata su Dio. Quanto in questa pagina evangelica è indirizzato verso l’amare Gesù (cf vv. 21, 23-24), nella Prima Lettera di Giovanni è indirizzato verso l’amare Dio (cf 1 Gv 4,20-21; 5,2-3). Quanto ora si dice in riferimento all’osservare i comandamenti di Gesù, nella lettera si dice per l’osservare i comandamenti di Dio, perché Dio possa dimorare nei credenti alla maniera di Gesù (1 Gv 3,24; 4,12-16).
L’effetto della comunicazione della sua vita (lo Spirito), sarà un’esperienza di identificazio-ne. Lo Spirito, che procede dal Padre (15,26) e che Gesù comunica ai discepoli, fa loro co-
noscere che Gesù e il Padre sono uno (10,30), ed essi, a loro volta, nella comunione dello stesso Spirito, sono uno con lui.
Gesù è identificato con il Padre, perché ha lo stesso Spirito, ha la stessa pienezza d’amore (1,14); i discepoli lo sono con Gesù attraverso l’amore per lui e per i fratelli, che è lo Spirito ricevuto. Così si verifica la perfetta unione della comunità con il Padre, suo Dio, attraverso Gesù (17,21. 23). È un’esperienza di unità e di integrazione, una comunione di vita fra Dio e l’uomo. Gesù vincola Dio agli uomini.
Si costituisce così un nucleo da cui irradio l’amore: la comunione identificata con Gesù e, attraverso di lui, con il Padre, In essa e attraverso di essa, si esercita l’azione salvifica di Dio nell’umanità.

PER LA NOSTRA VITA

1. Il Padre ha affidato ogni giudizio al Figlio dell’uomo: si tratta del “giudizio del giudizio”, del giudizio crocifisso. “Il Padre è l’Amore che crocifigge, il Figlio è l’Amore crocifisso e lo Spirito Santo è la potenza invincibile della Croce”. Questa potenza si concretizza nei soffi e nelle effusioni del Paraclito, di colui che sta “accanto a noi” e ci difende e ci consola. Lo Spirito è la gioia di Dio e dell’uomo. Il Cristo non ci chiede che di abbandonarci totalmente a questa gioia: «Me ne vado per prepararvi un posto … Ritornerò a prendervi con me, affinché, là dove sono io, siate anche voi» (Gv 14,2-3). […] Questo giorno non è solo uno scopo o la fine della storia, ma è il mistero di Dio nella sua pienezza. P.N. EVDOKIMOV, L’amore folle di Dio, Traduzione di G. VENDRAME (Dimensioni dello Spirito 4), Edizioni Paoline, Roma 1981, 19832, p. 108.


2. Siamo rematori di barca, nella fatica, o sospinti dal vento dello Spirito: vele? Con questa domanda semplice e una immagine disarmante un vecchio monaco, intro-duceva la sua conversazione sulla vita “spirituale”. […]
Non è consuetudine del nostro pensiero fidarci che una energia agisce per noi e con noi, in noi, una forza di “altra razza”, di altra origine. Consumatori e frettolosi somi-gliamo proprio a chi per andare avanti è costretto a remare, nella fatica, nel mare della vita. Più difficile fermarsi e percepire che le cose più belle, che le forze più nascoste non siano di “nostra proprietà ed origine”.
Lo Spirito Santo sta nel tempo e nelle nostre esistenze. Custoditi dal dono del Cri-sto pasquale viviamo l’affidamento impegnativo della libertà nella verità. Con noi stessi, nelle relazioni, nelle vicende che ci accadono. Lo Spirito, soffio e forza, trama con noi un “sapere della vita, nella vita per fare verità radicale, per donarci uno sguardo limpi-do, per insegnarci parole coraggiose, schiette e necessarie sulla realtà. F. CECCHETTO, Testi inediti.

3. Lo spirito è evento/avvento, incontro/scontro con qualcosa di irriducibile a noi, ma che s’impone, che ridisegna i confini del mondo. Lo spirito ci raggiunge nella for-ma dell’amore, del dolore, della pietà; ci viene incontro nell’esaltazione della bellezza, nell’obbrobrio, nella disperazione e ci chiama, ci invita all’opera. Lo spirito avanza nelle cose, ci scuote dall’indifferenza, desta l’anima dal suo torpore:
Lava quod est sordidum
Riga quod est aridum
Sana quod est saucium
Fove quod est frigidum
Rege quod est devium.

Lo spirito ci invita: di più, ci obbliga. In questo senso è giusto dire che lo spirito “è colui che viene”. Meglio ancora “colui che verrà”, che è sempre da venire. Fino a che siamo in vita, infatti, siamo sempre in lotta, sentiamo il bisogno di un nostro comple-tarci. In questo senso lo spirito è per definizione colui che è promesso: Tu rite promissum Patris. S. NATOLI, Lo spirito della terra, in Lo Spirito Santo, in «Parola, Spirito e Vita» n. 38 (1998), p. 322.



4. La vita accetterà la verità e prenderà di essa ciò che la sua necessità richiede e niente di più. Il sorriso dell’esperienza di fronte alla scienza scaturisce infatti dalla sproporzione per lei scandalosa tra la verità e la vita; sproporzione che fa sì che a volte la vita retroceda intimorita e rimanga senza peso. […] L’esperienza irrinunciabile si trasmette infatti unicamente se viene rivissuta, non semplicemente appresa, e la verità di cui la vita ha bisogno è solo quella che in essa rinasce e rivive, che è capace di rina-scere tante volte quante ne ha bisogno.
È la verità nascente e ri-nascente, operante, la sola che trae il suo senso dall’essere vissuta, dal trasformare una vita, senza però fare violenza. [...] Non assumerà mai per-tanto la forma enunciativa, non sarà mai una dichiarazione completa. […] L’esperienza è frutto del tempo e non ne prescinde: lo innalza piuttosto senza distruggerlo, lasciandolo essere nel suo accadere. […] Non esige e non invita a sfuggire dall’istante, ma neppure l’abbandona come mera irrazionalità.  M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima, Traduzione di E. NOBILI, Edizione italiana a cura di R. PREZZO (Minima 31), Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pp. 66-67.


5. Doni sempre nuovi…
Lo Spirito, accompagnandoci nel tempo, scrive un alfabeto nuovo nella nostra umanità, crea un linguaggio per i discepoli di Gesù che stanno nella storia a pieno titolo, senza vie di fuga “spiritualistiche”, appunto, accettando le sfide. I suoi doni, che ci umanizzano e ci trasfigurano, ci donano possibilità di presenza ricreata, purificata, coraggiosa. Siamo la memoria di Cristo, non quella tradita dalle convenienze e dagli opportunismi anche religiosi, o quella resa inetta e smemorata dalla passività e dalla dissociazione tra ciò che crediamo e viviamo. Memoria viva di un dono che si offre in modo sempre nuovo. F. CECCHETTO, Testi inediti.



6. Noi non possiamo che “ricordare”: perché quando ci riferiamo a Cristo, il nostro rimando è a Gesù di Nazaret, esistito, morto, risorto. Quel Gesù che ci è contem-poraneo ed è il nostro futuro, è veramente anche il nostro passato. […] Egli è l’ultima, conclusiva Parola di Dio. […] Per questo, un cristiano è una “memoria” di Cristo: non lo inventa, non dice altro che Lui, per quanto a modo suo, senza ripeterlo o copiarlo materialmente mai. Lo Spirito Santo, la sua “Guida”, gli apre la possibilità di diventa-re, senza paure e senza vergogna, una viva “memoria” di Cristo, richiamandogli “tutto ciò che Egli ha insegnato”, e facendoglielo comprendere ed accettare. La fedeltà con cui lo Spirito Santo rimanda a Cristo (“Dirà quanto ascolta… prenderà del mio per comunicarvelo”: cf Gv 16,13-15) garantisce la fedeltà del rimando a Lui dei suoi disce-poli e quindi la possibilità per la chiesa di “evangelizzare” nel mondo. G. MOIOLI, Temi cristiani maggiori, a cura di D. CASTENETTO (Contemplatio 5), Glossa, Milano 1992, p. 57.

7. Uno – sembra di scorgerlo – a segnare la stagione che viviamo, e a offrirsi come nuova parola evangelica nella nostra cultura, nei nostri giorni … Più come sfida affascinante e intrigante. Affermare che lo Spirito è una “forza mite” sembra un contrasto. Non debole, mite. Conosciamo per esperienza la distruttività e la violenza che si esplica nel nostro tempo, e confondiamo la forza con il predominio sull’altro, sulle cose. Familiarizzare con la “mitezza” come una compagna di strada, conosciuta “mangiando” giorno dopo giorno la Parola da autentici discepoli, trasforma il pensare e l’agire, senza colpi di scena, rendendoci creativi e capaci di generare l’alternativa alla distruzione della vita, dei valori, della verità. F. CECCHETTO, Testi inediti.


8. Un dono disertato…
Rara nella vita quotidiana e nella storia, facile da confondere con la passività innocua ma impotente, la mitezza chiede con urgenza una nuova attenzione. Essa rischia di rimanere nell’irrilevanza anche perché è per natura discreta, estranea a quella visibilità che viene ossessivamente ricercata da chiunque voglia contare socialmente, politicamente o anche religiosamente. […] (p. 71)
In un mondo di cui si immagina, a torto, che sia tenuto insieme dalla competitività e dalla necessità delle leggi del mercato, la gratuità pacifica della mitezza e la sua liber-tà da qualsiasi costrizione o automatismo sembrano estranee alla sfera umana, attri-buibili o all’innocua esistenza degli animali domestici, oppure alla divinità dell’ingenua devozione popolare. Persino Dio, se vuole contare presso gli uomini, deve non farsi prendere per mite, giacché solo la Potenza che schianta i nemici e chiede sacrifici umani appare credibile in quanto divina. Nel clima fosco della cultura della competi-zione e del terrore, il darsi della mitezza risulta un miracolo. […] La mitezza è la rottu-ra dell’universo persecutorio, la fine della sua logica e l’interruzione del suo contagio. Essa evoca anzitutto la novità incalcolabile di una trascendenza sul male. […] (pp. 72-73)
Ecco la profezia dei miti: attestare dal fondo di una società violenta che la pace e l’uscita dal male sono esperibili, non lontani mille anni avanti a noi, ma per così dire a lato della quotidianità ordinaria, accessibili in un altro presente prossimo al presente immediato di ognuno. Dal male c’è ritorno, riemersione, liberazione. Esistere con mitezza è avvento e dilatazione di questo altro presente nel tempo ordinario.  R. MANCINI, La laicità come metodo, pp. 71-78.

9. La gioia pasquale non è solamente quella di una trasfigurazione possibile: essa è quella della nuova Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito Paráclito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. Egli richiama alla sua memoria, mediante il ministero di grazia e di verità esercitato dai successori degli Apostoli, l’insegnamento stesso del Signore. Egli suscita in essa la vita divina e l’apostolato. E il cristiano sa che questo Spirito non sarà mai spento nel corso della storia. La sorgente di speranza manifestata nella Pentecoste non si esaurirà.
Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, dei quali egli è il reciproco amore vivente, è dunque comunicato d’ora innanzi al Popolo della nuova Alleanza, e ad ogni anima disponibile alla sua azione intima. Egli fa di noi la sua abitazione: dulcis hospes animæ. Insieme con lui, il cuore dell’uomo è abitato dal Padre e dal Figlio. Lo Spirito Santo suscita in esso una preghiera filiale, che sgorga dal più profondo dell’anima e si esprime nella lode, nel ringraziamento, nella riparazione e nella supplica, Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo: essa consiste nel fatto che lo spirito umano trova riposo e un’intima soddisfazione nel possesso di Dio Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui. Una tale gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più alta, vengono trasfigu-rate. Questa gioia, quaggiù, includerà sempre in qualche misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente, simile a quello dell’orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei di-scepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia spirituale, che nessuno potrà loro togliere.
Tale è la legge fondamentale dell’esistenza cristiana, e massimamente della vita apo-stolica. Questa, poiché è animata da un amore urgente del Signore e dei fratelli, si ma-nifesta necessariamente sotto il segno del sacrificio pasquale, e per amore va incontro alla morte, e attraverso la morte alla vita e all’amore. Donde la condizione del cristiano, e in primo luogo dell’apostolo, che deve diventare il «modello del gregge» e associarsi liberamente alla passione del Redentore. Essa corrisponde così a ciò che è stato defini-to nel Vangelo come la legge della beatitudine cristiana, in continuità con la sorte dei profeti: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi».
Non ci mancano purtroppo occasioni di verificare, nel nostro secolo così minacciato dall’illusione di false felicità, l’incapacità dell’uomo «naturale» a comprendere «le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito». Il mondo – quello che è inetto a ricevere lo Spirito di Verità, ch’esso non vede né conosce – non scorge che un aspetto delle cose. Esso considera soltanto l’afflizione e la povertà del discepolo, quando questi dimora sempre nel più profondo di se stesso nella gioia, perché egli è in comunione col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. PAOLO VI, La gioia secondo il Nuovo Testamento, in Gaudete in Domino, ca

venerdì 18 maggio 2012

VII domenica di Pasqua Ascensione del Signore


VII settimana di Pasqua
ASCENSIONE DEL SIGNORE - Solennità

Avviso

La celebrazione dell'Ascensione è avvenuta giovedì 17 nella sua collocazione tradizionale; ma nelle parrocchie è probabile che la VII domenica di Pasqua veda la nuovamente la celebrazione dell'Ascensione per consentire a tutti i fedeli di viverla.  

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 1, 6-13a

In quei giorni. Quelli che erano con lui domandavano a Gesù: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi.          

SALMO
Sal 46 (47)

             ®  Ascende il Signore tra canti di gioia.
             oppure
             ®  Alleluia, alleluia, alleluia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra. ®

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni. ®

Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4, 7-13

Fratelli, a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: / «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, / ha distribuito doni agli uomini».
Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.                 
 
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 24, 36b-53

In quel tempo. Il Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Commento
La vicenda umana di questo Gesù di Nazaret - paradigma di ogni sana umanità che vuol realizzarsi secondo il disegno di Dio - termina “in cielo”, cioè nella partecipazione piena - proprio anche nella sua umanità - alla vita divina in Casa Trinità.
Destino appunto anche nostro, così fissato dalle parole di Paolo: “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Epist.).

1) L’UOMO PERFETTO

L’illusione pagana, da sempre, è quella di credere ad una autonoma misura di umanità, ad un progetto di riuscita umana indipendentemente da quanto Dio Creatore ha stabilito in noi, “predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1,4-5). La “misura”, cioè il progetto unico di uomo, è lui, Gesù, figlio di Dio e, con l’ascensione, erede, dove siede alla destra del Padre. Solo lì possiamo leggere la nostra vera vicenda e lo sbocco positivo che ci libera dalle angosce della morte e chiarisce molti enigmi della vita. Gesù è andato, come nostro fratello maggiore, “a prepararci un posto. E quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,2-3).
Un destino anche di risurrezione del corpo. Nelle apparizioni ai discepoli, Gesù insiste molto sulla sua realtà di corpo risorto: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che ho io”. Come sia anche il nostro corpo nell’aldilà, Paolo afferma che sarà un corpo incorruttibile, nella gloria, risorto in potenza e spirituale, cioè sotto la signoria dello Spirito (cf 1Cor 15,35-53). Troppi, che si dicono cristiani, pensano ancora solo alla “immortalità dell’anima”; cose da vecchi filosofi greci! Gesù ha insistito sull’intimità con Dio, parte viva di Casa Trinità: “In verità io vi dico: si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). Saremo a cena da Dio, e lui nostro cameriere!
“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). In cima al Monte degli Ulivi Gesù ha dato appuntamento: “Verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Prosegue Paolo: “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria” (Col 3,4). Tempo di attesa e nostalgia del cielo deve essere il nostro, come lo vivevano i Santi. “Carissimi - esorta san Giovanni - noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).

2) MI SARETE TESTIMONI

“Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni”. Finito il tempo del Gesù terreno, inizia il tempo della Chiesa: “asceso in alto, ha distribuito doni agli uomini” (Epist.). Il mandato è stato dato agli apostoli, ma con la prospettiva universale: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. Per questo “egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero” (Epist.). Una testimonianza e un ministero già legato al battesimo, che si articola poi nei vari ministeri di una Chiesa sempre più viva e coordinata.
Ma viva e coordinata non tanto dagli uomini, ma dallo Spirito Santo. “Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi” (Lett.). E’ opera di Dio direttamente la gestione della sua Chiesa: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,4-7). Anche Paolo, pur cosciente d’aver molto faticato per il vangelo, riconosce: “non però io, ma la grazia di Dio che è in me” (1Cor 15,10).
Ma testimoni di che cosa? Vien da pensare che ci sia oggi un’enfasi sul caritativo e il sociale, e si dimentichi quella “nostalgia del cielo” della quale erano così provocatoriamente testimoni i Santi. San Paolo così pensava dei suoi cristiani di Corinto: “Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta” (2Cor 11,2). Troppi amori invadono la nostra vita. Ma siamo, se credenti, ormai fidanzati per un unico matrimonio che solo soddisfa pienamente il nostro bisogno d’amore. Sempre Paolo dichiara il suo unico amore: “Non vivo più io; ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Fossimo capaci di questa coerenza col nostro più vero essere!