DOMENICA DI
PENTECOSTE 2012-05-24 - Solennità
LETTURA
Lettura
degli Atti degli Apostoli 2, 1-11
Mentre stava
compiendosi il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme
nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento
che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro
lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e
tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue,
nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano
allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A
quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva
parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia,
dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai
ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi,
Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto
e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della
Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e
Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di
Dio».
SALMO
Sal 103
(104)
® Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra.
Benedici il
Signore, anima mia!
Sei tanto
grande, Signore, mio Dio!
Quante sono
le tue opere, Signore!
La terra è
piena delle tue creature. ®
Togli loro
il respiro: muoiono,
e ritornano
nella loro polvere.
Mandi il tuo
spirito, sono creati,
e rinnovi la
faccia della terra. ®
Sia per
sempre la gloria del Signore;
gioisca il
Signore delle sue opere.
A lui sia
gradito il mio canto,
io gioirò
nel Signore. ®
EPISTOLA
Prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 1-11
Riguardo ai
doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. Voi sapete
infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun
controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto
l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire:
«Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono
diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno
solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto
in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il
bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio
di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di
conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico
Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il
dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro
la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte
queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come
vuole.
VANGELO
Lettura del
Vangelo secondo Giovanni 14, 15-20
In quel
tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i
miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito
perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non
può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli
rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora
un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e
voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e
io in voi».
Commento
L’ampia sezione di Gv 13-17, che
è una “contemplazione teologica” della Pasqua di Gesù; è divisa in tre sequenze,
ciascuna con una propria caratterizzazione:
a) capp. 13-14:
l’ultimo δεῖπμομ «pasto» (13,2. 4) consumato da Gesù con i suoi discepoli,
prima di uscire fuori (14,31; in realtà l’attraversamento del Cedron per
entrare nel «giardino» del Getsemani avviene solo in 18,1). Questa prima
sequenza è la fondazione della comunità dei discepoli che deve costituirsi sul
comandamento dell’amore;
b) capp. 15-16: il
“testamento” di Gesù, con un’ambientazione “spirituale” più che topografica
(sembra che Gesù parli al di fuori di ogni luogo). Le parole del Maestro sono
una consegna alla comunità dei discepoli che dovrà passare in mezzo a un mondo
di odio e di morte. Il sostegno dello Spirito permetterà ad essi di non
smarrire la certezza di essere amati dal Padre e di poter vincere quel mondo;
c) cap. 17: la
“preghiera” di Gesù, con la sua intercessione per i discepoli del primo gruppo
(vv. 6-19) e i discepoli delle generazioni future (vv. 20-23), perché tutti
possano portare a compimento quel disegno di comunione già voluto dal Padre
«prima della creazione del mondo».
Nei capp. 13-14, si ha il primo
sviluppo del “testamento” di Gesù, a partire da quanto egli ha compiuto lavando
i piedi ai suoi discepoli, che si potrebbe titolare «l’addio di Gesù e il
futuro dei discepoli» (Gv 13,31 – 14,31):
Introduzione (13,31-38):
L’addio e il suo comandamento dell’amore
A. vv. 14:1-14: Gesù come via al
Padre per coloro che credono il lui
B. vv. 15-24: Il Paraclito, Gesù
e il Padre andranno da coloro che amano Gesù
C. vv. 25-31: Ultimi suggerimenti
di Gesù prima della sua dipartita
Il passo della liturgia odierna è
tratto dunque dalla seconda unità testuale (vv. 15-24), che sarebbe meglio
leggere per intero, evitando di sospendere lo sviluppo del pensiero giovanneo,
che sta costruendo un parallelo tra il ritorno di Gesù, la presenza del Padre
e, insieme, la venuta dello Spirito già annunziata nei vv. 16-17. D’altra parte
a giustificare una cesura dell’unità dopo il v. 20 sta il cambio di soggetto:
la seconda per-sona plurale sino al v. 20 e la terza persona singolare dal v.
21 al v. 24 (a parte la domanda incidentale del v. 22, che però serve a
connettere il v. 21 ai vv. 23-24 più che a separare le diverse sottounità in
cui appare la triade).
[Gesù disse ai suoi discepoli:]
– 15 Se mi amerete, osserverete 5a i miei comandi 16 e io pregherò il
Padre, e vi darà un altro Difensore, perché sia con voi per sempre: 17 il vero Spirito,
che il mondo non può ricevere, poiché non lo vede e non lo riconosce. Voi
invece lo riconoscete, perché presso di voi rimane 6b e starà b in voi! 18 Non vi lascio
orfani; sto per venire da voi! 19 Ancora poco e il mondo non mi ve-drà più. Ma voi mi
vedrete, poiché io vivo e anche voi vivrete. 20 In quel giorno saprete che io
sono nel Padre mio e voi in me e io in voi!
21 Chi accoglie i
miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà
amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.
22Gli disse Giuda,
non l’Iscariota:
– Signore, come
è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?
23 Gli rispose
Gesù:
– Se uno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le
mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha
mandato.
Molti commentatori hanno scorto
in questo passo un andamento triadico. Il sintagma «amatemi» (o simili), domina
in questa pericope e occorre per tre volte, nei ver-setti 15, 21 e 23. Ciascuna
volta è ripetuta la promessa che si avrà una presenza divina in coloro che
adempiranno la richiesta: nei vv. 15-17 è lo Spirito-Paraclito che verrà ad
abitare nei discepoli; nei vv. 18-21 è Gesù che verrà ad abitare nei discepoli;
(la do-manda del v. 22 è funzionale); nei vv. 23-24 è il Padre che verrà con
Gesù a prendere dimora nei discepoli. È sorprendente che queste formule
triadiche siano frequenti an-che nelle lettere di Paolo (cf 1 Cor 12,4-6; 2 Cor
13,14; Ef 4,4-6). Rimangono aperte tante ipotesi su come spiegare l’evoluzione
della triade. Per quel che riesco a capire del Medio Giudaismo, allo schema
tipicamente giudaico della šekînâ divina (la
presenza di JHWH
in
mezzo a Israele), si è aggiunta l’idea profetica della nuova alleanza (lo
Spirito di Ez 36,24-28) e la presenza dello Spirito si è venuta precisando –
con la confessione pasquale – come la presenza dello Spirito del Risorto e
quindi la presenza del Figlio dell’Uomo glorificato.
Senza entrare in sterili dispute,
si possono effettivamente notare tre tipi di inabitazione divina.
Difficile rintracciare l’ambiente preciso della loro origine. Sta di fatto che
ciascuna di esse, come nota R. E. Brown, inizia o finisce con Gesù che invita
il discepolo ad amarlo e ad osservare i suoi comandamenti.
Nella teologia giovannea è il
vero Spirito (τὸ πμεῦμα τῆς ἀληθείας), lo Spirito di Gesù – per questa ragione
lo Spirito è un «altro» Paraclito rispetto a Gesù – che porta a pienezza la
rivelazione del Dio vivo e vero, colui che rende possibile l’inabitazione del
Padre e del Figlio nel credente.
Il Paraclito è la presenza di
Gesù mentre Gesù è assente, così che la frase «Io torno a voi» nel v. 18 non è
in contraddizione con l’idea che il Paraclito sarà inviato. E dal momento che
il Padre e Gesù sono uno, la presenza del Padre e Gesù non è altra cosa
rispetto alla presenza di Gesù nel Paraclito.
C’è poi da notare che Gv 16,4b-33
sarà una duplicazione di questo capitolo, ma con sfumature diverse. La
vera ripresa, come ha sottolineato M.É. Boismard, sta nelle let-tere giovannee,
ma iuxta modum: in quanto il cap. 14 è cristocentrico, mentre la 1 Gv è
centrata su Dio. Quanto in questa pagina evangelica è indirizzato verso l’amare
Gesù (cf vv. 21, 23-24), nella Prima Lettera di Giovanni è indirizzato verso
l’amare Dio (cf 1 Gv 4,20-21; 5,2-3). Quanto ora si dice in riferimento
all’osservare i comandamenti di Gesù, nella lettera si dice per l’osservare i
comandamenti di Dio, perché Dio possa dimorare nei credenti alla maniera di
Gesù (1 Gv 3,24; 4,12-16).
L’effetto della comunicazione
della sua vita (lo Spirito), sarà un’esperienza di identificazio-ne. Lo
Spirito, che procede dal Padre (15,26) e che Gesù comunica ai discepoli, fa
loro co-
noscere che Gesù e il Padre sono
uno (10,30), ed essi, a loro volta, nella comunione dello stesso Spirito, sono
uno con lui.
Gesù è identificato con il Padre,
perché ha lo stesso Spirito, ha la stessa pienezza d’amore (1,14); i discepoli
lo sono con Gesù attraverso l’amore per lui e per i fratelli, che è lo Spirito
ricevuto. Così si verifica la perfetta unione della comunità con il Padre, suo
Dio, attraverso Gesù (17,21. 23). È un’esperienza di unità e di integrazione,
una comunione di vita fra Dio e l’uomo. Gesù vincola Dio agli uomini.
Si costituisce così un nucleo da
cui irradio l’amore: la comunione identificata con Gesù e, attraverso di lui,
con il Padre, In essa e attraverso di essa, si esercita l’azione salvifica di
Dio nell’umanità.
PER LA NOSTRA VITA
1. Il Padre ha affidato ogni
giudizio al Figlio dell’uomo: si tratta del “giudizio del giudizio”, del
giudizio crocifisso. “Il Padre è l’Amore che crocifigge, il Figlio è l’Amore
crocifisso e lo Spirito Santo è la potenza invincibile della Croce”. Questa
potenza si concretizza nei soffi e nelle effusioni del Paraclito, di colui che
sta “accanto a noi” e ci difende e ci consola. Lo Spirito è la gioia di Dio e
dell’uomo. Il Cristo non ci chiede che di abbandonarci totalmente a questa
gioia: «Me ne vado per prepararvi un posto … Ritornerò a prendervi con me,
affinché, là dove sono io, siate anche voi» (Gv 14,2-3). […] Questo giorno
non è solo uno scopo o la fine della storia, ma è il mistero di Dio nella sua
pienezza.
P.N.
EVDOKIMOV, L’amore
folle di Dio, Traduzione di G. VENDRAME (Dimensioni dello Spirito 4),
Edizioni Paoline, Roma 1981, 19832, p. 108.
2. Siamo rematori di barca, nella
fatica, o sospinti dal vento dello Spirito: vele? Con questa domanda semplice e
una immagine disarmante un vecchio monaco, intro-duceva la sua conversazione
sulla vita “spirituale”. […]
Non è consuetudine del nostro
pensiero fidarci che una energia agisce per noi e con noi, in noi, una forza di
“altra razza”, di altra origine. Consumatori e frettolosi somi-gliamo proprio a
chi per andare avanti è costretto a remare, nella fatica, nel mare della vita.
Più difficile fermarsi e percepire che le cose più belle, che le forze più
nascoste non siano di “nostra proprietà ed origine”.
Lo Spirito Santo sta nel tempo e
nelle nostre esistenze. Custoditi dal dono del Cri-sto pasquale viviamo
l’affidamento impegnativo della libertà nella verità. Con noi stessi, nelle
relazioni, nelle vicende che ci accadono. Lo Spirito, soffio e forza, trama con
noi un “sapere della vita, nella vita per fare verità radicale, per donarci uno
sguardo limpi-do, per insegnarci parole coraggiose, schiette e necessarie sulla
realtà.
F.
CECCHETTO, Testi
inediti.
3. Lo spirito è evento/avvento,
incontro/scontro con qualcosa di irriducibile a noi, ma che s’impone, che
ridisegna i confini del mondo. Lo spirito ci raggiunge nella for-ma dell’amore,
del dolore, della pietà; ci viene incontro nell’esaltazione della bellezza, nell’obbrobrio,
nella disperazione e ci chiama, ci invita all’opera. Lo spirito avanza nelle
cose, ci scuote dall’indifferenza, desta l’anima dal suo torpore:
Lava quod est
sordidum
Riga quod est
aridum
Sana quod est
saucium
Fove quod est
frigidum
Rege quod est
devium.
Lo spirito ci invita: di più, ci
obbliga. In questo senso è giusto dire che lo spirito “è colui che viene”.
Meglio ancora “colui che verrà”, che è sempre da venire. Fino a che siamo in
vita, infatti, siamo sempre in lotta, sentiamo il bisogno di un nostro
comple-tarci. In questo senso lo spirito è per definizione colui che è
promesso: Tu rite promissum Patris. S. NATOLI, Lo spirito della terra, in Lo
Spirito Santo, in «Parola, Spirito e Vita» n. 38 (1998), p. 322.
4. La vita accetterà la verità e
prenderà di essa ciò che la sua necessità richiede e niente di più. Il sorriso
dell’esperienza di fronte alla scienza scaturisce infatti dalla sproporzione
per lei scandalosa tra la verità e la vita; sproporzione che fa sì che a volte
la vita retroceda intimorita e rimanga senza peso. […] L’esperienza
irrinunciabile si trasmette infatti unicamente se viene rivissuta, non
semplicemente appresa, e la verità di cui la vita ha bisogno è solo quella che
in essa rinasce e rivive, che è capace di rina-scere tante volte quante ne ha
bisogno.
È la verità nascente e
ri-nascente, operante, la sola che trae il suo senso dall’essere vissuta, dal
trasformare una vita, senza però fare violenza. [...] Non assumerà mai
per-tanto la forma enunciativa, non sarà mai una dichiarazione completa. […]
L’esperienza è frutto del tempo e non ne prescinde: lo innalza piuttosto senza
distruggerlo, lasciandolo essere nel suo accadere. […] Non esige e non invita a
sfuggire dall’istante, ma neppure l’abbandona come mera irrazionalità. M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima,
Traduzione di E. NOBILI, Edizione
italiana a cura di R. PREZZO
(Minima
31), Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pp. 66-67.
5. Doni sempre nuovi…
Lo Spirito, accompagnandoci nel
tempo, scrive un alfabeto nuovo nella nostra umanità, crea un linguaggio per i
discepoli di Gesù che stanno nella storia a pieno titolo, senza vie di fuga
“spiritualistiche”, appunto, accettando le sfide. I suoi doni, che ci
umanizzano e ci trasfigurano, ci donano possibilità di presenza ricreata,
purificata, coraggiosa. Siamo la memoria di Cristo, non quella tradita dalle
convenienze e dagli opportunismi anche religiosi, o quella resa inetta e smemorata
dalla passività e dalla dissociazione tra ciò che crediamo e viviamo. Memoria
viva di un dono che si offre in modo sempre nuovo. F. CECCHETTO, Testi
inediti.
6. Noi non possiamo che “ricordare”:
perché quando ci riferiamo a Cristo, il nostro rimando è a Gesù di Nazaret,
esistito, morto, risorto. Quel Gesù che ci è contem-poraneo ed è il nostro
futuro, è veramente anche il nostro passato. […] Egli è l’ultima, conclusiva
Parola di Dio. […] Per questo, un cristiano è una “memoria” di Cristo: non lo
inventa, non dice altro che Lui, per quanto a modo suo, senza ripeterlo o
copiarlo materialmente mai. Lo Spirito Santo, la sua “Guida”, gli apre la
possibilità di diventa-re, senza paure e senza vergogna, una viva “memoria” di
Cristo, richiamandogli “tutto ciò che Egli ha insegnato”, e facendoglielo
comprendere ed accettare. La fedeltà con cui lo Spirito Santo rimanda a Cristo
(“Dirà quanto ascolta… prenderà del mio per comunicarvelo”: cf Gv 16,13-15)
garantisce la fedeltà del rimando a Lui dei suoi disce-poli e quindi la
possibilità per la chiesa di “evangelizzare” nel mondo. G. MOIOLI, Temi
cristiani maggiori, a cura di D. CASTENETTO (Contemplatio 5), Glossa, Milano
1992, p. 57.
7. Uno – sembra di scorgerlo – a
segnare la stagione che viviamo, e a offrirsi come nuova parola evangelica
nella nostra cultura, nei nostri giorni … Più come sfida affascinante e
intrigante. Affermare che lo Spirito è una “forza mite” sembra un contrasto.
Non debole, mite. Conosciamo per esperienza la distruttività e la violenza che
si esplica nel nostro tempo, e confondiamo la forza con il predominio
sull’altro, sulle cose. Familiarizzare con la “mitezza” come una compagna di
strada, conosciuta “mangiando” giorno dopo giorno la Parola da autentici
discepoli, trasforma il pensare e l’agire, senza colpi di scena, rendendoci
creativi e capaci di generare l’alternativa alla distruzione della vita, dei
valori, della verità.
F.
CECCHETTO, Testi
inediti.
8. Un dono disertato…
Rara nella vita quotidiana e
nella storia, facile da confondere con la passività innocua ma impotente, la
mitezza chiede con urgenza una nuova attenzione. Essa rischia di rimanere
nell’irrilevanza anche perché è per natura discreta, estranea a quella
visibilità che viene ossessivamente ricercata da chiunque voglia contare
socialmente, politicamente o anche religiosamente. […] (p. 71)
In un mondo di cui si immagina, a
torto, che sia tenuto insieme dalla competitività e dalla necessità delle leggi
del mercato, la gratuità pacifica della mitezza e la sua liber-tà da qualsiasi
costrizione o automatismo sembrano estranee alla sfera umana, attri-buibili o
all’innocua esistenza degli animali domestici, oppure alla divinità
dell’ingenua devozione popolare. Persino Dio, se vuole contare presso gli
uomini, deve non farsi prendere per mite, giacché solo la Potenza che schianta
i nemici e chiede sacrifici umani appare credibile in quanto divina. Nel clima
fosco della cultura della competi-zione e del terrore, il darsi della mitezza
risulta un miracolo. […] La mitezza è la rottu-ra dell’universo persecutorio,
la fine della sua logica e l’interruzione del suo contagio. Essa evoca
anzitutto la novità incalcolabile di una trascendenza sul male. […] (pp. 72-73)
Ecco la profezia dei miti:
attestare dal fondo di una società violenta che la pace e l’uscita dal male
sono esperibili, non lontani mille anni avanti a noi, ma per così dire a lato
della quotidianità ordinaria, accessibili in un altro presente prossimo al presente
immediato di ognuno. Dal male c’è ritorno, riemersione, liberazione. Esistere
con mitezza è avvento e dilatazione di questo altro presente nel tempo
ordinario.
R. MANCINI, La laicità come metodo,
pp. 71-78.
9. La gioia pasquale non è
solamente quella di una trasfigurazione possibile: essa è quella della nuova
Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché
esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito Paráclito è donato alla Chiesa come
principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. Egli
richiama alla sua memoria, mediante il ministero di grazia e di verità
esercitato dai successori degli Apostoli, l’insegnamento stesso del Signore.
Egli suscita in essa la vita divina e l’apostolato. E il cristiano sa che
questo Spirito non sarà mai spento nel corso della storia. La sorgente di
speranza manifestata nella Pentecoste non si esaurirà.
Lo Spirito che procede dal Padre
e dal Figlio, dei quali egli è il reciproco amore vivente, è dunque comunicato
d’ora innanzi al Popolo della nuova Alleanza, e ad ogni anima disponibile alla
sua azione intima. Egli fa di noi la sua abitazione: dulcis hospes animæ.
Insieme con lui, il cuore dell’uomo è abitato dal Padre e dal Figlio. Lo
Spirito Santo suscita in esso una preghiera filiale, che sgorga dal più
profondo dell’anima e si esprime nella lode, nel ringraziamento, nella
riparazione e nella supplica, Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente
spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo: essa consiste nel fatto che lo
spirito umano trova riposo e un’intima soddisfazione nel possesso di Dio
Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui.
Una tale gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le
umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più
alta, vengono trasfigu-rate. Questa gioia, quaggiù, includerà sempre in qualche
misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente,
simile a quello dell’orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una
soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei di-scepoli, che è secondo Dio e non
secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia spirituale, che nessuno
potrà loro togliere.
Tale è la legge fondamentale
dell’esistenza cristiana, e massimamente della vita apo-stolica. Questa, poiché
è animata da un amore urgente del Signore e dei fratelli, si ma-nifesta
necessariamente sotto il segno del sacrificio pasquale, e per amore va incontro
alla morte, e attraverso la morte alla vita e all’amore. Donde la condizione
del cristiano, e in primo luogo dell’apostolo, che deve diventare il «modello
del gregge» e associarsi liberamente alla passione del Redentore. Essa
corrisponde così a ciò che è stato defini-to nel Vangelo come la legge della
beatitudine cristiana, in continuità con la sorte dei profeti: «Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di
voi».
Non ci mancano purtroppo
occasioni di verificare, nel nostro secolo così minacciato dall’illusione di
false felicità, l’incapacità dell’uomo «naturale» a comprendere «le cose dello
Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché
se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito». Il mondo – quello che è
inetto a ricevere lo Spirito di Verità, ch’esso non vede né conosce – non
scorge che un aspetto delle cose. Esso considera soltanto l’afflizione e la
povertà del discepolo, quando questi dimora sempre nel più profondo di se
stesso nella gioia, perché egli è in comunione col Padre e col Figlio suo Gesù
Cristo. PAOLO VI, La gioia secondo
il Nuovo Testamento, in Gaudete in Domino, ca