Parola di Dio o Corpo di Cristo?
(Cesario di Arles)
Vi domando, fratelli e sorelle, che cosa vi sembra più importante: la Parola
di Dio, o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere bene, dovete senza dubbio
dire che la Parola di Dio non è da meno del Corpo di Cristo. E allora, se
poniamo tanta cura quando ci viene consegnato il Corpo di Cristo perché nulla
di esso cada per terra dalle nostre mani, non dovremmo porre altrettanta
attenzione perché la Parola di Dio, che ci è offerta, non sfugga dal nostro
cuore, cosa che avverrebbe se stiamo pensando ad altro? Colui che avrà
ascoltato con negligenza la Parola di Dio non sarà meno colpevole di colui che,
per la propria negligenza, avrà fatto cadere a terra il Corpo di Cristo.
LETTURA
Lettura
degli Atti degli Apostoli 26, 1-23
In quei
giorni. Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora
Paolo, fatto cenno con la mano, si difese così: «Mi considero fortunato, o re
Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai
Giudei, davanti a te, che conosci a perfezione tutte le usanze e le questioni
riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. La mia vita,
fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme,
la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne
testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida
della nostra religione. E ora sto qui sotto processo a motivo della speranza
nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù
sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A
motivo di questa speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! Perché fra voi è
considerato incredibile che Dio risusciti i morti?
Eppure anche
io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il
Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in
prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a
morte, anche io ho dato il mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di
costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di
loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere.
In tali
circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l’autorizzazione
dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal
cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio.
Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica:
“Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il
pungolo”. E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono
Gesù, che tu perséguiti. Ma ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso
infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me
e di quelle per cui ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui
ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce
e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità,
in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me”.
Perciò, o re
Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste, ma, prima a quelli di
Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e
infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di convertirsi a Dio, comportandosi
in maniera degna della conversione. Per queste cose i Giudei, mentre ero nel
tempio, mi presero e tentavano di uccidermi. Ma, con l’aiuto di Dio, fino a
questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro
affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere,
che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte,
avrebbe annunciato la luce al popolo e alle
genti».
SALMO
Sal 21 (22)
® A te la mia lode, Signore, nell’assemblea dei fratelli.
oppure
® Alleluia, alleluia, alleluia.
Lodate il
Signore, voi suoi fedeli,
gli dia
gloria tutta la discendenza di Giacobbe.
Scioglierò i
miei voti
davanti ai
suoi fedeli.
Ricorderanno
e torneranno al Signore
tutti i
confini della terra.®
Davanti a te
si prostreranno
tutte le
famiglie dei popoli.
A lui solo
si prostreranno
quanti
dormono sotto terra,
davanti a lui
si curveranno
quanti
discendono nella polvere.®
Io vivrò per
lui,
lo servirà
la mia discendenza.
Si parlerà
del Signore alla generazione che viene;
annunceranno
la sua giustizia;
al popolo
che nascerà diranno:
«Ecco
l’opera del Signore!». ®
EPISTOLA
Prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 3-11
Fratelli, a
voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè / che Cristo
morì per i nostri peccati secondo le Scritture / e che fu sepolto / e che è
risorto il terzo giorno secondo le Scritture / e che apparve a Cefa e quindi ai
Dodici.
In seguito
apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di
essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi
a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io
infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere
chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio,
però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho
faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.
Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete
creduto.
VANGELO
Lettura del
Vangelo secondo Giovanni 15, 26 - 16, 4
In quel
tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io
vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà
testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin
dal principio.
Vi ho detto
queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle
sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere
culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma
vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate,
perché io ve l’ho detto. / Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con
voi».
Commento
La
testimonianza della risurrezione di Gesù crocifisso è il punto fontale
dell’espe-rienza cristiana e il fondamento del kērygma (Epistola).
Davvero, come afferma Paolo: «Se Cristo non fosse risorto, vuoto sarebbe
il nostro kērygma e vuota la vostra fede» (1 Cor 15,14). Non si
avrebbe né l’oggetto dell’annunzio né il contenuto della fede.
Tuttavia,
essere testimoni del Risorto significa attraversare la prova della croce co-me
il Maestro, «il quale, pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza [della fede]
dalle prove sofferte» (Eb 5,8). Anche Paolo attraversò tale esperienza, dopo il
suo incontro con Gesù, il vivente, sulla via di Damasco (cf Lettura).
Nessuno
però potrà mai dire: «Gesù è Signore» se non sotto l’azione dello Spirito santo
(cf 1 Cor 12,3): i discepoli hanno infatti bisogno di essere guidati dal
Paraclito, «avvocato, difensore, consolatore», lo Spirito che viene dal Padre,
per portare la sua te-stimonianza. È infatti lo Spirito che permette di continuare
il cammino di sequela dietro a Gesù. È lo Spirito che si fa primo testimone in
favore del Risorto e sempre sosterrà come «difensore» i discepoli sulle strade
della loro testimonianza sino agli estremi confini del mondo, facendo memoria
di quanto veramente Gesù ha detto (cf Vangelo).
La
risurrezione di Gesù è una «bella notizia», perché riguarda non soltanto lui,
ma anche tutti quelli che credono in lui, purché vivano secondo i suoi
insegnamenti: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti»
(1 Cor 15,20). «Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio,
per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono mor-ti» (1 Ts 4,14). La
risurrezione però non è soltanto un fatto futuro, ma è sperimentabile già ora
in una «vita nuova» (cfr Rm 6,4), non più in balia del peccato, ma guidata
dallo Spirito (cfr Rm 8,9-11), cioè «dall’amore di Dio effuso nei nostri cuori»
(Rm 5,5).
“Per
cogliere tutta la stupenda novità di questa «buona notizia», occorre però che
si abbia il coraggio di guardare in faccia alla morte in tutta la sua terribile
verità: essa è la fine a cui va incontro inesorabilmente tutto ciò che ha vita
sulla terra. Anche essa, come dice la scienza, non è eterna, ma finirà la sua
corsa. Anche le grandi opere d’arte un giorno non esisteran-no più. Anche della
basilica di San Pietro non resterà pietra su pietra. Che senso ha allora la nostra
vita? Oggi si preferisce non porsi questa domanda, tutti presi dalle cure della
vita: tutto è buono per stordirsi, distrarsi, divertirsi, cercando di
soddisfare il più possibile la «fame di mondo» e di cancellare la «sete di Dio»”
(E. CATTANEO, La risurrezione di Gesù, «La Civiltà Cattolica», 163,II
(2012) 165-166).
Focalizzandoci ora
sui due paragrafi della pericope evangelica vediamo che essi annunziano
l’attività dello «Spirito della veri-tà» nel rendere testimonianza a Gesù con i
discepoli (Gv 15,26-27) e il tempo di perse-cuzione che tale testimonianza
susciterà (16,1-4). Gesù ha già parlato ai discepoli della missione della sua
comunità (15,1-11) che vive nell’amore vicendevole (15,12-17) e del-la
persecuzione che il mondo ingiusto le opporrà (15,18-25). Ora indica il compito
del-la testimonianza, senza nascondere la difficoltà della persecuzione, ma
anche confor-tandoli con la promessa di aiuto di cui godranno (cf 16,4b-15).
15,26-27: Se
nella prima parte del discorso Gesù prometteva ai discepoli la perma-nenza in
loro dello Spirito della verità (Gv 14,17), che farà loro penetrare il suo
mes-saggio (14,26). Ora annuncia il ruolo che lo Spirito avrà nella missione:
rendere testi-monianza a favore di Gesù stesso, condannato dal mondo.
Lo Spirito, la rûaḥ
«vento, alito», è «l’alito di Dio», l’espressione della sua vita che «esce»
(procede) dall’intimo del suo essere. Il senso di “vento” ne indica al
tempo stesso la forza (cf Gn 1, 2): è lo Spirito creatore, che procede da Dio
stesso come Padre. Que-sto processo è continuo e rappresenta un flusso
incessante di vita che procede da Dio. Questo Spirito, che è forza e vita, e
perciò «Spirito della verità» (cf Gv 1,4: «e la vita era la luce dell’uomo»),
renderà testimonianza a Gesù, colui che è e dà la vita.
Renderà questa
testimonianza all’interno della comunità, assicurandola della verità del suo
messaggio e del suo operato. Si tratta della testimonianza profetica che
sostiene i discepoli, confermando l’esperienza dei suoi membri e sostenendo
l’atteggiamento di
rottura con il mondo
in senso negativo, quello che si oppone a Dio e si presenta come idolatria.
In questo passo Gesù
non parla di «suo Padre» (cf invece Gv 15,23-24), ma «del Pa-dre» tout court,
perché la relazione con «il Padre» sarà di ogni persona che risponderà al-la
sua chiamata. Lo Spirito, la forza di vita, è la salvezza che Gesù porta,
offerta all’umanità intera (Gv 3,17; 12,47).
La testimonianza
dello Spirito di fronte al mondo è continuata dalla testimonianza dei
discepoli. Lo «Spirito della verità» sarà in loro (Gv 14,17), e così la loro
voce sarà quella dello Spirito (Gv 3,8). Il confronto fra Gesù e il mondo non
terminerà con la morte di lui; al contrario, si estenderà tramite i suoi
discepoli.
Il Padre realizza il
suo disegno: dare vita all’umanità (Gv 6,40) inviando Gesù, cui comunica
pienamente il suo Spirito (Gv 1,32-34; 3,16s; 4,34; 5,30; 6,39.40). Gesù lo
comunica ai suoi perché essi continuino la sua opera. Lo Spirito, nella sua
testimo-nianza a favore di Gesù, la interpreta (cf Gv 14,25-26); il gruppo che
riceve questa te-stimonianza rinnova in ogni epoca l’opera di Gesù, e in questo
consiste la sua testimo-nianza.
I discepoli possono
rendere testimonianza a Gesù perché sono con lui fin dal prin-cipio. Bisogna
domandarsi cosa significhi questa espressione. Nel vangelo appaiono con Gesù
fin dal principio soltanto Andrea e un altro discepolo di Giovanni; poi, a
se-guire, Pietro, Filippo e Natanaele (Gv 1,35-51). L’espressione fin dal
principio non può quindi avere un semplice significato cronologico. Ogni
discepolo, in qualunque epoca, è chiamato a render testimonianza a Gesù. Queste
parole sono dunque valide e appli-cabili a ogni discepolo. Ciò che
l’evangelista afferma è che per rendere questa testimo-nianza è necessario accettare
come norma tutta la vita di Gesù, fin dal principio, senza separare il
Gesù risuscitato dal Gesù terreno. Mettersi in rapporto unicamente con Gesù
glorioso è la tentazione spiritualista e gnostica già della prima ora (cf 1 Gv
4,2-3; 5,6). L’insistenza di Giovanni è di accettare la singolarità di Gesù
Uomo-Dio.
Bisogna mettere in
parallelo due testimonianze che appaiono nel vangelo: quella di Giovanni
Battista, che precede la missione di Gesù, e quella dei discepoli, che la
segue.
La testimonianza del Battista
si concentrava sulla visione dello Spirito che scendeva e rimaneva su Gesù (Gv
1,32s) e sull’annuncio del dono dello Spirito (1,33); l’obiettivo della sua
missione era che il Messia si manifestasse a Israele (1,31).
La testimonianza dei
discepoli su Gesù riguarda invece la sua missione realizzata della quale essi
sono frutto e continuazione. Essi hanno ricevuto lo Spirito, che li so-stiene
nella loro missione, rendendo testimonianza insieme con loro. Giovanni
annun-ciava un fatto venturo; i discepoli, la loro esperienza con Gesù.
In questo modo,
Giovanni accentua la centralità di Gesù nella storia. Con il Battista termina
l’epoca dell’attesa. Dopo Gesù, che ha inaugurato la pienezza dei tempi,
spet-ta ai discepoli annunciare la loro esperienza di lui. Ma non si può
rendere tale testimo-nianza se non si è con lui, cioè se non si
sperimenta la sua presenza, e questo fin dal principio, accettando la
sua intera realtà umano-divina.
16,1-4a:
Nel Quarto Vangelo è la seconda volta che occorre il verbo σκανδαλίζω «scandalizzarsi».
In Gv 6,61 era collegato alla diserzione dei discepoli, che consideravano
in-sopportabile il suo messaggio. Ora è Gesù che previene i discepoli a
riguardo della loro possibile futura diserzione; ciò che sta per annunziare
loro è qualcosa che certamente accadrà (per colui che scrive il vangelo è già
accaduto!), per quanto contraddittorio possa apparire: vedersi cioè combattuti
proprio da quell’istituzione religiosa alla quale essi appartenevano.
Nel vangelo è già
stata ricordata due volte l’espulsione dalla sinagoga: la prima (Gv 9,22),
quando i genitori di colui che era nato cieco temevano l’espulsione decretata
dai «Giudei» contro coloro che avessero riconosciuto Gesù come Messia. La
seconda (Gv 12,42), i capi temevano il gruppo farisaico – il gruppo dei
«Giudei» più influente e più ostile a Gesù (Gv 4,1-3; 7,32. 47s; 8,13; 11,46) –
perché li avrebbero potuti fare espelle-re se si fossero pronunciati a favore
di lui. Si ricordi, a questo riguardo, che i «Giudei» per il Quarto Vangelo
sono le autorità di Gerusalemme e il titolo non è sinonimo di «Giudaismo»:
accanto al Giudaismo delle autorità Gerusalemme, i «Giudei» appunto, vi era
altre forme di Giudaismo che ad esso si opponevano: gli Esseni, gli Zeloti, i
Fari-sei che non erano parte del Sinedrio, gli Alessandrini, i Samaritani …
Gesù annuncia in
anticipo ai discepoli che sarebbero stati emarginati da quanti si proclamano
rappresentanti di Dio e interpreti della sua volontà, in particolare da colo-ro
che si ritenevano gli unici autentici interpreti della Legge. Non devono
allarmarsi se le istituzioni religiose li respingono. Non solo li
emargineranno, ma giungeranno a dar loro morte per eliminarli. Qui si
generalizza ormai gli oppositori: chiunque vi dia morte. L’orizzonte
dell’ostilità, anche includendo i Giudei, si è ampliato. Il conflitto potrà
sorgere in qualunque paese e di fronte a qualunque autorità.
Gesù li avverte che
le istituzioni religiose adorano un dio che accetta come culto la morte
dell’uomo. Se questo è il loro dio, sono omicidi per essenza (cf Gv 8,44). Gesù
invece è venuto a dare vita; il sistema di morte, di cui l’istituzione
religiosa giudaica è il prototipo, non ha altra alternativa che uccidere lui e
quanti lo rendono presente attra-verso la loro testimonianza. Di fatto, i suoi
massimi rappresentanti hanno già decretato la morte di Gesù (Gv 11,53) e quella
di Lazzaro (Gv 12,10). Si sono fabbricati un dio a propria immagine, e ora gli
sacrificano l’uomo.
L’istituzione
religiosa, che darà morte a Gesù e perseguiterà i suoi discepoli, è ben
rappresentata da quegli invalidi che riempivano i portici della piscina (Gv
5,3). L’oppressione di quell’istituzione produce morte a chi gli si sottomette
(Gv 5,21) e dà morte a chi le si oppone.
La missione di
Gesù, ora affidata ai discepoli, è di liberare l’umanità da un’obbedienza
idolatrica alle istituzioni religiose. Dietro la loro impressionante facciata
si può nascondere la frode più grande, l’idolatria: non conoscono il Padre,
cioè non conoscono Dio (Gv 5,37; 8,19. 47 e 54s). Il Dio che essi adorano e al
quale offrono culto non è quello vero (Gv 17,3), perché non è a favore
dell’uomo (Gv 5,10; 9,24 e 29): è l’antitesi della rivelazione portata da Gesù.
Questa è la ragione
della loro condotta omicida: non riconoscendo Dio come «il Pa-dre, la fonte
della vita e dell’amore incondizionato per l’uomo, non riconoscono nean-che
Gesù, che ne è la piena manifestazione e ha rivelato «il Padre suo» come colui
che colloca il bene dell’uomo al di sopra di qualunque Legge e istituzione.
Appare nuovamente
qui uno dei principi fondamentali della teologia giovannea: condizione per
aderire a Gesù è l’atteggiamento a favore dell’uomo (cf Gv 16,9), ri-spondendo
all’esperienza di Dio come Padre e all’impulso del suo progetto creatore (cf Gv
1,4; 6,45; 7,17). Quindi uccidere Gesù equivarrà a eliminare la paternità di
Dio. E svuotando Dio della sua autentica identità, riempiono il nome di Dio con
la proiezione delle loro ambizioni che producono morte. Di qui l’idolo omicida
(Gv 8,44).
Gesù ha prevenuto i
suoi discepoli. Descrivendo l’odio del mondo aveva loro an-nunciato la
persecuzione (Gv 15,20); ora spiega che anche le istituzioni religiose cui
es-si appartenevano possono far parte di questo “mondo” nemico di Dio. Il
“mondo” odierà i discepoli perché essi non aderiscono alla sua idolatria (Gv
15,18s).
Questo mondo avrà
la sua ora, quella del suo apparente trionfo. Sarà l’ora dell’odio mortale (cf
Gv 19,29), in opposizione all’ora di Gesù, espressione suprema dell’amore
vivificante. Ciò non dovrà essere una sorpresa per i discepoli: le istituzioni
condanne-ranno i discepoli di Gesù in nome di un proprio dio, come avvenne per
la condanna alla morte in croce di Gesù stesso (Gv 19,7; cf 11,48).
16,4b:
Il tema della seconda parte del v. 4 è ancora la persecuzione futura, ma è
anche l’introduzione del paragrafo in cui Giovanni distingue due “tempi”: il
tempo in cui i discepoli hanno vissuto accanto a Gesù e il tempo in cui essi
saranno sorretti dalla for-za dello Spirito. Il “mondo” è un avversario potente
e i discepoli, senza Gesù, si sento-no indifesi. Dovranno comprendere
che proprio lo Spirito sarà per loro ὁ παοάκληςξπ «avvocato, difensore e
consolatore». (Certo che il mezzo versetto lasciato lì dalla cesura liturgica
della pericope non è sufficiente per capire lo sviluppo dei vv. 4b-15).
PER LA NOSTRA VITA
1. Il tempo pasquale
non è il dopo-Pasqua e l’attesa del dono dello Spirito nella Pentecoste, ma un
tempo di pienezza, in se stesso. Tempo di gratuità e di approfon-dimento, alla
luce del mistero pasquale, tempo di contemplazione dei doni ricevuti e di nuovo
promessi, tempo in cui la presenza del Signore risorto ci addestra a essere
testi-moni della vita e della sua presenza nella storia, tempo in cui imparare
di nuovo a cre-dere che non le nostre forze ci renderanno capaci di cose
straordinarie, ma la sua “fa-miliarità con noi”, donata nella promessa. Il
tempo pasquale non è un’informazione “sui fatti” che accadranno ai discepoli,
ma la consolazione in atto e l’attesa sempre viva della forza dello Spirito per
testimoniare Lui. Nella liturgia impariamo a non lasciarci ingannare dalle cose
facili; Cristo Signore ci custodisce ma non ci esenta dalle prove, dalla
contraddizione. Con Lui attraversia-mo la vita, accogliendo con la gratitudine
di chi sa che sempre sarà raccolto, qualsiasi cosa accada. (F. CECCHETTO, Testi
inediti.)
2. Il cristianesimo
non si lascia ridurre a gergo privato, ancorché esaltante per i suoi. Il
cristianesimo parla – come Gesù – all’esperienza dell’umano che è comune,
condivisa o contraddetta che sia. Deve essere fermamente convinto che la Parola
rice-vuta da Dio, irrevocabile e immodificabile, è già questo. Se ha
questa fede, troverà an-che le nuove parole che sono necessarie. […] Quanto
alla necessità di uomini e donne liberamente disposti ad affrontare le sfide e
le necessità dell’ora presente, gioverà ricordare anzitutto che il Signore i discepoli
se li sceglie: non aspetta individui in cerca dell’occasione vincente,
dell’opportunità miglio-re, dell’autorealizzazione ottimale. Le vocazioni
troppo coccolate si aspettano ministeri-premio. […]
Mettere ingenuamente
in competizione il cristianesimo con le offerte sul mercato della felicità e
dell’autorealizzazione è un azzardo pericoloso. Capisco la passione di rendere
attraente un bene che ci sta a cuore. Ma come fai, dopo, a spiegare tutto il
re-sto del cristianesimo? Perché accade di dover dire anche cose che trafiggono
un’ingiustizia culturalmente attrezzata e lesta nella rappresaglia. Del meglio
che offri agli altri, forse, dovrai privarti tu stesso, un giorno, pur di
custodirli nella limpidezza di una verità che non riempie granai. (P. SEQUERI, Contro
gli idoli postmoderni (I Pellicani), Lindau, Torino 2011, pp. 91-92.)
3. Dio guarda il
nostro cammino; è una grazia che faccia questo; poteva anche la-sciarci andare
per la nostra strada, senza curarsi di noi. Ma egli ci ha guardato, e ci ha
visti feriti, smarriti, angosciati. Ora è qui per sanarci […] Dio ci vuole
guidare. Non tutte le vie dell’uomo portano a Dio; spesso andiamo per le nostre
vie in cui siamo in balìa del caso, sia che ci portino alla felicità che
all’infeli-cità. Le vie che percorriamo da noi ci riportano sempre, come in un
circolo, a noi stes-si. Le vie di Dio portano a Dio. Dio ci guida sempre e
soltanto a Dio. Dio ci guida e sempre soltanto a Dio, sia nella felicità che
nell’infelicità. In ciò riconosciamo che sono vie. Chi si aggrappa ad essi è
già liberato... Dio ci vuole consolare. Dio consola soltanto se esiste un
motivo sufficiente per far-lo, se l’uomo non si raccapezza, se l’assurdità
della vita lo angoscia. Il mondo, per co-me è in realtà, ci fa sempre paura. Ma
chi viene consolato, vede e ha più del mondo, ha la vita con Dio. Niente è
distrutto, perduto, assurdo, se Dio consola. (D. BONHOEFFER, Voglio vivere
questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A.
AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 181.)
4. L’Unigenito del
Padre è stato sì rivelato, ma non ne è scaturita una filosofia, per cui questa
rivelazione non è connessa con alcun processo logico, ma con lo stato della
povertà dell’uomo in ricerca di Dio. La quale, però, non può avvenire se Dio
per pri-mo non si fosse messo a cercare l’uomo. Trovato Dio, siamo noi che
dobbiamo poi ri-trovarci. È questa esperienza che edifica la comunità dei
credenti e che essa offre ad un mondo, sicuro e stabile nella sua autonomia,
nelle sue sufficienze.
La comunità dei
credenti sarà sempre più impegnata a qualificarsi come la comuni-tà degli
uomini che si amano, perché per primi essi sono stati amati dal Padre.
Sola-mente nel costante confronto con Dio-Amore può circolare la linfa
dell’amore anche tra gli uomini. (B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio.
Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di
Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, p. 66.)
5. Carissimi fedeli,
prima di allontanarsi con la sua umanità gloriosa dalla terra, Gesù assicura la
continuità della presenza divina fra gli uomini promettendo l’effusione dello
Spirito Santo. Ai suoi che rimangono lascia come eredità preziosa il Paraclito
– cioè: l’avvocato e il consolatore – il quale altro non è che l’amore di Dio
in persona. Lo Spirito di Dio ci appartiene, e prende possesso di noi, nella
misura in cui noi vogliamo appartenere a Cristo. L’azione dello Spirito conduce
per gradi l’uomo a una somiglianza effettiva col Cristo e garantisce la natura
umana dall’oscuro passaggio
della morte, poiché
“renderà la vita anche ai nostri corpi mortali” nella risurrezione fi-nale,
della quale la risurrezione del Salvatore è fondamento, preludio e anticipo.
La vita del cristiano
ha da essere, essenzialmente, una vita di fede, ossia di serena accettazione
dell’esistenza, della presenza e dell’azione che lo Spirito Santo, proceden-te
dal Padre e dal Figlio e costituente con loro un’unica Divinità nella Trinità
delle Persone, viene disgelando e svolgendo nelle singole anime e in tutta la
Chiesa.
Dove un uomo crede,
ivi lo Spirito agisce; dove uno soffre per amore, ivi è lo Spirito; dove uno
ama secondo la legge della carità, lo Spirito ama in lui. Lo Spirito effettua
per conto di Dio la lotta incessante del bene contro il male; per le vittorie
ch’egli ottie-ne, il maligno, “principe di questo mondo, è già condannato”. Per
subire con docilità l’influenza dello Spirito e tradurla nella pratica
caritativa, il cristiano deve chiedere allo Spirito lasciatoci da Gesù come
Consolatore, avvocato e custode, la grazia di non farsi coinvolgere nelle
vicende di questo mondo sino a dimenticare che lui – redento dal Cristo – è più
grande, più nobile e forte del mondo. Deve chiedere ogni giorno di sen-tirsi su
questa terra come straniero e pellegrino. Lasciati in eredità dal Cristo allo
Spiri-to di Dio, noi abbiamo a nostra volta ereditato da Gesù lo Spirito; egli
è nostro nella misura con cui noi vogliamo appartenere a Cristo.
Tutta la Chiesa e
ogni credente è nelle mani dello Spirito il quale “viene in aiuto della nostra
debolezza, perché noi non sappiamo quello che ci conviene domandare, ma lo
Spirito stesso intercede, a favore nostro, con gemiti inesprimibili, e colui
che scruta i cuori – Dio – sa che cosa desideri lo Spirito”. Domandiamo,
pregando, di cre-dere fermamente nel mistero dello Spirito, poiché questa è la
prima condizione per es-sere salvati, ossia perché lo Spirito agisca, in nome
di Cristo, dentro di noi, e noi pos-siamo agire nello stesso nome tra i nostri
fratelli, cioè amare e far amare. Così sia. (P. TARCISIO GEIJER, Testo
inedito [Certosa di Vedana, 1967].)
6. La comunità di
salvezza del Nuovo Testamento deve imparare e ricordarsi bene che deve tuttora
attraversare la persecuzione, lo scherno, la flagellazione, l’incoronazio-ne di
spine, la Via Crucis e infine la morte del Signore. Essa non potrà godere la
radio-sa magnificenza pasquale, se prima non avrà sofferto fino all’ultima
stilla la dolorosa oscurità della Passione, ivi inclusa la cupa tenebra
dell’abbandono da parte di Dio. La storia dunque sta tuttora davanti alla
croce, cammina tuttora sotto la croce, non ha ancora lasciato la croce dietro
alle spalle. La cristianità continua con suo grande sgo-mento a constatare
quanto sia faticosa e deludente l’impresa che pure fa capo a Gesù Cristo
uomo-Dio, quanto sia ostico presentare la sua munificenza redentrice ad un
mondo completamente disinteressato della sua salvezza. La storia dunque è
un’espe-rienza della croce, e proprio nel senso che il peso della croce,
l’angoscia mortale e l’eclisse di Dio sofferti da Cristo vengono riversati su
tutta quanta la storia. Ma d’altra parte c’è un’immensa consolazione: Gesù ci
ha promesso la redenzione.
Nulla è tanto
disdicevole alla comunità cristiana quanto lo scalmanarsi in un prema-turo
trionfalismo. Quaggiù sulla terra, essa resta pur sempre la chiesa peregrinante
che conserva, sì, nel suo cuore fedele la certezza del ritorno di Cristo, ma
porta nel con-tempo nel suo corpo le cicatrici delle ferite del Signore Gesù,
sentendosi continuamente rammentare, dal mondo ostile a Dio, il suo destino
simile a quello di Cristo e la via della croce che deve seguire dietro le sue
orme. (P. TARCISIO GEIJER, Testo inedito [Certosa di Vedana, 1977].)
7. L’apostolo che
vuole restare fedele al Vangelo, si troverà sempre, anche in mez-zo ai suoi,
tra due schiere di avversari: quella di coloro che lo giudicano inefficace
per-ché non acconsente a tradire la sua missione per consacrarsi alle opere e
alla propa-ganda temporali, e quella di quanti vedono in lui uno spirito
fastidioso, per il fatto che, anziché intrattenerli assecondando la propria
autosoddisfazione, non la finisce di in-quietare la loro coscienza.
Come può l’apostolo
meravigliarsene? Volendosi conformare allo spirito di Gesù, egli ha accettato
sin da principio di essere giudicato e trattato come lui. Quello che Pa-scal
diceva di Gesù e della sua predicazione, si ripete a ogni epoca: «A ciò si
oppongo-no tutti gli uomini». (H. DE LUBAC, Paradossi e nuovi paradossi. In
appendice: Immagini del Padre Monchanin, Traduzione di E. BABINI (Già e Non
Ancora 172. Opera Omnia 4), Jaca Book, Milano 1956, 19892, p. 75.)
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