venerdì 11 maggio 2012

VI DOMENICA DI PASQUA 13.05.2012



Parola di Dio o Corpo di Cristo?

(Cesario di Arles)
Vi domando, fratelli e sorelle, che cosa vi sembra più importante: la Parola di Dio, o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere bene, dovete senza dubbio dire che la Parola di Dio non è da meno del Corpo di Cristo. E allora, se poniamo tanta cura quando ci viene consegnato il Corpo di Cristo perché nulla di esso cada per terra dalle nostre mani, non dovremmo porre altrettanta attenzione perché la Parola di Dio, che ci è offerta, non sfugga dal nostro cuore, cosa che avverrebbe se stiamo pensando ad altro? Colui che avrà ascoltato con negligenza la Parola di Dio non sarà meno colpevole di colui che, per la propria negligenza, avrà fatto cadere a terra il Corpo di Cristo.

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 26, 1-23

In quei giorni. Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, fatto cenno con la mano, si difese così: «Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai Giudei, davanti a te, che conosci a perfezione tutte le usanze e le questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione. E ora sto qui sotto processo a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A motivo di questa speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! Perché fra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti?
Eppure anche io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere.
In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo”. E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù, che tu perséguiti. Ma ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me”.
Perciò, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste, ma, prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di convertirsi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. Per queste cose i Giudei, mentre ero nel tempio, mi presero e tentavano di uccidermi. Ma, con l’aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti».      


SALMO
Sal 21 (22)

             ®   A te la mia lode, Signore, nell’assemblea dei fratelli.
             oppure
             ®   Alleluia, alleluia, alleluia.

Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe.
Scioglierò i miei voti
davanti ai suoi fedeli.
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra.®


Davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.®


Io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». ®


EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 3-11

Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè / che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture / e che fu sepolto / e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture / e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.       


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 15, 26 - 16, 4

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto. / Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con voi».

Commento

La testimonianza della risurrezione di Gesù crocifisso è il punto fontale dell’espe-rienza cristiana e il fondamento del kērygma (Epistola). Davvero, come afferma Paolo: «Se Cristo non fosse risorto, vuoto sarebbe il nostro kērygma e vuota la vostra fede» (1 Cor 15,14). Non si avrebbe né l’oggetto dell’annunzio né il contenuto della fede.
Tuttavia, essere testimoni del Risorto significa attraversare la prova della croce co-me il Maestro, «il quale, pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza [della fede] dalle prove sofferte» (Eb 5,8). Anche Paolo attraversò tale esperienza, dopo il suo incontro con Gesù, il vivente, sulla via di Damasco (cf Lettura).
Nessuno però potrà mai dire: «Gesù è Signore» se non sotto l’azione dello Spirito santo (cf 1 Cor 12,3): i discepoli hanno infatti bisogno di essere guidati dal Paraclito, «avvocato, difensore, consolatore», lo Spirito che viene dal Padre, per portare la sua te-stimonianza. È infatti lo Spirito che permette di continuare il cammino di sequela dietro a Gesù. È lo Spirito che si fa primo testimone in favore del Risorto e sempre sosterrà come «difensore» i discepoli sulle strade della loro testimonianza sino agli estremi confini del mondo, facendo memoria di quanto veramente Gesù ha detto (cf Vangelo).

La risurrezione di Gesù è una «bella notizia», perché riguarda non soltanto lui, ma anche tutti quelli che credono in lui, purché vivano secondo i suoi insegnamenti: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15,20). «Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono mor-ti» (1 Ts 4,14). La risurrezione però non è soltanto un fatto futuro, ma è sperimentabile già ora in una «vita nuova» (cfr Rm 6,4), non più in balia del peccato, ma guidata dallo Spirito (cfr Rm 8,9-11), cioè «dall’amore di Dio effuso nei nostri cuori» (Rm 5,5).

“Per cogliere tutta la stupenda novità di questa «buona notizia», occorre però che si abbia il coraggio di guardare in faccia alla morte in tutta la sua terribile verità: essa è la fine a cui va incontro inesorabilmente tutto ciò che ha vita sulla terra. Anche essa, come dice la scienza, non è eterna, ma finirà la sua corsa. Anche le grandi opere d’arte un giorno non esisteran-no più. Anche della basilica di San Pietro non resterà pietra su pietra. Che senso ha allora la nostra vita? Oggi si preferisce non porsi questa domanda, tutti presi dalle cure della vita: tutto è buono per stordirsi, distrarsi, divertirsi, cercando di soddisfare il più possibile la «fame di mondo» e di cancellare la «sete di Dio»” (E. CATTANEO, La risurrezione di Gesù, «La Civiltà Cattolica», 163,II (2012) 165-166). 

Focalizzandoci ora sui due paragrafi della pericope evangelica vediamo che essi annunziano l’attività dello «Spirito della veri-tà» nel rendere testimonianza a Gesù con i discepoli (Gv 15,26-27) e il tempo di perse-cuzione che tale testimonianza susciterà (16,1-4). Gesù ha già parlato ai discepoli della missione della sua comunità (15,1-11) che vive nell’amore vicendevole (15,12-17) e del-la persecuzione che il mondo ingiusto le opporrà (15,18-25). Ora indica il compito del-la testimonianza, senza nascondere la difficoltà della persecuzione, ma anche confor-tandoli con la promessa di aiuto di cui godranno (cf 16,4b-15).

15,26-27: Se nella prima parte del discorso Gesù prometteva ai discepoli la perma-nenza in loro dello Spirito della verità (Gv 14,17), che farà loro penetrare il suo mes-saggio (14,26). Ora annuncia il ruolo che lo Spirito avrà nella missione: rendere testi-monianza a favore di Gesù stesso, condannato dal mondo.
Lo Spirito, la rûaḥ «vento, alito», è «l’alito di Dio», l’espressione della sua vita che «esce» (procede) dall’intimo del suo essere. Il senso di “vento” ne indica al tempo stesso la forza (cf Gn 1, 2): è lo Spirito creatore, che procede da Dio stesso come Padre. Que-sto processo è continuo e rappresenta un flusso incessante di vita che procede da Dio. Questo Spirito, che è forza e vita, e perciò «Spirito della verità» (cf Gv 1,4: «e la vita era la luce dell’uomo»), renderà testimonianza a Gesù, colui che è e dà la vita.
Renderà questa testimonianza all’interno della comunità, assicurandola della verità del suo messaggio e del suo operato. Si tratta della testimonianza profetica che sostiene i discepoli, confermando l’esperienza dei suoi membri e sostenendo l’atteggiamento di
rottura con il mondo in senso negativo, quello che si oppone a Dio e si presenta come idolatria.
In questo passo Gesù non parla di «suo Padre» (cf invece Gv 15,23-24), ma «del Pa-dre» tout court, perché la relazione con «il Padre» sarà di ogni persona che risponderà al-la sua chiamata. Lo Spirito, la forza di vita, è la salvezza che Gesù porta, offerta all’umanità intera (Gv 3,17; 12,47).
La testimonianza dello Spirito di fronte al mondo è continuata dalla testimonianza dei discepoli. Lo «Spirito della verità» sarà in loro (Gv 14,17), e così la loro voce sarà quella dello Spirito (Gv 3,8). Il confronto fra Gesù e il mondo non terminerà con la morte di lui; al contrario, si estenderà tramite i suoi discepoli.
Il Padre realizza il suo disegno: dare vita all’umanità (Gv 6,40) inviando Gesù, cui comunica pienamente il suo Spirito (Gv 1,32-34; 3,16s; 4,34; 5,30; 6,39.40). Gesù lo comunica ai suoi perché essi continuino la sua opera. Lo Spirito, nella sua testimo-nianza a favore di Gesù, la interpreta (cf Gv 14,25-26); il gruppo che riceve questa te-stimonianza rinnova in ogni epoca l’opera di Gesù, e in questo consiste la sua testimo-nianza.
I discepoli possono rendere testimonianza a Gesù perché sono con lui fin dal prin-cipio. Bisogna domandarsi cosa significhi questa espressione. Nel vangelo appaiono con Gesù fin dal principio soltanto Andrea e un altro discepolo di Giovanni; poi, a se-guire, Pietro, Filippo e Natanaele (Gv 1,35-51). L’espressione fin dal principio non può quindi avere un semplice significato cronologico. Ogni discepolo, in qualunque epoca, è chiamato a render testimonianza a Gesù. Queste parole sono dunque valide e appli-cabili a ogni discepolo. Ciò che l’evangelista afferma è che per rendere questa testimo-nianza è necessario accettare come norma tutta la vita di Gesù, fin dal principio, senza separare il Gesù risuscitato dal Gesù terreno. Mettersi in rapporto unicamente con Gesù glorioso è la tentazione spiritualista e gnostica già della prima ora (cf 1 Gv 4,2-3; 5,6). L’insistenza di Giovanni è di accettare la singolarità di Gesù Uomo-Dio.
Bisogna mettere in parallelo due testimonianze che appaiono nel vangelo: quella di Giovanni Battista, che precede la missione di Gesù, e quella dei discepoli, che la segue.
La testimonianza del Battista si concentrava sulla visione dello Spirito che scendeva e rimaneva su Gesù (Gv 1,32s) e sull’annuncio del dono dello Spirito (1,33); l’obiettivo della sua missione era che il Messia si manifestasse a Israele (1,31).
La testimonianza dei discepoli su Gesù riguarda invece la sua missione realizzata della quale essi sono frutto e continuazione. Essi hanno ricevuto lo Spirito, che li so-stiene nella loro missione, rendendo testimonianza insieme con loro. Giovanni annun-ciava un fatto venturo; i discepoli, la loro esperienza con Gesù.
In questo modo, Giovanni accentua la centralità di Gesù nella storia. Con il Battista termina l’epoca dell’attesa. Dopo Gesù, che ha inaugurato la pienezza dei tempi, spet-ta ai discepoli annunciare la loro esperienza di lui. Ma non si può rendere tale testimo-nianza se non si è con lui, cioè se non si sperimenta la sua presenza, e questo fin dal principio, accettando la sua intera realtà umano-divina.

16,1-4a: Nel Quarto Vangelo è la seconda volta che occorre il verbo σκανδαλίζω «scandalizzarsi». In Gv 6,61 era collegato alla diserzione dei discepoli, che consideravano in-sopportabile il suo messaggio. Ora è Gesù che previene i discepoli a riguardo della loro possibile futura diserzione; ciò che sta per annunziare loro è qualcosa che certamente accadrà (per colui che scrive il vangelo è già accaduto!), per quanto contraddittorio possa apparire: vedersi cioè combattuti proprio da quell’istituzione religiosa alla quale essi appartenevano.
Nel vangelo è già stata ricordata due volte l’espulsione dalla sinagoga: la prima (Gv 9,22), quando i genitori di colui che era nato cieco temevano l’espulsione decretata dai «Giudei» contro coloro che avessero riconosciuto Gesù come Messia. La seconda (Gv 12,42), i capi temevano il gruppo farisaico – il gruppo dei «Giudei» più influente e più ostile a Gesù (Gv 4,1-3; 7,32. 47s; 8,13; 11,46) – perché li avrebbero potuti fare espelle-re se si fossero pronunciati a favore di lui. Si ricordi, a questo riguardo, che i «Giudei» per il Quarto Vangelo sono le autorità di Gerusalemme e il titolo non è sinonimo di «Giudaismo»: accanto al Giudaismo delle autorità Gerusalemme, i «Giudei» appunto, vi era altre forme di Giudaismo che ad esso si opponevano: gli Esseni, gli Zeloti, i Fari-sei che non erano parte del Sinedrio, gli Alessandrini, i Samaritani …
Gesù annuncia in anticipo ai discepoli che sarebbero stati emarginati da quanti si proclamano rappresentanti di Dio e interpreti della sua volontà, in particolare da colo-ro che si ritenevano gli unici autentici interpreti della Legge. Non devono allarmarsi se le istituzioni religiose li respingono. Non solo li emargineranno, ma giungeranno a dar loro morte per eliminarli. Qui si generalizza ormai gli oppositori: chiunque vi dia morte. L’orizzonte dell’ostilità, anche includendo i Giudei, si è ampliato. Il conflitto potrà sorgere in qualunque paese e di fronte a qualunque autorità.
Gesù li avverte che le istituzioni religiose adorano un dio che accetta come culto la morte dell’uomo. Se questo è il loro dio, sono omicidi per essenza (cf Gv 8,44). Gesù invece è venuto a dare vita; il sistema di morte, di cui l’istituzione religiosa giudaica è il prototipo, non ha altra alternativa che uccidere lui e quanti lo rendono presente attra-verso la loro testimonianza. Di fatto, i suoi massimi rappresentanti hanno già decretato la morte di Gesù (Gv 11,53) e quella di Lazzaro (Gv 12,10). Si sono fabbricati un dio a propria immagine, e ora gli sacrificano l’uomo.
L’istituzione religiosa, che darà morte a Gesù e perseguiterà i suoi discepoli, è ben rappresentata da quegli invalidi che riempivano i portici della piscina (Gv 5,3). L’oppressione di quell’istituzione produce morte a chi gli si sottomette (Gv 5,21) e dà morte a chi le si oppone.
La missione di Gesù, ora affidata ai discepoli, è di liberare l’umanità da un’obbedienza idolatrica alle istituzioni religiose. Dietro la loro impressionante facciata si può nascondere la frode più grande, l’idolatria: non conoscono il Padre, cioè non conoscono Dio (Gv 5,37; 8,19. 47 e 54s). Il Dio che essi adorano e al quale offrono culto non è quello vero (Gv 17,3), perché non è a favore dell’uomo (Gv 5,10; 9,24 e 29): è l’antitesi della rivelazione portata da Gesù.
Questa è la ragione della loro condotta omicida: non riconoscendo Dio come «il Pa-dre, la fonte della vita e dell’amore incondizionato per l’uomo, non riconoscono nean-che Gesù, che ne è la piena manifestazione e ha rivelato «il Padre suo» come colui che colloca il bene dell’uomo al di sopra di qualunque Legge e istituzione.
Appare nuovamente qui uno dei principi fondamentali della teologia giovannea: condizione per aderire a Gesù è l’atteggiamento a favore dell’uomo (cf Gv 16,9), ri-spondendo all’esperienza di Dio come Padre e all’impulso del suo progetto creatore (cf Gv 1,4; 6,45; 7,17). Quindi uccidere Gesù equivarrà a eliminare la paternità di Dio. E svuotando Dio della sua autentica identità, riempiono il nome di Dio con la proiezione delle loro ambizioni che producono morte. Di qui l’idolo omicida (Gv 8,44).

Gesù ha prevenuto i suoi discepoli. Descrivendo l’odio del mondo aveva loro an-nunciato la persecuzione (Gv 15,20); ora spiega che anche le istituzioni religiose cui es-si appartenevano possono far parte di questo “mondo” nemico di Dio. Il “mondo” odierà i discepoli perché essi non aderiscono alla sua idolatria (Gv 15,18s).
Questo mondo avrà la sua ora, quella del suo apparente trionfo. Sarà l’ora dell’odio mortale (cf Gv 19,29), in opposizione all’ora di Gesù, espressione suprema dell’amore vivificante. Ciò non dovrà essere una sorpresa per i discepoli: le istituzioni condanne-ranno i discepoli di Gesù in nome di un proprio dio, come avvenne per la condanna alla morte in croce di Gesù stesso (Gv 19,7; cf 11,48).

16,4b: Il tema della seconda parte del v. 4 è ancora la persecuzione futura, ma è anche l’introduzione del paragrafo in cui Giovanni distingue due “tempi”: il tempo in cui i discepoli hanno vissuto accanto a Gesù e il tempo in cui essi saranno sorretti dalla for-za dello Spirito. Il “mondo” è un avversario potente e i discepoli, senza Gesù, si sento-no indifesi. Dovranno comprendere che proprio lo Spirito sarà per loro ὁ παοάκληςξπ «avvocato, difensore e consolatore». (Certo che il mezzo versetto lasciato lì dalla cesura liturgica della pericope non è sufficiente per capire lo sviluppo dei vv. 4b-15).

PER LA NOSTRA VITA

1. Il tempo pasquale non è il dopo-Pasqua e l’attesa del dono dello Spirito nella Pentecoste, ma un tempo di pienezza, in se stesso. Tempo di gratuità e di approfon-dimento, alla luce del mistero pasquale, tempo di contemplazione dei doni ricevuti e di nuovo promessi, tempo in cui la presenza del Signore risorto ci addestra a essere testi-moni della vita e della sua presenza nella storia, tempo in cui imparare di nuovo a cre-dere che non le nostre forze ci renderanno capaci di cose straordinarie, ma la sua “fa-miliarità con noi”, donata nella promessa. Il tempo pasquale non è un’informazione “sui fatti” che accadranno ai discepoli, ma la consolazione in atto e l’attesa sempre viva della forza dello Spirito per testimoniare Lui. Nella liturgia impariamo a non lasciarci ingannare dalle cose facili; Cristo Signore ci custodisce ma non ci esenta dalle prove, dalla contraddizione. Con Lui attraversia-mo la vita, accogliendo con la gratitudine di chi sa che sempre sarà raccolto, qualsiasi cosa accada. (F. CECCHETTO, Testi inediti.)


2. Il cristianesimo non si lascia ridurre a gergo privato, ancorché esaltante per i suoi. Il cristianesimo parla – come Gesù – all’esperienza dell’umano che è comune, condivisa o contraddetta che sia. Deve essere fermamente convinto che la Parola rice-vuta da Dio, irrevocabile e immodificabile, è già questo. Se ha questa fede, troverà an-che le nuove parole che sono necessarie. […] Quanto alla necessità di uomini e donne liberamente disposti ad affrontare le sfide e le necessità dell’ora presente, gioverà ricordare anzitutto che il Signore i discepoli se li sceglie: non aspetta individui in cerca dell’occasione vincente, dell’opportunità miglio-re, dell’autorealizzazione ottimale. Le vocazioni troppo coccolate si aspettano ministeri-premio. […]

Mettere ingenuamente in competizione il cristianesimo con le offerte sul mercato della felicità e dell’autorealizzazione è un azzardo pericoloso. Capisco la passione di rendere attraente un bene che ci sta a cuore. Ma come fai, dopo, a spiegare tutto il re-sto del cristianesimo? Perché accade di dover dire anche cose che trafiggono un’ingiustizia culturalmente attrezzata e lesta nella rappresaglia. Del meglio che offri agli altri, forse, dovrai privarti tu stesso, un giorno, pur di custodirli nella limpidezza di una verità che non riempie granai. (P. SEQUERI, Contro gli idoli postmoderni (I Pellicani), Lindau, Torino 2011, pp. 91-92.)


3. Dio guarda il nostro cammino; è una grazia che faccia questo; poteva anche la-sciarci andare per la nostra strada, senza curarsi di noi. Ma egli ci ha guardato, e ci ha visti feriti, smarriti, angosciati. Ora è qui per sanarci […] Dio ci vuole guidare. Non tutte le vie dell’uomo portano a Dio; spesso andiamo per le nostre vie in cui siamo in balìa del caso, sia che ci portino alla felicità che all’infeli-cità. Le vie che percorriamo da noi ci riportano sempre, come in un circolo, a noi stes-si. Le vie di Dio portano a Dio. Dio ci guida sempre e soltanto a Dio. Dio ci guida e sempre soltanto a Dio, sia nella felicità che nell’infelicità. In ciò riconosciamo che sono vie. Chi si aggrappa ad essi è già liberato... Dio ci vuole consolare. Dio consola soltanto se esiste un motivo sufficiente per far-lo, se l’uomo non si raccapezza, se l’assurdità della vita lo angoscia. Il mondo, per co-me è in realtà, ci fa sempre paura. Ma chi viene consolato, vede e ha più del mondo, ha la vita con Dio. Niente è distrutto, perduto, assurdo, se Dio consola. (D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A. AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 181.)


4. L’Unigenito del Padre è stato sì rivelato, ma non ne è scaturita una filosofia, per cui questa rivelazione non è connessa con alcun processo logico, ma con lo stato della povertà dell’uomo in ricerca di Dio. La quale, però, non può avvenire se Dio per pri-mo non si fosse messo a cercare l’uomo. Trovato Dio, siamo noi che dobbiamo poi ri-trovarci. È questa esperienza che edifica la comunità dei credenti e che essa offre ad un mondo, sicuro e stabile nella sua autonomia, nelle sue sufficienze.
La comunità dei credenti sarà sempre più impegnata a qualificarsi come la comuni-tà degli uomini che si amano, perché per primi essi sono stati amati dal Padre. Sola-mente nel costante confronto con Dio-Amore può circolare la linfa dell’amore anche tra gli uomini. (B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, p. 66.)



5. Carissimi fedeli, prima di allontanarsi con la sua umanità gloriosa dalla terra, Gesù assicura la continuità della presenza divina fra gli uomini promettendo l’effusione dello Spirito Santo. Ai suoi che rimangono lascia come eredità preziosa il Paraclito – cioè: l’avvocato e il consolatore – il quale altro non è che l’amore di Dio in persona. Lo Spirito di Dio ci appartiene, e prende possesso di noi, nella misura in cui noi vogliamo appartenere a Cristo. L’azione dello Spirito conduce per gradi l’uomo a una somiglianza effettiva col Cristo e garantisce la natura umana dall’oscuro passaggio
della morte, poiché “renderà la vita anche ai nostri corpi mortali” nella risurrezione fi-nale, della quale la risurrezione del Salvatore è fondamento, preludio e anticipo.
La vita del cristiano ha da essere, essenzialmente, una vita di fede, ossia di serena accettazione dell’esistenza, della presenza e dell’azione che lo Spirito Santo, proceden-te dal Padre e dal Figlio e costituente con loro un’unica Divinità nella Trinità delle Persone, viene disgelando e svolgendo nelle singole anime e in tutta la Chiesa.
Dove un uomo crede, ivi lo Spirito agisce; dove uno soffre per amore, ivi è lo Spirito; dove uno ama secondo la legge della carità, lo Spirito ama in lui. Lo Spirito effettua per conto di Dio la lotta incessante del bene contro il male; per le vittorie ch’egli ottie-ne, il maligno, “principe di questo mondo, è già condannato”. Per subire con docilità l’influenza dello Spirito e tradurla nella pratica caritativa, il cristiano deve chiedere allo Spirito lasciatoci da Gesù come Consolatore, avvocato e custode, la grazia di non farsi coinvolgere nelle vicende di questo mondo sino a dimenticare che lui – redento dal Cristo – è più grande, più nobile e forte del mondo. Deve chiedere ogni giorno di sen-tirsi su questa terra come straniero e pellegrino. Lasciati in eredità dal Cristo allo Spiri-to di Dio, noi abbiamo a nostra volta ereditato da Gesù lo Spirito; egli è nostro nella misura con cui noi vogliamo appartenere a Cristo.
Tutta la Chiesa e ogni credente è nelle mani dello Spirito il quale “viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi non sappiamo quello che ci conviene domandare, ma lo Spirito stesso intercede, a favore nostro, con gemiti inesprimibili, e colui che scruta i cuori – Dio – sa che cosa desideri lo Spirito”. Domandiamo, pregando, di cre-dere fermamente nel mistero dello Spirito, poiché questa è la prima condizione per es-sere salvati, ossia perché lo Spirito agisca, in nome di Cristo, dentro di noi, e noi pos-siamo agire nello stesso nome tra i nostri fratelli, cioè amare e far amare. Così sia. (P. TARCISIO GEIJER, Testo inedito [Certosa di Vedana, 1967].)




6. La comunità di salvezza del Nuovo Testamento deve imparare e ricordarsi bene che deve tuttora attraversare la persecuzione, lo scherno, la flagellazione, l’incoronazio-ne di spine, la Via Crucis e infine la morte del Signore. Essa non potrà godere la radio-sa magnificenza pasquale, se prima non avrà sofferto fino all’ultima stilla la dolorosa oscurità della Passione, ivi inclusa la cupa tenebra dell’abbandono da parte di Dio. La storia dunque sta tuttora davanti alla croce, cammina tuttora sotto la croce, non ha ancora lasciato la croce dietro alle spalle. La cristianità continua con suo grande sgo-mento a constatare quanto sia faticosa e deludente l’impresa che pure fa capo a Gesù Cristo uomo-Dio, quanto sia ostico presentare la sua munificenza redentrice ad un mondo completamente disinteressato della sua salvezza. La storia dunque è un’espe-rienza della croce, e proprio nel senso che il peso della croce, l’angoscia mortale e l’eclisse di Dio sofferti da Cristo vengono riversati su tutta quanta la storia. Ma d’altra parte c’è un’immensa consolazione: Gesù ci ha promesso la redenzione.
Nulla è tanto disdicevole alla comunità cristiana quanto lo scalmanarsi in un prema-turo trionfalismo. Quaggiù sulla terra, essa resta pur sempre la chiesa peregrinante che conserva, sì, nel suo cuore fedele la certezza del ritorno di Cristo, ma porta nel con-tempo nel suo corpo le cicatrici delle ferite del Signore Gesù, sentendosi continuamente rammentare, dal mondo ostile a Dio, il suo destino simile a quello di Cristo e la via della croce che deve seguire dietro le sue orme. (P. TARCISIO GEIJER, Testo inedito [Certosa di Vedana, 1977].)


7. L’apostolo che vuole restare fedele al Vangelo, si troverà sempre, anche in mez-zo ai suoi, tra due schiere di avversari: quella di coloro che lo giudicano inefficace per-ché non acconsente a tradire la sua missione per consacrarsi alle opere e alla propa-ganda temporali, e quella di quanti vedono in lui uno spirito fastidioso, per il fatto che, anziché intrattenerli assecondando la propria autosoddisfazione, non la finisce di in-quietare la loro coscienza.
Come può l’apostolo meravigliarsene? Volendosi conformare allo spirito di Gesù, egli ha accettato sin da principio di essere giudicato e trattato come lui. Quello che Pa-scal diceva di Gesù e della sua predicazione, si ripete a ogni epoca: «A ciò si oppongo-no tutti gli uomini». (H. DE LUBAC, Paradossi e nuovi paradossi. In appendice: Immagini del Padre Monchanin, Traduzione di E. BABINI (Già e Non Ancora 172. Opera Omnia 4), Jaca Book, Milano 1956, 19892, p. 75.)

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