venerdì 24 maggio 2013

Come ognuno di noi, anche Dio è originale 26 maggio 2013 SS. Trinità



SS. Trinità (Anno C)
Lettura
Gn 18,1-10a
In quei giorni. Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 104(105))
Il Signore è fedele alla sua parola.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.
Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto. R.

È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi.
Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco. R.

Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
Ha dato loro le terre delle nazioni
e hanno ereditato il frutto della fatica dei popoli,
perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi. R.
Epistola
1Cor 12,2-6
Fratelli, voi sapete che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Ap1,8)
Alleluia.
Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo;
a Dio che è, che era e che viene.
Alleluia.
Vangelo: Gv 14,21-26
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Parola del Signore.
Commenti
Genesi. 18, 1-10a

L'ospitalità è un regalo grande che l'umanità dei poveri si è sentita in obbligo di dare, soprattutto in una realtà di vita come è il deserto, tra i beduini, e nei pericoli dei mari tra i marinai. Qui ci troviamo nella splendida ospitalità che Abramo offre a degli sconosciuti. E nella lettera agli Ebrei (13,2) si dice che "Alcuni, praticandola, hanno accolto, senza saperlo, anche gli angeli" (e probabilmente l'autore biblico ha in memoria l'episodio di Abramo). Il Signore decide di visitare il suo amico Abramo e lo fa in incognito, sotto forma di tre viandanti anonimi che si trovano a passare vicino alla tenda di Abramo, alle querce di Mamre, dove Abramo si è accampato. E' un racconto misterioso che, inizialmente, si svolge nella normalità di viandanti accaldati e spersi in un deserto assolato. Mentre Abramo si riposa nell'ora più calda del giorno, all'ombra della tenda, e probabilmente sonnecchia, è però sempre vigile. Scopre all'improvviso tre uomini in piedi davanti a lui.

Tutto lo scenario cambia e Abramo si preoccupa di offrire ospitalità nel modo più immediato e più sontuoso possibile. Provvede subito all'acqua frasca, al lavaggio dei piedi e a far accomodare gli sconosciuti all'ombra. Poi li prega di pazientare e provvederà ad un boccone di pane ed a un ristoro possibile. Sempre Abramo non solo ordina ed organizza per la cucina, a Sara chiede di impastare pane fresco ma il quantitativo è enorme: circa 50 kg di farina e lui stesso sceglie un "vitello tenero e buono", ordinando poi di prepararlo e cuocerlo.

Il bisogno di ospitalità rende Abramo attento, servizievole, premuroso: in piedi, a servizio delle esigenze degli sconosciuti e affettuoso.

Di fronte all'accoglienza ed alla gratuità gli sconosciuti rispondono con una promessa: "Tornerò tra un anno e Sara avrà un figlio" (da notare i cambi impensabili da singolare a plurale e vice versa). Dio scende nel suo popolo ed offre la vita gratuitamente. Il popolo d'Israele si svilupperà sulla promessa di Dio e sulla ospitalità di Abramo. Anche il popolo santo della Chiesa si svilupperà con il dono di Dio che si fa anonimo e piccolo e si costituisce come un popolo accogliente della Parola del Signore e dei suoi progetti.

Dio mangia alla tavola di Abramo, Gesù mangia la sua cena alla tavola di amici: l'ospitalità prende la forma di un banchetto. E un banchetto ci è rimasto come momento di un popolo che si raduna insieme, a messa, e costruisce il progetto di un futuro di pace avendo a commensale, misteriosamente, Gesù vivo.

Qualcuno dei Padri della Chiesa ha voluto vedervi la Trinità e un monaco russo Andrej Rublëv (1360-1430) ha dipinto la sua splendida icona della Trinità a tavola. Ma nel VT non c'è alcun accenno alla Trinità, né è possibile ipotizzarlo.

Ma c'è un altro problema che ha fatto impazzire i rabbini, anche se di poco conto per noi. Un banchetto ebraico non può avvicinare insieme carne e latticini. E vero che la legge sarà data a Mosè molto dopo ed è pur vero che l'ospitalità e la premura hanno fatto pensare ad un ristoro con latte cagliato e carni abbondanti. Ma il problema per i mondo ebraico resta.

Gesù ricorderà che ancor oggi è possibile incontrare il Signore e sfamarlo in un gesto di ospitalità.

"Avevo fame, avevo sete.. e ti mi hai dato da mangiare e da bere" (Mt25, 31-46).

1 Cor 12, 2-6

Nella Comunità cristiana di Corinto sorgono disagi e dissapori poiché si sono sviluppati doni particolari e si sono messe in mostra possibilità e attività che suscitano gelosie e rancori. Si pretende un confronto serrato ed una gerarchia riconosciuta di doni o "carismi" che lo Spirito ha moltiplicato tra persone credenti perché diventassero sostegni, aiuti e forza per la comunità intera. E invece si pretendono titoli onorifici, si esigono maggior rispetto e precedenze, si reclamano diritti e privilegi.

I doni di Dio sono dati a ciascuno per "l'utilità comune" (12,7) e tutto è dono dello Spirito. Mentre, quando domina il mondo della idolatria, il rapporto con la divinità è assolutamente inesistente poiché ci si ritrova davanti ad idoli muti, ora il linguaggio deve imparare a verificare il significato del proprio dialogo con Gesù. Che cosa diciamo di Gesù? Se per noi è grande, ed è il Signore, lo riconosciamo nella forza dello Spirito poiché è lo Spirito che alimenta la fede. Se abbiamo lo Spirito, noi scopriamo la bellezza della fede e la presenza di Gesù che ci porta al Padre.

Entrando nella struttura del testo, si distingue tra "carismi": doni particolari e gratuiti conferiti dallo Spirito; ci sono "ministeri" o funzioni orientati al bene della comunità, e ci sono "operazioni", cioè manifestazioni della potenza di Dio.

Paolo si preoccupa di accompagnare i credenti verso una visione unitaria in comunione con Dio. Anche i pagani hanno esperienze religiose particolari e le attribuiscono ad diverse divinità. Per i cristiani la fonte è l'unico Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo che esercitano una unica azione, anche se la diversità delle manifestazioni nei fedeli può permettere di orientarsi a particolari proprietà personali. Allo Spirito, dono di grazia e d'amore sono riferiti i "carismi"; a Cristo, capo della Chiesa sono attribuiti i ministeri spirituali per compaginare la Comunità cristiana e sostenerla nel suo cammino nel tempo. E il Padre, fonte di tutto l'essere e della vita piena, è all'origine delle "operazioni" di potenza, di pienezza di vita, di creazione.

Ma tutto viene offerto perché la Comunità esprima questa pienezza e diventi ricchezza, al suo interno per la vita nel mondo.

Giovanni 14, 21-26

Stiamo sempre leggendo, in queste domeniche dopo Pasqua, brani di discorsi di Gesù pronunciati nella sua ultima cena e riportati da Giovanni. E' importante tener presente questo contesto poiché quello che leggiamo è anche dialogo, ma il tutto ha il sapore della conclusione, delle ultime raccomandazioni e quindi di un testamento: linee essenziali che riassumono il lungo insegnamento del Maestro. Amare Gesù è un impegno concreto di fiducia e di accoglienza. Amare non si gioca tanto sui sentimenti o sulle emozioni, ma su scelte precise e coraggiose poiché siamo indirizzati dalle decisioni di Gesù. Con questo amore si costituisce una comunione inimmaginabile in cui ciascuno diventa abitazione, tempio vivente di Dio in cui si esprime l'intimità infinita del Padre e di Cristo nell'amore totale e immenso dello Spirito. Gesù parla di manifestazione piena e quindi di dimora completa. E tra i discepoli sorge spontanea una domanda, formulata quindi da Giuda, non l'Iscariota: "Perché non ti manifesti al mondo ma solo a noi?" Anche loro, come tutti quelli che seguivano Gesù, trepidano per una certa diffidenza che serpeggia attorno a Gesù nelle classi colte e Gesù non fa nulla per far esplodere la sua forza. Anche i familiari di Gesù non condividono la ricerca del nascondimento. Addirittura gli fanno una proposta pubblica:: "«Parti di qui e va' nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!» (Gv7,3-4). Vogliono che si imponga ma Gesù rifiuta, memore delle parole di Isaia: "«Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3). Si esprime qui il mistero della Chiesa. Per Gesù il manifestarsi consiste venire ad abitare nei suoi discepoli, prendere dimora nel mondo attraverso loro. Tutti vogliono che Gesù manifesti attraverso le sue opere la pienezza e la novità. Ma Gesù, quando parla delle sue opere non fa quasi mai riferimento ai miracoli. Le opere di Gesù sono le sue scelte, la sua attenzione alla liberazione di ciascuno, il rispetto della dignità di ogni persona. I messaggi che Gesù offre sono incomprensibili per le attese che i discepoli hanno e per l'affetto che gli portano. Allora Gesù, con fiducia, dice:"Lo Spirito Santo vi insegnerà e vi ricorderà".Una splendida sintesi dell'opera dello Spirito: insegnare suppone l'accompagnare nel tempo ed accogliere la novità nascosta nelle cose, nelle attese e nelle speranze, nei segni di Dio. Nella storia si presenteranno problemi sempre nuovi, interrogativi diversi, complessi, impensabili al tempo di Gesù. E i discepoli debbono poterli affrontare, sviluppando linee e comportamenti secondo il pensiero di Gesù. "Lo Spirito insegnerà". Ma anche "Lo Spirito vi ricorderà". E' interessantissimo questo verbo poiché suppone che nel nostro cammino di discepoli ci possiamo dimenticare delle scelte di Gesù poiché compromettenti, difficili, inumane, pensiamo.

La nostra cultura occidentale ha accettato la guerra come scelta ineliminabile. Caso mai si è cercato di discutere e distinguere tra guerra giusta e guerra ingiusta. Eppure Gesù ci ha insegnato di amare i nostri nemici, fare del bene a quelli che vi odiano (Lc 6,27-29). Per secoli abbiamo letto questi testi senza assolutamente rivedere posizioni di pensiero. Ma la storia produce drammi e strategie sempre più terribili, fino alla guerra ABC (Atomica, Batteriologica e Chimica) e nel contempo fa sorgere uomini come Gandhi, indiano, pur conoscitore del Vangelo che lo ha affascinato. Ma è rimasto nelle sue elaborazioni indù poiché ha detto che i cristiani non seguono il loro maestro. E la non-violenza sta facendosi strada, anticipata da Francesco di Assisi, seguita da missionari disarmati nel mondo e quindi dalle riflessioni della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII (1963) e dal Concilio Vaticano II, ma anche da non credenti a cui lo Spirito rimanda per ricordare il pensiero di Gesù.

L'esempio si può allargare ai comportamenti di attenzione ai poveri, alla eliminazione della pena di morte, al superamento del razzismo e a molto che il popolo cristiano, sapendo riflettere sulla storia, sui tempi e sulla Parola di Dio è capace di sviluppare. "Ricordare insegnando" supera il romanticismo o la poesia di tempi andati e irrecuperabili per accettare, nel presente, la responsabilità di riproporre la presenza sapienziale di Gesù e il mondo continuamente nuovo del Dio Trinitario che abita in noi e tra noi.

Esempi splendidi sono maturati nella lotta contro una mentalità mafiosa di violenza e di interesse e dovremmo ricordare insieme gli esempi di laici e religiosi che hanno lottato con chiarezza: Falcone e Borsellino, don Puglisi e don Diana. E l'esperienza di don Milani, che ha suscitato perplessità e paura tra gli stessi confratelli e la gerarchia del tempo, ha tuttavia posto l'obbligo di ripensare con coraggio al mondo dei poveri, al valore della scuola, all'obiezione di coscienza, alla vera interpretazione del patriottismo, spesso male impostato, che divide l'umanità invece di costruirla più coesa e più coraggiosa.

venerdì 17 maggio 2013

L'invisibile è più reale del visibile Pentecoste 2013

L’invisibile è più reale del visibile.




Pentecoste

Lettura

At 2,1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Parola di Dio

Salmo (Sal 103 (104))

Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra. oppure Alleluia, alleluia, alleluia.

Benedici il Signore, anima mia!

Sei tanto grande, Signore, mio Dio!

Quante sono le tue opere, Signore!

La terra è piena delle tue creature. R.



Togli loro il respiro: muoiono,

e ritornano nella loro polvere.

Mandi il tuo spirito, sono creati,

e rinnovi la faccia della terra. R.



Sia per sempre la gloria del Signore;

gioisca il Signore delle sue opere.

A lui sia gradito il mio canto,

io gioirò nel Signore. R.

Epistola

1Cor 12,1-11

Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia.

Vieni, Santo Spirito,

riempi i cuori dei tuoi fedeli

e accendi in essi il fuoco del tuo amore.

Alleluia.

Vangelo: Gv 14,15-20

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».

Parola del Signore

Commenti



Atti degli Apostoli. 2, 1-11



Sono passati ormai quasi due mesi, 50 giorni dal tempo dell'angoscia, della solitudine e quindi della esaltazione alla vista di Gesù risorto che ha voluto restare con i suoi, secondo il calendario di Luca negli "Atti degli apostoli" 40 giorni. Ci sono stati incontri sorprendenti e improvvisi, nei momenti più impensati e nei posti più diversi. Curiosi di vedere la conclusione di questa avventura e incapaci di prevedere altro, senza la presenza visibile del maestro, i discepoli si stanno organizzando per riprendere la loro vita normale e il lavoro di cui si sentono esperti.



In occasione della Pentecoste ebraica, però, capiscono di dover essere tutti presenti a Gerusalemme per il pellegrinaggio di un buon ebreo, in memoria del dono della legge che il Signore aveva consegnato a Mosè sul Sinai. Si ritrovano ormai in un luogo preciso, abitato nell'ultima cena con Gesù e quindi luogo stabile per quando si ritrovano a Gerusalemme. Il Cenacolo, casa di un amico che volentieri ha offerto a Gesù ospitalità, diventa il luogo dell'assemblea nuova. Si ritrovano ora insieme in questo giorno di festa, dopo averne vissuti 50, in emozioni, interrogativi e in discussioni, e pregano, sempre consapevoli che debbono aspettare, e sempre sicuri che arriverà una indicazione. Il testo di Luca vuole mostrare il significato del mistero del dono dello Spirito mediante le Scritture sulla piccola Comunità. Testimonianza e attesa raccontano che il centro della fede è Gesù.



Gesù, infatti, ha rivelato, nella sua ultima cena, il segreto della sua vita e quindi il segreto del suo rapporto con il Padre. Ma sa che i discepoli non possono capire il significato dell'esistenza nuova, e hanno bisogno di una ricerca, di un cammino, di una esperienza, di una fedeltà che ricostruiscano via via il senso della loro esperienza di Gesù. "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (Giovanni 16,12). L'essenziale è già stato detto: "Tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Giovanni 15,15) e lo Spirito Santo non aggiungerà nulla di suo: ""Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito" (Giovanni 16,13).



Lo Spirito Santo accompagnerà i discepoli, li assisterà, sarà una garanzia per ricercare e per approfondire. Lo Spirito Santo li aiuterà a scoprire ed a capire il Progetto di Gesù su loro e sul mondo.



Ci sono alcune parole chiave: "Tutti, rumore, divisione".



I discepoli si ritrovano "tutti", come alla promulgazione della legge sul Sinai, dove "tutto il popolo rispose insieme" (Es 19,8): tutti in attesa della sapienza di Dio.



Il dono dello Spirito viene impetuoso e rumoroso come un tuono. Come i rumori al Sinai: "suoni e lampi sul monte Sinai" (Es 19,16)."Le loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro" (v 3) "secondo un racconto della Midrash, la voce di Dio sul Monte Sinai si divise in settanta lingue affinché tutti i popoli avessero potuto udirla (gli antichi credevano che i popoli presenti sulla terra fossero 70). Sul Sinai è la voce di Dio che si divise in 70 voci, così che tutti i popoli la comprendono".



I discepoli si sentono ricchi dello Spirito che essi non conoscono se non sperimentando, dentro, entusiasmo, gioia profonda, pace e fiducia. E insieme sentono il desiderio di comunicare e di accogliere, scoprendo di avere un patrimonio di notizie e di rivelazioni che sono consolazione per tutti e non solo per loro. Perciò parlano senza preoccuparsi di conoscere gli interlocutori e il loro modo di vestire, che pure identificano ciascuno straniero. Essi parlano e la gente ascolta, si sorprende, risponde e fa domande. Qui non si sente la voce di Dio né quella della Spirito, ma la voce dei discepoli, che sembrano non avere nulla di particolare, salvo che, nelle orecchie della gente, risuona, a secondo della lingua natia dei diversi pellegrini,. la lingua dell'inizio della vita di ciascuno. Qui lo Spirito svela le "opere di Dio", attraverso uomini che scoprono di essere portatori di messaggi grandi e nuovi per tutti i popoli della terra. Qui non ci sono ancora i pagani, ma i giudei che abitano tra popoli pagani. Così l'orizzonte si allarga e il progetto del Signore è quello di "Andare a tutte le genti". In tal modo i discepoli si vedono, passo passo, organizzato il loro futuro, come annunciatori e missionari per i popoli della terra come Gesù è stato messaggero per loro. Alla fine Luca riporta l'elenco di popoli presenti, ma è difficile dirne il significato, salvo verificare che vengono elencati, pur con qualche eccezione, popoli dall'oriente all'occidente, e da nord a sud.



1Corinti 12, 1-11



Paolo si preoccupa di aiutare i credenti a cogliere ed a capire il significato di grazie e di attitudini personali, ordinarie o straordinarie, presenti in ciascuno "per l'utilità di tutta la comunità". Si tratta di analizzare e scoprire un buon uso dei doni dello Spirito, chiamati "carismi", segno e testimonianza visibile della presenza dello Spirito, anche per rimediare alla situazione anormale di una giovane comunità, la cui fede non ha ancora trasformato la mentalità impregnata di paganesimo.



Gli abitanti di Corinto sono tentati di apprezzare soprattutto i doni più spettacolari e di utilizzarli in interessi di parte, sviluppandoli nello stesso stile di alcune manifestazioni proprie di certe cerimonie pagane. Dice Paolo che, essendo "per utilità comune", sono dati per il bene della comunità e quindi non debbono dare occasione a rivalità (cap 12). Riscoprendo umiltà e solidarietà, va ricordato che "la carità li sorpassa tutti" (cap 13). Infine spiega come la loro gerarchia si stabilisce in base al contributo che portano all'edificazione della comunità.



Paolo si ferma sul dono delle lingue, pare molto apprezzato a Corinto, che però deve essere sottoposto alla profezia ed alla interpretazione (cap 14).



Paolo ricorda fenomeni violenti, disordinati, di certi culti pagani, che sono considerati come il segno della loro autenticità (v 2). Invece, nelle assemblee cristiane, vale il contenuto del discorso, non la forma espressiva di ostentata ispirazione (v 3).



All'interno di questo mondo di doni, manifestazioni e di maturazioni, c'è la ricchezza del volto di Dio nella sua dimensione trinitaria:"Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti".



L'elenco dei "carismi" è costituito da nove elementi: è la lista più lunga che si trovi nelle lettere (1 Cor 12, 28-30; 14,26; Rm 12,6-8; Ef 4,11). Si comincia a distinguere il linguaggio di sapienza e di conoscenza. Il linguaggio di sapienza, forse, è il dono di esporre le più alte verità cristiane, legate alla vita divina e alla vita di Dio in noi: «l'insegnamento perfetto» di Eb 6,1. Il linguaggio della conoscenza è il dono di esporre le verità elementari del cristianesimo: «il discorso iniziale su Cristo» di Eb 6,1. La fede, qui, probabilmente è una fondamentale fiducia nel compimento dei miracoli (Mt 17,20). I miracoli e le guarigioni distinguono la comunità cristiana per l'attenzione ai malati e per la confidenza del credente con la verità di Dio. La profezia costituisce il contenuto del cap. 14: è la capacità di convertire, esortare, persuadere con il dono della Parola alla costruzione della Comunità. Si parla poi del discernimento che aiuta ad operare un giudizio critico per aiutare le persone a scegliere; discernere gli spiriti: il dono di determinare l'origine (Dio, la natura, il Maligno) dei fenomeni carismatici. Si parla infine della varietà delle lingue: glossolalia (il parlare in lingue incomprensibili: S. Paolo non stima molto questo dono (14,6-11) e della interpretazione delle lingue. La varietà delle lingue è il dono di lodare Dio proferendo, sotto l'azione dello Spirito Santo e in uno stato più o meno estatico, suoni incomprensibili. È ciò che Paolo chiama «parlare in lingue» (14,5.6.18.23.39) o «parlare in lingua» (14,2.4.9.13.14.19.26.27). Questo carisma risale alla Chiesa dei primissimi anni; era il primo effetto sensibile della discesa dello Spirito nelle anime (cfr At 2,3-4;10,44-46;11,15;19,6).



Giovanni. 14, 15-20



Stiamo leggendo uno dei brani di Gesù che parla ai discepoli e che Giovanni riporta, inquadrato nell'ultima cena, carico di tensione e di aspettative. I discepoli non si rendono conto di ciò che sta per accadere e quindi sono stupefatti di alcune indicazioni di allontanamento, di abbandono e di ritorno.



Poiché non capiscono, ascoltano Gesù con stupore e perplessità, difficilmente consapevoli dello spessore delle parole che il maestro dice ma che ripescheranno dalla memoria e dalla riflessione nei tempi futuri. Non va dimenticato che il testo è riletto e meditato dopo la risurrezione, quando ormai la Comunità cristiana ha affrontato lunghi cammini, tensioni, alcune persecuzioni locali, rifiuti e accoglienze inimmaginabili. L'amore a Gesù non si gioca sulle emozioni ma sulla coerenza e il coraggio di seguire i suoi comandi. Ma quali comandi?



La comunità, che ripensa ai messaggi di Gesù, sa che ce ne sono tanti, riassunti "nell'amatevi l'un l'altro come io vi ho voluto bene". Ma questa una sintesi e un risultato di stili, di scelte, di comportamenti che si sviluppano ogni giorno nella vita familiare, sociale, religiosa e politica. La Comunità ne è consapevole, anzi sente il disagio e la fatica di andare contro corrente, di riproporre tutta la vita ed i propri rapporti nei termini che Gesù ha vissuto ed ha indicato.



In tal modo, spesso, la fatica e la fragilità fanno paura e costringono a pensare di essere stati abbandonati.



Gesù, allora, soccorre dicendo: "Pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre" (v 16). Si parla allora del "Paràclito" come un personaggio che porta fiducia e garanzia: la "persona che si siede accanto" nei processi e che sostiene, incoraggia, suggerisce, garantisce chi è accusato in un processo. Anzi la sua presenza di persona degna garantisce l'assemblea che l'imputato vada assolto. Gesù garantisce di inviare un altro Paràclito, "perché rimanga con voi per sempre", visto che il primo Paràclito, cioè Gesù stesso, sta per andarsene. La preghiera di Gesù interpella il Padre perché un altro Paràclito prosegua l'opera che il maestro ha iniziato e sviluppato con i discepoli. Il dono che Gesù offre è lo "Spirito di verità". E' una persona che si identifica con la verità, la mantiene viva e la dona. Questo non significa che siamo diventati infallibili, i garanti per eccellenza, i detentori delle verità nel mondo, o i portatori di realtà che ormai non serve verificare perché vanno prese a scatola chiusa. Sostenuti dallo Spirito, siamo però sempre nella ricerca, e pur sempre alle prese con il dubbio, la perplessità, la verifica. Lo Spirito della verità ci offre la rivelazione di Gesù, il rapporto profondo e unico con il Padre, la pienezza e la garanzia della verità, che è Gesù. Ma è necessaria la fede, altrimenti non lo si vede e non lo si conosce. Se però lo si crede, egli dimora nel credente e la sua presenza porta una conoscenza familiare. Infatti lo Spirito è presentato in rapporto con Gesù, i discepoli ed il mondo. A Gesù rende testimonianza (15,26-27), con i discepoli sarà presente e vivo (14,17), di fronte al mondo darà testimonianza a favore di Gesù contro la persecuzione e l'odio del male. "Non vi lascio orfani" dice Gesù pronunciando una espressione di paternità propria dei rabbini che spesso ritengono i loro discepoli dei figli. A Gesù Giuda, non l'Iscariota,: pone una domanda: "«Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (14, 22-23).



A Pentecoste Gesù garantisce colui che viene da Dio, forza e novità creatrice, santità e grazia, bellezza e splendore. Lo Spirito in noi ripropone la Trinità, il senso della vita e la pienezza.



Non diventiamo invulnerabili, infallibili, supereroi. Ci viene indicato di assomigliare a Gesù, nel servizio di un mondo che è affaticato e spesso sfiduciato, eppure desideroso di bellezza e di amore. Il Signore ci prende sul serio e la Pentecoste è l'inizio di una novità.



Dovremmo chiedere spesso lo Spirito, invocato per vivere la santità del momento, il rapporto con il fratello la sorella, la ricerca dell'armonia e della pace. Ci consola sapere che, in chi incontriamo, conosciuti o sconosciuti, lavora anonimo per Gesù lo stesso spirito che invochiamo e che preghiamo.





venerdì 10 maggio 2013

Gesù ha fiducia nel Padre e in noi 12 maggio 2013



VII domenica T. Pasqua (Anno C)

In qualche parrocchia è possibile che si celebri una messa della festa dell’Ascensione, celebrata giovedì 9 maggio. In questo caso troverete altre letture durante la messa.

Lettura
At 7,48-57
In quei giorni. Stefano disse: «L’Altissimo tuttavia non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta:
Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello dei miei piedi.
Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore,
o quale sarà il luogo del mio riposo?
Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?
Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».
All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano.
Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 26(27))
Nella casa del Signore contempleremo il suo volto.
oppure:
Alleluia, alleluia, alleluia.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? R.

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario. R.

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto. R.
Epistola
Ef 1,17-23
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv17,21)
Alleluia.
Tutti siano una cosa sola, dice il Signore,
e il mondo creda che tu mi hai mandato.
Alleluia.
Vangelo: Gv 17,1b.20-26
In quel tempo. Il Signore Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Parola del Signore.

Commenti
Atti degli Apostoli. 7, 48-57

Stiamo celebrando una liturgia di attesa, carica di apertura e di speranza, tra l'Ascensione e la Pentecoste. I tre testi ci propongono, in modo diverso, il progetto di una Comunità, voluta dal Padre, amata da Gesù, costituita in un progetto che si allarghi sul mondo e porti speranza per tutti.

Stefano, nella comunità ebraica di lingua greca in Gerusalemme, piccola rispetto alla vasta comunità di lingua ebraica, è una presenza particolarmente vivace ma anche sconcertante. "Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo" (At 6,8). Una presenza così pubblica, carica di segni di liberazione e di parola profetica, che esalta Gesù, vivissimo nella memoria e da pochissimo giustiziato, suscita rancore e rabbia. Perciò "alcuni della sinagoga detta dei Liberti..., sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, piombarono addosso a Stefano, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio" (6,9-12). Luca sviluppa la difesa di Stefano, riportando il lungo discorso che percorre la storia di Israele, riletta alla luce di Cristo. Rappresenta un esempio di predicazione biblica in uso nella Chiesa delle origini, particolarmente comprensibile da parte degli ebrei, anche se non da tutti accettata.

Nel testo che oggi leggiamo, si pone il valore del tempio che è diventato pericolosamente intoccabile, pena la morte per chiunque lo avesse svalutato. Anche il processo di Gesù è incominciato con l'accusa sul tempio. Ma Stefano cita il profeta Isaia (66,1-2: atti 7, 49-50) in cui si afferma che Dio è presente ovunque, al di là di ogni "spazio sacro".

Stefano difende la testimonianza di Gesù che è il Giusto e accusa implacabilmente "i padri e voi, traditori ed assassini" (v 52). Mentre i responsabili della sinagoga stanno decidendo la morte, viene riferita, in sintesi, la visione di Gesù ( in piedi) alla destra di Dio che indica la pienezza del Messia vittorioso. Stefano vede la "gloria" di Dio, parola che si usa, insieme alla "presenza", non potendo dire :"Ho visto Dio e Gesù alla sua destra".

Stefano, e quindi la Comunità cristiana di cui, in questa occasione, Stefano è il portavoce, offrono una sintesi della fede che in Gesù converge e prende forma. Il messaggio di Stefano rimette in discussione pratiche e culto che, nella visione di Gesù che muore e risorge, debbono essere ripensati, ridimensionati, mutati.

Gesù è il giusto e ci obbliga a pensarlo, comunque lo abbiamo considerato, Parola e volontà del Padre. In tal modo ci obbliga a rileggere nella storia che cosa vale davvero. Tutta la struttura che si è costituita, la religione che si è organizzata, le scelte che sono state fatte, i criteri che ci hanno condotto via via nel tempo: tutto questo, ci dice Stefano, va riesaminato alla luce della morte di Gesù che è stato glorificato ed è veramente colui che conta e verifica e giudica il senso della vita e della coerenza.

Efesini 1, 17-23

Paolo saluta i destinatari della sua lettera, all'inizio, augurando "grazia e pace"(1,1). E' il miglior augurio che si possa fare come dono che proviene dal Padre e da Gesù: la grazia è l'accoglienza di Dio che diventa pienezza nel cuore di ogni persona, la pace è il corredo di ogni armonia che trasforma i rapporti con gli uomini e le donne e il rapporto con il creato.

Poi Paolo prosegue: Dio ci ha benedetti e ci ha prescelti: "Il Signore ci ha ricolmati di ogni sorta di benedizione spirituale in Cristo" (3). E l'elenco delle benedizioni è lungo e prezioso. Ci serve riprenderle, per scoprire la ricchezza di cui siamo fatti segno anche noi, credenti come i fratelli e le sorelle di Efeso.

I. benedizione: la vocazione degli eletti alla vita beata, già cominciata, misticamente, con l'unione dei fedeli a Cristo glorioso (1,4). II. benedizione: il modo scelto per questa santità: è una filiazione divina, di cui Gesù Cristo, il Figlio unico, è la fonte e il modello (1,5; cfr. Rm 8,29). III. benedizione: l'opera storica della redenzione per mezzo della croce di Cristo (1,7). IV. benedizione: la rivelazione del «mistero» (1,9; Rm 16,25). V. benedizione: l'elezione di Israele, «eredità» di Dio, come testimone nel mondo dell'attesa messianica (1,11). VI. benedizione: la chiamata dei pagani che condividono la salvezza già riservata a Israele. Essi ne hanno la certezza, ricevendo lo Spirito promesso. Il dono dello Spirito corona l'esecuzione del piano divino e la sua esposizione in forma trinitaria (1,13).

Paolo ricorda con affetto e ammirazione questa comunità che è ricca di fede nel Signore Gesù e di amore verso "tutti i santi", i fratelli e le sorelle credenti (v15). Lo riconosce. "Rendo grazie per voi".

A questo punto, Paolo vuole esplicitare il contenuto e le motivazioni della sua gratitudine; ci introduce così nella ricchezza della sua fede, fondamentale per una comunità che cresce e che rende testimonianza (15-23). "Vi ricordo nelle mie preghiere" (1,16) perché il Signore "vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui". La fede è il fondamento che penetra nel mistero del Padre e quindi nella pienezza del Figlio.

La preghiera "illumini gli occhi del vostro cuore" (v 18) perché i credenti siano orientati alla speranza. E la speranza suppone sempre un cammino. La chiamata del Signore, infatti, è sempre un iniziare uscendo da qualche luogo, o qualche male, o qualche chiusura: uscire dall'Egitto, dalla paura, dalla solitudine, dall'angoscia, dal vuoto, dal paganesimo, da ciò che blocca senza futuro di gloria e di gioia. Il testo fa riferimento alla luce del cuore. E il cuore, nella Scrittura, è la sede della morale, della fedeltà, delle scelte, dell'amore, dello Spirito, di Gesù che vi dimora (Ef 3,17). C'è anche un nascosto riferimento al battesimo che si richiama al rito celebrato nella notte, illuminata dai fedeli, ma soprattutto dalla presenza del Signore, chiamati ad essere "un cuore solo e un'anima sola" (At 4,32).

La forza di Dio si manifesta nella lotta contro la morte e, quindi, nella risurrezione di Gesù. Questo Dio è il nostro difensore, che ha accolto Gesù accanto a sé "alla sua destra nei cieli", al di sopra" delle "potenze cosmiche" (qui sono elencate secondo la letteratura e la credenza corrente. Non si vuole però fare l'elenco completo, si vuole solo ricordare che non c'è nulla sopra Gesù in dignità e valore, salvo il Padre). "Dio tutto ha posto sotto i suoi piedi" (v 22). E proprio questo Messia è capo della Chiesa (comunità), un tutt'uno con i credenti, a somiglianza di un corpo che nella sua pienezza e integrità si riconosce in tutte le sue membra.

Come comunità cristiana, ci sentiamo ingigantiti dalle scelte del Padre e richiamati dalle decisioni di Gesù. Egli si è fatto, però, prima di tutto servo e quindi, poi, è stato esaltato. La grandezza della Chiesa non è messa all'inizio del suo itinerario, ma a conclusione, nella maturazione della sua fede e della sua carità. La grandezza della Chiesa è gratuita, ma deve essere maturata e si manifesta nel servire come ha fatto Gesù. Non a caso si continua a sentire da una cattedra autorevole: "Noi siamo chiamati a servire, come Gesù, non a glorificarci come se fossimo potenti. Continuiamo ad essere piccoli e poveri, grati per essere chiamati e fiduciosi che un giorno il Padre ci farà grandi nel suo paradiso".

Giovanni. 17, 1b. 20-26

Con la preghiera di Gesù, Giovanni conclude il lungo itinerario di rivelazione e di parole ultime ai discepoli ed alla Chiesa, nell'ambito dell'ultima cena, Tutti i temi toccati tra gli amici si riuniscono, ora, nel dialogo di Gesù con il Padre, nella tenerezza e nella pienezza che Gesù rivela. Siamo al dialogo-preghiera al Padre: vertice della fiducia e della fedeltà che Gesù porta a Dio.

Nella preghiera (Gv17,1-26) Gesù chiede al Padre di glorificarlo (1-5), prega per i suoi discepoli (6-19), prega per tutti coloro che accoglieranno la parola dei suoi discepoli (20-26).

Nella sua preghiera Gesù valorizza la dignità dei discepoli in modo sconcertante. Essi sono mandati da Gesù come Gesù stesso è inviato dal Padre (v 18). Così, attraverso la scelta di Gesù e la loro fiducia e fedeltà, i discepoli sono al termine di una concatenazione stupefacente che inizia dal Padre, passa per Gesù dopo l'attesa di secoli e giunge a semplici lavoratori a cui è affidato il mistero della pienezza. E se spaventati, si volessero sottrarre per paura delle responsabilità o per indegnità riconosciuta, essi sanno che Gesù, per loro, ha offerto se stesso, come garanzia, consacrandosi con una offerta che supera tutte le offerte di tutti i tempi. Essa sale a Dio Padre come il dono più alto che può salire dal mondo, segno di ubbidienza e di consapevolezza di totale pienezza: "Per loro consacro me stesso" (v19).

Il centro di tutta la preghiera è il Padre e l'unità con Lui. Gesù si fa carico del presente, pur tragico e tribolato per la fuga dei suoi, e di questa unità e pienezza, Gesù si fa carico per il futuro. Tutti noi, credenti in Gesù "mediante la loro parola" (20), siamo chiamati alla pienezza dell'unità e allo stesso dialogo con il Padre.

Gesù punta sull'unità con il Padre ed i fratelli. Non si dice come sia possibile o come si possa esprimere, tuttavia Gesù assicura che restano ferme la certezza e la pienezza di amore tra il Figlio ed il Padre. E se è saldo questo legame profondo ed infinito, pur di fronte alle turbolenze della storia, del male, della insofferenza e del capriccio, Gesù sente vera, insieme, la fatica e il successo di una unità nella sua Comunità nella storia. Di fronte a questo amore pieno i popoli potranno ritrovare la testimonianza inequivocabile della Comunità cristiana che lentamente matura nei credenti, e quindi il significato e la presenza di Gesù nella pienezza.

E' come una scommessa che ci lascia stupefatti per l'esperienza che facciamo ogni giorno delle nostre fragilità.

Eppure, in questa notte, Gesù si gioca sul progetto di una comunità nel tempo, di una fedeltà dei discepoli che si aprono nel mondo senza paura, di una loro testimonianza universale, di una certezza legata al suo rapporto con il Padre. Si va dal: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri", al "Da questo sapranno che siete miei amici: se avrete amore gli uni per gli altri" (13,34-35), al " Il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me" (v 23). A questo punto la parola di Gesù al Padre non è più: "ti prego" (20), ma "voglio" (24) poiché sa di poter contare sul Padre in pienezza. Ci sono una coerenza ed una volontà che va a "prima della creazione del mondo".

La parola "conoscenza" e quindi l'amore si rincorrono per almeno cinque volte in due versetti (vv 25-26).

Conoscere significa aprirsi totalmente all'azione misteriosa e presente del Padre.

Scopriamo così che è sconcertante la fiducia che Gesù ci concede. Ma ci permette di trovare speranza anche nell'oggi, e ringraziarlo della intimità a cui ci invita. Nel frattempo dobbiamo riprendere a ricercare la conoscenza di Dio, rivedere il nostro modo di pregare, le richieste ed i silenzi, le attese e le intercessioni.

Sull'amore del Padre e quindi di Gesù che si pone a modello di comunione è necessario riflettere lungamente perché diamo per ovvia la fede (ma con quali contenuti?) e decliniamo come amore semplicemente la fatica del nostro quotidiano. Ma l'amore richiede molta lucidità, analisi, umiltà e tentativi del superamento di ciò che ci sembra ovvio o naturale. L'amore è difficile, così come ce lo presenta Gesù e tuttavia è un progetto che, come credenti, il Signore ci affida. Anzi, il cambiamento e lo stile di questo mondo dovranno trovare, nelle parole di Gesù, la garanzia di nuove possibilità di amore reciproco nuovo.

La storia del mondo viene allora prospettata così. L'opera di Gesù continuerà a farci conoscere il Padre ogni giorno. Il tentativo della comunità cristiana dovrà continuare a credere e ad osare la possibilità di un amore reciproco concreto e capace di visibilità per tutti.


giovedì 2 maggio 2013

Lo Spirito ci mostra l'urgenza dell'amore 5 maggio 2013



VI domenica T. Pasqua (Anno C)
 
Lettura
At 21,40b – 22,22
In quei giorni. Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo:
«Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi». 2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti.
Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.
Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”.
Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi lui che mi diceva: “Affréttati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me”. E io dissi: “Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. Ma egli mi disse: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”».
Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!».
Parola di Dio.

Dopo il terzo viaggio missionario, Paolo ritorna a Gerusalemme, consapevole dei pericoli che deve
attraversare, ma sente che deve ubbidire allo Spirito e rendere un servizio ai fratelli. Si sono sparse
voci che predica ai pagani e che li porta alla fede di Gesù attraverso Mosè che poi non rispetta nelle sue leggi.
Anzi insegna sia ai giudei che ai pagani che accolgono la Parola di Gesù e credono in Lui di “non
circoncidere più i loro figli e di non comportarsi secondo gli usi tradizionali” (At 21,21).
Paolo incontra, invece, fratelli accoglienti, fa visita a Giacomo apostolo e, mentre viene informato
di tutte le dicerie contro di lui, gli attestano fiducia e venerazione. Tuttavia un giorno, nel tempio,
Paolo viene riconosciuto e quindi sequestrato da persone che vogliono ucciderlo. Salvato dai soldati romani,in un trambusto in cui nessuno si raccapezza più per la confusione, prima di essere portato in caserma, Paolo chiede di poter parlare al popolo (v 39). Protetto dai soldati, pronuncia la sua prima difesa, riportata dagli Atti (la seconda difesa è ricordata in At 24,10-21 e la terza in At 26, 2-23) e parla in ebraico, sorprendendo la gente che si incuriosisce  e resta ad ascoltarlo in silenzio.
Paolo, mentre si difende, sviluppa una catechesi suGesù. Ricorda, infatti, che, sulla strada che porta a Damasco, lo ha incontrato come "luce" e come "voce" (6-10) e rimproverato perché “sta perseguitando la sua via” (v 4).
Paolo tiene a presentarsi come un fedele ebreo, studioso e osservante della legge, “come siete tutti voi" (3), e tuttavia, mentre sta avvicinandosi alla città, pretendendo di imprigionare degli eretici nel nome di Dio, proprio Gesù lo ha richiamato alla responsabilità di fedele. “Perché mi perseguiti?” (At 22,7).
Anche gli apostoli hanno dovuto scegliere e quindi comportarsi di conseguenza. Per esempio
Pietro e Giovanni, arrestati, alle minacce del Sommo Sacerdote che li obbliga al silenzio, replicano: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi» ( At 4,19). Così Paolo, con molta semplicità, afferma che la sua coscienza lo ha costretto ad accogliere Gesù.
La volontà di Dio si è mostrata palese, senza illusioni o fantasie, ma chiara, esigente, esauriente.
L'apparizione e le parole ascoltate pongono Gesù risorto come il nuovo modello di riferimento, il nuovo segno di Dio, la nuova strada per camminare verso la salvezza.
Ma questa voce, che ormai è l'unica sua guida, gli ha anche suggerito di camminare oltre i confini e
di evangelizzare il mondo intero. "Va', perché ti manderò lontano, alle nazioni" (v 21). Ma questo progetto è inimmaginabile per un ebreo e lo impaurisce poiché, in tale apertura, si consuma la contaminazione e il crollo della "predilezione di Israele" da parte di Dio. E Dio non può smentirsi, pensa chi crede nel Dio dei Padri. Eppure il Signore apre orizzonti nuovi perché vuole raggiungere ogni uomo ed ogni donna che egli ama. E proprio i suoi messaggeri, che hanno sperimentato, per primi, la paura, dentro di sé, e quindi  il tradimento e il rifiuto verso di Lui, sono stati
ricuperati da Gesù, dimostrando, per ciascuno, un amore profondo. Scelti e mandati perché sappiano, con umiltà e consapevolezza, parlare della misericordia e dell’accoglienza del Signore nel mondo.

Salmo (Sal 66(67))
Popoli tutti, lodate il Signore, alleluia! oppure: Alleluia, alleluia, alleluia.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti. R.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra. R.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. R.

Epistola
Eb 7,17-26
Fratelli, a Cristo è resa infatti questa testimonianza:
Tu sei sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek.
Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio.
Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre.
Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.
Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.
Parola di Dio.

Gesù è sacerdote per sempre. Questa affermazione, che si ritrova nella “Lettera agli ebrei” fa molta impressione poiché Gesù non discende dalla tribù di Levi, la tribù che ha diritto e privilegio per il sacerdozio e il servizio al tempio. E questo è un ruolo fondamentale nella religione ebraica. L’autore della Lettera riprende il riferimento a Cristo dal salmo 110,4, in cui si parla del sacerdozio regale del Messia. Il sovrano d’Israele partecipa alla funzione sacerdotale, come a suo tempo avevano fatto Davide  (2 Samuele 6,13 ecc) e Salomone (1 Re 3,15). L'autore si preoccupa di dimostrare che il sacerdozio di Gesù è superiore al sacerdozio ebraico e mette in confronto il re Melchisedek e il sacerdozio della tribù di Levi.
Melchisedek, che pure è una piccola comparsa nella storia di Abramo (Gen 14,18-20), è re e sacerdote nella Gerusalemme pre-israelitica. "
Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre”.( Eb 7,1-3). Gesù risorto, scelto dal Padre e non
sacerdote per eredità, come i leviti, è sacerdote "per sempre" (v 17). Egli garantisce, insieme, secondo il compito sacerdotale, le due caratteristiche fondamentali del sacerdozio: la sua intercessione eterna in nostro favore presso il Padre e la fedeltà di Dio verso di noi:
“Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può
salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (7,24-25).
Gesù garantisce un cammino nuovo di speranza e permette di aprire di aprire gli occhi sul nuovo volto di Dio che è fedele e porta salvezza. La Comunità cristiana ha ereditato questa consapevolezza per sé e per gli altri per cui, comunque, il Signore alimenta la fiducia e la speranza. Ogni credente è re, sacerdote  e profeta dal giorno del battesimo, segnato con gli stessi caratteri di Gesù, ma è anche chiamato a questa forma preziosa di intercessione per un mondo che ha bisogno di pace, di perdono e di misericordia.
Essere sacerdoti significa anche mostrare il volto di Dio e la sua misericordia nel mondo.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 16, 16a)
Alleluia.
Un poco e non mi vedrete più, dice il Signore.
Alleluia.

Vangelo: Gv 16,12-22
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verso lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».
 
Parola del Signore.
Gesù sta rivelando, nella sua ultima cena, il segreto della sua vita e quindi il segreto del Padre, ma insieme incoraggia i discepoli perché non perdano la speranza nel prossimo smarrimento che su di loro è incombente. Non possono capire tutto e tutto insieme poiché il significato dell’esistenza nuova, che Gesù porta, ha bisogno di una ricerca, di un cammino, di una esperienza, di una fedeltà che ricostruisca via via il senso delle proprie scelte e della propria coerenza. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (16,12). Non si tratta di tempo scaduto. L’essenziale è già stato detto: “Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (15,15) e lo Spirito Santo non aggiungerà nulla di suo: “”Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito” (v 13).
Lo Spirito Santo accompagnerà i discepoli per assisterli nel tempo e, quindi, per aiutare ad
intendere, a scoprire, a decifrare fatti e situazioni difficili da innestare sul pensiero di Gesù,
per interpretarli e vivere.
Allora la storia del mondo sarà la strada, su cui noi ,camminando, via via, capiremo il
messaggio di Gesù. La storia, nel cammino con lo Spirito, ci aiuterà, attraverso fatti, situazioni, rapporti nuovi, sconvolgimenti, speranze, paci, guerre, a scoprire davvero che cosa
Gesù ha voluto dirci. La Parola e lo stile di Gesù saranno i filtri attraverso cui rileggere,
umilmente, i messaggi e la traduzione della volontà di Dio, oggi.
Gesù sta camminando verso la croce ed essi non se ne rendono ancora conto, nonostante i
richiami e le predizioni. E così, ogni giorno, ci sono la fatica nostra e degli altri, la nostra e
altrui stanchezza, la nostra e l’altrui guerra. Il Signore ci incoraggia perché accettiamo di
interpretare, sull’esempio che Gesù ci ha offerto, la volontà di Dio e i suoi segni nello Spinto
È già tutto detto, è già tutto in cammino. E se ci si rifiuta di rileggere il nostro tempo, fatto di
grazia e di peccato, come luogo di rivelazione per noi attraverso lo Spirito, magari ricordando
che: “Ai miei tempi si faceva o era diverso”, non si coglie più il dono di Gesù per la Chiesa
che ci sostiene e che però ci rimette in ricerca.
“Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità” e questo ci aiuterà, via via, a scoprire il cammino
poiché compito dello Spirito è guidare nel tempo e affrontare, di volta in volta, fatti e
situazioni, problemi e interrogativi. Si prospettano per Gesù un suo andare ed un suo tornare, vicinissimi l’un l’altro. Direttamente c’è un richiamo alla morte ed alla risurrezione, ma
dal Vangelo scaturisce anche un andare al Padre e un ritorno alla fine dei tempi: si delinea
il cammino della Chiesa nel tempo.
Nell’attesa ci sarà afflizione, ma non sarà sterile: sarà
una sofferenza per una nascita, una preparazione alla gioia. “La vostra afflizione si tramuterà in gioia” (v 20) e, subito dopo, aggiunge: “nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (v 23).
Su questa fiducia sull’opera dello Spirito si sono particolarmente sviluppate alcune intuizioni
in Papa Giovanni XXIII mentre ha suggerito sia la ricerca dei “segni dei tempi” e sia, in modo
più vasto, il Concilio.
Sono state queste alcune intuizioni che Papa Giovanni XXIII ha suggerito sia nella ricerca dei
“segni dei tempi” e sia, in modo più vasto, nel Concilio. La stessa operazione dell’interpretazione del nostro tempo, il famoso “aggiornamento” non è tanto una spolverata linguistica per tradurre concetti e verità teologiche nella comprensione di oggi, ma è il rileggere la Parola di Dio nel cammino della storia che stiamo vivendo, con umiltà, alla ricerca dello Spirito.
Dice Mons. Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, che quando riferiscono al Papa, ormai
sul letto di morte, i mormorii e le accuse sulla sua enciclica: “Pacem in terris” (siamo nel 1963), rimproverandogli di aver cambiato il Vangelo nel suo sforzo di valorizzare la pace e l’impegno contro la guerra, anche quella cosiddetta giusta, Papa Roncalli risponde quello che potrebbe essere il significato della sua vita e, in fondo, lo sforzo della Chiesa : “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
Nelle Comunità cristiane dovremmo essere molto attenti al cammino della storia. Senza pretendere di indirizzarla ad interessi di parte, la accogliamo, la interpretiamo nei suoi segni che il Signore ci può indicare e la viviamo, nel tentativo di interpretarla e orientarla verso i grandi valori di ogni persona, soprattutto dei più deboli e più fragili. Non si tratta di giustificare il male, ma di essere solidali con la sofferenza, incoraggiando a camminare insieme e sostenendo quelli che, per scelte, vocazioni, lavoro sono impegnati e faticano.