giovedì 2 maggio 2013

Lo Spirito ci mostra l'urgenza dell'amore 5 maggio 2013



VI domenica T. Pasqua (Anno C)
 
Lettura
At 21,40b – 22,22
In quei giorni. Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo:
«Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi». 2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti.
Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.
Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”.
Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi lui che mi diceva: “Affréttati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me”. E io dissi: “Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. Ma egli mi disse: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”».
Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!».
Parola di Dio.

Dopo il terzo viaggio missionario, Paolo ritorna a Gerusalemme, consapevole dei pericoli che deve
attraversare, ma sente che deve ubbidire allo Spirito e rendere un servizio ai fratelli. Si sono sparse
voci che predica ai pagani e che li porta alla fede di Gesù attraverso Mosè che poi non rispetta nelle sue leggi.
Anzi insegna sia ai giudei che ai pagani che accolgono la Parola di Gesù e credono in Lui di “non
circoncidere più i loro figli e di non comportarsi secondo gli usi tradizionali” (At 21,21).
Paolo incontra, invece, fratelli accoglienti, fa visita a Giacomo apostolo e, mentre viene informato
di tutte le dicerie contro di lui, gli attestano fiducia e venerazione. Tuttavia un giorno, nel tempio,
Paolo viene riconosciuto e quindi sequestrato da persone che vogliono ucciderlo. Salvato dai soldati romani,in un trambusto in cui nessuno si raccapezza più per la confusione, prima di essere portato in caserma, Paolo chiede di poter parlare al popolo (v 39). Protetto dai soldati, pronuncia la sua prima difesa, riportata dagli Atti (la seconda difesa è ricordata in At 24,10-21 e la terza in At 26, 2-23) e parla in ebraico, sorprendendo la gente che si incuriosisce  e resta ad ascoltarlo in silenzio.
Paolo, mentre si difende, sviluppa una catechesi suGesù. Ricorda, infatti, che, sulla strada che porta a Damasco, lo ha incontrato come "luce" e come "voce" (6-10) e rimproverato perché “sta perseguitando la sua via” (v 4).
Paolo tiene a presentarsi come un fedele ebreo, studioso e osservante della legge, “come siete tutti voi" (3), e tuttavia, mentre sta avvicinandosi alla città, pretendendo di imprigionare degli eretici nel nome di Dio, proprio Gesù lo ha richiamato alla responsabilità di fedele. “Perché mi perseguiti?” (At 22,7).
Anche gli apostoli hanno dovuto scegliere e quindi comportarsi di conseguenza. Per esempio
Pietro e Giovanni, arrestati, alle minacce del Sommo Sacerdote che li obbliga al silenzio, replicano: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi» ( At 4,19). Così Paolo, con molta semplicità, afferma che la sua coscienza lo ha costretto ad accogliere Gesù.
La volontà di Dio si è mostrata palese, senza illusioni o fantasie, ma chiara, esigente, esauriente.
L'apparizione e le parole ascoltate pongono Gesù risorto come il nuovo modello di riferimento, il nuovo segno di Dio, la nuova strada per camminare verso la salvezza.
Ma questa voce, che ormai è l'unica sua guida, gli ha anche suggerito di camminare oltre i confini e
di evangelizzare il mondo intero. "Va', perché ti manderò lontano, alle nazioni" (v 21). Ma questo progetto è inimmaginabile per un ebreo e lo impaurisce poiché, in tale apertura, si consuma la contaminazione e il crollo della "predilezione di Israele" da parte di Dio. E Dio non può smentirsi, pensa chi crede nel Dio dei Padri. Eppure il Signore apre orizzonti nuovi perché vuole raggiungere ogni uomo ed ogni donna che egli ama. E proprio i suoi messaggeri, che hanno sperimentato, per primi, la paura, dentro di sé, e quindi  il tradimento e il rifiuto verso di Lui, sono stati
ricuperati da Gesù, dimostrando, per ciascuno, un amore profondo. Scelti e mandati perché sappiano, con umiltà e consapevolezza, parlare della misericordia e dell’accoglienza del Signore nel mondo.

Salmo (Sal 66(67))
Popoli tutti, lodate il Signore, alleluia! oppure: Alleluia, alleluia, alleluia.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti. R.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra. R.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. R.

Epistola
Eb 7,17-26
Fratelli, a Cristo è resa infatti questa testimonianza:
Tu sei sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek.
Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio.
Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre.
Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.
Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.
Parola di Dio.

Gesù è sacerdote per sempre. Questa affermazione, che si ritrova nella “Lettera agli ebrei” fa molta impressione poiché Gesù non discende dalla tribù di Levi, la tribù che ha diritto e privilegio per il sacerdozio e il servizio al tempio. E questo è un ruolo fondamentale nella religione ebraica. L’autore della Lettera riprende il riferimento a Cristo dal salmo 110,4, in cui si parla del sacerdozio regale del Messia. Il sovrano d’Israele partecipa alla funzione sacerdotale, come a suo tempo avevano fatto Davide  (2 Samuele 6,13 ecc) e Salomone (1 Re 3,15). L'autore si preoccupa di dimostrare che il sacerdozio di Gesù è superiore al sacerdozio ebraico e mette in confronto il re Melchisedek e il sacerdozio della tribù di Levi.
Melchisedek, che pure è una piccola comparsa nella storia di Abramo (Gen 14,18-20), è re e sacerdote nella Gerusalemme pre-israelitica. "
Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre”.( Eb 7,1-3). Gesù risorto, scelto dal Padre e non
sacerdote per eredità, come i leviti, è sacerdote "per sempre" (v 17). Egli garantisce, insieme, secondo il compito sacerdotale, le due caratteristiche fondamentali del sacerdozio: la sua intercessione eterna in nostro favore presso il Padre e la fedeltà di Dio verso di noi:
“Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può
salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (7,24-25).
Gesù garantisce un cammino nuovo di speranza e permette di aprire di aprire gli occhi sul nuovo volto di Dio che è fedele e porta salvezza. La Comunità cristiana ha ereditato questa consapevolezza per sé e per gli altri per cui, comunque, il Signore alimenta la fiducia e la speranza. Ogni credente è re, sacerdote  e profeta dal giorno del battesimo, segnato con gli stessi caratteri di Gesù, ma è anche chiamato a questa forma preziosa di intercessione per un mondo che ha bisogno di pace, di perdono e di misericordia.
Essere sacerdoti significa anche mostrare il volto di Dio e la sua misericordia nel mondo.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 16, 16a)
Alleluia.
Un poco e non mi vedrete più, dice il Signore.
Alleluia.

Vangelo: Gv 16,12-22
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verso lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».
 
Parola del Signore.
Gesù sta rivelando, nella sua ultima cena, il segreto della sua vita e quindi il segreto del Padre, ma insieme incoraggia i discepoli perché non perdano la speranza nel prossimo smarrimento che su di loro è incombente. Non possono capire tutto e tutto insieme poiché il significato dell’esistenza nuova, che Gesù porta, ha bisogno di una ricerca, di un cammino, di una esperienza, di una fedeltà che ricostruisca via via il senso delle proprie scelte e della propria coerenza. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (16,12). Non si tratta di tempo scaduto. L’essenziale è già stato detto: “Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (15,15) e lo Spirito Santo non aggiungerà nulla di suo: “”Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito” (v 13).
Lo Spirito Santo accompagnerà i discepoli per assisterli nel tempo e, quindi, per aiutare ad
intendere, a scoprire, a decifrare fatti e situazioni difficili da innestare sul pensiero di Gesù,
per interpretarli e vivere.
Allora la storia del mondo sarà la strada, su cui noi ,camminando, via via, capiremo il
messaggio di Gesù. La storia, nel cammino con lo Spirito, ci aiuterà, attraverso fatti, situazioni, rapporti nuovi, sconvolgimenti, speranze, paci, guerre, a scoprire davvero che cosa
Gesù ha voluto dirci. La Parola e lo stile di Gesù saranno i filtri attraverso cui rileggere,
umilmente, i messaggi e la traduzione della volontà di Dio, oggi.
Gesù sta camminando verso la croce ed essi non se ne rendono ancora conto, nonostante i
richiami e le predizioni. E così, ogni giorno, ci sono la fatica nostra e degli altri, la nostra e
altrui stanchezza, la nostra e l’altrui guerra. Il Signore ci incoraggia perché accettiamo di
interpretare, sull’esempio che Gesù ci ha offerto, la volontà di Dio e i suoi segni nello Spinto
È già tutto detto, è già tutto in cammino. E se ci si rifiuta di rileggere il nostro tempo, fatto di
grazia e di peccato, come luogo di rivelazione per noi attraverso lo Spirito, magari ricordando
che: “Ai miei tempi si faceva o era diverso”, non si coglie più il dono di Gesù per la Chiesa
che ci sostiene e che però ci rimette in ricerca.
“Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità” e questo ci aiuterà, via via, a scoprire il cammino
poiché compito dello Spirito è guidare nel tempo e affrontare, di volta in volta, fatti e
situazioni, problemi e interrogativi. Si prospettano per Gesù un suo andare ed un suo tornare, vicinissimi l’un l’altro. Direttamente c’è un richiamo alla morte ed alla risurrezione, ma
dal Vangelo scaturisce anche un andare al Padre e un ritorno alla fine dei tempi: si delinea
il cammino della Chiesa nel tempo.
Nell’attesa ci sarà afflizione, ma non sarà sterile: sarà
una sofferenza per una nascita, una preparazione alla gioia. “La vostra afflizione si tramuterà in gioia” (v 20) e, subito dopo, aggiunge: “nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (v 23).
Su questa fiducia sull’opera dello Spirito si sono particolarmente sviluppate alcune intuizioni
in Papa Giovanni XXIII mentre ha suggerito sia la ricerca dei “segni dei tempi” e sia, in modo
più vasto, il Concilio.
Sono state queste alcune intuizioni che Papa Giovanni XXIII ha suggerito sia nella ricerca dei
“segni dei tempi” e sia, in modo più vasto, nel Concilio. La stessa operazione dell’interpretazione del nostro tempo, il famoso “aggiornamento” non è tanto una spolverata linguistica per tradurre concetti e verità teologiche nella comprensione di oggi, ma è il rileggere la Parola di Dio nel cammino della storia che stiamo vivendo, con umiltà, alla ricerca dello Spirito.
Dice Mons. Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, che quando riferiscono al Papa, ormai
sul letto di morte, i mormorii e le accuse sulla sua enciclica: “Pacem in terris” (siamo nel 1963), rimproverandogli di aver cambiato il Vangelo nel suo sforzo di valorizzare la pace e l’impegno contro la guerra, anche quella cosiddetta giusta, Papa Roncalli risponde quello che potrebbe essere il significato della sua vita e, in fondo, lo sforzo della Chiesa : “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
Nelle Comunità cristiane dovremmo essere molto attenti al cammino della storia. Senza pretendere di indirizzarla ad interessi di parte, la accogliamo, la interpretiamo nei suoi segni che il Signore ci può indicare e la viviamo, nel tentativo di interpretarla e orientarla verso i grandi valori di ogni persona, soprattutto dei più deboli e più fragili. Non si tratta di giustificare il male, ma di essere solidali con la sofferenza, incoraggiando a camminare insieme e sostenendo quelli che, per scelte, vocazioni, lavoro sono impegnati e faticano.

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