venerdì 28 ottobre 2011

Domenica 30 Ottobre 2011

II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

LA PARTECIPAZIONE DELLE GENTI ALLA SALVEZZA

Il mondo soffre per carenza di pensiero.

LETTURA

Lettura del profeta Isaia 45, 20-23

Così dice il Signore Dio: / «Radunatevi e venite, / avvicinatevi tutti insieme, / superstiti delle nazioni! / Non comprendono quelli che portano / un loro idolo di legno / e pregano un dio / che non può salvare. / Raccontate, presentate le prove, / consigliatevi pure insieme! / Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo / e chi l’ha raccontato fin da allora? / Non sono forse io, il Signore? / Fuori di me non c’è altro dio; / un dio giusto e salvatore / non c’è all’infuori di me. / Volgetevi a me e sarete salvi, / voi tutti confini della terra, / perché io sono Dio, non ce n’è altri. / Lo giuro su me stesso, / dalla mia bocca esce la giustizia, / una parola che non torna indietro: / davanti a me si piegherà ogni ginocchio, / per me giurerà ogni lingua».

SALMO

Sal 21 (22)

®Loderanno il Signore quelli che lo cercano.

Da te la mia lode nella grande assemblea; scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! ®

Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. Perché del Signore è il regno: èlui che domina sui popoli! ®

E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!». ®

EPISTOLA

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 3, 13b - 4, 1

Fratelli, so soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Matteo 13, 47-52

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Commento

Vi è una percezione molto diversa nel leggere il tema della partecipazione delle genti alla salvezza nel contesto culturale contemporaneo, segnato dalla globalizzazione, ri-spetto al contesto storico-salvifico del Giudaismo del I secolo, quando Paolo con il suo evangelo a riguardo del Cristo crocifisso e risorto afferma che «non vi è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né maschio o femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Per l’apostolo erano giunti gli ultimi tempi annunciati dai profeti (cf Lettura), tempi in cui Israele e le genti avrebbero partecipato insieme alla salvezza (ješûʿâ) di JHWH ovvero al compimento del suo piano di giustizia (edāqâ) per tutta l’umanità. Prima della creazione del mondo il Creatore aveva pensato l’umanità a immagine del Figlio. Ora, nel quadro della storia concreta, quel progetto di comunicarsi a una umanità di figli creati a immagine del Figlio si concretizza in un atto di perdono (edāqâ) che si offre nella croce di Gesù (ješûaʿ) alla decisione di fede di tutti (cf Epistola).

Il disegno salvifico di JHWH, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, è attestato dalle Scritture (cf Vangelo), uno scrigno stupendo in cui la Parola della Tôrâ, dei Profeti e degli altri Scritti – riletta dal Vangelo di Gesù e su Gesù – appare la fonte inesauribile della sapienza della scriba fatto discepolo del regno dei cieli che attende con il Figlio dell’Uomo glorificato la συντλεια («la sintesi finale», cf Mt 28,20) della storia.

VANGELO: Mt 13,47-52

vv. 47-50: Quest’ultima parabola coincide, per il messaggio, a quella del grano e della zizzania. L’opposizione tra τ καλ «i buoni» e τ … σαπρ «i cattivi», e corrisponde alla distinzione tra alberi buoni e cattivi di Mt 7,15-19. «I cattivi» sono i falsi profeti e tutti coloro che sono ipocriti e perseguono scopi vergognosi sotto mentite spoglie. Nel v. 50, la sorte dei cattivi sarà quella del Maligno e il loro comune destino è il fuoco di-struttore (cf anche al v. 42, la spiegazione della parabola della zizzania). La descrizione della sorte finale nella parabola è per convincere i discepoli nell’ora presente a decider-si per una scelta di vita che produce molto frutto. Si noti che la rete è gettata in mare senza scelta di popolo: la parabola non si rivolge solo a Israele, ma coinvolge ogni interlocutore in quanto persona, a qualsiasi popolo appartenga!

vv. 51-52: La conclusione con i discepoli sviluppa un’altra parabola. Essa ruota attor-no al tema del «comprendere», che è il registro fondamentale del capitolo matteano delle parabole (vv. 13. 14. 15. 19. 23. 51).

Una volta «compreso» il contenuto della Parola, occorre diventare infatti un γραμματες μαθητευθες τ βασιλεί τν ορανν «uno scriba fatto discepolo del regno dei cieli». Il dottore che ha compreso il messaggio del regno dei cieli è capace di interpretare la tradizione antica senza lasciarsi soggiogare da essa, ma la domina a partire dal «nuovo», che è l’evento presente di Gesù maestro. Egli non si basa più su una ricerca all’indietro, ma scopre nel messaggio di Gesù il principio interpretativo di tutta la Scrittura di Israele.

Il primo ad essere un dottore così è lo stesso evangelista, che rilegge tutte le Scritture alla luce dell’evento cristologico.

Definendo le Scritture del popolo ebraico «Antico Testamento», la Chiesa non ha voluto affatto suggerire che esse siano superate e che se ne potesse ormai fare a meno. Al contrario, essa ha sempre affermato che Antico Testamento e Nuovo Testamento sono insepara-bili. Il loro primo rapporto sta proprio in questa inseparabilità. Quando, all’inizio del II secolo, Marcione voleva rifiutare l’Antico Testamento, si scontrò con una totale opposizione da parte della Chiesa post-apostolica. Il rifiuto dell’Antico Testamento portava del resto Marcione a respingere anche gran parte del Nuovo — accettava solo il vangelo di Luca e una parte delle lettere di Paolo —, il che dimostrava chiaramente che la sua posizione era insostenibile. È alla luce dell’Antico Testamento che il Nuovo comprende la vita, la morte e la glorificazione di Gesù (cf 1 Cor 15,3-4).

Ma il rapporto è reciproco: da una parte, il Nuovo Testamento richiede di essere letto alla luce dell’Antico, ma, dall’altra, invita a «rileggere» l’Antico alla luce di Cristo Gesù (cf Lc 24,45). Come è stata fatta questa «rilettura»? Essa si è estesa a «tutte le Scritture» (Lc 24,27), a «tutte le cose scritte nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44), ma il Nuovo Testamento ci presenta solo un numero limitato di esempi, senza formulare una teoria metodologica.

[…] I testi parlano di tipologia e di lettura alla luce dello Spirito (2 Cor 3,14-17), suggeren-do l’idea di un duplice livello di lettura, quello del senso originario, percepibile in un primo tempo, e quello di una interpretazione ulteriore, rivelata alla luce di Cristo.

Nel giudaismo era abituale fare certe riletture. Era lo stesso Antico Testamento a mettere su questa strada. C’era, ad esempio, la rilettura dell’episodio della manna; non si negava il dato originario, ma se ne approfondiva il senso vedendo nella manna il simbolo della Paro-la con cui Dio nutre continuamente il suo popolo (cf Dt 8,2-3). I libri delle Cronache sono una rilettura del libro della Genesi e dei libri di Samuele e dei Re. Lo specifico nella rilettu-ra cristiana è che è attuata […] alla luce del Cristo.

L’interpretazione nuova non abolisce il senso originario.

PER LA NOSTRA VITA

1. La misericordia è “prima”, perché non dipende da me: per questo, la speranza non delude.

Fossi io a misurare la fedeltà e l’amore di Dio, sarei presto alla disperazione: il volto di Dio cambierebbe ogni volta, sarebbe aperto o corrucciato secondo che io operi il bene o faccia il male.

Invece il volto di Dio è apparso una volta per tutte, nel volto di Cristo, come salvez-za. Il mio Dio è un mistero, ma non è ambiguo. […] Dio non cambierà le carte in ta-vola all’ultimo momento, per quanto dipende da Lui. Così il mio tesoro è in Lui: tutto il resto non propriamente tesoro dell’uomo. È la speranza che mi rende libero.

2. La fede è profetica nel senso che, radicalizzando l’ascesi della ragione e purifi-cando il desiderio, essa lavora così a sostenere ogni forma di lotta contro una religiosità troppo affettiva o troppo pulsionale. In questo modo, si libera dalla ricerca di contenu-ti concreti che soddisfano momentaneamente il desiderio, ma lo ingannano con un in-vestimento infondato nell’oggetto; essa orienta verso la ricerca di colui che pur essendo presente non cessa di sfuggire per non essere classificato tra le realtà mondane, e per non confiscare la responsabilità umana. La fede di Dio purifica, così, il desiderio, sen-za negare la legittimità della sua ricerca. La fede non conforta il desiderio nelle sue il-lusioni narcisistiche o infantili, essa lo apre all’accoglienza di una Parola che lo adatta alla verità della sua condizione, all’esigenza della giustizia, alla sollecitudine per gli oppressi e alla dismisura della sua vocazione: entrare nell’amicizia di Dio.

In questo modo, la fede, senza dover organizzare, controllare o sostenere la politica, la cultura, l’economia, lavora nel cuore di queste realtà collettive, come nel cuore degli individui, per contenere la politica, la cultura, l’economia, lavora nel cuore di queste realtà collettive, come nel cuore degli individui, per contenere la loro dismisura e con-traddire la loro mediocrità latente. Se la fede si riduce ad una morale, fosse anche della più alta qualità, si priva della sua potenza profetica: questa le viene dall’attrattiva di Dio, e non dal solo ideale di giustizia e di pace che essa suppone ed esige. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il carattere più originale della fede: la fiducia incondizionata nel Dio che permette di assumere umanamente le frustrazioni del desi-

derio, il tragico, la violenza e la morte, sostiene la sua vocazione profetica. […] E così, sotto la pressione degli avvenimenti che hanno generato la modernità, torniamo alla si-tuazione originaria: le prime comunità si sforzarono di non tradire la fede venuta da Abramo, Mosè e Gesù. Esse lottarono perché la Scrittura non venisse fraintesa. Per es-se si trattava di testimoniare l’apertura di Dio nel suo Cristo e nello Spirito a tutti gli esseri umani, non si trattava di un programma utopico e divino di sostituzione, tale da dispensare l’umanità dalla sua responsabilità terrena.

3. Un terzo dell’umanità ha fame. Alla fame dei corpi si unisce quella delle anime: i due terzi della popolazione del globo non hanno ancora imparato a conoscere il No-me di Cristo. Nei paesi che si dicono cristiani, regna una massima divergenza tra il Vangelo da una parte, il modo di vivere dei cristiani da un’altra e le ricerche e tenden-ze della società da un’altra ancora. Come collegare tutto ciò alla Risurrezione? Ma è un’evidenza lampante. I sedicenti cristiani non vivono la Risurrezione, non sono dei ri-sorti. Hanno perduto lo Spirito del Vangelo. Hanno fatto della Chiesa una macchina, della teologia una pseudoscienza, del cristianesimo una vaga morale. Ritroviamo, riviviamo la teologia rovente di San Paolo: «Come il Cristo è risorto dai morti, così noi, i battezzati, dobbiamo condurre una vita nuova» (cf Rm 6,4). Se coloro che credono nel Risorto portano in sé questa potenza di vita, allora si potranno trovare soluzione ai problemi che angosciano oggi gli uomini… Si tratta anzitutto di formare l’uomo interiore, di renderlo capace di un’adorazione creatrice. Abbiamo bisogno di uomini che facciano l’esperienza, nello Spirito Santo, della Risurrezione del Cristo come illumina-zione del cosmo e senso della storia. Da quella forza interiore scaturirà uno slancio che darà senso ai valori umanitari. […]

È tutto qui: inaugurare in sé una vita nuova, rivestirsi l’anima di un abito di festa. Allora avremo mani colme di doni fraterni. […] Cristo è dappertutto. Dalla Risurre-zione in poi, tutta la vicenda umana si svolge in lui, lo cerca, lo celebra, lo combatte, lo nega, lo ritrova. La sua presenza segreta, la rivelazione che ci porta, sono diventate il fermento dell’intera esistenza umana.

4. Cristo deve farsi presente fra di noi nella predicazione e nel sacramento, così come ha riconciliato Dio e gli uomini facendosi crocifiggere. Il Cristo crocifisso è la nostra pace. Egli solo scongiura gli idoli e i demoni. Solo davanti alla croce trema il mondo, non davanti a noi.

E ora innalzate la croce sul mondo sconvolto. Cristo non è lontano dal mondo, non è in una regione lontanissima rispetto alla nostra esistenza: è entrato nella massima profondità del mondo, la sua croce è al centro del mondo. […]

Fratelli nell’ascolto della Parola del Signore […] del totalmente radicale, è questo il grande compito. Essa non è la migliore e più zelante, ma […] la comunità di coloro che fanno penitenza e non negano la loro colpa, la loro disattenzione verso il comando di Dio, che pure annuncia il Regno di Dio vicino. Nessuna visibile città di Dio può essere innalzata in questo mondo; […] tutto ciò che la chiesa fa nel mondo è provvisorio, ha l’unico scopo di tenere insieme gli ordini del mondo in rovina, di impedirne il pre-cipitare nel caos. Questo agire della chiesa è indispensabile, ma il nuovo ordine della società, la comunità, non è l’ordine del regno. Tutti gli ordinamenti e tutte le comuni-tà del mondo passeranno quando Dio creerà di nuovo il suo mondo e il Signore Cristo tornerà, per giudicare il vecchio mondo e istituire il nuovo.

5. La vita religiosa non è solo una faccenda privata. La nostra vita è un movimento nella sinfonia delle epoche. Ci viene insegnato a pregare e anche a vivere alla prima persona plurale, a fare il bene “nel nome di tutto Israele”. Tutte le generazioni sono presenti in ciascuna generazione.

Lasciatemi concludere con un racconto riportato in un libro ebraico del XVIII secolo. C’era un giovane che voleva diventare fabbro. Si fece apprendista di un fabbro e imparò tutte le tecniche del mestiere: come impugnare le tenaglie, come sollevare la mazza, come batte-re sull’incudine, come ravvivare il fuoco con il mantice. Terminato il periodo di apprendistato, fu chiamato a lavorare in una fucina del palazzo reale. Ma la soddisfazione del giovane finì presto quando si accorse che non era riuscito ad imparare come far scoccare la scintilla. Tutte le sue capacità e abilità nel maneggiare gli strumenti non gli furono di alcun giovamento.

Personalmente, non di rado, provo confusione nel vedere che – proprio come quell’apprendista – conosco i fatti e conosco le tecniche, ma non ho imparato a far scoccare la scintilla.

6. Ciao carissimo! Un augurio grande […] e tutta la mia preghiera per te! Come stai? Ti affido a Lui, sotto il bellissimo e silenzioso cielo stellato africano!

Io sto bene, sono a Matany, nel nord Uganda, una regione povera che vive di pasto-rizia e scarsa agricoltura. In comunità siamo in 5, io aiuto nell’ospedale, molto bello, costruito grazie alla cooperazione internazionale, con i reparti essenziali (medicina interna, chirurgia, maternità, pediatria e TB). Sono tanti padiglioni tra i quali ci sono i familiari dei malati che preparano per loro il cibo.

La vita è intensa, davvero il cuore si dilata e si spezza ogni giorno... a fianco di pic-coli denutriti, fratelli e sorelle resi vulnerabili dall’HIV, poi tante malaria, epatiti, pol-moniti, TB, diversi casi di meningite… La settimana scorsa una giovane mamma ci è morta di rabbia... Come dimenticarla? Davvero tanti sono ormai i piccoli angeli che ho conosciuto e ci proteggono. C’è poi un ragazzo con epilessia di nome F. che praticamente vive nell’ospedale, è tanto caro e tenero, dorme per terra (come tanti qui), si porta con se la Bibbia, e quando sta bene regala a tutti grandi sorrisi...

Ogni volta che lo saluto, un doppio sorriso mi si apre nel volto... perché ricordo an-che te! Spero tu stia bene. Fammi sapere! Un abbraccio forte! Il Signore ti protegge e ti benedice sempre! Grazie per la benedizione che sei! Tua sorella M.

giovedì 20 ottobre 2011

Domenica 23 Ottobre 2011


'Il mandato missionario'

Annunciate il Vangelo. E se serve usate le parole (S. Francesco)

Ecco come S. Francesco interpreta l’annuncio del Vangelo, direi che non occorrono molti commenti.

LETTURA

Lettura degli Atti degli Apostoli 10, 34-48a

In quei giorni. Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo.

SALMO

Sal 95 (96)

®Annunciate a tutti i popoli le opere di Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra. Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie. ®

Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome. ®

Portate offerte ed entrate nei suoi atri, prostratevi al Signore nel suo atrio santo. Tremi davanti a lui tutta la terra. Dite tra le genti: «Il Signore regna!». Egli giudica i popoli con rettitudine. ®

EPISTOLA

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1, 17b-2

Fratelli, Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: / «Distruggerò la sapienza dei sapienti / e annullerò l’intelligenza degli intelligenti». Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Luca 24, 44-49a

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso».

Commento al vangelo

Il cap. 24 di Luca è formato da tre sotto-sequenze:6 le sotto-sequenze estreme sono

composte da cinque passi, mentre la sotto-sequenza centrale è il racconto dei due discepoli

di Emmaus, paradigma di ogni esperienza pasquale delle generazioni subapostoliche.

Ciascuna sotto-sequenza ha al centro la memoria delle parole che ora si stanno

compiendo: le parole profetiche di Gesù (vv. 6b-8), le Scritture ricordate da Gesù (vv.

19b-27) e le parole profetiche di Gesù insieme alle Scritture ricordate da Gesù (vv. 44-

47a).

Il passo liturgico odierno riporta il passo centrale della terza sotto-sequenza (vv. 44-

47a) e il passo successivo della terza sotto-sequenza (vv. 47b-49).

La pericope liturgica è composta da due distinti passi.

Il primo passo (vv. 44-47a) è composto da due paragrafi, attorno all’unica frase narrativa

centrale che sottolinea come «[Gesù] aprì loro la mente all’intelligenza delle

Scritture». Prima e dopo questa frase narrativa stanno due segmenti in cui sono ricordate

le «parole»: quelle dette da Gesù durante il suo insegnamento (v. 44) e quelle della

Scrittura (vv. 46-47).

Il secondo passo (vv. 47b-49)è invece formato da due paragrafi paralleli, entrambi

inizianti con il riferimento a Gerusalemme e alla Città. Il primo paragrafo (vv. 47b-48)

si riferisce alla testimonianza che dovrà essere resa anche con il supplemento di forza

dato dallo Spirito santo. Il secondo paragrafo (v. 49b) annuncia l’evento della Pentecoste

che sarà narrato da Luca all’inizio del “Secondo Libro”.

Mi limito a riportare, adattandole, alcune annotazioni di R. Meynet , Il Vangelo secondo Luca, p. 681 e 682.

1. IL COMPIMENTO DELLA PAROLA

Tutte le Scritture parlano di Gesù. Esse annunciano ciò che egli farà e ciò che faranno i

suoi discepoli nel suo nome. Gesù dice quanto dicono le Scritture, eppure non si accontenta

di ripeterle e commentarle al modo degli Scribi. Egli le fa, le realizza, le compie. E dal

momento che le compie, può farle comprendere.

I discepoli a loro volta dovranno proclamare che Gesù compie le Scritture. Compiendole

essi stessi e facendole compiere da quelli ai quali saranno inviati, fino alle estremità della

terra. Alla fine, tutte le Scritture devono essere compiute da tutte le genti.

2. IL PECCATO E LA MORTE

Le Scritture non parlano di nient’altro che della salvezza che Dio può donare all’uomo se

questi obbedisce alla sua voce. Esse promulgano la Legge che permette di sfuggire alla maledizione

della morte, riferiscono gli inviti dei Profeti a convertirsi allontanandosi dal peccato,

raccontano le ripetute infedeltà del popolo e il perdono sempre offerto da Dio, raccolgono

le preghiere dell’uomo che supplica per ottenere la liberazione dalla morte e che

rende grazie per averla ottenuta.

3. IL NUOVO ADAMO

Gesù è il primo uomo da Adamo in poi a essersi alzato dai morti. Perché ha resistito alla

tentazione, perché non ha peccato, ma ha obbedito alla parola di Dio e compiuto tutte le

Scritture. Grazie a lui, con la forza del suo nome diviene possibile la conversione per il

perdono dei peccati. Questa conversione non si limiterà a Israele, ma si estenderà a tutte le

genti, come Adamo non è solo il padre dei giudei ma l’origine di tutti gli uomini.

4. LA POTENZA DALL’ALTO

La missione dei discepoli è enorme, li supera infinitamente, perché al di là di Gerusalemme

dovrà estendersi fino ai confini del mondo. Essa eccede le loro forze. Tre giorni prima appena

non si sono sottratti alla testimonianza che veniva richiesta loro quando si trattava di

darla dinanzi a così poca gente? Da soli non potranno far nulla. Perciò Gesù annuncia loro

che saranno rivestiti della potenza dall’alto che il Padre ha promesso.

5. COMINCIANDO DA GERUSALEMME

La missione degli Apostoli li condurrà in tutte le nazioni, ma dovranno cominciare da Gerusalemme.

Israele detiene il diritto di primogenitura. L’elezione divina rimane per esso acquisita,

malgrado il suo peccato, benché abbia rifiutato il suo Maestro e Signore. La Parola infatti

era stata rivolta prima ad Abramo e Israele era il depositarlo della Legge e di tutte le Scritture.

La casa di Giacobbe non è forse il popolo della promessa? La promessa sarà mantenuta perché Dio è fedele. Tuttavia, sarà estesa a tutte le nazioni. Perché lo scopo dell’elezione è di rendere luce del mondo il “popolo della risposta”.

PER LA NOSTRA VITA

1. PAOLO VI, Esortazione apostolica [postsinodale] Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975 (nn. 8-14).

L’annuncio del regno di Dio

Evangelizzatore, il Cristo annunzia prima di tutto un regno, il regno di Dio, il quale

è tanto importante, rispetto a lui, che tutto diventa “il resto”, che è dato in aggiunta.

Solo il regno è dunque assoluto e rende relativa ogni altra essa. Il Signore si compiace

di descrivere, sotto innumerevoli forme diverse, la felicità di appartenere a questo regno,

felicità paradossale fatta di cose che il mondo rifiuta; le esigenze del regno e la sua

magna charta, gli araldi del regno, i suoi misteri, i suoi piccoli, la vigilanza e la fedeltà

richieste a chiunque attende il suo avvento definitivo.

L’annuncio della salvezza liberatrice

Come nucleo e centro della buona novella, il Cristo annunzia la salvezza, dono

grande di Dio, che non solo è liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo, ma è soprattutto

liberazione dal peccato e dal maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere

conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui. Tutto ciò comincia durante la vita

del Cristo, è definitivamente acquisito mediante la sua morte e la sua risurrezione, ma

deve essere pazientemente condotto nel corso della storia, per essere pienamente realizzato

nel giorno della venuta definitiva del Cristo, che nessuno sa quando avrà luogo,

eccetto il Padre.

A prezzo di uno sforzo crocifiggente

Questo regno e questa salvezza, parole-chiave dell’evangelizzazione di Gesù Cristo,

ogni uomo può riceverli come grazia e misericordia, e nondimeno ciascuno deve, al

tempo stesso, conquistarli con la forza – appartengono ai violenti, dice il Signore – con

la fatica e la sofferenza, con una vita secondo il vangelo, con la rinunzia e la croce, con

lo spirito delle beatitudini. Ma, prima di tutto, ciascuno li conquista mediante un totale

capovolgimento interiore che il vangelo designa col nome di metanoia, una conversione

radicale, un cambiamento profondo della mente e del cuore.

Predicazione instancabile

Questa proclamazione del regno di Dio, il Cristo la compie mediante la predicazione

instancabile di una parola, di cui non si trova l’eguale in nessuna altra parte: “Ecco

una dottrina nuova insegnata con autorità!”; “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano

meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”; “Mai un uomo

ha parlato come parla quest’uomo!”. Le sue parole svelano il segreto di Dio, il suo disegno

e la sua promessa, e cambiano perciò il cuore dell’uomo e il suo destino.

Con segni evangelici

Ma egli attua parimenti questa proclamazione attraverso innumerevoli segni, che

formano lo stupore delle folle e, nel contempo, le trascinano verso di lui per vederlo,

ascoltarlo e lasciarsi trasformare da lui: malati guariti, acqua cambiata in vino, pane

moltiplicato, morti che ritornano alla vita. E tra tutti, il segno al quale egli dà una

grande importanza: i piccoli, i poveri sono evangelizzati, diventano suoi discepoli, si

riuniscono “nel suo nome” nella grande comunità di quelli che credono in lui. Perché

il Gesù che dichiarava: “Devo annunziare la buona novella del regno di Dio”, è lo stes13

so Gesù di cui Giovanni evangelista diceva che era venuto e doveva morire “per riunire

insieme i figli di Dio dispersi”. Così egli compie la rivelazione, completandola e confermandola

con ogni manifestazione che fa di sé medesimo, mediante le parole e le opere,

i segni e i miracoli, e più particolarmente mediante la sua morte, la sua risurrezione

e l’invio dello Spirito di Verità.

Per una comunità evangelizzata ed evangelizzatrice

Coloro che accolgono con sincerità la buona novella, proprio in virtù di questo accoglimento

e della fede partecipata, si riuniscono nel nome di Gesù per cercare insieme

il regno, costruirlo, viverlo. L’ordine dato agli apostoli – “Andate, proclamate la

buona novella” – vale anche, sebbene in modo differente, per tutti i cristiani, È proprio

per ciò che Pietro chiama questi ultimi “popolo che Dio si è acquistato perché proclami

le sue opere meravigliose”, quelle medesime meraviglie che ciascuno ha potuto ascoltare

nella propria lingua. Del resto, la buona novella del Regno, che viene e che è

iniziato, è per tutti gli uomini di tutti i tempi. Quelli che l’hanno ricevuta e quelli che

essa raccoglie nella comunità della salvezza, possono e devono comunicarla e diffonderla.

Evangelizzazione, vocazione propria della chiesa

La chiesa lo sa. Essa ha una viva consapevolezza che la parola del Salvatore – “Devo

annunziare la buona novella del regno di Dio” – si applica in tutta verità a lei stessa. E

volentieri aggiunge con san Paolo: “Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma

un dovere. Guai a me se non predicassi il vangelo!”. È con gioia e conforto che noi abbiamo

inteso, al termine della grande assemblea dell’ottobre 1974, queste parole luminose:

“Vogliamo nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini

costituisce la missione essenziale della chiesa”, compito e missione che i vasti e

profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgenti. Evangelizzare,

infatti, è la grazia e la vocazione propria della chiesa, la sua identità più profonda. Essa

esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono

della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella s.

Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione.

2. Se, per annunciare il Vangelo, aspettiamo che circostanze siano “favorevoli”,

tutti noi aspetteremo fino all’ultimo giorno. E se, per assurdo, queste condizioni “favorevoli”

di cui noi sogniamo si trovassero un giorno realizzate, siamo poi certi che non

saranno, in realtà, le peggiori?

Le circostanze non sembravano affatto favorevoli in Palestina al tempo della predicazione

di Gesù. Quando qualcuno poté credere che lo fossero, ciò avvenne al prezzo

di più gravi malintesi, che solo un energico rifiuto di Gesù poté dissipare. Sarà sempre

così: l’apostolo dovrà sempre guardarsi dalla stessa illusione che si ripresenta. Nella

sua stessa pazienza e nelle sue lunghe attese sempre egli dovrà ripetersi, hic et nunc, con

l’Apostolo: Vae mihi, si non evangelizavero! (H. DE LUBAC, Paradossi e nuovi paradossi. In appendice: Immagini del Padre Monchanin, Traduzione di E. BABINI (Già e Non Ancora 172. Opera Omnia di Henri De Lubac 4), Jaca Book, Milano 1956, 21989 p. 75).

3. Tramite l’enorme estensione delle ripercussioni di un evento particolare [il

dramma della croce], trasposto in un’accezione universale, trova espressione l’uomo

intero, l’uomo indivisibile, al di là di ogni particolarismo politico. L’apostolo Paolo è il

primo a comprendere e meditare questa specie di “globalizzazione” della croce, quando

la proietta al di là delle differenze umane: “Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo

né libero” (Gal 3,28); dalla globalizzazione della croce procede una sorta di negativismo

nei confronti delle attuali disparità dell’ordine economico-sociale e politico. […]

La predicazione all’uomo, l’uomo universale, non è nulla, anzi è menzogna e raggiro,

se la chiesa non mostra attraverso segni concreti come essa stessa per prima abbia

superato le differenze di nazionalità, le disparità a livello economico e sociale. (P. RICOEUR, La logica di Gesù, Testi scelti e introduzione di E. BIANCHI, Traduzione di L. MARINO (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 2009, pp. 100-101).

4. La chiesa fa memoria dell’atto. Audacia dell’agape che va al di là dell’evidenza e

della legge. […]

L’audacia dell’agape è il nostro presente; essa non è diminuita. L’epoca dell’istituzionalizzazione

cristiana può aver contribuito a farla misconoscere; ma, almeno su

questo punto, l’epoca post-cristiana si ricollega al tempo delle origini. E il tempo della

Chiesa non è né ripetizione di un contenuto, né semplice e progressivo “sviluppo”. È

ripetizione della krisis, cosicché ogni passo in avanti è anche passaggio alla fase iniziale,

a tutti i rischi, nonché l’aurora ritrovata della seconda umanità, che viene al mondo nel

nuovo Adamo.

Non esiste in effetti alcuna Chiesa, se non là dove il rapporto primario delle persone

tra loro è costituito da questo “amore” estremamente umile a audace a un tempo, che

comincia dal rispetto assoluto di ciascuno per quello che è. Amare Dio nell’altro e

l’altro in Dio, non vuol dire annullare l’altro per vedere in lui soltanto Dio, vale a dire

il mio pretesto a fare il gioco del servitore di Dio; significa amarlo nella sua dimensione

divina, della quale io non conosco nulla, sulla quale non ho alcun potere; significa amare

lui, proprio lui stesso, come Cristo, immagine del Dio invisibile, parola odierna

dell’Unico, che io devo ascoltare come verbo della sua presenza.

Certo, questo amore non ha che da ricominciare sempre. E si trova sempre minacciato,

sviato, diviso, pervertito: in altre parole, sempre nella krisis, nella fase di parto.

Ma se non è all’inizio della Chiesa, al suo vero principio, allora la Chiesa cessa di essere

Chiesa e non è che un guscio vuoto, l’edificio deserto che di essa rappresenta soltanto

un ingannevole ricordo (M. BELLET, La Chiesa: morta o viva?, Traduzione di V. RISTORI (Vangelo e Vita), Cittadella Editrice, Assisi 1994, pp. 94 e 127).

5. La Chiesa di Gesù Cristo è quel luogo – cioè quello spazio – del mondo in cui

viene testimoniata e predicata la signoria di Cristo su tutto il mondo. […] Lo spazio

della chiesa non esiste per contenere al mondo un pezzo del suo ambito, ma per testimoniare

al mondo che esso rimane mondo, cioè il mondo amato e riconciliato da Dio.

Non è quindi vero che la chiesa vorrebbe o dovrebbe estendere il proprio spazio ai

danni dello spazio del mondo; essa non brama più spazio di quanto non le bisogni per

servire il mondo con la testimonianza di Gesù Cristo e della riconciliazione del mondo

con Dio per opera di Gesù Cristo. Inoltre essa può difendere il proprio spazio solo lottando

non per esso, ma per la salvezza del mondo. In caso contrario essa diventa un

“sodalizio religioso” che lotta per la propria causa e che ha così cessato di essere la

chiesa di Dio nel mondo. Perciò il primo compito di coloro che appartengono alla

chiesa di Dio non è quello di esistere per se stessi, di creare quindi ad esempio

un’organizzazione religiosa o di condurre una vita devota, bensì di essere testimoni di

Gesù Cristo davanti al mondo (D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A. AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 189).

6. La potenza del Vangelo ha in sé il dono

della relazione aperta, della diffusività,

di una disseminazione

che oltrepassa e anche vivifica ogni tensione ecclesiale missionaria.

Pensavamo a continenti lontani,

ed ecco i cuori degli uomini farsi vicini di casa;

pensavamo alle distanze da coprire per l’annuncio,

ed ecco i volti, qui.

I rivolgimenti delle vicende umane

inchiodano a riconoscerci.

Perché ogni vita è un continente,

ogni distanza è colmata da nuove

inedite presenze.

Ogni relazione è “missionaria”.

Ha i tratti di una domanda di umanizzazione,

di ascolto,

di rispetto dei diritti fondamentali,

di compassione.

Nelle lacrime di una madre senegalese,

separata dai suoi figli per il pane,

c’è una domanda.

Solo accogliendola, quelle lacrime

si trasformano in perle preziose,

nella reciprocità di relazioni autentiche.

Umane – divine.

Riscopriamo oggi il sempre nuovo itinerario

della testimonianza evangelica tra persone.

Vera sfida, di fronte a parole usurate, consunte, traditrici.

Esserci, nella luminosità del dono evangelico,

in questi giorni opachi

e poveri di speranza (F. CECCHETTO, Testi inediti).

7. Io sono suo e seguo le sue orme; vado verso la mia piena verità pasquale.

Vista la direzione che prendono le cose e la piega degli avvenimenti…

vi dico, in piena verità va tutto bene.

La fiamma si è piegata, la luce si è inclinata…

Posso morire,

eccomi qui.

(Dagli scritti di frère Christophe). FRÈRE CHRISTIAN DE CHERGE E GLI ALTRI MONACI DI TIBHIRINE, Piu forti dell'odio, Introduzione e traduzione con raccolta di ulteriori testi di G. DOTTI, Prefazione di E. BIANCHI (Sequela Oggi), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 1997, 20103, p. 179