venerdì 18 gennaio 2013

e se fossimo anche noi il vino che porta la gioia? 2a domenica dopo Epifania (anno C)



Letture della liturgia per il giorno della
2a domenica dopo Epifania (anno C)

Lettura
Est 5,1-1c.2-5
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi.
Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura.
Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!».
Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla.
Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Aman al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Aman, per compiere quello che Ester ha detto».
E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 44(45))
Intercede la regina, adorna di bellezza.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio. R.

Entra la figlia del re: è tutta splendore,
tessuto d’oro è il suo vestito.
È condotta al re in broccati preziosi;
dietro a lei le vergini, sue compagne, a te sono presentate. R.

Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai principi di tutta la terra.
Il tuo nome voglio far ricordare per tutte le generazioni,
così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre. R.
Epistola
Ef 1,3-14
Fratelli, benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 2,2.11)
Alleluia.
Invitato alle nozze in Cana di Galilea,
il Signore Gesù trasformò l’acqua in vino,
e manifestò la sua gloria
e i suoi discepoli credettero in lui.
Alleluia.
Vangelo: Gv 2,1-11
In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta e centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parola del Signore.
Ester 5, 1-1c. 2-5

Riporto la sintesi del breve testo di Ester che è prezioso per il mondo ebraico. "Durante una festa, l'imperatore persiano Assuero (Serse I, 485-465 a.C) ripudia sua moglie Vasti (cap. 1), fino ad allora la preferita. Al suo posto è fatta regina Ester (il cui nome ebraico è Adassa), cugina e figlia adottiva dell'ebreo Mardocheo, che abita a Susa e discende da una famiglia giudaica (cap. 2). In seguito il secondo dignitario dell'impero persiano dopo l'imperatore, Aman l'Agaghita, progetta un colpo mortale contro gli Ebrei, senza però sapere che la regina Ester è ebrea (cap. 3). Mardocheo spinge Ester a intercedere per il popolo, per cui Assuero fa giustiziare Aman (capp. 4-7). Mardocheo diventa successore di Aman e insieme con Ester fa sì che il re dei Persiani emani un nuovo editto che permette agli Ebrei di esercitare la legittima difesa contro i loro nemici (cap. 8). Quando gli Ebrei sono perseguitati il 13 di Adar (forse l'8 marzo del 473 a.C), riescono a resistere e a vincere (cap. 9,1-19).

A ricordo della salvezza degli Ebrei dallo sterminio, Ester e Mardocheo istituiscono la festa di Purim (9,20-32).

Per i Persiani e per il popolo ebraico il governo di Mardocheo è assai fecondo di benedizioni (cap. 10).

Questo bellissimo testo, continuamente riletto nella festa di Purim, ricostruisce la fiducia nel Signore che protegge il suo popolo e porta al ringraziamento per i risultati raggiunt, anche con il contributo intelligente e diverso dei personaggi che vi partecipano..

Qui vengono riferiti solo alcuni spunti di tutta la tragica situazione che si stava profilando. E se un nemico giurato di Mardocheo, Aman, ottiene l'autorizzazione per attuare un pogrom (una strage) contro il popolo ebraico, Ester, che vuole difendere il suo popolo, invita il re e Aman a un banchetto e intercede per il proprio popolo. Il re, finalmente, si ricorda della onestà di Mardocheo ( che lo aveva liberato da una congiura) e condanna a morte Aman. Anzi i Giudei sono autorizzati ad opporsi agli assalitori e punire i loro nemici nel giorno fissato da Aman per la strage.

Da qui la commemorazione della liberazione per le molte stragi che questo popolo ha subito, in particolare, durante il nazismo. La regina osa disperatamente lottare per convincere il re alla giustizia ed alla clemenza mentre la visione del re è come una manifestazione potente e terribile di Dio: lo splendore, la gloria, la bellezza. La regina aveva osato avvicinarsi al re senza essere stata chiamata e questo aveva riempito di collera il re.

Però davanti a sé non vede una provocatrice, ma una persona debole, terrorizzata. Dio interviene (qui il testo è omesso) e "volse a dolcezza l'animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia". Il re la consola, le dice di essere "fratello (v. 9)" (garanzia di legame che rassicura Ester, nonostante la sua origine ebraica), e parla il linguaggio dell'amore: "la bacia (v 12)".

Il re garantisce che accoglierà qualunque richiesta di Ester: "Fosse pure metà del mio regno, l'avrai" e questo ci ricorda la morte di Giovanni Battista, causata da un altrettanto esigente giuramento, fatto alla figlia di Erodiade (Salomé) in un banchetto. Certo l'intercessione può avvenire per scopi di liberazione o per scopi di distruzione.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-14

Questa lettera riporta sicuramente le linee teologiche nello spirito di Paolo che è custode fedele della rivelazione di Gesù e, tuttavia, si discute se la lettera sia stata scritta (o dettata, come spesso avveniva) da Paolo stesso e, allora, si tratterebbe di un testo che, tradizionalmente, viene collocato agli inizi degli anni 60 durante la prigionia a Roma, o sia stata scritta da un discepolo attorno agli anni 80- 90.

Siamo ad una preghiera di benedizione (in ebraico "beraka"), costituta da un'unica frase lunga 11 versetti, molto elaborata e molto complessa. Per fortuna le traduzioni la spezzettano altrimenti è un solo respiro nei vv 3-14. Paolo inizia dal Padre che sta nei cieli e che realizza, alla fine dei tempi, le «benedizioni spirituali» che i versetti seguenti esporranno nei particolari. A lui noi dobbiamo la lode, riconoscimento e riconoscenza per ciò che ha fatto per noi. Ci ha benedetti con una benedizione che è spirituale poiché viene dallo Spirito di Dio che è creatore ed efficace: in Cristo poiché tutto passa attraverso Lui.

- Prima benedizione: abbiamo ricevuto la vocazione degli eletti alla vita beata, comunque già cominciata in maniera mistica con l'unione dei fedeli a Cristo glorioso. La «carità» richiama, prima di tutto l'amore di Dio per noi, che ispira la sua «elezione» e la sua chiamata alla «santità» (cf.Col 3,12;1Ts 1,4;2Ts 2,13;Rm 11,28), ma poi attrae anche il nostro amore per Dio, che ne deriva e gli risponde (cf.Rm 5,5).

- Ef 1,5 Seconda benedizione: siamo stati scelti per questa santità, come figli, fratelli di quel Figlio unico, Gesù che è la fonte e il modello (cf.Rm 8,29).

- Ef 1,6 Ci ha fatti grandi per quella grazia (in greco "charis" ) che significa il favore divino nella sua gratuità. Essa manifesta la «gloria» stessa di Dio (cf.Es 24,16) poiché egli opera così per pura liberalità e la pienezza della sua bellezza nella creazione. Tutto viene da lui e deve tornare a lui, nel Figlio amato.

- Ef 1,7 Terza benedizione. Dio ci ha amato mediante la redenzione della croce di Cristo. E' stato il Padre stesso che ci ha investito di questo amore totale.

- Ef 1,9 Quarta benedizione: Ci viene svelato il «mistero» (Rm 16,25) di Dio: finalmente, nell'offerta totale di Gesù tutte le realtà del cielo e della terra si riuniscono. La lettera garantisce che è Gesù che rigenera e unisce sotto la sua autorità ciò che il male ha disperso, corrompe e travolge. In questa unificazione si riuniscono nella stessa salvezza Giudei e pagani.

- Ef 1,11 Quinta benedizione: In lui,: in Cristo, si attua l'elezione di Israele, «eredità» di Dio, e testimone nel mondo dell'attesa messianica. Paolo, che si sente parte viva del popolo d'Israele, parla in prima persona plurale: «noi».

- Ef 1,13 Sesta benedizione: scopriamo la chiamata dei pagani con cui, perciò, condividiamo la salvezza già riservata a Israele. :"Anche voi che avete ricevuto la Parola di Dio e l'avete creduta, avete ricevuto il dono dello Spirito" Con la certezza dello Spirito promesso, si coronano l'esecuzione del piano divino e la sua esposizione in forma trinitaria. Iniziato fin d'ora in modo misterioso mentre il mondo antico dura ancora, sarà completo quando il regno di Dio si stabilirà in modo glorioso e definitivo, nella venuta gloriosa di Cristo (cf.Lc 24,49; Gv 1,33+;14,26). Così si compie la piena redenzione.

Lettura dal vangelo secondo Giovanni 2, 1-11

Ci ritroviamo in un racconto molto complesso per i richiami che Giovanni pone in questo primo "segno". I "segni" non sono miracoli, nel linguaggio del quarto Vangelo ma indicazioni per scoprire il signficato di Gesù. Tutto il brano, infatti vuole identificare colui che porta la novità, il vino della gioia e della Sapienza, il salvatore che supera la legge ebraica per sostituirla con la gioia di Dio.

Per questo bisogna analizzare con attenzione i fatti e le parole poiché altrimenti riduciamo tutto a un intervento veloce e tempestivo, carico di misericordia e di compassione, da supermercato di fronte a giovani sposi sprovveduti, tra l'altro il settimo giorno.

Se è richiamato il terzo giorno dopo l'incontro con Filippo e Natanaele (e tre giorni possono ricordare il tempo della risurrezione) il Vangelo ha sviluppato una settimana completa, calcolata quasi giorno per giorno, fino alla manifestazione della gloria di Gesù.

Cana è vicina a Nazareth e con gli sposi ci debbono essere legami familiari. Maria è invitata ed è chiamata "la madre di Gesù", presente al primo miracolo che rivela la gloria di Gesù e, di nuovo, presso la croce (19,25-27).

E Maria è chiamata anche "donna" (Gv 2,4), ripreso in 19,26 sotto la croce, dove il significato si illumina come un richiamo ad Eva di Gen 3,15.20: Maria è la nuova Eva, «la madre dei viventi». "Che vuoi da me?: lett.: «che cosa a me e a te?», Un tale linguaggio lo si usa per respingere un intervento giudicato inopportuno: Gesù obietta: «La mia ora non è ancora giunta». E' l'ora della sua glorificazione, del suo ritorno alla destra del Padre. Maria anticipa l'annuncio simbolico.

Gesù si sente coinvolto nella speranza di questo popolo, di questi sposi che sono il segno del popolo, dell'attesa della novità di Dio. Allora le sei idrie (non sette), segno della incompiutezza che portavano l'acqua per la purificazione, ma che sono anche vuote, vengono riempite perché si possa attingere la gioia della novità di Dio (in questo caso dai 600 a 800 litri di vino): questo testo inizia anche una lunga riflessione sulla fede in Gesù: si contrappongono due gruppi alla rivelazione di Gesù: i suoi discepoli che credono (2,11) e l'incredulità dei giudei (2,13-22) poiché Gesù scaccia i venditori dal tempio e discute sullo stesso significato del tempio ("Distruggete questo tempio ed io lo farò risorgere" 2,19). Giovanni continua la sua riflessione di ricerca di fede, presentando l'ambiente giudaico (Nicodemo: 3,1-21), quello samaritano (4,4-45) e quello ellenistico pagano (l'ufficiale regio e il figlio guarito: 4,46-54).

Il testo di Giovanni, per la profondità con cui affronta il messaggio di Gesù, perciò, si presenta carico di richiami, di storia biblica, di anticipazioni, di progetti, di novità.

PER LA NOSTRA VITA
1. Il Quarto Vangelo offre dei simboli, che hanno la forza di scavare in noi l’interiorità, spesso inaridita dal disincanto e dall’indifferenza; siamo ancora tentati di risalire alla superficie, perché i simboli, che chiedono spazio, ci tolgono il fiato, trascinano su un terreno nuovo.

La profondità ha molte pretese ed è tanto misteriosa perché è lo spazio che sentiamo crear-si, grazie all’azione di qualcosa che è sul punto di tradire il suo essere per offrirlo in una consegna suprema, come è ogni consegna di ciò che non si possiede originariamente e s’acquisisce per offrirlo a chi solo così può volgersi verso colui che lo chiama. La profondità è un appello amoroso. Per questo ogni abisso attrae. M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima, Ed. Cortina, Milano 1996, p. 51

Nei segni – e Cana è il prototipo dei segni con cui Gesù si rivela – noi cerchiamo ri-sposte. Ma tutto il Vangelo di Giovanni pone i segni come svelamento dell’identità profonda di Gesù, il suo “essere da Dio”, e come domanda proposta all’interlocutore dell’evento evangelico. Siamo abituati all’evidenza e alla constatazione più che all’iti-nerario, allo spazio aperto e progressivo della conoscenza dei segni. Intuire, crescere nella consapevolezza, avere la pazienza dei percorsi è laboriosità e azione pasquale per il discepolo.

2. Gesù svela progressivamente la sua condizione divina tra di noi, e lo fa ad una festa di nozze, a Cana di Galilea. Il simbolo delle nozze tra Dio e l’umanità, tracciato nella Scrittura fino alla pagina intrisa di un vino nuovo di Alleanza, che diventa sangue, sul Calvario, vita donata a noi, ha il suo primo svelamento a Cana. Quell’«ora» non an-cora giunta è infatti l’ora della croce.
Il segno è una domanda posta a noi, non è la tanto attesa risposta, aspettativa di mi-racolo da soddisfare. La pagina evangelica interroga e risponde, a suo modo. L’inganno sarebbe di considerare i segni come dei miracoli, delle cose strepitose. In un’umanità talvolta inaridita noi cerchiamo prodigi per dire “Dio”, identificandolo con qualcosa di miracoloso.
La festa nuziale è il simbolo di pienezza e di inaudita gratuità, di Gesù che è “da Dio”. Segno che manifesta la gloria, apre alla fede in Lui i discepoli, ri-vela Dio. «Ve-dere Dio – nessuno ha mai potuto. Un Dio unico generato – proteso al cuore del Padre – Lui ha saputo narrarne» (Gv 1,17-18).
I passi di Gesù raccontati dal Vangelo di Giovanni, incontreranno la fede ma anche l’opposizione dura: riveleranno e scandalizzeranno. Il segno non è dunque un miracolo da catturare, comprendere, desiderare, ma un avanzamento e un’attesa. «Dio è lo sposo e tocca allo sposo avanzare verso colei che egli ha scelto, parlarle, condurla con sé: la sposa de-ve solo attendere».S. WEIL, L’amore di Dio.

3. Ogni volta che leggo questo brano mi stupisco sempre di nuovo: perché mai – mi chiedo – il quarto Vangelo comincia a descrivere l’attività di Gesù con un fatto in apparenza così profano come un banchetto di nozze? […]
Come mai l’evangelista ha potuto farne l’inizio dell’attività pubblica di Gesù e addi-rittura della sua rivelazione? Infatti, il brano termina proprio con le parole: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli» e «manifestò la sua gloria».
Vorrei dunque provare a rileggerlo con attenzione. Innanzitutto occorre partire dall’indicazione cronologica d’apertura: «Tre giorni dopo…». Che senso può avere una simile indicazione? Se si sommano questi tre giorni con quelli menzionati nel capitolo precedente giungiamo a una settimana intera, in cui si descrive l’inizio del ministero di Gesù. Sembra vi sia una corrispondenza tra questa prima settimana e l’ultima settima-na di vita di Gesù, quella della resurrezione. C’è anche probabilmente un riferimento alla prima settimana del mondo, quella della creazione, portato a termine nella resur-rezione e nell’effusione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,22).
L’occasione di questa rivelazione del mistero di Gesù è data da una realtà umanis-sima, ossia un banchetto di nozze, nel quale Gesù si inserisce con naturalezza. Questa festa ci ricorda quelle dell’Antico Testamento e la gioia della festa promessa ai disce-poli di Gesù. C.M. MARTINI, Colti da stupore. Incontri con Gesù, a cura di D. MODENA (Saggi Mondadori), Mondadori, Milano 2012, pp. 159-160.
4. Che cos’è la festa se non la sovrabbondanza della bellezza, […] liberata dall’utilità, dalla pesantezza, lo scambio dell’amicizia, la vita tanto intensa da far di-menticare la morte. […] La festa ci rivela ogni essere e ogni cosa come un miracolo ed è là la ragione per cui, intorno all’uomo santificato, anche il mondo entra in festa, ri-trovando nel miracolo la propria trasparenza originale. […]
Ora la festa pasquale, come la festa eucaristica che l’attualizza sono esse stesse un’anticipazione vera, nutritiva, della festa definitiva della nuova Gerusalemme. Allora, Dio stesso «asciugherà le lacrime dai nostri occhi» (Ap 21,4) e il simbolismo della festa della Chiesa sarà contemporaneamente abolito ed universalizzato: la festa si rivelerà come l’essenza delle cose. Non vi sarà più un tempio perché l’Agnello irradierà diret-tamente tutte le cose. […] L’essenza stessa della natura umana concepita nell’amore tra le persone, ad immagine e cala mitizzazione della Trinità si rivelerà come una festa, e festa si rivelerà in particolare l’essenza dell’eros e del nutrimento, doppio rapporto eucaristico con “l’altro” e con il mondo. Il regno sarà un banchetto di nozze, come a Cana: «Rallegriamoci, beviamo il vino della grande gioia… Ecco il fidanzato e la fidan-zata… Ecco il nostro Sole… Per amore si è fatto simile a noi e come noi si rallegra; trasforma l’acqua in vino per non interrompere la gioia degli ospiti; ne attende degli al-tri, li chiama continuamente, nei secoli dei secoli. Ecco che viene portato il vino nuo-vo» (DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov). O. CLEMENT, Riflessioni sull’uomo (Già e non ancora 200), Jaca Book, Milano 31990, pp. 168-170.

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