venerdì 15 giugno 2012

III DOMENICA DOPO PENTECOSTE 17.06.2012 e XI del rito romano


III DOMENICA DOPO PENTECOSTE 17.06.2012

anche in questa domenica trovate i commenti sia la rito ambosiano sia a quello romano

buona domenica a tutti 

Rito ambrosiano

LETTURA
Lettura del libro della Genesi 2, 18-25


In quei giorni. Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta / è osso dalle mie ossa, / carne dalla mia carne. / La si chiamerà donna, / perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.


SALMO
Sal 8

®   Mirabile è il tuo nome, Signore, su tutta la terra.

O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
per ridurre al silenzio nemici e ribelli. ®

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi? ®

Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna. ®


EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 21-33

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Marco 10, 1-12
In quel tempo. Partito di là, il Signore Gesù venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione “li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
 

Commento
L’amore tra un uomo e una donna è tutto per una vita. Ne sentiamo il fascino, vi dedichiamo tutte le nostre risorse perché da lì scaturisce la nostra felicità.
D’altro canto ne sentiamo trepidazione e timore. Dubitiamo della resistenza del nostro e altrui sentimento. Intuiamo che l’amore vero è una tal somma di elementi psicologici, spirituali, fisici, morali e soprannaturali, che ci sembrano difficili da combinare assieme con equilibrio e reciprocità totale.
Per cui spesso si entra nell’amore già con quella riserva sul tempo che ne taglia il vigore e ne inquina la più profonda soddisfazione. Eppure anche quello dell’indissolubilità è elemento costitutivo, e quindi decisivo, per la riuscita dell’amore umano.
Ce ne parla oggi Gesù, riconducendoci al fondamento dell’amore tra un uomo e una donna, segnalando il male che lo minaccia e aprendolo alla grazia di Dio che salva.

1) ALL’INIZIO

La radice dell’amore tra un uomo e una donna sta nell’atto creativo di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Crea la donna, tratta dall’uomo, a dire quanto le sia simile, quanto sia della stessa dignità, anzi della stessa carne; e quindi ad esigerne l’unione, la complementarietà, il ritornare ad essere “una carne sola”. Allora l’uomo esce in quel primo canto d’amore che dice la soddisfazione profonda dell’opera fatta da Dio: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne”. Io, uomo, ne sento tutta la sintonia, la risonanza, trovando in lei comprensione, reciprocità, fisica e spirituale, appunto: completamento.
Se l’amore è la struttura dell’uomo e della donna, ne costituisce il progetto, il fine, il traguardo, - noi diciamo: la chiamata. Non è indifferente per l’uomo e per la donna la realizzazione piena di questo amore. Il suo fallimento è fallimento d’un progetto di Dio, d’una “macchina” già essenzialmente strutturata, affidata alle nostre mani da far funzionare, da portare a pieni giri perché esplichi tutte le sue risorse di felicità e di vita. L’amore combacia con la vita. La nostra vita è una scintilla di quel fuoco d’amore che è Dio: siamo stati fatti a sua immagine per riprodurre il suo elemento qualificante, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).

Ne deriva che l’amore è la realtà più alta e più matura nell’esistenza di una persona, e anche la più ardua e difficile, la più complessa e piena, proprio perché è la vita stessa - dicevamo -, che determina il nostro destino terrestre ed eterno. E’ certamente sentimento ed emozione spontanea iniziale, che poi richiede di divenire atto pienamente umano, cioè esercizio della intelligenza e della volontà, atto libero, consapevole e responsabile. E ancora: allenamento al dono, al rispetto, all’accoglienza, alla convivenza, alla reciprocità del dare e anche del ricevere. Alla fine deve avere una dimensione anche religiosa, cioè collegata a Dio per capirne l’origine, per raggiungerne il fine, per essere redento nelle sue fragilità, debolezze e insufficienze. L’amore non è un gioco da bambini, ma vuole il massimo delle potenzialità umane e spirituali. Altrimenti necessariamente fallisce!

2) LA SCLEROCARDIA

Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma”. Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio, gioco...; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto di Dio a determinare il fallimento del matrimonio.

Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita, indebolita dal peccato, e il nostro cuore ha ricevuto come una iniezione di veleno, cioè di egoismo. Scrive san Paolo: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne. É necessario far rifluire di nuovo quella capacità e quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi.

Il riferimento e il modello dell’autentico amore è Cristo “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”, per fare della Chiesa la sua sposa “senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Epist.). Si prende cura di Lei come del proprio Corpo, “poiché siamo membra del suo corpo”. “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo”. Questo dell’amore tra marito e moglie “è mistero grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Non è allora un di più folklorico o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di ignorarlo, si rischia la pelle!


Dice una bella sentenza rabbinica commentando la pagina della Genesi che abbiamo letto come prima lettura: “Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo, perché gli comandasse; né dai suoi piedi, perché fosse la sua schiava; ma dal suo fianco, perché fosse sempre vicina al suo cuore” (Talmud).
Evitare che l’amore divenga possesso, che la comunicazione si sciupi in banalità e cose, scommettere sempre sulla sincerità e la tenerezza, e... alla fine avere il coraggio del perdono, costituiscono quel primo mazzetto di virtù che abbellisce ogni nuova famiglia che nasce e la profuma dei valori più sicuri e necessari alla felicità del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna.



Rito romano
17.06.2012
XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Prima lettura
Ez 17,22-24
 
Così dice il Signore Dio:
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro,
dalle punte dei suoi rami lo coglierò
e lo pianterò sopra un monte alto, imponente;
lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti
e diventerà un cedro magnifico.
Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno,
ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso,
faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò».


Salmo responsoriale
Sal 91

R.: È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.

Seconda lettura
2Cor 5,6-10
 
Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.


Vangelo
Mc 4,26-34
 
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
Commento
Così è il regno di Dio: co­me un uomo che getta il seme sul terreno. Ge­sù parla delle cose più gran­di con una semplicità disar­mante. Non fa ragionamen­ti, apre il libro della vita; rac­conta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l'infinito attraverso il minuscolo seme di senape. Perché la vita delle creature più semplici risponde alle stesse leggi della nostra vita spirituale, perché Vangelo e vita camminano nella stessa direzione, che è il fiorire del­la vita in tutte le sue forme.
Accade nel regno di Dio co­me quando un uomo semi­na.
Dio è il seminatore infa­ticabile della nostra terra, con­tinuamente immette in noi e nel cosmo le sue energie in forme germinali: il nostro compito è portarle a matu­razione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali.
Nessuno ne è privo, nessuno è vuoto, per­ché la mano di Dio continua a creare.

La prima parabola sottolinea un miracolo di cui non ci stu­piamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Ecco: Che tu dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce.
Com'è pacificante questo!
Le cose di Dio fiori­scono per una misteriosa forza interna, per la straordi­naria energia segreta che hanno le cose buone, vere e belle. In tutte le persone, nel mondo e nel cuore, nono­stante i nostri dubbi, Dio ma­tura.
E nessuno può sapere di quanta esposizione al so­le, al sole della vita, abbia bi­sogno il buon grano di Dio per maturare: nelle persone, nei figli, nei giovani, in colo­ro che mi appaiono distratti, che a volte giudico vuoti o senza germogli.

La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granel­lo di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albe­ro che ne nascerà.
Senza vo­li retorici: il granello non sal­verà il mondo. Noi non sal­veremo il mondo. Ma, assi­cura Gesù, un altro è il no­stro compito: gli uccelli ver­ranno e vi faranno il nido.
Al­l'ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto.
Guardi un piccolo seme accolto nel cavo della mano, lo diresti un grumo di materia inerte. Ma nella sua realtà nascosta quel granel­lo è un piccolo vulcano di vi­ta, pronto a esplodere, se ap­pena il sole e l'acqua e la ter­ra...
Il seme ci convoca ad avere occhi profondi e a compiere i gesti propri di Dio.
Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti, contadini del Re­gno dei cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia.
Lo facciamo scommettendo sulla forza della prima luce dell'alba, che appare mino­ritaria eppure è vincente. Qui è tutta la nostra fiducia: Dio stesso è all'opera in seno al­la terra, in alto silenzio e con piccole cose.

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