venerdì 24 febbraio 2012

prima domenica di quaresima 26 febbraio 2012

DOMENICA ALL’INIZIO DI QUARESIMA 2012

Frase di inizio quaresima: Se ti accusassero di essere cristiano, troverebbero prove contro di te?

In questo invio ci sono molti materiali per la riflessione quaresimale. Potete anche leggerli con calma nei prossimi giorni.

Innanzitutto la testimonianza di don Luigi Serenthà, grande prete milanese, morto alcuni anni fa:

Al risveglio dopo l’operazione [asportazione di CRC] il Signore pian piano attraverso modi un po’ drastici mi ha condotto a capire cosa vuol dire fare la volontà di Dio, abbandonando ogni protagonismo, ogni possibilità di fare appello a sé e alle proprie forze, perché i primi giorni sono stati veramente duri.

La prima reazione è di avvertire che il proprio corpo è lontanissimo ed è stato malmenato e uno ha una specie di risentimento; cosa avete fatto a quel corpo, con l’anestesia, con questi tagli, con queste intubazioni da ogni parte. Dopo però uno dice: «Bene, non posso mica vivere separato dal mio corpo»; non può pensare, non può fare altre cose, se non al fin fine accettare di essere se stesso secondo il proprio corpo, accettare la propria corporeità è l’unico gesto antropologico che è veramente possibile; decidere di stare in quel corpo che è un corpo che ha una paura enorme.

Stare in quel corpo vuol dire accettare di vivere nell’angoscia. Ad ogni porta che si apriva avevo un sobbalzo per il timore che venisse ancora qualcuno a bucarmi o farmi del male; trattenevo il respiro perché respirare un po’ forte a volte voleva dire risvegliare dolori da tutte le parti, avevo paura a muovermi e la mia anima era partecipe di questa angoscia; vivevo soltanto di un sottile sentimento di angoscia.

Ma è lì che forse ho capito almeno più da vicino cosa vuol dire aver fede, con una certezza assoluta.

Il Signore ti tiene per mano e tu non sei abbandonato al nulla, ma sei nelle mani di uno e tu puoi soltanto offrire l’angoscia al Signore; non puoi offrire pensieri profondi, non puoi dargli nulla di particolarmente consistente; forse ho detto: «Signore, forse questa è la fede, è la certezza che io non posso fare più nulla, se non avere paura; tu però mi tieni per mano, tu sei con me; certezza assoluta di non essere mai separato dalle mani di Dio». Questi sono stati i pochi pensieri che riuscivo a formulare.

Forse i mistici arrivano per le vie di fede a capire che questo è il vero abbandono; questo ha anche un riverbero nella carne, ha una manifestazione di sofferenza nella carne.

Invece noi poveri peccatori, noi credenti un po’ superficiali, forse abbiamo bisogno di esse-re toccati nella carne per capire qualche cosa per abbandonarsi nella carne, nello spirito al mistero di Dio.

Devo dire che questa scoperta, pur non togliendomi per niente l’angoscia e la paura, mi dava un grande senso di pace.

Dicevo: «Signore mi hai fatto un dono eccezionale, mi hai fatto capire cosa vuol dire crede-re in te, sapere che Tu agisci in me quando io proprio non sono capace di fare alcuna azio-ne, se non avere una grande paura, avere una grande angoscia che penetra nell’anima e nel corpo».

Il cammino quaresimale è il tempo favorevole per riscoprire il dono e il perdono di Dio, ovvero il ricominciamento dell’alleanza nel segno battesimale. Si tratta di prendere coscienza della possibilità decisiva offerta da JHWH in Cristo e del «segno» che adempie in modo eccedente la nuova «alleanza» (berît). Si tratta, in altre parole, di lasciarsi con-quistare dall’evangelo del Regno. Il cambio di mentalità richiesto dall’appello di Gesù non può essere un’operazione di superficiale maquillage; va alle radici della libertà.

Nella veglia pasquale, l’annuncio della risurrezione di Gesù dovrà trovarci cambiati, per aver vissuto con la pienezza dello Spirito il tempo favorevole accordatoci da Dio, essere stati conquistati dall’utopia del suo Regno, aver cambiato mentalità e aver cre-duto all’Evangelo.

* * * * * *

Ora un piccolo decalogo, mandatomi da un amico; un altro amico argutamente ha fatto osservare che manca l’astensione dal cibo materiale, perché a quello ci pensa il governo!

il digiuno gradito a Dio.JPG

LETTURA
Lettura del profeta Isaia 57, 15 - 58, 4a


In quei giorni. / Isaia disse: «Così parla l’Alto e l’Eccelso, / che ha una sede eterna e il cui nome è santo. / “In un luogo eccelso e santo io dimoro, / ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, / per ravvivare lo spirito degli umili / e rianimare il cuore degli oppressi. / Poiché io non voglio contendere sempre / né per sempre essere adirato; / altrimenti davanti a me verrebbe meno / lo spirito e il soffio vitale che ho creato. / Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, / l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; / eppure egli, voltandosi, / se n’è andato per le strade del suo cuore. / Ho visto le sue vie, / ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. / E ai suoi afflitti / io pongo sulle labbra: ‘Pace, / pace ai lontani e ai vicini / – dice il Signore – e io li guarirò’”. / I malvagi sono come un mare agitato, / che non può calmarsi / e le cui acque portano su melma e fango. / “Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. / Grida a squarciagola, non avere riguardo; / alza la voce come il corno, / dichiara al mio popolo i suoi delitti, / alla casa di Giacobbe i suoi peccati. / Mi cercano ogni giorno, / bramano di conoscere le mie vie, / come un popolo che pratichi la giustizia / e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; / mi chiedono giudizi giusti, / bramano la vicinanza di Dio: / “Perché digiunare, se tu non lo vedi, / mortificarci, se tu non lo sai?”. / Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, / angariate tutti i vostri operai. / Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi».


SALMO
Sal 50 (51)

® Pietà di me, o Dio, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. ®



Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. ®



Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.
Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe. ®



EPISTOLA

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 4, 16b - 5, 9


Fratelli, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.
Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.
Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 4, 1-11

In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Commento

La struttura dell’episodio è scandita dalle tre richieste del tentatore e dalle rispettive risposte di Gesù (vv. 3-4. 5-7. 8-10). Esse sono incluse tra una breve introduzione (vv. 1-2) e una ancora più sintetica conclusione, a modo di cornice dei tre dialoghi.

vv. 1-2: L’ambientazione nel deserto è fondamentale per comprendere quanto avviene in seguito. Gesù risponde al tentatore con tre “parole” tratte dal Deuteronomio e pre-cisamente dal momento in cui il quinto libro della Tôrâ parla del cammino di Israele nel deserto (Dt 6-8). Lo ha sottolineato correttamente padre J. Dupont:

L’influenza di Deut. 6-8 non si limita alle citazioni esplicite. Possiamo dire che è là che dobbiamo cercare il tema fondamentale del racconto, la chiave che dà il significato all’episodio. Ma anche altri testi biblici hanno ugualmente dato il loro apporto; bisognerà precisare il posto che spetta loro. C’è innanzitutto la citazione del salmo 91 fatta dal demonio, come pure alcune allusioni o reminiscenze che non si possono trascurare. […] Le quattro citazioni esplicite sono fatte sulla Bibbia greca. Nella forma in cui noi lo possedia-mo, il racconto ci giunge da parte di uomini che leggono la Bibbia in greco e non in ebrai-co. DUPONT, Le tentazioni, pp. 12-13.

Anche i «quaranta giorni e quaranta notti» richiamano l’esperienza di Mosè chiama-to da JHWH sul monte per ricevere la Tôrâ (Es 24,18; 34,28; già ripresi anche da Elia in 1 Re 19,8). Tutta la simbologia esodica è fortemente presente in questo racconto, fa-cendo eco ad altre riletture neotestamentarie. L’espressione ἀνήχθη εἰς τὴν ἔρημον ὑπὸ τοῦ πνεύματος «fu condotto nel deserto dallo Spirito» richiama infatti la riscrittura del deserto rielaborata in Rm 8. Qui Paolo rilegge il triplice movimento esodico applican-dolo all’esperienza del credente alla maniera di Gesù: essere fatti uscire dalla condizio-ne di peccato e morte, per essere condotti dallo Spirito ed essere introdotti nella gloria della piena salvezza (il soggetto è sempre Dio o lo Spirito). Anche questo rimando aiu-ta il lettore a leggere unitariamente il deserto di Israele e di Mosè., il deserto di Gesù e il deserto necessario per la vita del credente.

vv. 3-4: La prima tentazione che segue il digiuno di Gesù parte dal cibo. La provoca-zione del tentatore è di utilizzare la condizione di Figlio di Dio per soddisfare senza problemi la fame. È la tentazione di utilizzare le qualità o le realtà che uno possiede per il proprio tornaconto, invece che metterle a servizio del piano di Dio che è la soli-darietà fra gli uomini. Potremmo dire che è la tentazione di un ateismo pratico. Nel piano di Dio (cf il segno della condivisione dei pani e dei pesci in tutti e quattro i van-geli: Mc 6,34-44; 8,1-9 e paralleli) il cibo necessario per vivere e sostenerci nel cammi-no non si ottiene con prodigi spettacolari, ma attraverso la condivisione ispirata dall’amore. Come dimostra l’intera vita di Gesù, il pane che porta l’uomo alla sua pie-nezza non è il pane che si riceve, ma il «pane» che si dà, cioè il dono di sé agli altri (cf l’ultima cena).Cf J. MATEOS - F. CAMACHO, L'alternativa Gesù e la sua proposta per l'uomo (Orizzonti Biblici), Citta-della Editrice, Assisi 1989, p. 56-57.

vv. 5-7: La seconda tentazione, secondo l’ordine di Matteo, porta in sé la proposta di un dio alienante, che vorrebbe mantenere infantile l’uomo. È il tentatore questa volta a citare la Scrittura (Sal 91,11-12), ma ciò dimostra solo che essa non deve essere inter-pretata alla lettera o con frasi estrapolate dal contesto, perché alla fine può essere uti-lizzata persino per sostenere posizioni diaboliche. La tentazione è un invito a un quieti-smo e a un provvidenzialismo estremo, che porta a rinunciare alle proprie responsabilità: questo esito non può che accompagnarsi al fanatismo religioso e all’annullamento dell’umano. Un dio così impedirebbe ogni libertà.

Gesù invece ha sempre vinto questa tentazione espressa da coloro che gli chiedeva-no segni prodigiosi (cf Mc 8,11-13; Mt 12,38-40; 16,1-4; Lc 8,14-21) sino all’estremo momento della croce quando gli astanti, deridendolo, gli chiesero di scendere dalla croce come condizione per credere in lui (Mc 15,29-32 e paralleli).

vv. 8-10: Infine, la terza tentazione di Matteo è quella più radicale; è l’idolatria che rimpiazza l’adesione al Dio vivo e vero. Come scriveva Simone Weil, «fra due uomini che non hanno l’esperienza di Dio, colui che lo nega gli è forse più vicino. Il falso Id-dio che somiglia in tutto al vero – eccettuata l’impossibilità di toccarlo – impedisce per sempre di accedere al vero». S. WEIL, L’ombra e la grazia, Introduzione di G. HOURDIN, Traduzione di F. FORTINI (Testi di Spiri-tualità), Rusconi Editore, Milano 1985: 122.

Il potere si sostituisce all’onnipotenza divina, ma questa non si manifesta nel togliere di mezzo la croce, bensì nel vincerla. Satana si identifica in tutti coloro che pensano di salvare il mondo attraverso azioni di forza e potenza, come Pietro che rifiuta la scelta tracciata da Gesù, subito dopo averlo riconosciuto come Messia (cf Mt 16,22-23).

È la tentazione più allettante, perché le strutture di potere ottundono la mente, ieri come oggi; hanno sempre gli stessi meccanismi e chi si lascia trascinare da questa logi-ca alla fine giunge a perdere il senso stesso dell’essere uomini. La «signoria di Dio» è tutt’altra faccenda.

Ogni potere che opprime l’uomo annullando o in qualche modo riducendo la sua libertà è nemico dell’umano e quindi anche dell’autentico divino. Mi torna alla mente la celebre pagina di Dostoevskij ne I fratelli Karamazov:

«No, tu non ha il diritto di aggiungere niente a quello che hai detto un tempo. E ciò sareb-be come togliere agli uomini la libertà che difendevi tanto sulla terra. [...] Non hai detto spesso “voglio rendervi liberi”? Ebbene, li hai visti, questi uomini “liberi”.[...] Sì, ci è co-stato caro [...] ma abbiamo infine compiuto quell'opera in tuo nome. Ci sono occorsi 15 se-coli di dura fatica per instaurare la libertà; ma ormai è cosa fatta e solida. Non lo credi che sia ben solida? Mi guardi con dolcezza; e non ti degni neppure di indignarti? Ma sappi che mai gli uomini si sono creduti tanto liberi come ora, e tuttavia la loro libertà essi l’hanno umilmente posta ai nostri piedi. Ciò è opera nostra, a dir la verità; e la libertà che tu sogna-vi? [...] Perché solo ora, per la prima volta (parla, s’intende, dell’inquisizione) è diventato possibile pensare alla felicità degli uomini. L’uomo è naturalmente un ribelle; forse che i ribelli possono essere felici? Tu eri stato avvertito, di avvertimenti ne hai avuti tanti, ma non ne hai tenuto conto. Hai respinto l’unico mezzo che permette agli uomini di diventare felici. Per fortuna, andandotene, ci hai trasmesso la tua opera; hai promesso, hai solenne-mente confermato con le tue parole, ci hai dato il diritto di legare e di sciogliere. E non puoi, ora, pensare di ritoglierci quel diritto. Perché dunque sei venuto a disturbarci? ».

F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, 2 volumi, a cura di E. BAZZARELLI (I Grandi Scrittori Stra-nieri 293-294), UTET, Torino 1969, vol. I, pp. 353-354.

Gesù risponde al tentatore con la stessa forza con cui respinge l’opposizione ami-chevole di Pietro di salvaguardargli una fine ingloriosa. Mai Gesù si è lasciato inganna-re da questa tentazione idolatrica e in ogni modo ha esortato i suoi discepoli a vincere ogni logica di dominio sugli altri (cf Mt 18).

Alla fine l’esteriorità più satanica: adorare il maligno, che vuol dire essere appagati per quanto facciamo, la sicurezza umana al posto della grazia che è dono di Dio. Gesù procla-ma invece l’assoluta e indiscussa unicità dell’adorazione: solo a Dio, e del servizio a lui solo. Solo a Dio, mentre verso tutti gli altri si presta il nostro umile servizio di carità. B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, EDB, Bologna 2001, p. 43.

Le risposte di Gesù non sono soltanto la sintesi delle scelte fondamentali della sua esistenza, giungendo sino all’estremo della croce, ma sono anche l’indicazione delle ca-ratteristiche che dovranno essere proprie dei suoi discepoli e permettere a tutti di rico-noscerli: a) la fedeltà a Dio, intesa come solidarietà e dedizione verso gli uomini; b) la responsabilità personale e la fatica della libertà in un servizio mai terminato; c) il rifiuto di ogni bramosia di potere, quel potere insaziabile che finisce per sostituire il vero Dio con un idolo fatuo.

Le tre citazioni di Deuteronomio (8,3; 6,16; 6,13), presenti nelle risposte di Gesù al tentatore, sono una ripresa della spiritualità dell’esodo e dei segni che hanno accompagnato il cammino del popolo nel deserto: la manna, l’acqua dalla roccia e l’ingresso in Canaan, con la scelta per il vero Dio (è proprio l’ordine seguito da Matteo).


PER LA NOSTRA VITA:

1. Sin dal primo istante della sua vita, a un livello interiore che noi possiamo solo intuire da molto lontano, Gesù era in situazione d’invocazione di suo Padre con un’intensità unica. In questa prospettiva, la questione che ogni tanto viene sollevata in teologia, “Gesù sapeva di essere Dio?”, perde ogni pertinenza. Sullo sfondo delle sue decisioni e dei suoi atti, prima di ogni coscienza di sé esplicita e di ogni sapere teorico, c’è in Gesù un riferimento al Padre, una sorta di estroversione fondamentale, che cer-co di esprimere qui con la formula di “invocazione permanente”. Il resto della sua vita, […] dovette essere penetrato da questa esperienza del Padre, vale a dire anche dell’a-scolto permanente di colui che dice: “Tu sei il mio Figlio”. Un’esperienza pura di filia-zione di questo genere avrà evidentemente svolto un ruolo, essenziale così come nasco-sto anche a colui che la viveva, nel discernimento compiuto sui passi da fare, sulle de-cisioni da prendere, e le parole da dire, come pure sui momenti da accettare e da sof-frire. Spontaneamente, tutto ciò è vissuto come “le cose del Padre mio”. G. LAFONT, Che cosa possiamo sperare, Traduzione dal francese di D. GIANOTTI (Nuovi Saggi Teolo-gici 89), EDB, Bologna 2011, p. 213.

2. Rinunciare a fidarsi di Dio?

La parola delle tentazioni suscita in noi disagio. Ne possiamo avere una percezione riduttiva, anche se il vangelo ci conduce subito con forza a cogliere la decisività della prova tra due forze in conflitto: lo Spirito, che conduce Gesù nel deserto per essere ten-tato appunto dal diavolo.

Il dissidio tra la volontà del Padre, richiamata da Gesù attraverso la Scrittura, e la seduzione del maligno, messo in opera nel campo aperto del deserto, ha come conte-nuto l’autosufficienza, il potere e la gloria del mondo, fino all’estrema provocazione di mettere le mani “su Dio”.

Incontriamo e contempliamo Gesù tentato

dalla necessità – “ebbe fame”

dal potere

dalla gloria del mondo.

Messo alla prova, portato in giro, trascinato, provocato alla confusione dei primati. È la prefigurazione sintetica del suo itinerario umano. Davanti a Lui la volontà del Pa-dre come unico assoluto. Fedele. La sua missione non era il potere e la gloria che pure gli uomini aspettavano da Lui, ma la fedeltà al disegno salvifico del Padre. Il prezzo dell’umiliazione, dell’ostilità umana fino alla morte. Prova nell’umanità e fedeltà alla volontà del Padre.

Il deserto è luogo della fame e della mormorazione. Nel deserto Gesù si offre come fedele. Quaranta giorni e quaranta notti, digiunando, scrive Matteo. La fame, la neces-sità e l’affidamento al Padre provvidente. Gesù non rinuncia a fidarsi del Padre di fronte alla provocazione di sfruttare la prerogativa del “figlio nel quale il Padre si com-piace”, come nel Battesimo era stato riconosciuto. Non si sottomette alla sfida dell’au-tosufficienza e del “potere del Figlio” per avere pane. Rimane fedele nell’umanità alla volontà del Padre e alla sua Parola. Nella geografia evangelica lui stesso diverrà pane per la fame di molti, rinunciando a sfamare se stesso, fino a divenire pane della vita per ogni uomo. F. CECCHETTO, Testi inediti.

3. Strumentalizzare Dio?

Il diavolo trascina Gesù fino al “pinnacolo” del tempio di Gerusalemme. Il dissidio mette alla prova Gesù il Messia e il suo diritto di verificare la forza di Dio nel proteg-gerlo. Un evento miracoloso e spettacolare, una sfida di potere. Il diavolo trascina Ge-sù dal deserto alla città di Gerusalemme, centro del potere. Tutto viene offerto come nuova tentazione; il Figlio dovrà strumentalizzare il Padre. Ma la geografica evangelica ci istruisce ancora: l’affidamento al Padre non passa per gesti spettacolari e insolenti, né provoca Dio; Gesù addirittura rinuncia a servirsi della prerogativa di Figlio, affi-dandosi passo dopo passo alla benevolenza di Dio. Si disegna qui quanto incontriamo alla fine del Vangelo: «se è veramente Figlio di Dio, scenda dalla croce». Sul Golgota il diavolo trova la parola nei passanti, nei sommi sacerdoti, negli scribi e negli anziani, che sfidano ancora il Figlio a strumentalizzare il disegno di Dio Padre. Gesù si abban-dona alla sua volontà e non chiede di essere risparmiato dalla prova. F. CECCHETTO, Testi inediti.

4. Sempre di più la vita cristiana sembra esaurirsi in un certo “modo di compor-tarsi”, in un codice di buona condotta. Sempre di più il cristianesimo si aliena in una modalità sociale adattata al metro delle esigenze umane meno degne, del conformismo, della conservazione sterile, della ristrettezza del cuore, della paura di osare, come pure al metro di un moralismo insignificante che cerca di adornare la viltà e l’assicurazione individuale con l’ornamento funereo delle convenienze sociali. Gli uomini che vera-mente hanno sete di vita, che disperatamente lottano per distinguere una qualche luce nel mistero ermetico dell’esistenza umana, cioè gli uomini ai quali primariamente e per eccellenza si rivolge il vangelo di salvezza, ebbene tutti costoro rimangono inevitabil-mente lontani dalla convenzionalità sociale razionalmente organizzata del cristianesimo stabilito. In questo clima odierno, per un gran numero di uomini, di cristiani, l’ascesi anche solo come parola è alquanto incomprensibile. Se uno parla di digiuno e di con-tinenza e di volontaria limitazione dei desideri individuali è sicuro che sarà accolto da ironia o da un’aria di condiscendenza. CH. YANNARAS, La libertà dell’ethos. Alle radici della crisi morale dell’Occidente, Traduzione di B. PETRA dalla seconda edizione greca (Etica Teologica Oggi 2), EDB, Bologna 1984, p. 115.

5. Se vi è un tempo per ogni cosa che avviene sotto il cielo, come dice l’Ecclesiaste, e una di tali cose è la nostra vita religiosa, esaminiamo se pare bene, e cerchiamo in ogni momento quali azioni siano proprie di ogni tempo. E’ certo, infatti, che per quelli che combattono, c’è un tempo per l’impassibilità e un tempo per dominare le passioni – lo dico per quelli che cominciano la lotta. C’è un tempo per le lacrime e un tempo per l’aridità del cuore, un tempo per obbedire e un tempo per comandare; un tempo per digiunare e un tempo per partecipare ai banchetti; un tempo per combattere il cor-po, nostro nemico, e un tempo per mettere a morte le passioni; un tempo per la burra-sca dell’anima e un tempo per la calma della mente; un tempo per la tristezza del cuo-re e un tempo per la gioia spirituale; […] un tempo per la preghiera incessante e un tempo per il sincero servizio. Non cerchiamo, ingannati da zelo orgoglioso, di fare prima del tempo le cose che vanno fatte a loro tempo. Non cerchiamo in inverno ciò che è dell’estate, o al tempo della semina, ciò che deve venire nel tempo della mietitura, perché c’è un tempo per seminare le fatiche e un tempo per mietere gli ineffabili doni di grazia.Citazione di G. Climaco, in Abitare i deserti dell’anima (Comunità Monastiche in Dialogo), Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano 2009, p. 52.

6. Le tentazioni spirituali […] hanno un duplice scopo: il credente deve cadere nel peccato della superbia spirituale (“securitas”) o soccombere nel peccato della tristezza (“desperatio”). Ambedue i peccati, però, si riconducono all’unico peccato della tenta-zione di Dio.

Satana ha pertanto tentato la carne e lo Spirito di Gesù a non credere nella Parola di Dio […] Gesù perciò subisce la tentazione carnale, l’alta tentazione spirituale e infine la perfetta tentazione, e tuttavia in tutte e tre è esposto solamente l’unica tentazione con-tro la tentazione di Dio.

Neppure la tentazione di Gesù è quell’eroica lotta dell’uomo contro potenze cattive, quale volentieri e facilmente pensiamo che sia. Nella tentazione pure lui è spogliato di tutte le sue forze, è lasciato solo da Dio e dagli uomini, pure lui deve subire con paura la rapina di satana e ritrovarsi nell’oscurità totale. Non gli rimane altro che la Parola di Dio che salva, regge e sostiene, che lo mantiene saldo, e che per lui combatte e vince. La notte delle ultime parole di Gesù: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, è qui subentrata; essa seguirà all’ora di questa tentazione come l’ultima tentazione car-nale, spirituale e perfetta del Redentore. Gesù, mentre soffre l’abbandono da parte di Dio e degli uomini, ha la Parola e il giudizio di Dio dalla propria parte. Mentre è espo-sto indifeso e debole alla potenza di satana, supera la tentazione. Egli fu tentato come noi – ma senza peccato.

Perciò nella tentazione di Gesù non rimane realmente nulla al di fuori della Parola e della promessa di Dio; non la propria forza e la gioia di combattere contro il male, bensì la forza e la vittoria di Dio, che mi mantiene saldo nella Parola. (D. BONHOEFFER, Scritti scelti (1933-1945), pp. 400-401).

7. La tentazione del discepolo è l’allontanamento dalla sequela.

Avanzare con la necessità, con la nostra sapienza e le nostre ragionevolezze; sognare che la via del discepolato non conosca prova, tentazione appunto, nel radicale signifi-cato che la pagina evangelica ci offre, significa rinunciare a fidarsi di Dio, riducendolo alla nostra misura.

Il nostro deserto si è fatto impalpabile, le nostre grida sono state consolate da parole seducenti, ingannevoli. Tutto ci scivola addosso: il dolore e l’amore, l’amarezza e le piccole gioie, le domande, e Dio? È la nostra stessa assenza alle cose autentiche, il no-stro rifiuto della storia a farne l’assente, la delusione di sentirci abbandonati nella pro-va.

L’imprevedibilità e la sorpresa di Dio giunge a incrociare lo scandalo che si patisce quando percepiamo che la sua carità si dona e serve fino alla morte di croce del Figlio. Quando si incontrano questi eventi il nostro vivere cerca le vie di fuga: autosufficienza, potere… «Dov’è dunque la sua potenza?», si chiede così il discepolo.

Persone libere e affidate a Dio possono intenderlo, rispondendo alla chiamata, cre-dendo alla forza e al dono della conversione, sempre, anche quando si confonde nel deserto della prova.

Il suo agire nella nostra vita non dà torpore, inedia. Egli sta nella mischia con la no-stra umanità, al fianco nostro; e nostra misura è la nuda fede a questa presenza. Pure se l’individualismo ha fiaccato la fiducia in Lui, l’azione divina non è astrazione o estraniazione dalla storia: si confonde con il lamento e la confessione di fede e con ogni fatica di cammino.

La fedeltà al disegno di Dio insegna a non inseguire segni straordinari. La tentazio-ne per il discepolo, nella geografia della Parola, è quella di non riconoscerlo nel suo agire nell’ordinarietà. Riconoscerlo e confessarlo dentro la “terra umana” è solo della fede.

La conversione del cuore – altro segno! – è l’incrollabile affidamento nel suo agire anche quando tocca il confine delle smentite. L’esperienza della conversione sta nel divenire umani, come Egli vuole, non lavorare per Lui, o – delirio – fare al suo posto. Dimettere la pretesa di tutto comprendere, al nostro modo, raffinata manipolazione di Lui. Cercare conferma e ratifica è un instancabile vizio della mente. È la tentazione di soffrire meno, un nichilismo dolce: il deserto è il “non luogo” mai concluso e definito entro il quale spogliare la mente, per servire Dio. F. CECCHETTO, Testi inediti.


(Ceneri)

Ci visita, noi ceneri,

un sogno ricorrente

di fertilità. Rilustrano

le pietre

in esso, le argille,

sono colmi di pioggia i recipienti...

E infine

a un ordine, a un richiamo

lei va incontro -

chi comanda è Kronos...

o un seme

che le s’apre

dentro la persuade -

questo non lo sappiamo - ma

(con pena

e desiderio sale

la primavera dal suo ade, fumiga

esalando dal sottosuolo,

s’alza

in nebbia, in nuvola

e ora si diffonde, cenere

viva tra le stecchite trame

e le siepi ancora irte,

si lacera agli sterpi

dove appunta i primi segni

delle sue rosse gemme.

Siamo

noi pure

dentro l’animato grembo

dove nascita

e morte si affrontano

sì, ma solo per confondersi...

Siamo in quella mischia

non sapendo da che parte,

l’una o l’altra,

l’una e l’altra

unite in un sussulto

e spasimo di danza...

O uomo

dura poco la tua storia, la tua vita

come si misura? Come?

M. LUZI, L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. VERDINO (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, 42001, pp. 919-920.

Nessun commento:

Posta un commento