venerdì 10 febbraio 2012

Domenica 12 febbraio 2012 “sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato”

Domenica 12 febbraio 2012

“sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato”

Lettura del profeta Osea 6, 1-6

Così dice il Signore Dio: «Voi dite: “Venite, ritorniamo al Signore: / egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. / Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. / Dopo due giorni ci ridarà la vita / e il terzo ci farà rialzare, / e noi vivremo alla sua presenza. / Affrettiamoci a conoscere il Signore, / la sua venuta è sicura come l’aurora.

Verrà a noi come la pioggia d’autunno, / come la pioggia di primavera che feconda la terra”. / Che dovrò fare per te, Èfraim, / che dovrò fare per te, Giuda? / Il vostro amore è come una nube del mattino, / come la rugiada che all’alba svanisce. / Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, / li ho uccisi con le parole della mia bocca / e il mio giudizio sorge come la luce: / poiché voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti».

Sal 50 (51)

® Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro. ®

Tu non gradisci il sacrificio;

se offro olocausti, tu non li accetti.

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;

un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. ®

Nella tua bontà fa’ grazia a Sion,

ricostruisci le mura di Gerusalemme.

Allora gradirai i sacrifici legittimi,

l’olocausto e l’intera oblazione. ®

Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 2, 19 - 3, 7

Fratelli, mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?

Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.

Lettura del Vangelo secondo Luca 7, 36-50

In quel tempo. Uno dei farisei invitò il Signore Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».

Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Commento

In questo bellissimo brano biblico riscontriamo alcune caratteristiche proprie del terzo evangelo: l'attenzione di Luca per le donne, la sua insistenza sulla misericordia di Gesù, lo spazio dato ai temi dell'ospitalità e del perdono.

Ci viene data anzitutto la possibilità di constatare ancora una volta la portata davvero "rivoluzionaria" dell'annuncio e della missione di Gesù. Dapprima la situazione si presenta chiara e indiscutibile: una donna gravemente e abitualmente peccatrice entra all'improvviso nella casa del fariseo e, forse non osando ungere il capo di Gesù con il prezioso olio profumato che ha portato (come si usava in segno di onore con gli ospiti di riguardo), si pone dietro i piedi di Gesù che sporgevano dal divano su cui era sdraiato a mensa (come si usava allora), e rende a questi piedi tutti gli onori possibili e immaginabili.

Il suo comportamento si presta facilmente ad una pesante critica nei confronti di Gesù: ma come, non sa il rabbi che una donna di tal fatta "contamina" quelli che tocca rendendoli non idonei all'incontro con Dio? e non ricordava Deut.23,19, che proibiva di accettare doni per uso sacro da una prostituta? C'era una sola possibile attenuante, che Gesù non sapesse che tipo di donna fosse quella che gli rendeva omaggio. Lo pensa anche Simone; ma allora, che profeta è?

Questo è dapprima il quadro della situazione, ma ecco che proprio la parola di Gesù (la piccola parabola e la successiva spiegazione), cioè l'annuncio che egli fa', il "kerygma", rovescia la situazione, capovolge il quadro: Simone, il "giusto" che disprezza la prostituta, compare come colui che ama Gesù meno della donna e lei, additata al pubblico ludibrio, viene abbondantemente elogiata da Gesù per il suo comportamento, insistentemente contrapposto a quello del fariseo; "…tu non mi hai dato l'acqua per i piedi, lei invecetu non hai unto il mio capo…..lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo….."

La parabola-kerygma ha svelato la "verità" dei personaggi implicati: come non può non riconoscere lo stesso Simone, colui cui viene condonato di più, ama di più; dunque la pubblica peccatrice ama il Signore molto più di Simone; cosa evidente non solo nel comportamento coraggioso e anticonformista della donna, ma nel fatto che il fariseo ha sì invitato Gesù a casa sua (segno di apertura e magari di simpatia nei suoi confronti), ma ha ben tenuto le distanze da lui (evitando di compiere nei suoi confronti gli usuali gesti di riguardo), per non apparire, agli occhi dei benpensanti, troppo compromesso con quel rabbi originale e anche "scandaloso"!

La "punta" dell'episodio appare dunque il rapporto perdono-amore, enunciato nella paraboletta e ripreso da Gesù con un'inversione di termini, che sembra contraddire la prima affermazione, come si vede confrontando il v.42 con il v.47.

Diamo la voce al biblista Mauro Orsatti: "Che cosa concludere? Il perdono di Gesù è causa (parabola) o conseguenza (episodio)?....Il testo, bisogna riconoscerlo, offre qualche difficoltà di comprensione…..Una soluzione viene dalla considerazione del nostro rapporto con la divinità. Gesù
con le sue parole ripropone il contrasto espresso nella parabola e più ancora nell'atteggiamento della donna. Il perdono di Dio e l'amore della creatura si inseguono in una complessa articolazione di
rapporti che non è facile definire: per amare Dio bisogna essere perdonati (o almeno possedere una certa familiarità con il divino, cfr. Giov. 6,44: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato"), quindi il perdono precede l'amore. D'altro canto, è altrettanto vero che gesti di amore favoriscono o "provocano" il perdono, cosicché l'amore precede il perdono … Si può risolvere l'apparente contraddizione del rapporto amore-perdono e perdono-amore dicendo che entrambi sono veri: la donna riceve il perdono pieno dopo aver compiuto gesti di amore e questi gesti sono permessi da una conoscenza almeno complessiva della bontà di Gesù." (M. Orsatti, Luca: vangelo al femminile, Ancora, pp.104-106)

Amore e perdono sono dunque correlativi. E per ciascuno di noi che cosa significano? Potremmo riflettere su come viviamo il Sacramento della Riconciliazione, sulla scorta dell'ultimo "Ordo penitentiae" e con l'aiuto del Card. Martini (in "L'evangelizzatore in San Luca" pp.75-80 passim).

"La confessione breve e frequente, in cui si elencano le proprie mancanze, può dar luogo a un "colloquio penitenziale", cioè un dialogo fatto con una persona che mi rappresenta la Chiesa, (concretamente un sacerdote), nel quale cerco di vivere la riconciliazione in una maniera più ampia.
Si comincia con una pagina biblica, magari un salmo, che uno ha cercato perché corrispondente al suo stato d'animo; si recita poi una preghiera, magari spontanea, che mette subito in un'atmosfera di verità. Segue un triplice momento:


a) Confessio laudis: dall'ultima confessione, quali sono le cose per cui sento di dover maggiormente ringraziare Dio? Quelle cose nelle quali sento che Dio mi è stato particolarmente vicino, in cui ho sentito il suo aiuto, la sua presenza? Si comincia così con un'espressione di ringraziamento e di lode, che mette la nostra vita nel giusto quadro.


b) Confessio vitae: a partire dall'ultima confessione che cosa è che, soprattutto davanti a Dio, non vorrei che fosse stato? Che cosa mi pesa? Che cosa vorrei che Dio togliesse da me? Mettiamo tali situazioni davanti a Dio per esserne purificati, situazioni e fatti che richiamiamo alla nostra mente secondo uno schema di esame di coscienza (solitamente i dieci comandamenti e i precetti evangelici), per dichiararli al sacerdote e chiederne il perdono.


c) Confessio fidei: è la preparazione immediata a ricevere il perdono di Dio; davanti a Lui proclamiamo: Signore, io conosco la mia debolezza, ma so che Tu sei più forte. Credo nella tua potenza sulla mia vita, credo nella tua capacità di salvarmi così come sono adesso. Affido la mia peccaminosità a Te, rischiando tutto, la metto nelle tue mani e non ne ho più paura.


Occorre vivere l'esperienza di salvezza come esperienza di fiducia, di gioia, come il momento in cui Dio entra nella nostra vita e ci dà la Buona Notizia: "va' in pace", mi sono preso io carico dei tuoi peccati, della tua peccaminosità, del tuo peso, della tua fatica, della tua poca fede, delle tue interiori sofferenze, dei tuoi crucci. Li ho presi tutti su di me, me li sono caricati perché tu ne sia libero.

La confessione non è soltanto un dovere: è un'occasione lieta in cui Gesù aiuta ciascuno di noi a comprendere che cosa desidera che facciamo, e anche tutto quello che ci promette e tutto quello che ci dona." (Card. Martini)

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
PER LA XX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
(11 FEBBRAIO 2012)

«Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19)

Cari fratelli e sorelle!

In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l'affetto di tutta la Chiesa. Nell'accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull'esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell'uomo per guarirle.

1. In quest'anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà in Germania l'11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull'emblematica figura evangelica del samaritano (cfr Lc 10,29-37), vorrei porre l'accento sui «Sacramenti di guarigione», cioè sul Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell'Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica.

L'incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr Lc 17,11-19), in particolare le parole che il Signore rivolge ad uno di questi: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (v. 19), aiutano a prendere coscienza dell'importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell'incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr Mc 2 ,1-12).

La fede di quell'unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l'amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l'importanza che l'uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il Quale, in modo assolutamente gratuito, «ci tocca per mezzo di realtà materiali …, che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell'incontro tra noi e Lui stesso» (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). «L'unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l'uomo intero» (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).

Il compito principale della Chiesa è certamente l'annuncio del Regno di Dio, «ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61,1)» (ibid.), secondo l'incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr Lc 9,1-2; Mt 10,1.5-14; Mc 6,7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell'anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i «Sacramenti di guarigione».

2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che «tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l'annuncio di perdono e di riconciliazione fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l'umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa proprio l'appello dell'apostolo Paolo: «In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella «medicina della confessione», l'esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l'Amore che perdona e trasforma (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).

Dio, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), come il padre della parabola evangelica (cfr Lc 15,11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell'isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.

3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr Mt 10,8; Lc 9,2; 10,9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l'Unzione degli Infermi. La Lettera di Giacomo attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr 5,14-16): con l'Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio.

Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l'ha accolta. In quell'ora di prova, Egli è il mediatore, «trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione» (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18 febbraio 2010). Ma «l'Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell'olio sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca» (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). Nell'Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell'olio ci viene offerta, per così dire, «quale medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14)» (ibid.).

Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell'azione pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1514), l'Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi «un sacramento minore» rispetto agli altri. L'attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per chi è nella sofferenza, dall'altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr Mt 25,40).

4. A proposito dei «Sacramenti di guarigione» S. Agostino afferma: «Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani» (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l'importanza dell'Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all'offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L'intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell'assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri «"ministri degli infermi", segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza» (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).

La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l'Eucaristia è amministrata e accolta come viatico. In quel momento dell'esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6,54). L'Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant'Ignazio d'Antiochia - «farmaco di immortalità, antidoto contro la morte» (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste.

5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!», guarda anche al prossimo «Anno della fede», che inizierà l'11 ottobre 2012, occasione propizia e preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla nella vita di ogni giorno (cfr Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011). Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un'ancora sicura nella fede, alimentata dall'ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull'esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l'infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr S. Agostino, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).

A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente (cfr Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).

A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.

A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo.

Benedictus PP XVI

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