giovedì 29 marzo 2012

domenica della palme 2012 e auguri pasquali

Pasqua 2012

Dall’essere sfigurato
Ogni bellezza è sparita dal tuo volto
e per amore sei divenuto somigliante
agli ultimi della terra sfigurati dall’ingiustizia
è stata la tua scelta, servirci con tutta la vita

all’essere trasfigurato
nella bellezza della risurrezione
bellezza sempre vicina, anzi fraterna, più ancora di nutritore
così attoniti sono i tuoi discepoli pescatori
che affaticati trovano pronto il pesce arrostito.

Ora sei compagno nel cammino
ci scaldi il cuore con la tua parola
e anche noi risorgiamo dalla nostra freddezza
e faremo pasqua scegliendo di stare con te
dalla parte di Dio e dell’uomo, fino alla fine.
















Buona Pasqua
Don Michele









DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE 1 aprile 2012

Messa nel giorno

LETTURA
Lettura del profeta Isaia 52, 13 - 53, 12

Così dice il Signore Dio: / «Ecco, il mio servo avrà successo, / sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. / Come molti si stupirono di lui / – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto / e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, / così si meraviglieranno di lui molte nazioni; / i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, / poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato / e comprenderanno ciò che mai avevano udito. / Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? / A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? / È cresciuto come un virgulto davanti a lui / e come una radice in terra arida. / Non ha apparenza né bellezza / per attirare i nostri sguardi, / non splendore per poterci piacere. / Disprezzato e reietto dagli uomini, / uomo dei dolori che ben conosce il patire, / come uno davanti al quale ci si copre la faccia; / era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. / Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori; / e noi lo giudicavamo castigato, / percosso da Dio e umiliato. / Egli è stato trafitto per le nostre colpe, / schiacciato per le nostre iniquità. / Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; / per le sue piaghe noi siamo stati guariti. / Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, / ognuno di noi seguiva la sua strada; / il Signore fece ricadere su di lui / l’iniquità di noi tutti. / Maltrattato, si lasciò umiliare / e non aprì la sua bocca; / era come agnello condotto al macello, / come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, / e non aprì la sua bocca. / Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; / chi si affligge per la sua posterità? / Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, / per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. / Gli si diede sepoltura con gli empi, / con il ricco fu il suo tumulo, / sebbene non avesse commesso violenza / né vi fosse inganno nella sua bocca. / Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. / Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, / vedrà una discendenza, vivrà a lungo, / si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. / Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce / e si sazierà della sua conoscenza; / il giusto mio servo giustificherà molti, / egli si addosserà le loro iniquità. / Perciò io gli darò in premio le moltitudini, / dei potenti egli farà bottino, / perché ha spogliato se stesso fino alla morte / ed è stato annoverato fra gli empi, / mentre egli portava il peccato di molti / e intercedeva per i colpevoli».


SALMO
Sal 87 (88)

® Signore, in te mi rifugio.

Signore, Dio della mia salvezza,
davanti a te grido giorno e notte.
Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l’orecchio alla mia supplica. ®


Io sono sazio di sventure,
la mia vita è sull’orlo degli inferi.
Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa,
sono come un uomo ormai senza forze.
Sono libero, ma tra i morti. ®


Hai allontanato da me i miei compagni,
mi hai reso per loro un orrore.
Sono prigioniero senza scampo,
si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore,
verso di te protendo le mie mani. ®


EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 12,1b-3

Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 55 - 12, 11

In quel tempo. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Commento
VANGELO: Gv 11,55 – 12 ,11

Con questa pericope si apre l’ultima sezione della prima parte del Quarto Vangelo (Gv 1,19 – 12,43), dedicata ai ―segni‖ compiuti da Gesù. Da Cana in poi la narrazione sosta nel giorno sesto, il giorno del Figlio dell’Uomo.
La sezione tiene dietro immediatamente alla sequenza dedicata alla risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-54) e potrebbe essere considerata, dopo i tre versetti-ponte di Gv 11,55-57, la somma delle prime due scene che iniziano la preparazione della Pasqua – non più dei Giudei, ma di Gesù – in tensione verso l’«ora» della morte in croce. Con la
crocifissione siamo in un altro giorno sesto, che è l’adempimento del giorno autentico del Figlio dell’Uomo. Con Gv 12,1 inizia infatti un’altra settimana, quella decisiva: es-sa giungerà sino al silenzio di quel sabato – ἦμ γὰο μεγάλη ἡ ἡμέοα ἐκείμξσ ςξῦ ραββάςξσ «era infatti grande il giorno di quel sabato» (Gv 19,31) – e finalmente, come punto di arrivo decisivo, ςῇ μιᾷ ςῶμ ραββάςωμ «al primo giorno dopo i sabati» (Gv 20,1; cf anche 20,19). Ma l’«ottavo giorno» appartiene ormai al tempo del Risorto.19,31) – e finalmente, come punto di arrivo decisivo, ςῇ μιᾷ ςῶμ ραββάςωμ «al primo giorno dopo i sabati» (Gv 20,1; cf anche 20,19). Ma l’«ottavo giorno» appartiene ormai al tempo del Risorto.
La pericope si compone di tre scene: a) Gv 11,55-57 sono tre versetti di passaggio, che uniscono la sequenza della risurrezione di Lazzaro alla cena seguente con l’unzione di Maria; b) Gv 12,1-8 è la cena tenutasi a Betania, in casa di Marta e Maria in onore di Lazzaro, con l’unzione di Maria (vv. 1-3) e la reazione di Giuda che causa l’intervento di Gesù (vv. 4-7. 8); c) Gv 12,9-11 sono i versetti che introducono la se-quenza seguente dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, acclamato dalla folla e andreb-bero quindi uniti a Gv 12,12-19. L’entrata, comunque, è collocata ςῇ ἐπαύοιξμ «il gior-no seguente»; perciò si possono considerare anch’essi versetti di passaggio tra le due scene.

Gv 11,55-57: È la terza Pasqua dei Giudei che il Quarto Vangelo ricorda (la prima in Gv 2,13 e la seconda in Gv 6,4). Ma questa è anche l’ultima volta che si menziona una «Pasqua dei Giudei»: da qui in avanti essa sarà progressivamente oscurata dalla «vera» Pasqua (Gv 12,1; 13,1; 18,28. 39; 19,14), quella che è il contesto memoriale della mor-te in croce e della risurrezione di Gesù.
Dalle fonti possedute, la popolazione di Gerusalemme passava dai circa 25.000 abitanti ai 125.000 presenti, con un afflusso di pellegrini che superava le 100.000 unità. Le informazioni date sono precise. Anche Gv 7,11 e 13 ricorda che prima delle grandi feste il popolo proveniente dalla provincia e dall’esterno di Gerusalemme amava compiere il rito di purificazione nella Città Santa.
Quanto al v. 57, è evidente che l’allusione sta alla scelta strategica dei capi di Gerusalemme. Essi volevano arrestare Gesù nel luogo il più possibile appartato dalla folla, per evitare ogni tentativo di rivolta tra il popolo.

Gv 12,1-3: Sei giorni prima della Pasqua (giudaica) per Giovanni significa dunque la sera che da šabbāt porta al primo giorno della settimana, a chiusura dello šabbāt. In ogni modo, non si può partire dal fatto che Marta serviva per affermare che il sabato era già terminato, in quanto servire a tavola – senza però preparare cibi con il fuoco – era un lavoro permesso di šabbāt.
Un problema aperto è di stabilire chi sia l’ospitante e chi l’ospitato (v. 2): l’antica versione siriaca risolve il problema facendo di Lazzaro l’ospitante, mentre il testo criti-co così come sta farebbe pensare che Marta e Maria siano le sorelle ospitanti e Lazzaro uno degli ospiti ―reclinato‖ con Gesù attorno alla tavola. Se davvero fosse così, sa-remmo davanti a una tradizione diversa rispetto alla composizione familiare così com’è presentata in Gv 11,1-54.
Maria compie un esplicito gesto di amore davanti ai commensali (v. 3), che Gesù non rifiuta ma re-interpreta anticipando il significato della memoria della propria se-poltura. Il balsamo profumato usato da Maria permette questa doppia valenza. Il testo parla di λίςοαμ μύοξσ μάοδξσ πιρςικῆπ πξλσςίμξσ: - λίςοα: ovvero «libra», una misura per liquidi o semisolidi. La libbra romana equivale a 327,168 grammi ed è divisa in 12 once di 27,264 grammi. È ripresa anche in Gv 19,39: Nicodemo porta al sepolcro «una mistura di mirra e aloe di circa cento libre». La connessione non è casuale, in quanto l’unzione di Maria anticipa quella del cadavere di Gesù deposto dalla croce.
- μύοξμ: «unguento, profumo» (cf anche l’anticipo di Gv 11,2; e inoltre Mc 14,3-5; Ap 18,13). Da una parte, il vocabolo ci collega al racconto di Mc 14,3 con quasi la medesima espressione «vasetto di alabastro di unguento di nardo genuino molto costoso». Dall’altra parte, siamo rimandati, alme-no etimologicamente, anche alla mirra che era usato per le unzioni sepolcrali: un altro anticipo della sepoltura di Gesù.
- μάοδξπ: è l’essenza del profumo e nel NT è ricordato solo qui e nel racconto parallelo di Mc 14,3. Il nome deriva dall’indo-iraniano narda, ovvero il nardo siriaco, il più pre-giato che dovrebbe derivare dalla nardostachys grandiflora. Il suo rizoma, che si trova sottoterra, può essere schiacciato e distillato in un olio essenziale ambrato intensamen-te aromatico, molto denso, detto olio di nardo, usato come profumo. Era una delle undici essenze utilizzate per l’incenso del tempio di Gerusalemme. In particolare, è il profumo per l’incontro d’amore con il re, ricordato in Ct 1,12 e 4,13-14.
- πιρςικόπ: «puro, genuino» anche questo vocabolo accomuna il presente testo a Mc 14,3. Non ha nulla a che fare con il «pistacchio», ma rende l’attributo aramaico qušṭāʾ, molto frequentemente usato per la qualità del nardo (nardāʾ qušṭāʾ).
- πξλύςιμξπ: «di molto valore» (cf in Mt 13,46 è attributo per la perla trovata nel campo; in 1 Pt 1,7 in comparativo tra la fede e l’oro). Mc 14,3 invece utilizza il parallelo πξλσςελήπ «molto costoso».
La notazione finale è molto intrigante per la sua allusività: «la casa si riempì dell’a-roma del profumo». Come il tempio nella vocazione di Isaia era pieno del mantello di-vino, della sua gloria e del fumo dell’incenso (cf Is 6,1-4): anche in questa scena d’amore sta avvenendo una teofania tutta particolare (cf Ct 8,6).

Gv 12,4-7. 8: È stridente il contrasto tra l’amore senza prezzo di Maria e il calcolo in-teressato di Giuda, che anticipa il suo calcolo politico nel consegnare Gesù ai sacerdoti e ai capi di Gerusalemme (i Giudei).
Giuda legge il gesto subito facendo il calcolo dello spreco: «trecento pezzi di argen-to» (Mc 14,5: «più di trecento pezzi di argento»), il che comunque vale circa il salario di un operaio per un intero anno di lavoro! La notazione dell’evangelista è amara: non era solo un episodio isolato, Giuda aveva un’amministrazione un po’ allegra …

Dal punto di vista interpretativo, la cosa più importante è riuscire a tradurre bene la reazione di Gesù al v. 7, in quanto il v. 8 è da considerarsi una conflazione con il rac-conto sinottico (cf Mc 14,7 || Mt 26,11 qui ripetuto parola per parola). Ecco di seguito qualche traduzione recente:
NAS: «Let her alone, in order that she may keep it for the day of my burial».
TOB: «Laisse-la! Elle observe cet usage en vue de mon ensevelissement».
Einheitsübersetzung: «Lass sie, damit sie es für den Tag meines Begräbnisses tue».
Nuova CEI: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura.
Nuovissima Versione: «Lasciala, ché lo doveva conservare per il giorno della mia sepoltura».
Si sarebbe quasi tentati di tradurre ἄτεπ αὐςήμ con «perdonala», ma il complemento in accusativo lo impedisce. Preferisco allora, fra tutte le possibilità, la seguente: «permettile di poter con-servare questo gesto per il giorno della mia sepoltura».
Questa versione mette in evidenza il senso di una custodia di una nuova miṣwâ, un nuovo comandamento: la memoria della sepoltura di Gesù. La sepoltura di Gesù si-gnifica la verità del compimento della sua morte, ma anche il fatto che quel cadavere non è più stato trovato e di esso rimane impressa nella memoria quella unzione profe-tica, come una sindone spirituale.
Gv 12,9-11: Persino in questi versetti di transizione, il Quarto Vangelo ricorda il ruolo di Lazzaro. Mentre in Marco (e Matteo) l’unzione di Betania – con la donna peccatri-ce protagonista senza nome – avviene dopo l’entrata gioiosa di Gesù in Gerusalemme con ali di folla acclamante, in Giovanni l’entrata avviene il giorno dopo la cena e l’unzione. Non dobbiamo stupirci se vi sono ripetizioni o anticipazioni di situazioni che sono vissute nei rapporti tra le prime comunità cristiane e le sinagoghe solo alla fi-ne del I secolo d.C.: in effetti, l’attenzione di questi versetti riguarda più il contatto della comunità cristiana con il mondo giudaico che non Gesù direttamente. Non basta aver eliminato fisicamente Gesù, ora bisogna fare i conti con una comunità cristiana viva, «risorta» come Lazzaro.

PER LA NOSTRA QUARESIMA

1. D. Bonhoeffer ha scritto che
anche nell’Antico Testamento colui che è benedetto deve soffrire molto (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), ma mai questo (altrettanto poco come lo è nel Nuovo Testamento) porta a mettere vicendevolmente felicità e sofferenza, o benedizione e croce, in una con-trapposizione escludente. La differenza tra l’AT e il NT sotto questo aspetto sta solo nel fatto che nell’AT la benedizione comprende in sé anche la croce, mentre nel NT la croce ha in se stessa anche la benedizione.

Per troppo tempo, la comprensione della spiritualità di Gesù è stata impedita da pregiudizi teologici. Può sembrare sorprendente il fatto che per molti secoli la rifles-sione su Cristo e la pietà cristiana si siano allontanate l’una dall’altra per limiti così in-cidenti. La stessa interpretazione della morte di Gesù e della sua fedeltà all’amore «si-no alla fine» è stata falsata dal presupposto che egli già conoscesse il suo destino. Que-sto non ha certo impedito lo sviluppo di forme autentiche di spiritualità cristiana. Oc-corre tuttavia ricordare che la potenza della grazia vince anche modelli inadeguati, riu-scendo ad esprimere la luce e la grazia sufficienti a far crescere figli di Dio. Ciò che importa non sono i modelli attraverso i quali si interpretano le esperienze, bensì le of-ferte vitali accolte e le dinamiche messe in moto. È però innegabile che i modelli pos-sono impedire alcuni sviluppi e in certe situazioni divenire ostacoli gravi.
La pietà cristiana oggi può e deve subire una svolta notevole: «fissando lo sguardo su Gesù» (Eb 3,1; 12,2), la comunità ecclesiale può imparare a percorrere il cammino di fede di Gesù e ad assimilare i suoi criteri di scelta. Una fase nuova può aprirsi nella storia della teologia, della pietà e della spiritualità cristiana. Percorrendo il cammino di fede che Egli ha percorso non solo siamo in grado di «avere gli stessi sentimenti che fu-rono in Cristo Gesù» (cf Fil 2,5), di «avere cioè il suo pensiero» (cf 1 Cor 2,16), ma an-che di sviluppare e far fiorire nel nostro tempo le potenzialità ancora inespresse del suo Vangelo. Oggi siamo in grado di fare un notevole passo avanti verso la scoperta dell’autentica spiritualità di Gesù, di penetrare più nel profondo il segreto della sua preghiera, di cogliere in modo più profondo la portata della sua fedeltà al Regno di Dio e di capire meglio l’annuncio del suo Vangelo. A questa possibilità corrisponde il compito di testimoniare l’esito salvifico della via tracciata da Gesù, l’efficacia del suo Vangelo, di mostrare, cioè, a quale ricchezza può condurre lo Spirito che il risorto con-tinua a effondere su coloro che, anche oggi, vivono la sua Parola. Non possiamo tradi-re la responsabilità che grava sulla nostra generazione di credenti. È in gioco la soprav-vivenza dell’umanità.

2. La liturgia ci insegna ad accostare l’evento della Parola perché ci possiamo tra-sfigurare, nelle vicende del tempo, in discepoli autentici e amati dal Signore.
Lo straordinario mondo del Vangelo di Giovanni ci porta a contemplare il duello sempre più serrato tra l’eccedenza del dono della vita di Gesù e ragionevolezza umana. Ci invita a sottrarci alla banalità e alla presunta familiarità, per inabissarci nel mistero dell’accoglienza, della venerazione incessante del mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo.

3. Un gesto profetico … Il simbolo ha un senso assolutamente reale per chi lo crea, un senso che si indeboli-sce quando viene conosciuto e usato da coloro che hanno ormai un altro modo di vive-re e abitano sotto un altro orizzonte, in un mondo logico o che pretende di esserlo.[…] Il simbolo è anche canone, perché deve essere inalterabile. Il simbolo è il linguaggio del mistero.

4. Nella casa di Betania, casa dell’amicizia, il gesto di Maria è il simbolo dell’ec-cedenza, della sproporzione, dello ―spreco‖ di profumo prezioso. La presenza di Gesù suscita questo gesto. Egli ne è anche l’interprete a fronte della ragionevolezza contabile espressa da Giuda.
Maria offre nardo purissimo, senza dire parola.
Giuda ne calcola il valore indicandone una ragionevole destinazione.
La presenza di Gesù, l’amico della casa di Betania, disorienta e suscita l’autenticità del gesto di Maria – paradigma del discepolo (amato). Offre tutto quello che è e che ha, e viene ospitata nel mistero di Gesù, che cammina verso la morte.
Gesù stesso poi si inginocchierà ai piedi dei discepoli, vi verserà dell’acqua, li asciu-gherà. Passaggio di amore e di dedizione, senza calcolo.
Il fine dell’eccedenza e del profumo non è rinuncia, perdita, distacco, ma passaggio dell’amore divino.
Non vi sono garanzie, autodifese, volontarismo etico, prestigio, che tutti insieme, ragionevolmente, possano disseminare il profumo nardo purissimo nelle esistenze dei discepoli.
Gesù, nella casa di Betania, interrompe le logiche umane, parlando del gesto unico, profetico di Maria. ―Permettile di poter serbare questo gesto per il giorno della mia sepoltura”.
Non ci sfugge il contrasto tra la raffinatezza dei gesti silenziosi di Maria verso Gesù e la prospettiva di morte che lo attende. Se Gesù stesso non avesse spiegato quel gesto-simbolo-profezia, il nostro disorientamento sarebbe al pari di quello di Giuda. Do-manda aperta la sua, contrasto tra il silenzio di Maria e le parole di Giuda.
Quel gesto rimarrà, perché narrato nell’evento del Vangelo, per ogni discepolo.
La libertà, la fragranza del profumo e la dolorosa coscienza di Gesù per la prossimi-tà della sua morte costituiscono un ―tempo sospeso‖ di contemplazione del dono della vita, del profumo che il dono di sé spande nella casa.
È il tempo ―altro‖ della contemplazione, che ci porterà, ancora con delle donne che hanno mani cariche di aromi, al giardino dove era custodito il corpo di Gesù, nel mat-tino di Pasqua.
L’unicità del gesto di Maria semina sconcerto e così le parole di Gesù che lo inter-pretano. I silenzi del Vangelo sulle ragioni di Maria per quel gesto, non chiedono le nostre parole. In quelle di Gesù ne accogliamo il significato, abitando sulla soglia di un ascolto inafferrabile, evocandolo alla radice come mistero divino, offerto alle nostre in-telligenze e ai nostri cuori. Unicità del gesto, il sempre dei poveri…
Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,
e cioè che tu (Dio) non puoi aiutare noi,
ma che siamo noi ad aiutare te,
e in questo modo aiutiamo noi stessi.
L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi,
e anche l’unica che veramente conti,
è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche contribuire
a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini.
Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto
per modificare le circostanze attuali
ma anch’esse fanno parte di questa vita …
E quasi a ogni battito del mio cuore,
cresce la mia certezza:
tu non puoi aiutarci,
ma tocca a noi aiutare te,
difendere fino all’ultimo la tua casa in noi…

6. Coro, Preghiera
Dal sepolcro la vita è deflagrata.
La morte ha perduto il duro agone.
Comincia un’era nuova:
l’uomo riconciliato nella nuova
alleanza sancita dal tuo sangue
ha dinanzi a sé la via.
Difficile tenersi in quel cammino.
La porta del tuo regno è stretta.
Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora sì che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L’offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen.

7. Non startene nascosto
nella tua onnipresenza. Mostrati,
vorrebbero dirgli, ma non osano.
Il roveto in fiamme lo rivela,
però è anche il suo impenetrabile nascondiglio.
E poi l’incarnazione – si ripara
dalla sua eternità sotto una gronda
umana, scende
nel più tenero grembo
verso l’uomo, nell'uomo... sì,
ma il figlio dell’uomo in cui deflagra
lo manifesta e lo cela...
Così avanzano nella loro storia

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