venerdì 13 aprile 2012

DOMENICA IN ALBIS DEPOSITIS 15.04.2012

DOMENICA IN ALBIS DEPOSITIS 15.04.2012

Il grande giorno di Pasqua, che si snoda da Pasqua sino a Pentecoste, mette a fuoco progressivamente l’iride policroma dei temi che compongono il sublime mosaico della confessione di fede pasquale. La seconda domenica di Pasqua è la domenica «in albis depositis» secondo la dizione della tradizione ambrosiana: i battezzati consegnano la veste bianca ricevuta durante la celebrazione del sacramento nella santa veglia.

Lettura degli Atti degli Apostoli 4, 8-24a

In quei giorni.

Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare. Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: «Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di parlare ancora ad alcuno in quel nome». Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. L’uomo infatti nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni.

Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio.

SALMO

Sal 117 (118)

® La pietra scartata dai costruttori ora è pietra angolare.

oppure

® Alleluia, alleluia, alleluia.

Rendete grazie al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre.

Dica Israele:

«Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:

«Il suo amore è per sempre». ®

La pietra scartata dai costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:

una meraviglia ai nostri occhi. ®

Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,

sei il mio Dio e ti esalto.

Rendete grazie al Signore, perché è buono,

perché il suo amore è per sempre. ®

EPISTOLA

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 2, 8-15

Fratelli, fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.

È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 20, 19-31

In quel tempo. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Commento

La Liturgia della seconda domenica di Pasqua ci propone la lettura dell'ultima parte del cap.20 del Vangelo di Giovanni (vv.19-31). Si tratta di due apparizioni di Gesù ai discepoli: la prima alla sera del "primo giorno della settimana", lo stesso della scoperta della tomba vuota, con l'assenza di Tommaso; la seconda "otto giorni dopo", con la presenza di Tommaso.
Tutto il capitolo ha una sua forte unità, dall'inizio alla fine, nel presentarci l'esperienza dell'incontro con Gesù risorto da parte della sua comunità: è il punto di arrivo (e di partenza) dell' "opera" di Gesù, per la quale è stato mandato dal Padre. E' l'inaugurazione della presenza nuova di Gesù con coloro che "credendo in Lui hanno una vita piena".
Il verbo "vedere" è il filo che conduce il Vangelo di Giovanni sin dall'inizio e che dà unità al capitolo 20: certo le sfumature del significato di "vedere" dei diversi vocaboli greci, sfuggono alle nostre traduzioni e ci chiedono una particolare attenzione. Al centro del capitolo c'è l'esperienza del discepolo che Gesù amava che "vide e credette". Poi c'è il grido di Maria di Magdala: "Ho visto il Signore" e l'annuncio dei discepoli a Tommaso, l'assente: "Abbiamo visto il Signore", sino alla beatitudine finale: "Perché hai visto me, hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto". "Vedere e credere": il Vangelo è il cammino (non facile, faticoso, talvolta entusiasta ma pieno di dubbi, alla fine drammatico) di coloro che hanno visto (ma che cosa e come?) e hanno creduto, che si conclude nella sconcertante proclamazione della beatitudine di coloro che credono senza aver visto, perché credendo, incomincino a vivere vedendo con gli occhi nuovi della fede.
Questo rapporto tra vedere e credere è il cuore dell'ultima pagina del Vangelo, che conduce i discepoli al vertice del cammino al quale Gesù ormai risorto li ha condotti, dopo averli fatti passare attraverso il dramma della sua passione.
"Quando era la sera di quel giorno, il primo della settimana, e le porte del luogo dove si trovavano i discepoli erano chiuse per timore dei Giudei, venne Gesù e stette in mezzo". Non sappiamo che cosa abbia spinto i discepoli a riunirsi tra loro, forse hanno ascoltato la parola di Maria di Magdala: sappiamo che sono ancora impauriti, con le porte chiuse, con la tenebra nel cuore. Certo non è una comunità forte quella che ci si presenta: ma il Vangelo non ha mai nascosto la fragilità dei discepoli che Gesù ha continuato a tenere presso di sé, confidando loro la ricchezza della sua Parola, amandoli dello stesso amore con il quale egli è amato dal Padre. Adesso sono lì, pieni di paura, ma riuniti in attesa di incontrare Gesù: "e venne Gesù e stette in mezzo a loro". E' la realizzazione della parola che Gesù aveva detto ai suoi nel discorso di addio: "Non vi lascerò orfani: io verrò a voi …" (Giov.14,18) Questo ritorno è l'inizio di una nuova presenza: Gesù risorto può raggiungere i discepoli fin dentro le loro paure e le loro fragilità. E' lo stesso Gesù che hanno conosciuto, lo stesso che è stato crocifisso come mostrano le mani e il costato trafitto, e pure libero dalle leggi della vecchia vita: è l'inizio di una nuova creazione. "Pace a voi" è la prima parola rivolta da lui ai suoi discepoli: Colui che ha attraversato la morte, trasmette la pace di cui vive, che è pienezza di bene, per coloro che sono ancora pieni di paura e fa di loro persone piene di gioia. E adesso si realizza il motivo per il quale egli li aveva scelti: "Vi ho scelti perché andiate…". "Come il Padre ha mandato me, io mando voi": adesso affida loro la missione di continuare la sua presenza nel mondo. "Dio ha tanto amato il mondo, che ha mandato il suo figlio…": la missione è di immergersi nel mondo, come il Figlio, per amare il mondo, per salvarlo, per ricrearlo. Non è opera di potenza umana quella affidata a loro. Per questo dona loro il suo Spirito, quello di cui Lui vive ormai in pienezza.
Tutto è grazia, tutto è amore, tutto è donato ad una comunità fragile raggiunta da Colui che amandola la manda nel mondo per annunciare l'amore del Padre. La fragilità umana della comunità appare immediatamente dal fatto che l'evangelista ci fa sapere: "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro, quando venne Gesù". La nostra curiosità vorrebbe conoscere il motivo di questa assenza: l'evangelista non ci dice nulla, lasciando a noi di capire. Comincia proprio di qui il messaggio che viene a noi da Tommaso. Tommaso in aramaico significa "gemello", in greco "Didimo": gemello di chi? Ciascuno di noi può identificarsi con il "gemello" e rivivere così, personalmente l'esperienza di Tommaso. Ed è "uno dei Dodici", sottolinea Giovanni: ripercorrendo il Vangelo, possiamo comprendere chi è Tommaso, questa figura che è "una costruzione originale di Giovanni", personalità che si fa notare per i suoi scatti di iniziativa, non tollera incertezze, non condivide quelle che egli ritiene debolezze, anche di Gesù. Per questo egli è pronto a morire con Gesù (11,1), ma poi con scetticismo fa notare a Gesù di non sapere dove sta andando (14,5), e alla fine "non è con loro" e si rifiuta di credere alla testimonianza dei discepoli (20,25).
E' pure interessante notare che l'accenno (raro) di Giovanni ai "Dodici", è sempre in un contesto nel quale appare la loro fragilità: anche Giuda è presentato come "uno dei Dodici", come Tommaso.


Quanto di Tommaso troviamo dentro di noi! Come possiamo veramente sentirlo nostro gemello nel suo forte attaccamento al Maestro, ma pure nella sua incomprensione, nella sua profonda ignoranza di Lui, nella sua resistenza, nel porre filtri alla sua fede! E così non è con loro quando viene Gesù: il suo sentirsi più forte gli impedisce di condividere la fragilità e la paura degli altri e lo estranea dagli altri quando viene Gesù.

"Abbiamo visto il Signore", gli dicono gli altri discepoli. E lui risponde: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò". In questa frase ritroviamo in modo esemplare la raffinata "ironia" di Giovanni. Tommaso vuole prima vedere, toccare il segno lasciato dai chiodi nelle mani e nel costato, poi crederà: ma la fede non è la conclusione di un processo razionale, a cui egli è ancora legato. La frase ha pure un altro significato: solo guardando il Crocifisso, solo guardando il suo petto aperto, solo vedendo e toccando i segni della verità del suo infinito Amore, solo credendo l'Amore, si sperimenta la fede.

Ed è questa l'esperienza finale di Tommaso: "Otto giorni dopo erano ancora dentro i discepoli e c'era anche Tommaso …" L'hanno convinto a ritornare, ma è ancora chiuso in se stesso.
"Venne Gesù e stette in mezzo …". E ancora Lui che viene, nonostante le resistenze, le chiusure, è Lui che parla e si innesta precisamente là dove noi rimaniamo aggrappati a noi stessi e ci offre più di quanto noi chiederemmo, e ci fa prendere coscienza di quanto pesino su di noi il nostro egoismo e le nostre paure.

"Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere non credente, ma credente". Gesù lo invita a guardare, a toccare, ad immergersi nel suo corpo crocifisso e a non essere chiuso al suo Amore ma a credere alla concretezza dell'Amore con cui Lui lo ama. E dal profondo del cuore di Tommaso, esce la confessione di fede più profonda di tutto il Vangelo: "Signore mio e Dio mio". Tommaso senza toccare il corpo di Gesù, ma toccato da Lui, adesso sa che il Crocifisso è il dono infinito dell'Amore di Dio per il mondo: adesso crede che l'Amore è la forza che salva il mondo, adesso sa che l'Amore è Dio. E tutto questo è Gesù che è lì per lui: "Signore mio e Dio mio". La sua vita ormai è afferrata da Lui, che ha vinto le sue resistenze, rivendicazioni, logiche umane: adesso la comunità di Gesù è riunita veramente, comunità fragile, litigiosa, impaurita, ma che sa che Lui è lì, in mezzo, che continua ad offrire il suo Amore, il suo corpo crocifisso ma risorto, come unica forza e speranza per tutto il mondo.

PER LA NOSTRA VITA

1. Perplessità e rischio

La perplessità si produce quando la conoscenza è tale da lasciare margine al rischio, quando dobbiamo rischiare nello scegliere. […]

Il perplesso ha idee, sa definire le alternative di fronte alle quali ammutolisce. Cono-sce, ma gli manca quest’ultimo “mobile” che muove la vita, che la trascina e la fa uscire; non ha dinanzi a sé il suo personaggio, non gli mostra il suo volto.

Il segreto non è la mancanza di conoscenza, bensì un timore che paralizza. Non può affrontare il rischio della vita, il pericolo di dire sì e no.

Non si tratta di chiarirgli nulla, perché non è di chiarezza che ha bisogno. La per-plessità non si può vincere semplicemente attraverso la semplice spiegazione delle pa-role. Si tratta di muoversi, di arrischiarsi a scegliere.

La perplessità è una debolezza dell’anima che non deriva dalla conoscenza, ma dalla relazione tra la conoscenza e il resto della vita, che non si lascia penetrare da essa. La perplessità implica un’abbondanza di conoscenza. In ogni perplessità c’è un turbamen-to; si è di fronte a un tipo di conoscenza che abbaglia e non penetra.

È la mancanza della visione, di una visione, ciò che lo fa rimanere chiuso. […] Nelle situazioni vitali è difficile distinguere tra i vari aspetti un prima e un dopo. Tutto av-viene simultaneamente in una visione che apre le porte dell’anima e che innamora. M. ZAMBRANO, Verso un sapere dell’anima, Traduzione di E. NOBILI, Edizione italiana a cura di R. PREZZO (Minima 31), Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pp. 74-76.

2. La confessione pasquale

Tommaso viene condotto dalla visione alla confessione. Il Vangelo ci trascina fuori da una prospettiva chiusa, ci accompagna a contemplare e forse a nostra volta confes-sare, nel tempo della nostra vita «Mio Signore e Mio Dio!».

A che cosa mi serve l’annuncio del più glorioso dei miracoli, se io non posso averne esperienza e verificarlo di persona?

[…] Così parla il dubbio in ogni tempo e così pensa Tommaso, il discepolo di Gesù (Gv 20,25). Da poche parole che di lui ci sono conservate (Gv 11,16; 14,5), lo cono-sciamo come un discepolo pronto a ogni sacrificio, ma che le domande che aveva da fare a Gesù le faceva apertamente e chiaramente. Dopo la morte di Gesù si era separato dagli altri discepoli ed era rimasto lontano anche nel giorno di Pasqua.

«Non crederò prima di aver visto e toccato», afferma duramente, quando il messag-gio gli arriva per tramite degli altri discepoli. Tommaso ha ragione quando non vuole credere prima di aver trovato la fede in prima persona, ma la via sulla quale la cerca è falsa. Malgrado la sua riluttanza a credere, Tommaso va dai discepoli. Questo è importante, perché mostra la sua disponibilità a lasciarsi convincere e dunque mostra l’onestà del dubbio. Tuttavia è la libera grazia del Risorto, che ora si rivolge anche al singolo, che fa superare il dubbio e che crea nel dubbioso la fede nella Pasqua. D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A. AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, pp. 138.

3. I gesti di Gesù sono belli, perché attraverso di essi s’irradia l’agape salvifica. […]

La specificità dei gesti di Gesù è di essere gesti “pieni”: pieni d’amore, pieni di sal-vezza, pieni di efficacia. Tutti i suoi gesti – benedizione, unzione, frazione -, custoditi e prolungati dalla nostra ritualità sacramentale, possiedono un’impareggiabile intensità drammatica e radicale, ed è tale intensità, tale signoria, tale pienezza ciò che la nostra liturgia deve mettere in evidenza. Ogni liturgia culmina in un gesto di Cristo al servizio del quale sono i nostri gesti, e davanti al quale essi si ritirano. Qui l’esibizione e la ma-gnificenza hanno ragion d’essere solo se sono in rapporto con la spoliazione, solo se si pongono nei confronti del gesto di Cristo come la distanza che lo prepara, come il con-tenitore che egli ricolma. L’autentico rituale non soffoca i gesti essenziali, determinanti dell’atto sacramentale, non distrae dall’attenzione privilegiata che bisogno prestar loro: al contrario li sottolinea, e la sua ragion d’essere è solo quella di porsi al loro servizio. F. CASSINGENA TREVEDY, La bellezza della liturgia, Traduzione di L. MARINO (Sympathetika), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 2003, pp. 47-48.

4. Gesù viene malgrado le porte chiuse (Gv 20,26-28). Sulla miracolosità della sua presenza non possono esserci dubbi. Dà il saluto di pace, che è indirizzato a tutti, ma in particolare al cuore senza pace di Tommaso. Gesù viene per amore dei suoi disce-poli dubbiosi. Li conosce bene uno per uno, come risulta dalla prima parola a Tom-maso. Gesù acquieta il desiderio dubbioso del discepolo, concedendogli ciò che aveva negato a Maria (20,17). C’è differenza se vogliamo prendere noi qualcosa o se ce la dà il Signore. Maria viene respinta, a Tommaso è lecito ascoltare, vedere, toccare.

Incomprensibile abbassamento del Signore verso il suo discepolo dubbioso, il farsi mettere alla prova da lui. “Non essere più incredulo, ma credente”. Cristo si avvicina

al suo discepolo quando ancora la decisione ultima non è presa, sebbene sia minaccio-samente vicina. Ma non considerando ancora il discepolo come uno che si è deciso contro di lui, gli dà la libertà di convertirsi. Non si dice se Tommaso abbia steso la mano. Non è importante. Importante è che in Tommaso erompa la fede pasquale. “Mio Signore e mio Dio”. In ciò è contenuta tutta la confessione pasquale. Prima di questo dubbioso nessuno aveva parlato così. D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, p. 139.

5. Gesù disse a Tommaso: “Beati quelli che pur non vedendo, hanno creduto!” Credere dunque non è vedere. Credere vuol dire partecipare alla vita di Dio. Perciò la luce che si riceve non è opera nostra, ma opera di Dio, grazia gratuita. Non che questo dono prescinda dall’uomo. C’è un aprirsi alla fede. Ma tra quell’apertura e il dono di Dio non c’è proporzione calcolabile. Credere è dire di sì alla rivelazione di Dio. Sarebbe capir male la rivelazione il considerarla come un gran sistema di verità bell’e confezionato. Essa è prima di tutto un messaggio e una luce: luce di Dio nella nostra vita , sulla storia, sul bene e sul male, sulla morte, su Dio stesso, sul valore ultimo dell’amore.

Per proclamare questa rivelazione bisogna pure servirsi di parole, adottare un certo ordine, una certa connessione. Comunque, tutto ciò non deve mai dare l’impressione che la rivelazione di Dio sia un sistema di cose a sé stanti. Si tratta dello sguardo di Dio sulla nostra realtà. Vedere con gli occhi della fede, è vedere con gli occhi di Dio. La fede non è solo un sono, ma esige anche un impegno. La nostra fede non sopravvi-ve senza di noi. È un qualcosa su cui si può fermare la nostra attenzione e la nostra cu-ra, oppure che si può trascurare. Perciò la fede è un impegno. Chi nel suo intimo rico-nosce la rivelazione di Dio, ha ancora una lunga strada da percorrere davanti a sé. Si tratta di realizzare la più profonda verità cui si crede, ma che non si vede e che spesso non si sente. E ogni volta di nuovo è un salto nel buio. Quando si è soggiogati dalla dolcezza di una tentazione, è un salto nel buio mettere in pratica la fede e dire di no, che è poi un sì, a coloro ai quali si vuol rimanere fedeli, ed è anche un sì a Dio.

Quando si incontrano soltanto contrarietà nella vita quotidiana, richiede una grande dedizione credere nello Spirito santo e, di conseguenza, nella possibilità, per sé e per gli altri di essere buoni. Quando si è sopraffatti da una sofferenza assurda, è atto di gran fede rendersi conto della fedeltà di Dio e del fatto che Gesù ha dato senso alla sofferenza.

Il credere non è, perciò, un’inavvertita iscrizione continuata alla Chiesa. Il credere è sempre in relazione con un adesso. Credere che Dio, adesso, non può lasciarci soli; che Dio, adesso, può dirigere il corso delle cose; più ancora: che Dio, adesso, col suo amo-re, può operare un miracolo, come talvolta nella tempesta sul lago: “Ed egli si alzò e rimproverò il vento e disse al mare: Taci, sta fermo! E il vento cessò e subentrò una grande calma. E Gesù disse ai discepoli: Perché mai siete così spaventati? Non avete proprio nessuna fede?”.

Il credere è una vittoria sulla nostra diffidenza verso il mondo di Dio. Come Tom-maso possiamo anche dubitare nella nostra fede: avere tentazioni e difficoltà nella fede. Ma di per sé, la presenza del dubbio non pregiudica la certezza della nostra fede. Un dubbio straziante può essere accompagnato da un totale abbandono, da una fede salda come la roccia. Anzi, proprio una fede salda può conoscere spesso seri dubbi. Ma la fede tentata rimane fede intera.

La fede genuina è sempre intera. Non si è per metà credenti e per metà increduli. Fintanto che uno può dire: “Sì, voglio credere”, è interamente credente. Mai nessuno ha rinnegato la propria fede senza volerlo. Prima di morire nel suo monastero all’età di ventiquattro anni, Teresa del Bambino Gesù ha conosciuto dubbi terribili sulla fede. Della sua fede era rimasto nient’altro che l’ultimo suo atto di abbandono: “Io voglio credere, aiuta la mia fede”. E così quella giovane divenne santa.

Per finire preghiamo con san Tommaso d’Aquino alludendo alla ricerca di fede del-l’apostolo Tommaso del vangelo di oggi:

Plagas, sicut Thomas, non intueor, Deum tamen meum te confíteor. Fac me tibi semper magis credere, In te spem habere, te diligere.

Signore, io non vedo, come Tommaso, le tue piaghe.

Pure ti confesso per mio Dio:

fa’ che io sempre di più a te creda,

in te abbia speranza, te ami!

P. TARCISIO GEIJER (monaco certosino), Testo inedito, Vedana 1971.

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