giovedì 26 aprile 2012

IV DOMENICA DI PASQUA 29.04.2012



Giornata mondiale delle vocazioni sacerdotali
In fondo troverete una mia piccola riflessione sulla vocazione cristiana
LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 20, 7-12

Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti. Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è vivo!». Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.                


SALMO
Sal 29 (30)

             ®  Ti esalto, Signore, perché mi hai liberato.
             oppure
             ®  Alleluia, alleluia, alleluia.

Signore, mio Dio,
a te ho gridato e mi hai guarito.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere
perché non scendessi nella fossa. ®

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia. ®

«Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!».
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre. ®


EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 4, 12-16

Carissimo, nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbìteri. Abbi cura di queste cose, dèdicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.                                                  

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 27-30

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Commento al vangelo

Il Vangelo di Giovanni ci ripropone, oggi, una parte della discussione che avviene nel tempio tra Gesù e i responsabili religiosi. Il tema fondamentale che viene posto con molta chiarezza è quello della messianicità. "Fino a quando non ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia, diccelo apertamente"(Giovanni 10,24).

Siamo d'inverno e ci si ricollega alla festa della Dedicazione che si celebra il mese di dicembre, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. per l'inaugurazione del tempio purificato, dopo la profanazione compiuta da Antioco Epifane IV nel 171 a.C.

La festa si svolge come quella delle Capanne (settembre-ottobre), a volte addirittura confuse tra loro. Detta "Dedicazione", in ebraico Hanukkah, è la "festa delle Luminarie" e per otto giorni si accendono dei candelabri che illuminano tutta la città. Sembra che, per le due ricorrenze, si leggessero le stesse letture bibliche e, in particolare, nel sabato più vicino alla Dedicazione, viene proclamato il testo di Ezechiele 34 con la celebre profezia del Messia, il vero pastore suscitato da Dio. Da qui il richiamo al Messia in questa festa, la grande attesa e quindi la domanda posta a Gesù (Gv 10,24) il quale risponde con il riferimento al gregge e al pastore.

I capi religiosi "circondano Gesù" (e già questa parola indica pericolo e assedio). E se chiedono a Gesù se è lui il Messia, non hanno intenzione di accettarlo o almeno di interrogarlo per capire. Hanno ormai fatto un giudizio e vogliono una prova pubblica per poterlo condannare. Gesù non si presta al gioco, inizialmente, dicendo che non possono comprendere perché non fanno parte delle sue pecore. Ma qualche versetto precedente, nella discussione su Abramo, Gesù aveva detto: "Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate poiché non siete da Dio" (Gv 8,47). E' grave la denuncia che Gesù sta facendo: i capi religiosi, le persone incaricate di far conoscere al popolo la volontà di Dio, sono quelli che, quando Dio parla, non ascoltano la sua voce.

Gesù dice, "«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco». Conoscere significa sviluppare un rapporto di grande confidenza e di grande intimità "«ed esse mi seguono»".

1. Ascoltare la voce di Gesù significa voler capire, prima di tutto, cogliere il significato e le prospettive che Gesù desidera offrire.
 
2. Ascoltare ha anche il significato di accettare di vivere e quindi orientare la propria vita su di Lui, ("seguirlo"), impegnandosi sulle stesse scelte e prospettive a cui Gesù stesso si dedica.


3. Accettare le sue scelte che si aprono su orizzonti impensabili poiché non si pongono nella soggezione del tempo, ma sono nella prospettiva della "vita eterna". E qui, per sé, non si parla della vita futura, ma di una vita già presente, indistruttibile, che pur passando attraverso esperienze di vita e anche di morte, questa vita non si interrompe ma fiorisce in una dimensione sempre nuova, completa e definitiva.

4. Seguirlo è fare le stesse scelte di Gesù ma è anche condividere il suo destino e il suo progetto.
 
5. Rileggere i tempi in cui viviamo per scoprire i ladri ed i briganti prima di Gesù (Gv 10,8) e il lupo che "rapisce e disperde il gregge"(10,12). È questo l'impegno che Gesù si assume fino alla morte perché il gregge resti nella fedeltà con il Padre, non si disorienti e non si scoraggi.
 
6. Gesù è attorniato dai capi del tempio e parla di "altre pecore "che non provengono da questo recinto" (10,16). Così il suo gregge supera il perimetro del Tempio di Gerusalemme e si allarga in una prospettiva universale, dove la parola delle scelte di Gesù diventano fondamentali per un nuovo popolo.
 
7. Certamente tutto questo provocherà disagio, rischi e paura; tuttavia Gesù garantisce la sua presenza, la sua forza, la sua fedeltà. L'immagine, molto bella, "che nessuno le strapperà dalle mie mani" ci dimostra un lottatore che si gioca tutto con fedeltà gratuita e continuamente piena. Nella memoria ebraica c'è la lotta di Sansone (Gdc14,6), la forza di Davide e dei grandi combattenti-eroi d'Israele. Gesù stesso, a sua volta, garantisce la forza di Dio che è Padre: "Nessuno le strapperà dalle mani del Padre".
 
8. Il progetto di questo popolo nuovo, fondato sulla fedeltà a Gesù, è il nuovo progetto e il Padre apre nel cammino del suo popolo. Qui non si parla più di Mosé né della Prima Alleanza, ma di una nuova presenza ed una nuova parola che fondano un patto nuovo che si allarga su un popolo nuovo. Il richiamo al Padre è anche indicazione della pienezza di creazione, l'opera iniziale di Dio che si schiude sempre più sul mondo. Come garanzia non vengono promessi tanto l'efficienza, la ricchezza, o il benessere. A garanzia c'è il volto di Gesù che offre la sua vita. Il campo resta comunque sempre aperto. Non ci sono esclusioni, non ci sono selezioni. La Porta (Gv 10,9) che è Gesù, resta sempre aperta. Egli continua nel tempo a parlare e ad essere ascoltato da chi lo desidera e lo cerca.
 
9. Il cammino nel tempo non fa dimenticare difficoltà e rischi di una dispersione che moltiplica le sofferenze e lacera spesso la speranza. Ma il volto di Gesù è il volto del crocifisso e del risorto.
 
10. Giovanni scrive questi testi per una comunità che incontra grandi difficoltà ad inserirsi nella dimensione quotidiana dell'impero romano, già fatta segno di alcune persecuzioni parziali, spesso guardata con diffidenza e con disagio, spesso rifiutata. Giovanni però sta dicendo, in un momento in cui la comunità cristiana ha visto crollare il Tempio di Gerusalemme, che Gesù è il nuovo santuario del nuovo popolo. Il Padre continua ad operare ed è presente come lo stesso Gesù (Gv5,17). Il popolo, che crede in Gesù, sa di poterci contare.
 
11. Alla fine Gesù si decide per la sua rivelazione piena che suona come bestemmia. Siamo nel tempio di Gerusalemme, nel luogo più santo e Gesù proclama. "«Io e il Padre siamo uno»". E' molto complesso cogliere il significato di questa affermazione che sarà utilizzata, insieme ad altre, nella riflessione teologica sulla Trinità. Ma i suoi interlocutori hanno nelle orecchie il testo di Zaccaria (14,9): "Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome".
 
12. Il futuro della Chiesa, dice Giovanni, è garantito a chi segue la sua voce. Il Padre si gioca tutto con il Figlio e il Figlio si gioca tutto come pastore.

Sono parole dette alla vigilia della morte e della dispersione, all'inizio della contestazione contro l'azione degli apostoli, alla vigilia delle persecuzioni, nella diffidenza di chi porta un messaggio totalmente nuovo e, tutto sommato, pericoloso.

Sarebbe interessante, però oggi, che la comunità cristiana si facesse carico di riflettere su quali messaggi pericolosi Gesù si è giocato e, nella sua storia, la Chiesa e noi nella storia.

Lungo i secoli non siamo stati continuamente fedeli, coinvolti, dalle tentazioni di prestigio, e di potere, di associazioni potenti. La Chiesa è sempre stata, come ogni persona, tentata di non ascoltare la voce del Signore Gesù e tuttavia, per fortuna, essa ha mantenuto intatto il coraggio di continuare a leggere la Scrittura e il Vangelo, in particolare, ed ha accettato perciò il giudizio che nasce dall'ascoltare la Parola di Gesù. Troviamo tutti le stesse difficoltà e le stesse fragilità e, tuttavia, dovremmo ripensare seriamente a quali sono le scelte, pericolose anche in questa nostra cultura, di Gesù. Quale ricchezza, quale attenzione, quali fragilità accettiamo di guarire, quale rispetto per ogni persona, superando gli orgogli di nazioni o di civiltà, quale criterio di pace, quali responsabilità sul mondo, quale novità?

Il popolo di Dio è più credente quando frequenta il culto o è più vicino a Dio quando accetta, credente o meno, di tradurre la voce di Gesù nella storia?

Non si tratta qui, a scanso di equivoci, di parlare di contrapposizioni come spesso facciamo: "o… o…" ma si tratta di rileggere le priorità e di intravedere le concatenazioni e le precedenze. E aprendo gli occhi, scopriamo che il gregge di Gesù, spesso, o anche solo a volte, a secondo della nostra profondità di sguardo, sa aprirsi dove non ci saremmo mai aspettati.

Ancora avvengono miracoli o, nel linguaggio di Giovanni, "i segni". E, quando ci rendiamo conto, dovremmo ringraziare il Signore e costruire via via insieme, senza smettere di interrogarci sulle scelte pericolose di Gesù.



* * * * 

Ecco la riflessione sulla vocazione cristiana

1. Vocazione

Un amore che ci precede
E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” Gen. (1,27).
L’uomo non è frutto del caso,  ma trova la sua origine nel sorprendente progetto d’amore di Dio.
Ciascuno di noi può avere una pallida immagine della bellezza della creazione di Dio, se pone mente alle persone che ama e si domanda se è un bene che esse esistano. La risposta è assolutamente positiva: ognuno di noi sa che è bene che le persone che amiamo esistano e pensiamo come assurda o tremendamente dolorosa l’idea che esse non ci siano. Così comprendiamo come tutti noi nasciamo dal grande cuore di Dio.

La vocazione all’amore sostanza della vita
Se l’amore è la nostra origine, l’amore diventa il nostro presente e il nostro futuro. Detto in altre parole, l’amore è il senso permanente della nostra vita.
Gesù precisa la vocazione di ciascuno di noi con il suo comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12 ). Con ciò diventa chiaro che l’amore non va inventato secondo il proprio gusto o capriccio, ma lo si apprende guardando alla persona di Cristo. È lui il criterio secondo il quale impostare l’esistenza.
Perciò l’amore è la sostanza di ogni persona e non c’è altra via per la realizzazione della persona. L’idea odierna che ciascuno si debba realizzare indipendentemente dall’amore o addirittura contro l’amore, sta originando un mondo di relazioni labili e consumistiche, dove non siamo prossimi come il Buon Samaritano, ma solo soci che curano il proprio tornaconto e sempre pronti a lavarci le mani di fronte ai bisogni degli altri.

Le vocazioni specifiche
Se l’amore è la vocazione di tutti il progetto di Dio prevede che lo stesso amore si possa vivere in modi diversi. La prima grande distinzione è quella tra cammino della verginità (e anche del celibato) e cammino del matrimonio. Riferendoci al matrimonio notiamo che l’immagine di Dio non è costituita solo dall’uomo o dalla donna, ma da entrambi: l’uomo e la donna.
Non si realizza l’immagine di Dio se non in due. Questo significa che insieme alla vita e alla libertà ogni uomo e ogni donna ricevono in dono la chiamata all’amore. Un amore che comporta il prendersi cura dell’altro e la costruzione di una comunione permanente.

Una differenza che invita alla comunione
Quando Adamo vede Eva per la prima volta, resta stupito ed esclama: “Questo è osso delle mie ossa e carne della mia carne” (Gen. 2, 23). L’espressione  non dice solo il fatto che, secondo il racconto biblico, il Signore ha preso una costola dal suo costato, ma più profondamente che Adamo riconosce in Eva una persona pari a  lui, l’unica creatura che può veramente rallegrare e dare bellezza alla sua vita. La differenza sessuale che Adamo scopre, è essa stessa una vocazione all’incontro, all’unione profonda. Ma ancora di più, essa è vocazione alla generazione, a comunicare la vita, ad essere immagine di Dio anche per questo aspetto: essere apostoli della vita.
Tutta la vita, in ogni sua fase, è perciò vocazione.

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