giovedì 22 settembre 2011

Domenica 25 Settembre 2011

IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

avviso: martedì 27 settembre iniziano gli incontri sul vangelo con i giovani studenti liuc.

l'appuntamento è alle 18 presso la cappella s. Francesco al campus, accanto alla reception


LETTURA
Lettura del profeta Isaia 63, 19b - 64, 10
In quei giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: / «Se tu squarciassi i cieli e scendessi! / Davanti a te sussulterebbero i monti, / come il fuoco incendia le stoppie / e fa bollire l’acqua, / perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, / e le genti tremino davanti a te. / Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, / tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. / Mai si udì parlare da tempi lontani, / orecchio non ha sentito, / occhio non ha visto / che un Dio, fuori di te, / abbia fatto tanto per chi confida in lui. / Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia / e si ricordano delle tue vie. / Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato / contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. / Siamo divenuti tutti come una cosa impura, / e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; / tutti siamo avvizziti come foglie, / le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. / Nessuno invocava il tuo nome, / nessuno si risvegliava per stringersi a te; / perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, / ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. / Ma, Signore, tu sei nostro padre; / noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, / tutti noi siamo opera delle tue mani. / Signore, non adirarti fino all’estremo, / non ricordarti per sempre dell’iniquità. / Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. / Le tue città sante sono un deserto, / un deserto è diventata Sion, / Gerusalemme una desolazione. / Il nostro tempio, santo e magnifico, / dove i nostri padri ti hanno lodato, / è divenuto preda del fuoco; / tutte le nostre cose preziose sono distrutte».


SALMO
Sal 76 (77)
Vieni, Signore, a salvare il tuo popolo. Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi. Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. ®

Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: medito e il mio spirito si va interrogando. ®

Forse il Signore ci respingerà per sempre, non sarà mai più benevolo con noi? È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? ®

O Dio, santa è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio? Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio, i figli di Giacobbe e di Giuseppe.


EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 9, 1-12
Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.


VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6, 24-35
In quel tempo. Quando la folla vide che il Signore Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

VANGELO: Gv 6,24-35

Il cap. 6 di Giovanni è ambientato nella “seconda pasqua”: Gesù ha dato al paralitico la forza di rialzarsi e la libertà di camminare (Gv 5). Ora lascia la terra di oppressione (la Gerusalemme dei sacerdoti), attraversa il mare (di Galilea) e va sul monte con i suoi discepoli (6,3). A lui accorre una moltitudine di gente e con essi intraprende un nuovo esodo, celebrando anzitutto una pasqua, nella cornice liturgica della pasqua dei Giudei. Il segno della condivisione, operato da Gesù, manifesta l’amore di Dio, benché il rischio di trasformarlo subito in occasione di potere sia sempre in agguato (6,15: Ge-sù si rende conto che stanno “impadronendosi” per farlo re). Per impedire di essere manipolato, Gesù si ritira di nuovo in disparte, da solo. Ma i discepoli, senza di lui, hanno paura e non possono attraversare il mare (vv. 16-19). Gesù li raggiunge, con il vento che agita il mare; con lui a bordo, i discepoli raggiungono subito la mèta (vv, 20-21).

A Cafarnao, il giorno seguente, la folla trova Gesù e questi inizia il suo insegnamento sul pane di vita, spiegando il segno dei pani (vv. 22-59). L’insegnamento di Gesù provoca una crisi tra i suoi discepoli, molti dei quali lo abbandonano (vv. 60-66). Il gruppo dei Dodici, però, nonostante la presenza di Giuda, rimane con Gesù (vv. 67-71).

La prima parte con la narrazione del segno (vv. 1-21) e la seconda parte con il discorso sul pane di vita (vv, 22-71) si presentano quindi in due sequenze parallele, con le medesime scansioni narrative. La reazione al segno e al discorso è in entrambe un momento di crisi, che trova subito il suo punto di soluzione nell’intervento di Gesù (vv. 20-21) e nella confessione di Pietro a nome dei Dodici (v. 68).

I vv. 22-24 ambientano la ricerca di Gesù da parte della gente che si era trattenuta sull’altra sponda del lago e alla fine comprende che Gesù si trova a Cafarnao. Nel discorso vero e proprio, i due temi principali che Gesù deduce dall’esodo e riattualizza nella sua attività sono la manna e la Legge. La manna ora è Gesù stesso in quanto egli dona il suo Spirito (vv. 25-40). Più precisamente, la sezione del discorso è strutturata in questi paragrafi:

a) alla ricerca di Gesù (vv. 22-24)

b) lavorare per il pane che dura (vv. 25-29)

c) richiesta di un segno (vv. 30-36)

d) Gesù, colui che dona di vita (vv. 37-40)

Nella seconda parte del discorso, si sviluppa invece il tema della Legge: la Legge della nuova comunità è l’assimilazione della vita e della morte di Gesù per amore degli altri (vv. 41-59). Quando il discepolo accetta Gesù che dà se stesso per comunicare vita, trasforma in Legge il dono di sé per gli altri.

v. 22-24: La ricerca di Gesù avviene attraverso la sua comunità. Quando i suoi disce-poli si separano da lui, non si riesce più a localizzarne la presenza. Proprio da Tiberia-de vengono a cercare Gesù, la (nuova) città quasi del tutto pagana della Galilea. Sono proprio i non-Giudei a cercare Gesù. Gesù è il nuovo Mosè che conduce all’esodo non solo i Giudei, ma tutte le genti, a prescindere dalla loro razza.

vv. 25-29: Finalmente il contatto con il popolo è ristabilito e la gente può chiedere a Lui di mettersi alla guida. La risposta di Gesù smaschera il falso desiderio di coloro che lo cercano. Lo stanno cercando non perché hanno capito il segno del pane, ma perché voglio essere assicurati circa il loro sostentamento.

Ciò che ricordano non è il valore vero del pane ricevuto, ma solo il fatto di essere stati appagati della loro fame. Non sono andanti oltre l’aspetto materiale dell’essere stati sfamati. Ciò che avrebbe dovuto portarli a donarsi agli altri, come Gesù si è dona-to a loro, li ha rinchiusi egoisticamente nella loro propria sazietà.

Gesù dice loro che bisogna lavorare per guadagnarsi l’alimento, non soltanto quello che finisce, il pane materiale, ma anche quello che dura per la vita senza fine (v. 27). Bisogna comprendere che il pane significa condivisione d’amore ed è solo questo che realmente mantiene e sviluppa la via dell’uomo, quella che lo costruisce e lo realizza.

Nella dialettica giovannea tra carne e Spirito, è lo Spirito a condurre l’uomo alla sua pienezza. Il rimprovero di Gesù alla folla sta nel fatto che essi hanno limitato il loro de-siderio: porre tutta la speranza nell’alimento che finisce è negare all’uomo la dimensio-ne dello Spirito riducendolo a sola carne, accettando così la sua distruzione.

Gesù invece promette un alimento per il futuro. Di fatto, tutte le opere di Gesù an-ticipano l’opera definitiva, il dono totale di se stesso sulla croce, manifestazione su-prema che comunica la vita. Lo Spirito donato da Gesù è quello di Dio Padre, che porta così al culmine l’opera creatrice. Con questo Spirito, Gesù porta a compimento l’umanità dell’uomo creato.

I suoi interlocutori capiscono che «bisogna fare qualcosa» (v. 28), ma non sanno come o cosa fare: sono abituati alla Legge che dice già che cosa fare, mentre non han-no ancora compreso il linguaggio della gratuità. Non conoscono l’amore gratuito, ra-gionano ancora con il linguaggio della retribuzione e pensano che Dio ponga un prezzo ai suoi doni.

La risposta di Gesù corregge il tiro della loro domanda (v. 29). Gesù non dà nuovi precetti da osservare. Il lavoro che Dio vuole è unico: dare la propria adesione perma-nente a Gesù e riconoscerlo come inviato di Dio. Questa è l’opera che dà la vita defini-tiva. Il problema è quello di assimilare: come il pane viene assimilato per poter avere forza nel lavoro, così bisogna assimilare Gesù per avere la vita piena. Questa esigenza è nuova e sconcerta gli interlocutori di Gesù. Essi hanno considerato Gesù come uno dei profeti antichi, continuano a considerarlo un “mediatore” e non hanno ancora capito che invece egli è una vita da assimilare. Gesù chiede di essere assimilato sino in fondo per comprendere il suo amore sino all’estremo.

vv. 30-36: Il popolo chiede a Gesù di rinnovare i prodigi dell’esodo (v. 30): non pre-tende forse di essere il Messia? Il «pane del cielo è la manna (cf Es 16,15; Nm 11,7-9; Sal 78,2 Ne 9,15…): i Giudei chiedono un segno alla pari. Soprattutto è evidente la prospettiva: Gesù parla del Padre, i Giudei dei «loro padri»; Gesù si riferisce al «mon-do» intero, i Giudei si riferiscono a «Israele». Gesù ha dato la sua vita per l’umanità e le ha comunicato la capacità di amare come lui ha amato (cf Gv 13,34). Questo è il pro-digio messianico di cui aveva bisogno l’umanità!

Di fronte alla pretesa dei Giudei (v. 31), la risposta di Gesù è molto polemica (vv. 32-33): essi si illudono di aver avuto il «pane del cielo». Il solo «pane del cielo» può es-sere donato dal «Padre mio» [di Gesù] e quel pane è il pane della condivisione e dell’amore. Le parole di Gesù stanno preparando l’identificazione decisiva e finale del v. 35: γώ εμι ρτος τς ζως «io sono il pane della vita». Egli procede da Dio: è il suo Figlio ed è il suo pane, un unico dono (cf Gv 3,16).

Come nel caso della Samaritana, anche questa gente chiede subito di questo pane, capace di sfamare ogni fame (v. 34). Ma costoro non hanno capito: vogliono quel pane senza trasformare la loro vita in opera d’amore, vogliono il dono di Dio senza la colla-borazione personale e, soprattutto, senza l’adesione alla proposta di Gesù.

Ecco allora la risposta finale di Gesù: egli non solo è colui che dona il pane, egli è «il pane disceso dal cielo» (v. 35). Per il credente è importante poter assimilare Gesù per essere come lui vittima e sacerdote della propria vita. Il pane condiviso è il segno dell’amore e Gesù nella sua morte è un dono d’amore.

Il testo di Sir 24,21 – è la Sapienza a parlare in quell’autopresentazione – dice:

Quanti si nutrono di me avranno ancora fame

e quanti bevono di me avranno ancora sete.

La Sapienza stimolava la fame e la sete, ma non riusciva a placare la fame e la sete, come nell’episodio della Samaritana (cf Gv 4,13a-14) non basta la fedeltà materiale alla Legge. È la risposta offerta da Gesù ciò che può veramente sfamare e dissetare le esi-genze umane, perché la risposta di Gesù non incentra la persona umana nella ricerca della propria autosoddisfazione e perfezione, ma la spinge al dono di sé. Il dono di se stessi non è astratto, ma concreto e può essere totale come quello di Gesù. Questo è il sacerdozio che ciascun discepolo di Gesù può mettere in atto nella sua vita: il dono di sé permette di offrire la propria vita al servizio degli altri e di creare la vera uguaglianza nella misura dell’amore.

PER LA NOSTRA VITA

1. Da dove verrà questo pane?

Quanto ci è necessario sta nella mente e nel cuore senza parola.

E non solo il pane – nutrimento dei nostri giorni.

Tutto passa per noi. Costruiamo, camminiamo, produciamo.

Ma sempre ci manca qualcosa. Che cosa? Chi?

Nel cibo che perisce c’è tutta la nostra umanità.

È il pane terreno. Nulla sazia infinitamente la vita.

Le nostre promesse sono fragili.

“Sempre”: non lo possiamo pronunciare,

saremmo ingannevoli.

Tutto passa per noi e abbiamo fame di vita che non muore.

Il Suo pane ci affama e ci nutre…

Ci conduce a desiderarlo.

Nella vita ci dona la Vita.

È la Presenza, il dono puro,

la cura, la sollecitudine.

Pane che ci sfama e ci affama. Di Lui.

2. Gesù che ha dato la sua vita per noi, vuole dare ora la sua vita a noi, la sua vita nuova e indistruttibile. È una forma assai semplice e intellegibile di comunicare la vita: l’alimento che ingeriamo ci vivifica, ci vitalizza. Il pane che mastichiamo, deglutiamo, digeriamo, si “disfa” per “fare” noi; in altri termini, noi lo assimiliamo.

Una parte s’incorpora nei nostri tessuti, un’altra parte viene bruciata e produce energia. Possiamo parlare di materia ed energia, quando consumiamo l’alimento. Mentre lo consumiamo, esso si consuma, e noi continuiamo a vivere e ad agire. Gesù si è disfatto prima, triturato nella passione e consumato nella morte. Ormai glorificato, egli non ha più bisogno di disfarsi per comunicarsi; semplicemente prende la figura di alimento, di pane. E non comunica un frammento di vita provvisoria, temporanea, vo-tata a morire, ma instaura e promuove una vita che vincerà la morte biologica. “Diven-ti per noi cibo di vita eterna”.

3. Certo, il pane non dà la vita; solo la conserva o la prolunga. Noi lo bruciamo in piccole porzioni e, con la forza di questa combustione, vi muoviamo, corriamo. Du-rante un’epoca della vita ne assimiliamo una parte per crescere e irrobustirci. Il pane con le sue calorie ci prolunga la vita, ma non ce la garantisce. Non ci garantisce contro gli incendi, gli incidenti, le infermità. Il pane quotidiano è una razione per vivere un giorno di più, per andare avanti ancora un po’. In un primo momento contribuisce a una vita in crescita; poi sostiene una vita in declino. Non di solo pane vive l’uomo.

Ma se questo pane è la Parola di vita, se è la forma nella quale si dà a noi realmente il Figlio di Dio glorificato, allora di pane vive l’uomo. Perché questo pane introduce e sviluppa in noi una vita che non ha fine, se l’uomo non la distrugge; una vita che pas-serà al di là del fiume della morte. Di Cristo glorificato fatto pane, della Parola fatta cibo, sì, l’uomo vive.7

4. Dio non inganna l’uomo Egli potrebbe certo creare del pane, ma gli uomini lo adorerebbero come colui che procura loro il pane e non come colui che egli propria-mente è; come il Dio che continua ad essere tale anche nella fame, anche nella priva-zione, anche sulla croce e nella morte. Non sarebbe amore di Dio quello che ingannas-se in questo modo l’uomo a proposito di quel che Dio è. Certo, esso guadagnerebbe milioni di uomini. Ma per chi? Per il Dio del pane e della felicità e non per il Dio che possiede l’onore e comanda di onorarlo per se stessi, per il Dio in croce e nella morte. Dio si manifesta attraverso se stesso, non attraverso il pane.

5. E noi lo cerchiamo

E noi lo cerchiamo

E vorremmo che passasse

sulle strade

come uno di noi, e dietro

gli andrebbe perfino

la pietra in questo

bisogno d’amore sensibile, in questa

tangibile fame.

Intanto Lui risalta

sopra l’errore

necessario.

6. Hoc est

Sono il vostro sudore

e la vostra fame,

tutta la città porto in cuore,

pane per il mio sacrificio.

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