giovedì 29 novembre 2012

2 dicembre 2012 TERZA DOMENICA DI AVVENTO Dio è fedele alle sue promesse e ci stupisce con il suo amore




2 dicembre 2012  TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Dio è fedele alle sue promesse e ci stupisce con il suo amore

Lettura
Is 45,1-8
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Io marcerò davanti a te;
spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo,
romperò le spranghe di ferro.
Ti consegnerò tesori nascosti
e ricchezze ben celate,
perché tu sappia che io sono il Signore,
Dio d’Israele, che ti chiamo per nome.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri.
Io formo la luce e creo le tenebre,
faccio il bene e provoco la sciagura;
io, il Signore, compio tutto questo.
Stillate, cieli, dall’alto
e le nubi facciano piovere la giustizia;
si apra la terra e produca la salvezza
e germogli insieme la giustizia.
Io, il Signore, ho creato tutto questo».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 125(126))
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. R.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. R.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. R.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. R.
Epistola
Rm 9,1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Mt11,13-14)
Alleluia.
La Legge e i Profeti hanno profetato fino a Giovanni;
è lui quell’Elia che deve venire.
Alleluia.
Vangelo: Lc 7,18-28
In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio più grande di lui.
Parola del Signore.
Lettura del profeta Isaia:45, 1-8

Gli ebrei si trovano a Babilonia, deportati dopo la sconfitta e la distruzione di Gerusalemme. Sorge un profeta anonimo per noi, ma conosciutissimo ed ascoltato presso gli esuli che ricordano con nostalgia la città di Dio, Gerusalemme, abbandonata e distrutta (siamo nel sec VI a.C.).. Questo profeta anonimo (che si usa chiamare Secondo Isaia, ma i cui vaticini sono inseriti nell'unico libro di Isaia) rivela ciò che Dio ha riservato per il futuro dei suoi fedeli. Essi ritorneranno, se lo vorranno, poiché un nuovo re, Ciro, re dei persiani, nelle sue campagne militari vittoriose, sta conquistando e sottomettendo i regni dell'Asia Minore e dell'Oriente. Si dirige verso Babilonia, la conquista senza incontrare resistenza, libera i popoli sottomessi e proclama, con un editto a tutti i deportati, che possono tornare nelle loro terre se lo desiderano. Di fatto non tutti gli ebrei ritorneranno, ma molti si fermano a Babilonia e addirittura vi si istituisce una scuola ebraica famosa nei secoli futuri.

Ciro si presenta come salvatore degli oppressi e difensore dei deboli.

Se la storia racconta queste vicende, l'autore biblico tenta di aiutare ad interpretare i fatti avvenuti, svelando che questo re è un eletto dal Signore, Dio di'Israele, mandato da lui anche se il re non lo sa e non conosce il Dio degli ebrei e quindi attribuisce la sua vittoria al suo Dio e alla sua buona sorte. "Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re (per disarmarli), per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso" (45,1).

L'avere unito insieme il Dio creatore e il Dio che conduce la storia aiuta a capire che "Io sono il Signore e non ce ne alcun altro; fuori di me non c'è Dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5).

"Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura" (v7). In questo versetto vengono rilette la natura e la storia, le tenebre e la sciagura (che pure fanno parte della vita e sono il suo lato oscuro).

Ma in tutto questo si intravvede l'apertura della speranza perché Dio è presente: forma la luce e fa il bene.

Nell'ultimo versetto (8) si legge il richiamo alla fecondità che Dio offre: rugiada e pioggia, semi e frutti. Il cielo e la terra si uniscono in questa abbondanza per l'opera di Dio perché il popolo viva in pace. Ci si ricollega, così, al versetto 44,23 e fa da chiusura ad un inno che era cominciato con questo invito: "Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilante, profondità della terra". Là si parla di cieli giubilanti e terra, di monti e alberi; qui si dice "Fecondate il suolo perché il ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza".

Mi sembra un testo splendido e inaudito per il VT poiché qui è un pagano che viene esaltato a strumento voluto da Dio per liberare e mostrare la sua misericordia. Per giungere a questa intuizione, ci si deve mettere nell'atteggiamento di chi sa della presenza discreta e anonima di Dio che però opera nel mondo e ci offre "segni": sono i grandi segni della storia e i piccoli segni della nostra vita personale che dobbiamo identificare e interpretare, Vi ricordo un atteggiamento fondamentale che ci ha svelato il Card. Martini per la sua vita interiore. Da pastore si è chiesto: "Perche mi si presenta questo problema concreto (un attentato terroristico, una fabbrica che chiude, un prete che intende lasciare l'abito, un politico che ruba, una coppia che vuole conciliare il proprio amore e la possibilità di decidere quando aver figli e quanti, una donna abbandonata dal marito che si è rifatta una vita affettiva e chiede i sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa vuole dirmi il Signore mettendomi davanti a tali vicende, e come pensa che io possa essere testimone della speranza e della fiducia che ha posto in me?" E' lo stesso atteggiamento di come il Card. Martini si metteva di fronte alla Scrittura per cercare risposte. (Marco Garzonio nella sua recente biografia sul Card. Martini).

Ma dovrebbe essere anche il nostro interrogativo nel tempo dell'attesa.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 9, 1-5

Il cap 8 è un grande canto di amore e di meraviglia per quanto il Signore ha fatto, ha offerto e sta facendo maturare nella vita di ogni credente. E tuttavia Paolo si sente sconcertato proprio dalla lontananza, nell'insieme, del suo popolo dalla fede nel Signore Gesù.

Questa lettera è scritta a circa 30 anni dalla morte e risurrezione di Gesù e ormai si è profilato con certezza l'atteggiamento complessivo del popolo d'Israele, anche se molti hanno aderito alla fede in Cristo. Il dramma sempre acuto di Paolo fa riferimento al cammino del suo popolo. E lo sconcerto aumenta quando Paolo confronta l'entusiasmo di alcuni pagani che accolgono il messaggio di Gesù e parallelamente deve verificare un distacco ormai incolmabile dai suoi. Egli dice che accetterebbe persino di diventare un maledetto ("anatema") se questo potesse servire a qualcosa. E' la stessa sofferenza che visse Mosè di fronte al tradimento del suo popolo, che aveva costruito nel deserto un vitello d'oro, e addirittura alla stanchezza di Dio che voleva cancellare tutti per ricominciare con Mosé, l'ultimo fedele rimasto, un popolo nuovo. Così Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio: "Ora tu perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto" (Es 32,32).

Ma dopo Mosè l'esperienza della fedeltà di Dio si è manifestata in modo impensabile e quindi Paolo continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani.

La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un nemico, come spesso è risultato nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta sconcertato del mistero d'Israele e ricorda i segni della predilezione del Signore. Essi sono Israeliti: gli autentici discendenti di Giacobbe-Israele (Gen 32,29). Da questo privilegio scaturiscono tutti gli altri: l'adozione filiale (Es 4,22; cf.Dt 7,6); la gloria di Dio (Es 24,16) che dimora in mezzo al popolo (Es 25,8; Dt 4,7; cf.Gv 1,14); le alleanze con Abramo (Gen 15,1;15,17;17,1), Giacobbe-Israele (Gen 32,29), Mosè (Es 24,7-8); il culto reso al solo vero Dio; la Legge espressione della sua volontà; le promesse messianiche (2Sam 7,1) e, da ultimo, ma è il dono più grande, l'appartenenza alla stirpe di "Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli" (9,5).

Paolo mantiene un atteggiamento di fiducia poiché crede nella misericordia di Dio, mentre, comunque, assiste ad un allontanamento. Eppure è convinto che il Signore opera continuamente ed è capace di capovolgere le cose.

Dovrebbe essere l'atteggiamento che il Signore ci chiede. Ma certo, non va accettata la fiducia come un alibi per rassegnarsi e non fare niente. La nostra operosità stessa sarà dal Signore utilizzata per una maturazione, ma non sappiamo quando, poiché la volontà di Dio non si capisce mai fino in fondo.

Paolo si fida e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella salvezza.

Lettura del Vangelo secondo Luca 7, 18-28

In questo testo Luca vuol aiutarci a capire quanto fosse diversa l'attesa del Messia e quindi l'interpretazione della sua venuta nel popolo d'Israele: e questo non solo tra le persone semplici e analfabete ma anche tra le persone dotte ed esperte della legge e perfino nelle persone più vicine e più coerenti quale Giovanni Battista.

Luca introduce in un contesto particolare l'interrogativo drammatico di Giovanni Battista sul messianismo di Gesù. Nel cap 6 ha riletto le "beatitudini" di Gesù, riducendole da 9 (secondo la versione di Matteo) a 4, ma confrontandole con i "guai" corrispondenti: 4 "beatitudini" e 4 "guai" (6,20-26). Poi fa seguire alcune raccomandazioni sapienziali sull'amore e sul comportamento coerente.(6, 27-38). Infine Luca conclude, come Matteo, il lungo discorso delle beatitudini, con l'immagine della casa sulla roccia, garanzia di radicamento in Gesù (Lc 46-49; Mt 7,21-27). All'insegnamento di Gesù Luca aggiunge due miracoli: la guarigione del servo di un centurione (7,1-10 dono ad un pagano del servo ristabilito) e la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7,11-17 dono ad una vedova del figlio ritornato in vita). In tal modo Luca ricorda che i poteri di Gesù si allargano su orizzonti immensi con gesti ritenuti finora impossibili: accettare un pagano e risuscitare un morto.

Ora che ha preparato il campo, raccontando, in sintesi, ciò che Gesù ha detto ed ha fatto, Luca sente di poter parlare di Giovanni, del suo ruolo indispensabile, ma anche delle sue difficoltà ad accettare il messaggio di Gesù, poiché è assolutamente inimmaginabile rispetto alle sue attese. Il Messia, si pensa, deve essere un giustiziere e un regolatore di libertà, un personaggio che rimette in valore il giusto, l'Alleanza che è garanzia di un popolo scelto e quindi unico e privilegiato.

Giovanni il Battista ha creduto che bisogna meritarsi questa presenza, riconoscendo il male, chiedendo perdono e facendo penitenza. Sa di aver fatto tutto il possibile, perciò aspetta, ma è anche impaziente. Crede che il primo gesto del Messia sarà la sua liberazione. In prigione deve essere stato trattato con rispetto (poiché può ricevere visite e si intrattiene con i suoi discepoli). Vuole, però, vedere il cambiamento, perché proprio per questo si è giocato tutto.

Gesù risponde in modo indiretto. E' molto chiaro e invita a riferire "ciò che avete visto e udito" (22). Gesù anticipa il vedere all'udire. Bisogna "prima vedere", e saper vedere la novità, la vita nuova, la liberazione che le parole del profeta hanno solo annunciato. "Poi il ciò che è stato udito" diventa testimonianza, significato, messaggio garantito dalla liberazione avvenuta per la parola: pronunciata e percepita.

La missione di Gesù è altro da ciò che si aspettano, e fa prendere coscienza di 6 nuove realtà: "i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia" (7,22). Le guarigioni richiamano Isaia, i lebbrosi fanno ricordare Naaman il Siro, guarito da Eliseo (2 Re 5), la risurrezione dei morti ci riporta ad Elia (1Re 17,21-23; 2Re,4,34).

Non ci troviamo davanti a gesti di potenza ma di fronte al nuovo Regno che viene annunciato ai poveri come "lieta (ma anche nuova) notizia" e liberazione.

Giovanni annuncia un tempo che elimina i peccatori, Gesù annuncia un Regno di misericordia e di consolazione che li accoglie. Perciò è il tempo della pazienza, dell'operosità gratuita, della libertà dove Dio non interviene a castigare poiché egli ama i suoi figli e non vuol fare loro nulla di male.

«E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» E' un avvertimento che fa a tutti, mentre è fiducioso di Giovanni poiché è coerente con la Parola e la Volontà di Dio. Ma tutto questo richiede che bisogna rivedere la propria cultura, attese, la stessa nostra idea di Dio.

Gesù pone 6 domande retoriche e tre affermazioni: Giovanni non è volubile, non è opportunista, non è corrotto. E' il vero credente che non abbandona, lotta, ma continuamente si pone delle domande, anche su Dio, che si presenta a noi nella sua Parola, nei pensieri, nelle attese, nei fatti, nei segni. A noi il Signore chiede ancora di vedere e di udire.

Il nostro esame di coscienza ci riporta a capire che, nel nostro tempo, ci siamo abituati a leggere la Parola di Gesù, ma poco a comprenderla; e non ci misuriamo insieme. Non ci sembra che la proposta cristiana, per noi, sia troppo logica, troppo chiara, troppo normale, troppo tranquilla, troppo scontata? Allora, probabilmente, non è quella vera. I tempi e lo stile del Regno sono enormemente nuovi e diversi: aprono ad un mondo assolutamente inaspettato. Dovrebbero disorientare tutti nel tempo, anche noi, come allora. Quali sono i grandi problemi che ci fanno pensare, discutere, cambiare? La guerra, la giustizia, il lavoro, per tutti o non piuttosto il prestigio, il posto, il reddito alto, lo sfuggire alla solidarietà, l'interesse di parte, il moderatismo per sistemare i propri problemi, la gelosia, l'apparire? Non ci sembra di essere troppo vaccinati dallo scandalo di Gesù?



PER LA NOSTRA VITA

1. «Sei tu colui che deve venire?»
Irrompe la sovrabbondanza ed è disorientamento.
Il testimone, il messaggero in carcere. E il dubbio
sopravanzato e travolto da annunci di misericordia senza confine.
Il dubbio, la domanda trasmessa ai suoi discepoli per Gesù.
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro»?
In quale modo si rivela il “passaggio di Dio?”.
Il dubbio e lo sconcerto si fanno strada.
La giustizia divina è quella mostrata nelle opere di Gesù.
I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i sordi odono, i lebbrosi sono purificati, i morti risuscitano, ai poveri è predicato il vangelo.
Tutta la benevolenza di Dio si mostra.
Disarmante nelle parole e nell’itinerario umano di Gesù.
Il Regno di Dio cammina tra gli uomini e queste opere dicono che Gesù è «colui che deve venire».
E dunque è qui, tra noi.
L’azzardo della misericordia,
la gratuità incondizionata sulla vicenda umana.
Irrompe come Parola che sana, come gesto che dà vita. Dio in Cristo cammina con noi.
Da questo punto in poi il pregiudizio, la sordità, la superficialità, la cattiva intenzione, possono impedire il riconoscimento e la conversione di cui Giovanni il precursore annunciava la necessità.
Giovanni e Gesù.
Il confine e la sovrabbondanza.
La Legge, i profeti, il Regno tra noi.
Non si dà l’indifferenza; occorre entrare decisamente in quanto Giovanni ha annunciato, in quanto Gesù inaugura.
E camminare.
F. CECCHETTO, Testi inediti.

2. Noi proveniamo da un amore originario e diventiamo noi stessi, facciamo unità nel nostro essere, quando viviamo con e per amore. Dove però amore non significa il possesso, l’esercizio dell’egoismo, o un generico sentimento di benevolenza, ma apertura all’altro con la gioia. […] È così che l’“altro” diventa unico, valore vivente originale, volto. L’amore che ricapitola non è un qualsiasi amore, ma solo quello che affiora nella misura in cui ho imparato ad amare partecipando a un amore vero in sé, ossia mai violento, distruttivo, accecato. Questo è l’amore comunicatoci dal Dio vivente.
R. MANCINI, Il senso del tempo e il suo mistero (Al di Là del Detto 10), Pazzini, Villa Verucchio 2005, 22009, p. 98.


3. La potenza di Dio è, nella sua qualità di potenza che rende possibile la vita, così prepotentemente presente da non aver bisogno di alcuna misura di protezione. Non solo il modo di agire della potenza vitale divina, bensì anche i suoi destinatari e le sue conseguenze sono definiti in modo nuovo da Gesù. La potenza vitale inflessibile di Dio non è in Gesù il fondamento di una teologia dell’impegno prodigo della vita, impegno prodigo che costituisce la base dell’euforia bellica. La predicazione gesuana della basiléia non è in primo luogo un invito a dare la vita per il regno, bensì piuttosto una parola di guarigione, cioè una parla che parla della vita donata e potentemente rinnovata da Dio. Essa non è indirizzata ai sani per invitarli a sacrificarsi, bensì ai malati che pervengono a una vita non più colpita da disabilità e impedimenti. Il coraggio e l’impegno che questa vita esige, in virtù del messaggio proclamato da Gesù a suo riguardo, sono il superamento della paura della morte non allo scopo di morire, bensì allo scopo di vivere una vita illimitata, che supera le disabilità, e soprattutto, non esclusiva, bensì includente tutti gli uomini.
R. MIGGELBRINK, L’ira di Dio. Il significato di una provocante tradizione biblica, Traduzione di C. DANNA (Giornale di Teologia 309), Editrice Queriniana, Brescia 2005, p. 104.


4. Ciò che di Dio resta (se si può dire) è questo spazio nudo e vuoto che sta tra gli uomini, e che significa solamente (ma che grandezza ha questo: solamente) che non vi è nessuna pretesa degli uni sugli altri; solamente lo sguardo, la voce, il viso, la presenza, che donano a ciascuno la possibilità di essere liberato dall’abisso. […] È in lui che noi possiamo essere, gli uni per gli altri: accoglienza, libertà, nutrimento; noi, insieme, nell’originario legame di umanità, che è anche il più altro, perché è vero che mentre non siamo legati da nulla, nulla precede questa donazione pura che fa sì che la vita sia “essere gli uni per gli altri”.
M. BELLET, Dio? Nessuno l’ha mai visto, Traduzione di A. CLEMENTE (Dimensioni dello Spirito 196), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo MI 2010, pp. 77-78.


5. L’atteggiamento cristiano è quello “del Dio con me”. Dio è il Dio della mia casa, il Dio della mia porta, il Dio della mia mensa; è il mio compagno di viaggio, che mi ha dato la mano e al quale io posso dare la mano; è il Dio della comunione personale, delle pareti domestiche, dell’ottimismo, della speranza; è il Dio che vince in forma radicale la solitudine, che non è vinta da nessun’altra compagnia. Ma tutto questo avviene a un patto: che mi abbandoni, mi fidi. Egli dice: “Non sai che cosa c’è voltato l’angolo, devi fidarti”. […] Egli cammina con noi nella nebbia, non ci permette di vedere col nostro occhio, perché non vuole che prevediamo col nostro cuore.
L. SERENTHÀ, La storia degli uomini e il Dio della storia, a cura di A. CARGNEL - M. VERGOTTINI (Collana di Teologia e Spiritualità 5), O. R., Milano 1987, p. 47.


6. Giovanni che ha conosciuto il mistero del Messia, non lo ha seguito e non è divenuto suo discepolo; non è neppure andato di villaggio in villaggio predicando la venuta del Messia. Siè limitato a dargli testimonianza davanti ai suoi discepoli e davanti alla gente nel luogo in cui battezzava. […]
È la via propria del Precursore che esigeva questo esser messo da parte, il culmine dell’abnegazione. A lui che era il messaggero dell’Antica e della Nuova Alleanza, non fu permesso di aver parte alla gioia di vivere sulla terra accanto al Signore. L’ha soltanto indicato al mondo nel momento in cui stava per ritirarsi. […]
Giovanni non era un taumaturgo, era un testimone della verità; è in questo che consiste la sua grandezza. Molti fecero miracoli prima di lui tra i nati di donna. Ma Giovanni era così grande che non fece alcun segno. L’opera della sua vita fu un solo e unico segno: è lui stesso, l’Amico dello Sposo, nella sua umiltà.
S. BULGAKOV, in Letture per ogni giorno, a cura di E. BIANCHI - L. CREMASCHI - R. D’ESTE, ElleDiCi, Leumann TO 1980, pp. 26-27.

7. Faceva ressa, voleva essere accolto
e appreso tutto quanto
esso, il mondo – ne scoppiava
il cuore, non aveva la capienza.
E lui teneva acceso
quel furente assedio
ai sensi e all’intelligenza
di noi infanti. Suoi dardi
bersagliavano infuocati
il costato
da ogni parte. Suoi messaggi
e sussurri cercavano pertugi
a penetrarci dentro il sangue.
Divampava
a noi creature
il creato come morbo
come amorosa
tracotanza...
A noi sul limitare, sì,
ma ecco
eravamo già fatti sua sostanza
perché in lui era la perla
della nostra conoscenza
e noi saremmo scesi
d’anno in anno
più a fondo
a catturarla. E questo era il tributo,
questa la mutua ricompensa.
Infine si dichiara, appare
ora aperto quel sigillo.
M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, pp. 36-37

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