QUARTA
DOMENICA DI AVVENTO
Il
tempo liturgico dell’Avvento ripresenta nel mistero l’attesa messianica che dal
punto di vista storico ha caratterizzato soprattutto il Medio Giudaismo (II
sec. a.C. – I sec. d.C.). Nell’attesa della manifestazione gloriosa del Signore
Gesù Cristo, crocifisso e glorioso, ci invita a cogliere la sua costante
presenza tra noi sino alla «somma di tutti i secoli». Per questo l’Avvento è
davvero il καιρός, il momento propizio, che nutre il “senso” della speranza, di
cui ha bisogno la nostra esistenza per trasformare in gioia la fatica del
vivere.
Mi
introduco alla lettura dei testi biblici con un pensiero di Simone Weil:
Al
di là dello spazio e del tempo infinito, l’amore infinitamente più infinito di
Dio viene ad afferrarci. Viene quando è la sua ora. Noi abbiamo facoltà di
acconsentire ad accoglierlo o di rifiutare. Se restiamo sordi, egli torna e
ritorna ancora, come un mendicante; ma un giorno, come un mendicante, non torna
più.
Se
noi acconsentiamo, Dio depone in noi un piccolo seme e se ne va. Da quel
momento, a Dio non resta altro da fare, e a noi nemmeno, se non attendere.
Dobbiamo soltanto non rimpiangere il consenso che abbiamo accordato, il sì
nuziale. Non è facile come sembra, perché la crescita del seme, in noi, è
dolorosa. Inoltre, per il fatto stesso che accettiamo questa crescita, non
possiamo fare a meno di distruggere ciò che potrebbe intralciarla, di estirpare
le erbe cattive, di recidere la gramigna; purtroppo queste erbacce fanno parte
della nostra stessa carne, per cui tali operazioni di giardinaggio sono
cruente.
Lettura
Is 4,2-5
Is 4,2-5
In quei giorni, Isaia
disse: «In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e
il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti
d’Israele. Chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà
chiamato santo: quanti saranno iscritti per restare in vita in Gerusalemme.
Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito
Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato, con il soffio del giudizio e con
il soffio dello sterminio, allora creerà il Signore su ogni punto del monte
Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno
e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del
Signore sarà sopra ogni cosa come protezione».
Parola di Dio.
Parola di Dio.
Salmo (Sal
23(24))
Alzatevi,
o porte: entri il re della gloria.
Chi potrà salire il monte
del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli,
chi non giura con inganno. R.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. R.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. R
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli,
chi non giura con inganno. R.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. R.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. R
Epistola
Eb 2,5-15
Eb 2,5-15
Fratelli, non certo a degli
angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, in un passo
della Scrittura qualcuno ha dichiarato:
Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli,
di gloria e di onore l’hai coronato
e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi.
Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi;
e ancora:
Io metterò la mia fiducia in lui;
e inoltre:
Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato.
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Parola di Dio.
Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli,
di gloria e di onore l’hai coronato
e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi.
Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi;
e ancora:
Io metterò la mia fiducia in lui;
e inoltre:
Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato.
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Parola di Dio.
Acclamazione
al Vangelo
(Cfr Mt 21,9)
(Cfr Mt 21,9)
Alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna al figlio di Davide!
Alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna al figlio di Davide!
Alleluia.
Vangelo:
Lc 19,28-38
In quel tempo. Il Signore Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».
Parola del Signore.
In quel tempo. Il Signore Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!».
Parola del Signore.
Commento al VANGELO:
LC 19,28-38
Il
taglio della pericope evangelica è discutibile, perché i vv. 39-40 – riportati
in corsivo nella traduzione seguente – perdono per strada il rifiuto di quei
farisei che vorrebbero proibire le manifestazioni gioiose e spontanee di coloro
che accolgono festosamente Gesù in Gerusalemme. Ma questo è proprio il tema
generale dell’intera sezione.
la pericope
scelta per la liturgia di questa domenica comprende una duplice scena:
l’intronizzazione di Gesù sul puledro «sul quale non è mai salito nessuno» (Lc
19,29-36) e l’acclamazione di Gesù come re (Lc 19,37-40).
L’accoppiamento
delle due scene richiama simmetricamente i due racconti del cieco di Gerico
(18,35-42) e dell’incontro con Zaccheo (19,1-10):
– come
alcuni farisei vogliono far tacere i discepoli, chiedendo a Gesù di
minacciarli, così quelli che camminavano avanti minacciano il cieco che grida a
Gesù nel tentativo di farlo tacere;
– il figlio
di Davide invocato dal cieco di Gerico (18,39) è proprio «il re»9 acclamato
dalla folla dei discepoli (19,38);
– il
racconto del cieco si chiude con il popolo che glorifica Dio (18,43) per quanto
ha visto, come la moltitudine dei discepoli che intronizza Gesù sull’asino loda
Dio per ciò che ha visto (19,37).
v. 28: È Gesù che parte avanti dopo
aver proclamato la complessa parabola delle mine (o monete d’oro) e sale verso
Gerusalemme, quasi trascinando dietro a sé i discepoli, alla maniera del cieco
di Gerico, oppure donando l’opportunità di rendergli testimonianza «sul posto»
della propria vita, come Zaccheo che nella sua casa e nel suo «oggi» ha trovato
salvezza. Si noti che in questo passo Gerusalemme è Ἱεροσόλυμα, nome geografico
al quale Luca non dà particolare valore (cf Lc 2,22 e 13,22). Il nome più
teologico della Città Santa è invece Ἱερουσαλήμ (normalmente usato).
vv.
29-31: Le due scene (vv. 29-36 e
37-40) sono entrambe introdotte dalla notazione spaziale dell’avvicinamento
progressivo a Gerusalemme: qui Luca annota «vicino a Betfage e a Betania,
presso il monte detto degli Ulivi» e nel v. 37 «avvicinandosi ormai alla
discesa del monte degli Ulivi». In entrambi i casi è ricordato esplicitamente
il Monte degli Ulivi, teatro della preghiera dell’ultima sera di Gesù, ma anche
della manifestazione gloriosa dopo la Pasqua. La sequenza del racconto è molto
vicina a Marco. La dialettica tra ordine (vv. 29-31) ed esecuzione (vv. 32-34)
non dice solo che Gesù ha in mano tutto quanto sta per accadere, ma anche il
corretto rapporto maestro-discepolo: Gesù ἀπέστειλεν «invia» due suoi discepoli
e i discepoli nel v. 32 – ed è una variante tipica di Luca – sono chiamati οἱ ἀπεσταλμένοι
«inviati». È importante la sottolineatura che sul puledro non è mai salito
nessuno, quasi un anticipo della sepoltura: Gesù sarà sepolto in una tomba «in
cui non era mai stato posto nessuno» (Lc 23,53). Come per la cavalcatura
regale, anche la tomba del re non deve mai essere stata usata da un altro.
vv. 32-34: Tutto avviene secondo la parola
di Gesù. Lo schema ordine/esecuzione è tipico delle narrazioni profetiche e si
ripete anche nel caso di Gesù. È una conferma dell’autenti-cità del profeta.
vv. 35-36: Il gesto va inteso come
l’intronizzazione di Gesù come re e si potrebbe leggere dietro questi versetti
un’allusione all’intronizzazione di Salomone, il re di pace (cf 1 Re 1,33-35).
Prima i discepoli gettano i loro mantelli sul puledro; poi, una volta fatto
salire Gesù sopra, stendono i loro mantelli sulla strada. Questo re non è un
signore della guerra: la sua cavalcatura non è il cavallo, ma un asino, la
cavalcatura dei primi pastori di Israele (cf Dt 17,16). Come aveva detto il
profeta Zaccaria (9,9-10) il successo del re di pace non gli verrà dalla forza
o dalla potenza militare, ma dalla giustizia e dall’umiltà, ovvero dalla
protezione di Dio. Da una parte, questa intronizzazione è il compimento
dell’annunzio angelico al momento della nascita: «Non temete: ecco, vi annuncio
una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è
nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Dall’altra, è
l’anticipo di quanto accadrà al momento della morte, quando il re crocifisso –
mediante la forza dello Spirito – conquisterà con il perdono il ladro condannato
insieme a lui (Lc 23,39-43).
vv. 37-38: Alla scena
dell’intronizzazione, segue la scena dell’acclamazione, che ha un sapore
liturgico, anche perché i discepoli ripetono di fatto il canto angelico
intonato dagli angeli al momento della nascita. L’analogia tra i due momenti
non deve sfuggire al lettore:
Lc 2,13s.
20
|
|
una
moltitudine dell’esercito celeste,
che lodava
Dio e diceva:
«Gloria a
Dio nel più alto dei cieli
e sulla
terra pace agli uomini che egli ama».
20I
pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che
avevano udito
e visto…
In questo
modo, Luca sottolinea la dimensione spirituale e l’anticipo pasquale di
quanto sta accadendo. Sparisce ogni aspetto di rivolta contro il potere
romano e ogni possibile fraintendimento con l’entrata di un re di questo
mondo. Forse proprio per questo, Luca non ha citato esplicitamente nemmeno il
passo di Zc 9,9-10, perché persino questo passo poteva essere interpretato in
senso troppo mondano e trionfalistico.
L’acclamazione
della moltitudine dei discepoli va a citare il Sal 118,26, che era già stato
citato in Lc 13,34-35, in un contesto di speranza della vita oltre la morte
per i profeti uccisi proprio a Gerusalemme:
«34Gerusalemme,
Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a
te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi
pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 35Ecco, la vostra casa è
abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo
in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
vv. 39-40:
39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro,
rimprovera i tuoi discepoli". 40Ma egli
rispose: "Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le
pietre".
Questa
finale, purtroppo, non è inclusa nella pericope liturgica. Eppure la scena
evangelica ne ha bisogno per completarsi con l’opposizione a Gesù. Da una
parte ci sono dunque quei farisei che non sanno andare oltre il visibile agli
occhi umani: per questo chiamano Gesù semplicemente διδάσκαλε «maestro!» e,
di quanto sta accadendo, colgono solo il rischio politico. Gesù risponde loro
con un proverbio, che però va ben al di là del suo
|
Lc 19,37s
tutta la
moltitudine dei discepoli, esultando,
cominciò a
lodare Dio a gran voce… dicendo:
«Benedetto
colui che viene, il re, nel nome del Signore. Nel cielo pace e gloria nelle
altezze!». … per tutti i segni di potenza che avevano visto,
|
senso
immediato: le pietre di Gerusalemme dopo non molti anni avrebbero gridato la
distruzione di un potere religioso fondato solo sul visibile e sulla forza
mondana.
Mentre «la
moltitudine dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti
i segni di potenza che avevano visto», contro abbiamo chi minaccia quelli che
gridano con la voglia di metterli a tacere. Davanti al re-messia, che adempie a
suo modo le promesse profetiche ed entra con umiltà nella sua capitale, il
rischio di invertire i ruoli tra i ciechi (cf cieco di Gerico) e i vedenti,
come tra gli esclusi (cf Zaccheo) e i chiamati è sempre in agguato.
Alla fine,
chi era cieco vede di nuovo, mentre chi ha visto Gesù entrare da Zaccheo
e mormora, oppure ha visto Gesù acclamato re dai suoi discepoli che
vorrebbe far tacere, ha visto ma non ha capito. Occorre camminare dietro
al maestro e seguirlo sino alla fine per essere in grado di capire:
Dai pressi
di Gerico, vicino al Giordano ove, con il battesimo e le tentazioni, tutto era
cominciato per lui (Lc 3,21-4,13), passando per Betfage e Betania (19,29) fino
al monte degli Ulivi (19,37), Gesù cammina, procede verso il compimento di «ciò
che è scritto» (18,31), sale verso Gerusalemme, si avvicina alla sua fine. Sin
dall’inizio, viene annunciato il compimento: «Il Figlio dell’uomo sarà
consegnato alle nazioni…» (18,32).
Su questa
strada, che lo conduce alla croce e alla risurrezione, Gesù incontra molta
gente, è accompagnato da «una folla» (18,36); lo segue «tutto il popolo»
(18,42), «tutta la moltitudine dei discepoli» (19,37), a cui si aggiunge pure
uno di quelli che egli «salva» (18,42; 19,9-10). Acclamato da questo immenso
corteo, egli si avvicina alla discesa del monte degli Ulivi (19,37-40).
Ma,
giunto alla fine del cammino, quando si trova di fronte alla città, che
abbraccia dall’alto del monte degli Ulivi (19,41), non sono più menzionati né
la folla né i discepoli, come se Gesù si trovasse ormai solo. Si direbbe che
tutti sono scomparsi, per lasciarlo faccia a faccia con la Città e il suo
destino, e il loro comune destino. I dodici erano stati invitati a seguirlo
sino alla fine: «Ecco che saliamo a Gerusalemme» (18,31). Se, arrivato ormai
così vicino al termine, Gesù sembra avanzare da solo sulla strada, sarà
probabilmente perché essi non hanno capito nulla di ciò che egli aveva detto
loro (18,34)…
PER LA
NOSTRA VITA
1. Il
rischio di follia della nostra società è che tutto possa funzionare su un
doppio principio. Uno, tecnologico: «Tutto ciò che è possibile, noi lo faremo»;
l’altro, economico: «Tutto ciò che suscita invidia, noi l’avremo». Per uscire
da questo ingranaggio, il vangelo propone due atteggiamenti rivoluzionari:
coltivare la gratuità e vincere il desiderio. Non per tristezza o repressione,
ma per ritrovare il valore del senza prezzo, del più grande desiderio e della
fame. Soprattutto il vangelo inverte i ruoli dell’azione. Dio diventa soggetto
attivo attraverso la vita del Figlio Gesù: la nostra umanità è visitata da
Lui.
«Ma nella
prosperità l’uomo non dura: è simile alle bestie che muoiono» (Sal 49,13). Lo spirito del
nostro tempo è segnato da una sproporzione violenta tra una cultura tecnologica
egemonica e una sete disperata di riflessione, di meditazione, esigenza
inestirpabile dal cuore degli uomini e delle donne. Non si vuole consentire
allo spirito umano questo? Le conseguenze disastrose ci sono, e si vedono.
La
violenta opposizione tra esteriorità e interiorità, tra profondità e superficie
… uccide l’acustica dell’anima; il prezzo è alto, poiché nessuno può
distruggere in se stesso o negare all’altro il bisogno di ritrovare
significati, di non cadere nell’indifferenza. Nella prosperità
dell’autosufficienza, o della delega, anche nel cammino della fede, non si
comprende.
Bisogna
imparare a decifrare le cose più nobili, imparare a cercare la perla preziosa,
in mezzo a tanta confusione, anche religiosa. Qual è l’alfabeto per capire che
l’appuntamento dell’avvento di Dio e dell’avvento dell’uomo sono un cammino
congiunto, di sua accondiscendenza alla nostra umanità, di nostra nascita alla
“sua volontà” che è pienezza; un cammino che non chiude, bensì apre la vita
all’inedito, si direbbe oggi a “processi”, evoluzioni, trasfigurazioni della
nostra esistenza; un appuntamento che ci chiede di cambiare il passo, di
ricominciare.
Mentre siamo
divenuti un popolo di “camminanti” per salute, benessere, svago … per le
ragioni della fede restiamo sedentari e paralitici. I nostri passi sono
infantili, incerti, e soprattutto non contempliamo che “il tesoro della vita”
valga la fatica di farsi anche interiormente “camminanti”. Solo così potremo
giungere all’appuntamento che Dio ci offre nel Figlio che entra nella nostra
storia, diventando uno di noi.
Dio attende
il nostro nascere a Lui, in autentica umanità e familiarità, per donare il
senso stesso del nostro esistere, lavorare, faticare nel tempo. La nostra
condizione conosce il tempo come un andare – urlante o muto – verso la morte.
La rottura di questa trafila, l’orizzonte interrotto, il cambiamento radicale
di prospettiva del tempo è nell’appuntamento cercato da Dio con la nostra
umanità.
F. CECCHETTO, Testi inediti.
2. Te,
mio Signore, volevo:
sentirti con
i sensi
che urlavano
di fame,
e Tu
a non
concederti mai!
E attendere
un segno,
almeno un
segno nelle
lunghe notti
desolate...
Fingere
l’abbraccio
e non
averti:
chiamarti, e
tu sai
con quale
strazio:
ma Tu
una
risposta, mai!
D.M. TUROLDO,
O sensi miei... Poesie 1948-1988, Note introduttive A. ZANZOTTO - L. ERBA
(La Scala), Rizzoli, Milano 1990, 19914, p. 653.
3. C’era,
sì, c’era – ma come ritrovarlo
quello
spirito nella lingua
quel fuoco
nella materia.
Chi elimina
la melma, chi cancella la contumelia?
Sepolto
nelle rocce,
rocce dentro
montagne
di buio e
grevità –
così quasi
si estingue,
così cova
l’incendio
l’immemorabile
evangelio …
M. LUZI, L’opera
poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. VERDINO (= I Meridiani),
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1998 [42001], p. 509.
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