mercoledì 12 dicembre 2012

V domenica - Messa di Natale mercoledì 19 ore 13.00 cappella LIUC


16 dicembre 2012
QUINTA DOMENICA DI AVVENTO
IL PRECURSORE

Innanzitutto vi porgo i miei più cari auguri natalizi con la composizione che ho preparato per quest’anno:


S. Natale 2012
Tentati siamo dall’idolo
Ad ogni generazione
ci illude con nomi nuovi
Autorealizzazione
oggi si chiama.
Folle gli si piegano in ginocchio
Guai a quanti hanno  
cuore di resistergli.
Al  pari di Crono
fa scempio di noi.

Natale!
Il Dono di Dio è già qui
Brilla la stella di Betlemme
Sconfitto è  l’idolo
Gli Angeli cantano che
dell’Eterno è il governo
Totale è il suo amore
Noi rinasciamo liberi e fratelli
facendo del cuore mangiatoia
per il Salvatore eucaristico

don Michele




In questo Avvento, si è già avuto modo di accostare la figura di Giovanni Battista, con la pagina di Lc 7,18-28 (III domenica). Ma la prospettiva con cui la liturgia della Parola di questa domenica presenta il Battista è complementare: è un invito non più a leggere attraverso la crisi del Battista il senso del compimento delle Scritture, ma a leggere la spiritualità dell’Avvento, dal punto prospettico del «precursore».
Mi introduco con un “invitatorio” lirico di Mario Luzi: la poesia riesce a dire in un lampo quello che il pensiero con fatica svolge dialetticamente.

Faceva ressa, voleva essere accolto
e appreso tutto quanto
esso, il mondo – ne scoppiava
il cuore, non aveva la capienza.
E lui teneva acceso
quel furente assedio
ai sensi e all’intelligenza
di noi infanti. Suoi dardi
bersagliavano infuocati
il costato
da ogni parte. Suoi messaggi
e sussurri cercavano pertugi
a penetrarci dentro il sangue.
Divampava
a noi creature
il creato come morbo
come amorosa
tracotanza...
A noi sul limitare, sì,
ma ecco
eravamo già fatti sua sostanza
perché in lui era la perla
della nostra conoscenza
e noi saremmo scesi
d’anno in anno
più a fondo
a catturarla. E questo era il tributo,
questa la mutua ricompensa.
Infine si dichiara, appare
ora aperto quel sigillo.
 M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, pp. 36-37.  

Lettura
Is 30,18-26b
In quei giorni, Isaia disse: «Eppure il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia,
per questo sorge per avere pietà di voi,
perché un Dio giusto è il Signore;
beati coloro che sperano in lui.
Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme,
tu non dovrai più piangere.
A un tuo grido di supplica ti farà grazia;
appena udrà, ti darà risposta.
Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione
e l’acqua della tribolazione,
non si terrà più nascosto il tuo maestro;
i tuoi occhi vedranno il tuo maestro,
i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te:
«Questa è la strada, percorretela»,
caso mai andiate a destra o a sinistra.
Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento;
i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo.
«Fuori!», tu dirai loro.
Allora egli concederà la pioggia per il seme
che avrai seminato nel terreno,
e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso;
in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato.
I buoi e gli asini che lavorano la terra
mangeranno biada saporita,
ventilata con la pala e con il vaglio.
Su ogni monte e su ogni colle elevato
scorreranno canali e torrenti d’acqua
nel giorno della grande strage,
quando cadranno le torri.
La luce della luna sarà come la luce del sole
e la luce del sole sarà sette volte di più,
come la luce di sette giorni,
quando il Signore curerà la piaga del suo popolo».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 145(146))
Vieni, Signore, a salvarci.
Il Signore rimane fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.


Epistola
2Cor 4,1-6
Fratelli, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio.
E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Parola di Dio.


Acclamazione al Vangelo
(Cfr Lc 3,4b)
Alleluia.
Ecco la voce di colui che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore.
Alleluia.

Vangelo: Gv 3,23-32a

In quel tempo. Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.
acque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire».
Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito».
Parola del Signore.
Commento al Vangelo

È meglio introdursi leggendo tutta la sequenza di Gv 3,22 – 4,3, in quanto si colgono due elementi importanti del racconto giovanneo: la Giudea, come luogo in cui anche Gesù e i suoi discepoli hanno battezzato seguendo il maestro Giovanni, e il confronto tra Gesù e il Battista, che diventa occasione per un confronto generale tra Gesù e i testimoni che lo hanno preceduto.
La struttura letteraria della breve sequenza è simmetrica: agli estremi stanno le dislocazioni geografiche e i movimenti di Gesù; nel mezzo sta il confronto tra Gesù-sposo e Giovanni-testimone e amico dello sposo, in dialettica con la superiorità del Figlio rispetto alle altre mediazioni che lo hanno preceduto. In sintesi:
A. 3,22-24: Gesù va in Giudea con i suoi discepoli e battezza
B. 3,25-30: Il confronto tra il Messia-sposo e Giovanni Battista
B’. 3,31-36: Il confronto tra il Messia-figlio e le Scritture
A’.4,1-3: Gesù abbandona la Giudea e torna in Galilea

vv. 22-24: Gesù è a Gerusalemme, dove incontra Nicodemo di notte. Poi si sposta nel territorio attorno a Gerusalemme. È il suo territorio, «casa sua». Si ricordi il dramma anticipato dal prologo: «Venne in casa propria, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Il fatto che Gesù battezzasse è importante: non tanto per il problema se lui stesso battezzasse o i suoi discepoli, come attentamente specifica (Gv 4,2), quanto piuttosto perché in questo modo il Quarto Vangelo ci attesta la diretta derivazione del movimento gesuanico dal movimento del Battista. Anche Giovanni e i suoi discepoli battezzavano in contemporanea con Gesù e i suoi discepoli; così va interpretata anche la nota esplicita del v. 24, in cui si ricorda che Giovanni non era ancora stato messo in carcere. Dunque l’attività di Gesù, almeno nella sequela del Battista, precede l’incarcerazione di Giovanni. Lo spostamento di Giovanni da Betania (Gv 1,28) a Enon, nei pressi di Salim, è un altro dato preciso: il luogo ove il Battista battezzava non era sempre il medesimo, ma andava là ove c’era molta acqua.

vv. 25-30: Il primo episodio nasce da una discussione dei discepoli di Giovanni e un giudeo a riguardo della purificazione, e quindi anche a riguardo del valore del battesimo di Giovanni e di Gesù, di cui sembra che i discepoli di Giovanni abbiano avuto notizia tramite questo giudeo. Per il Battista e Gesù il rito del battesimo era adesione al progetto messianico. I discepoli di Giovanni e il giudeo lo intendono come semplice rito di purificazione, alla maniera giudaica. Da qui si comprende l’obiezione dei discepoli al loro maestro (v. 26), ma soprattutto la testimonianza che il Battista offre loro in occasione della loro domanda (vv. 27-30).
La testimonianza del Battista è l’affermazione di non essere il Messia, ma il suo precursore: egli è venuto per rendere testimonianza alla luce (Gv 1,7). La fedeltà di Giovanni Battista alla propria missione è tanto evidente almeno quanto la cocciutaggine dei suoi discepoli nel non voler ammettere che il Battista non fosse il Messia (attualizzazione al momento in cui l’evangelista scrive il suo vangelo, quando esistevano ancora gruppi di “battisti” che lo ritenevano tale).
La sposa è la figura di Israele nel simbolismo coniugale, fondato sul Cantico e sviluppato dai profeti (cf Os 2,4-25; Is 5; Ger 2; Ez 16; 20; 23; Is 54…). Lo sposo è ormai presente e il

Battista rimane fedele alla sua missione: rifiuta il titolo di sposo e si attribuisce invece il ruolo di «amico dello sposo», vale a dire colui che partecipa ai preparativi della festa e prepara la stessa sposa. A Cana, quelle giare per la purificazione vuote, segnavano di essere ancora nell’antica alleanza: per questo non si è udita la voce dello sposo né quella della sposa. Ora invece, il Battista può udire la voce dello sposo e gioirne, ma manca ancora la voce della sposa, perché manca ancora il dono dello Spirito che sgorgherà dal costato trafitto di Cristo, sulla croce (Gv 19,34).
Abramo vide il giorno del Messia e se ne rallegrò (Gv 8,56). Anche il Battista, con la sua ultimativa testimonianza, raggiunge il massimo della gioia, perché il compimento dell’attesa messianica è ormai presente.
«Egli deve crescere, io invece diminuire». Sono le ultime parole del Battista nel Quarto Vangelo. Dopo di queste, non ha più nulla da dire. La missione di Giovanni è terminata proprio nel far conoscere da vicino chi è il Messia di Israele, «l’agnello di Dio» (Gv 1,36). È terminata la missione di Giovanni, ma permane la lealtà e il contenuto della sua testimonianza, come pure permangono il contenuto e il valore profetico delle Scritture di Israele, pur essendo arrivate al loro compimento in Cristo.
Le Scritture di Israele, come la testimonianza del Battista, non sono “assorbite” e “cancellate” dalla presenza del Messia, ma assumono la loro originaria potenzialità che anche il discepolo di Gesù deve conservare sino alla fine:
La Scrittura in sé è libro
e della Parola nulla accade
se non tocca e suscita la meraviglia
di riconoscerla e di innamorarsene;
di metterla nel cuore
come l’unico giogo che libera.

vv. 31-36: Bisogna leggere con attenzione questi versetti, perché potrebbero condurre a esiti tra loro molto diversi e a conclusioni problematiche. Il confronto stabilito nei vv. 31-36 è con Mosè, anche se non è mai citato esplicitamente. Tuttavia si ricordi il principio ermeneutico che è già stato offerto in Gv 1,17: «La Legge (in ebraico sarebbe: tôrâ) fu data per mezzo di Mosè, ma “la grazia e la verità” (in ebraico sarebbero: ḥesed weʾĕmet) per me di Gesù Cristo avvennero». Tutto quanto precede Gesù è servito a portare la speranza di Israele al suo compimento. Ora però che il compimento è avvenuto, non viene meno il contenuto che le Scritture proclamano. Esse permangono e hanno bisogno solo di essere lette alla luce della “grazia e verità” che si compiono sulla croce del Risorto. La profezia non è un segno che viene meno, una volta che essa ha indicato il proprio contenuto, ma permane come perenne invito a far diventare la tôrâ non solo un dettato di legge, ma anche una rivelazione di ciò che JHWH ha voluto donare a tutta l’umanità «per mezzo di Mosè». Bisogna evitare che Mosè legislatore diventi il punto fermo di una legge assolutizzata; bisogna invece lasciare che la nuova alleanza dello Spirito, come diceva Ger 31,31-34, entri in noi e Dio stesso, dopo aver ricreato la nostra vita con il perdono, diventi il nostro maestro interiore.
È quanto il Quarto Vangelo propone nella dialettica dei vv. 31-36: «colui che viene dall’alto» (il Figlio e lo Spirito) si contrappone a «colui che è dalla terra» ovvero tutte le mediazioni umane da Mosè in poi. Il Figlio non parla come Mosè o come uno dei profeti, per “rivelazione” (cf a questo riguardo il problema del rapporto tra Mosè e tutti gli altri profeti in Nm 12,6-8). Il Figlio «ha visto e udito di persona» quanto testimonia, in quanto egli «si rivolge all’intimo del Padre» (Gv 1,18). All’alleanza fondata sulla tôrâ corrisponde ora

l’alleanza fondata sulla testimonianza del Figlio. Ma il Figlio non sarà soltanto il mediatore di una nuova alleanza; egli ne è anche il contenuto, perché egli viene a realizzarla: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Se da una parte vi sono coloro che non accettano la testimonianza del Figlio di Dio (il v. 32b è nello stile delle iperboli giovannee: «ma nessuno accoglie la sua testimonianza»), dall’altra vi sono quelli che l’accolgono e così facendo mettono in luce la «lealtà» di Dio alle sue promesse. Questo è il senso della ḥesed di JHWH di cui parlano tanti testi della tôrâ, dei profeti e degli scritti (cf ad esempio, Es 34,6; Nm 14,18; Is 65,16; Sal 86,15; 103,8…), che per questo devono continuare ad essere letti da coloro che hanno ricevuto il sigillo del suo Spirito. Ciò che è cambiato è il genere di relazione tra Dio e il suo popolo: non più una relazione di servo / padrone, ma quella stessa relazione di figlio / padre, condivisa con il Figlio, lo Sposo, il Messia.
Questa è la vita piena e definitiva di cui noi abbiamo bisogno (v. 36): non c’è altra via per raggiungere la pienezza della vita. Mosè nella casa di Dio era «servo» (cf Nm 12,7); Gesù invece nella casa del Padre ne è «figlio» e dà a tutti coloro che aderiscono a Lui la medesima dignità. La libertà di figli può portare all’assurdo di rifiutare questa occasione di salvezza, rimanendo nella condizione del «peccato del mondo» (cf Gv 1,29), che non può che essere riprovato da colui che – al contrario – è la vita del mondo.
4,1-3: L’abbandono della Giudea e il ritiro in Galilea segnano anche un cambio di registro del modo di agire di Gesù, anche se il Gesù di Giovanni torna più volte a Gerusalemme a compiere i suoi segni di rivelazione.


PER LA VITA

1. Giovanni Battista è una figura centrale della liturgia sia dell’Avvento, sia di Natale. Dalla testimonianza unanime dei quattro evangelisti, lui è la «voce che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”» annunziata dal profeta Isaia. Guardiamo un attimo a quest’uomo, giovane, ascetico, che esce dal deserto e comincia a parlare, probabilmente alla gente che incontra sul cammino che lo conduce al fiume. Vediamo il suo potere di attrazione che si potrebbe dire fenomenale, perché in poco tempo la sua predicazione raggiunge tutti, li spiazza dalle loro case e li conduce verso il battesimo. Una persona davvero forte. La sua profezia però è del tutto speciale, finora inaudita: contrariamente ai profeti dell’Antico Testamento, lui non è immediatamente il portavoce di Dio. Tocca a un altro dire le parole definitive. È mandato per preparare il cammino di un altro che lo supera quasi infinitamente. E se ci sono dei discepoli attorno a lui, loro non formano una comunità in certa maniera chiusa intorno a Lui. Se c’è della gente che viene a farsi battezzare da lui, tali battezzati sono in attesa di colui intorno al quale si sta preparando l’avvento del Regno di Dio. Forza del Battista, ma anche umiltà della sua persona, fragilità quasi effimera della sua opera.
Nel Vangelo di Marco Gesù, dopo le folle di Gerusalemme, viene anche lui come al battesimo a, è battezzato e fa subito l’esperienza della grande Teofania che segna l’inizio della missione. Del Battista, non si dice niente: battezzò gli altri, battezza anche Gesù. Come se non si accorgesse di niente. Non si parla di ciò che fece fra il battesimo di Gesù e l’arresto. Si parlerà forse di più dopo la morte... Lui stesso è passato senza far chiasso, neanche senza sviluppare con Gesù i rapporti ai quali avremmo potuto pensare, vista la sua missione di testimone di Gesù.

Matteo, invece sottolinea una conoscenza previa che il Battista avrebbe avuto di Gesù : l’avrebbe individuato prima, non sappiamo ne quando ne come, ecco perché indietreggia di fronte all’amministrare il battesimo a Gesù. Tale gesto non corrisponde per niente all’idea che lui si fa del “più forte, di cui non è degno di portagli i sandali”. Gesù deve allora suggerirli senza precisare un altra sagezza. Forse non capisce tanto, se dobbiamo giudicare secondo l’unico evento che riporta dopo il Vangelo. Le opere compiute da Gesù, che conosce in prigione attraverso i resoconti dei suoi discepoli, non lo convincono. Li manda a Gesù, per avere conferma che è Lui ad essere il Messia aspettato. Deve accontentarsi della risposta dei discepoli, basata sulla Scrittura. Nella risposta non c’è nessun accenno alla liberazione del prigioniero, compiuta con forza dal Messia potente. Ma neanche vediamo Gesù cercando di visitare Giovanni e, alla fine, muore senza gloria da una gelosia femminile.
Se veniamo allora a Luca: nel Vangelo dell’infanzia di Gesù, l’evangelista si dilunga molto su Giovanni Battista: per lui, un’Annunciazione c’è, una Visitazione da parte della Madre di Gesù, una nascita chi fa chiasso, un accenno alla sua vita da anacoreta nel deserto. Per Gesù, non ci sarà molto di più. Poi, si parla della sua venuta fuori del deserto, della sua predicazione (con più di particolari concreti che non negli altri evangelisti), del battesimo che amministra, dell’annuncio di un altro che verrà e poi del suo arresto. Si conclude allora il resoconto del ministero di Giovanni Battista : il popolo tutt’intero è battezzato; missione compiuta! Soltanto allora appare Gesù, di cui si dice come incidentalmente, “battezzato anche lui”; sta in preghiera come nell’attesa dell’apertura dei cieli. Nessuna insistenza sul fatto che Giovanni abbia battezzato Gesù, l’abbia conosciuto. Tutto ciò che si rapporta a Gesù accade dopo la carcerazione. Non si vede bene perché l’evangelista abbia parlato tanto del Battista nel Vangelo dell’infanzia, per dire tanto poco o piuttosto niente dal momento che Gesù entra nella narrazione.
Nel Vangelo di Giovanni, il Battista è testimone di fronte ai capi del popolo: sacerdoti e farisei. La situazione è quella di un processo; per individuare la persona: «chi sei tu?» e, di fronte alla negazione forte di essere Messia o profeta, per sapere il perché del battesimo: come è possibile che una persona che non è niente di speciale né è di rilievo possa battezzare. La ragione allora è chiara: per la testimonianza resa all’altro che sta per venire. Quest’Altro, Giovanni ha visto lo Spirito scendere su di lui. Tale discesa rivela al Battista il nome vero della persona: Agnello di Dio, ciò che indica una lungimiranza grande. I discepoli di Giovanni sono un po’ sconvolti dall’evento, finché più tardi ascoltano l’ultima confessione del Battista, quella dell’amico dello sposo: «Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire».
Di lui, infine, si parlerà più avanti nei Sinottici, per raccontare però la sua morte. Ricordiamo: è giovane, come Gesù, ha annunciato la prossima venuta del Regno, ha designato con il dito l’Agnello di Dio. Cosa rimane, se non che dia la vita propria e il proprio sangue? Precursore del Messia, testimone dell’Agnello di Dio, anticipa nella sua morte quella di Colui da lui manifestato. Prima icona di Cristo crocifisso. Si dice finalmente che, dopo la decapitazione, i suoi discepoli vennero e deposero il corpo in un monumento. Manca però l’annuncio di una risurrezione e forse tale mancanza è anch’essa un segno profetico: non è possibile che il profeta fedele fino alla morte rimanga in essa. Si deve però aspettare la risurrezione del più Forte di lui, cioè Gesù. Allora il senso pieno della missione di Giovanni Battista sarà manifestato.G. LAFONT, Figure natalizie. Conferenza tenuta alla comunità monastica di Montebelluna, febbraio 2011 (testo inedito).

2. Giovanni: profezia e testimonianza.
S’invera l’Evento
nella carne profetica, nella voce del Testimone,
che prepara la via, per gridare la luce che fende ogni tenebra
del Signore che è venuto, che viene, che verrà.
Perché tutti possano vedere la luce per mezzo suo.
Nel deserto e nelle città,
in una stanza d’ospedale, o nelle fabbriche dismesse,
nella paura dei padri per il futuro dei figli, nella speranza delle madri…
S’invera l’Evento
sempre, dappertutto.
Noi, insieme a quanti invocano,
cercano o forse anche disperano del chiarore di una Parola che rinnova,
che offre la grazia senza misura.
L’umanità autentica del Precursore apre la strada della luce che “discende”,
prepara cuori e menti all’accoglienza.
Non è lui la Luce, ma la testimonia.
Dio passa attraverso l’umanità.
Anch’essa strumento della grazia,
pure se “dalla terra noi siamo”.
S’invera l’Evento
Inconsapevoli amanti delle tenebre,
come prima grazia
riceviamo l’abbondanza, la gratuità, la dismisura.
Schegge di luce avvampano nella nostra vita,
per accendere la fede in Gesù.
Giovanni non era la luce, ma testimone della Luce.
Itinerario del Verbo nel mondo.
Dio si offre in una “umana progressività”.
Gesù è l’alfabeto amante e vivo di questo crinale
tra tenebra e luce, incredulità e fede,
parole e Parola, vita e morte...
Oggi, chi addita la Luce,
chi annunzia la sua presenza
e il Regno tra noi?
Chi rende testimonianza alla sua Parola oggi?
Voce della Parola, lampada della Luce, rappresenta l’Antico Testamento di cui è il vertice più alto, ma per cedere il posto al Nuovo. […] A titolo simbolico e mistico Giovanni Battista si presenta a noi come il “vigilante” per eccellenza. Avendo visto i cieli aperti e lo Spirito discendere dal cielo per dimorare su Gesù può ormai concentrare tutto il suo compito in un unico gesto di testimonianza: indicare con il dito, rivelare il Messia alle folle, pronto a vederle staccarsi poco a poco da lui, il precursore. […]

Il suo compito non è terminato: rimane il precursore fino alla fine dei tempi, colui che prepara la strada al più grande di lui. La qualità della sua vigilanza che gli consente di scoprire il Messia nascosto, la sua totale apertura alla missione che lo porta a scomparire, tutto questo ha valore di segno, oltre l’antica alleanza, per tutto ciò che concerne la missione e la sua preparazione. Nella vita del precursore si ritrovano diversi tratti che ormai caratterizzano la missione e la preparazione evangelica ad essa: umiltà, gioia, speranza, autenticità della testimonianza suggellata dalla morte. Giovanni è l’araldo di ogni manifestazione, prepara ogni venuta del Signore, preparando i cuori a queste venute, attraendo con la qualità stessa della sua testimonianza “quelli di fuori”, permettendo così di presentire il Cristo che viene. […]
Questo ruolo di sentinella […] il precursore lo compie anche nei confronti di ciascuno, per ciascun popolo, per ogni cultura ancora da evangelizzare. L’urto della sua predicazione non cesserà mai di scuotere i fariseismi incombenti anche sui discepoli di Gesù.Da Letture per i giorni, a cura della comunità di Bose, Piemme 1994, pp. 62-63

3. Credere significa condividere la fede insieme ad altri dando vita a forme di esistenza comunitaria nelle quali ci si aiuta reciprocamente a seguire con fedeltà l’invito alla pienezza di umanità che Dio stesso rivolge a ognuno. Ma se nella fede ci si riconosce chiamati a rinascere da un senso che è, nel contempo, un invito, una promessa e un dono, allora una comunità di fede è un nucleo fraterno e sororale di persone che si propongono non una determinata identità, bensì l’adesione corale alla responsabilità di diventare co-soggetti della promessa di Dio e testimoni della sua credibilità qui e ora. R. MANCINI, Il senso della fede: una lettura del cristianesimo (Giornale di Teologia 306), Editrice Queriniana, Brescia 2010, pp. 46 e 47.


4. Nella parola è contenuta un’intelligenza che tende a farsi corpo; la parola sembra la scaturigine di un impeto che discende per diventare quanto più simile alla cosa; un senso in cerca della sua forma. La parola discende. […]
Così il giorno si leva e chiama a levarsi. […]
È la Via Crucis della parola che discende e si corporeizza […] mettendo a rischio il suo essere originario, perdendosi, per arrivare ad essere questa parola che conosciamo, ma che era già parola umana, o destinata ad esserlo. […]
La parola è fiore unico che nasce in ogni momento; è una pietra preziosa ma disprezzata, finché non appare gonfia di luce: la luce di un fuoco occulto, o priva di fuoco, perché già la luce di per sé sprigiona il fuoco. La parola è nell’aurora perenne; è dunque rivelazione e non solo manifestazione; e ancor meno un premio, una corona: una croce sì, può esserlo.M. ZAMBRANO, Dell’aurora, Traduzione ed edizione italiana a cura di E. LAURENZI (Le Vie 9), Marietti 1820, Genova 2000, pp. 66 e 95.



5. Dio non dismette la sua identità, è ancora il Dio della creazione attraverso il Figlio-Logos, ma rivela l’altra sua dimensione: il suo essere il “Dio della misericordia”. È quello stesso JHWH, che trasse il mondo dal nulla e l’uomo dal suo fango. Un’attività divina portata all’estremo della sua misericordia; ormai non può far altro che scendere e recuperare la terra e la creatura che aveva perso, trasformandosi nel suo nutrimento. S. ZUCAL, Maria Zambrano: il dono della parola, Postfazione di A. BUTTARELLI (Campus), Bruno Mondadori Editore, Milano 2009, p. 142.


È difficile che vi siano prove dell’esistenza di Dio, ma ci sono testimoni. Tra tutti al primissimo posto ci sono la Bibbia e la musica.
Nei suoi testi e nella musica che li accompagna la liturgia ebraica è un sommario spirituale della nostra storia. C’è una Torà scritta e una torà non scritta, la Scrittura e la tradizione. Noi ebrei sosteniamo che l’una senza l’altra è incomprensibile. […]
Nella preghiera una persona deve entrare nella parola con tutto quello che ha, con il cuore e con l’anima, con il pensiero e con la voce. “Fate luce per la tevà”; la parola è buia. È questo il compito di chi prega: accendere la luce nel mondo. Dobbiamo accostarci sia alla parola che al canto con umiltà. Non possiamo mai dimenticare che la parola è più profonda del nostro pensiero, che il canto è più sublime della nostra voce. Le parole ci fanno crescere.
Il canto è l’espressione dell’intimità dell’uomo. In nessun altro modo l’uomo rivela se stesso così completamente come nel suo modo di cantare. La voce di una persona, infatti, particolarmente se articolata nel canto, è l’anima nella sua nudità totale.
A.J. HESCHEL, Il canto della libertà. La vita interiore e la liberazione dell’uomo, Traduzione di E. GATTI (Spiritualità Ebraica), Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano BI 1999, pp. 123-125  

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