venerdì 22 febbraio 2013

Se tu conoscessi il dono di Dio - II di quaresima



Lettura
Dt 6,4a;11,18-28


In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro.
Certamente, se osserverete con impegno tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui, il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. Nessuno potrà resistere a voi; il Signore, vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete.
Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 18(19))
Signore, tu solo hai parole di vita eterna.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. R.

Ti siano gradite
le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. R.
Epistola
Gal 6,1-10
Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 4,42.15)
Gloria e lode a te, o Cristo!
Signore, tu sei veramente
il salvatore del mondo:
dammi dell’acqua viva,
perché non abbia più sete.
Gloria e lode a te, o Cristo!
Vangelo: Gv 4, 5-42
In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunse una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete: ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ha da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Parola del Signore.
L'uomo è un pellegrino, assetato di felicità. Sballottato da illusioni, tenta ogni via, prova ogni esperienza, e alla fine si trova con la bocca amara. Quale la causa vera? Dice Geremia: "Oracolo del Signore. Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne piene di crepe, che non trattengono l'acqua" (2,13). La Quaresima è tempo di verità, e quindi di conversione.

"Se tu conoscessi il dono di Dio..". Non facciamo come Agostino, che alla fine ha dovuto confessare: "Tardi ti ho amato..!". Se lo sapevo prima..!! Il dono di Dio è la sua parola, che è verità; il dono di Dio è lo Spirito Santo che è la forza che cambia il cuore. "I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità".

1) LA VERITA'

Fare verità ("veritatem facientes..", Ef 4,15) è la prima conversione quaresimale. Deve finire il tempo delle "favole". Paolo l'aveva previsto: "Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole" (2Tm 3,3-4). Gesù richiama alla Samaritana anche la verità morale, aprendole gli occhi sulla sua infruttuosa ricerca di nuovi amori: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E risveglia in lei il bisogno di un'acqua più pura che finalmente sazi il cuore e la vita: "Chi berrà dell'acque che io gli darò, non avrà più sete in eterno". Anzi è un'acqua che disseta ben oltre ogni nostra aspirazione: "L'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna".

La Parola di Dio (per gli Ebrei: la Toràh) è la prima verità da ricercare: "Signore, dammi quest'acqua!". Mosè l'aveva indicata come decisiva per una vita fortunata: "Ponete nel cuore e nell'anima queste mie parole, .. perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli". E' come il binario sicuro che guida alla riuscita o al fallimento: "Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio; la maledizione, se non obbedirete.." (Lett.). La donna sa che quella Parola guida al Messia, cioè alla salvezza: "So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa". Il suo cuore era già oltre le soddisfazioni umane, e mirava, quasi inconsciamente, alla vera fonte d'acqua viva: "Che sia lui il Cristo?".

"Le dice Gesù: Sono io, che parlo con te". Io sono Colui che cerchi come tua sazietà. Alla fine anche tutti i Samaritani del villaggio diranno: "Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo". La verità piena e salvifica è il Cristo: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Lui è il definitivo rivelatore del Padre, nel suo messaggio e, prima ancora, nella sua persona: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14,9) "Io sono" (cioè Jahvè), ripete continuamente Gesù. "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,30). Forse lo abbiamo sempre sospettato che fidarci di Cristo sia la strada giusta: "Signore, vedo che sei un profeta". Si tratta di superare le difese dell'orgoglio per finalmente riposare con fiducia in Colui che sappiamo essere il salvatore anche nostro.

2) LO SPIRITO

Gesù un giorno dirà che il cuore del credente diverrà una sorgente di acqua abbondante per saziare la sete di vita del mondo. Quest'acqua è lo Spirito Santo: "Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Gv 7,37-39). Lo Spirito è il vero Dono di Dio, lo "Spirito del Figlio suo" (Gal 4,6), che ci fa figli nel Figlio e guida tutta la nostra vita: "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio" (Rm 8,14), trasfigurandola gradualmente "a immagine del Figlio suo" (Rm 8,29): "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2Cor 3,18). E' ormai la nuova legge e la forza del vivere cristiano: "La legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù" (Rm 8,2).

Paolo oggi l'invoca per tradurre in vita i propositi di conversione quaresimale: "Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" (Epist.). In questo tempo favorevole, "non stanchiamoci di fare il bene. Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede" (idem). E' il suggerimento del "digiuno" come carità, tipico dell'invito quaresimale: "Portate i pesi gli uni degli altri". Nello stile del perdono e della dolcezza: "Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza" (Idem).

Un altro stimolo viene dallo Spirito Santo: la voglia di divenire testimoni e missionari del vangelo. La Samaritana, convertita, diviene apostola nel suo villaggio fino a portare i suoi compaesani all'incontro col Cristo: "Non è più per i tuoi discorsi che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito..". Aveva detto Gesù: "Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni.. fino ai confini della terra" (At 1,8). E' sorprendente la costatazione che fa Gesù: "Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Io vi ho mandati a mietere..". A dirci che sono sempre più di quel che pensiamo gli uomini che cercano Dio, che sono in cerca dell'acqua che disseta per l'eternità!

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Bella è l'osservazione che fa il prefazio: "Cristo, Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede". Forse è tanto che Gesù anche per te s'è preparato, stanco di cercarti, ad un appostamento per prenderti il cuore e dirti che vuol invitarti a lasciarti amare da Lui. Non snobbare tanta amorosa e paziente ricerca di te che fa il tuo stesso Dio! Questa Quaresima è il tempo buono.
PER LA NOSTRA QUARESIMA
1. Certo, solo la passione di Cristo è fonte di riconciliazione, ma siccome Cristo ha sofferto a causa dei peccati del mondo, siccome su di lui è ricaduto tutto il peso della colpa, e siccome Gesù Cristo attribuisce ai suoi seguaci il frutto della propria passione, per questo anche sul discepolo grava la tentazione e il peccato, lo ricopre d’onta e lo espelle fuori delle porte della città come capro espiatorio. Per cui il cristiano diventa colui che porta il peccato e la colpa per altri uomini. Finirebbe schiacciato da questo peso, se a sua volta non fosse sostenuto da colui che ha portato su di sé tutti i peccati. Ma in tal modo, per la forza della passione di Cristo, egli può vincere i peccati | che ricadono su di lui, perdonandoli. Il cristiano diventa colui che porta dei pesi: L’uno deve portare i pesi dell’altro, così adempirete la legge di Cristo (Gal 6,2). Come Cristo porta il nostro peso, così noi dobbiamo portare quello dei fratelli; la legge di Cristo, che va adempiuta, è quella del portare la croce. Il peso del fratello che devo sopportare non rappresenta solo la sua sorte esteriore, il suo modo di essere e di comportarsi, ma il suo peccato nel senso più specifico. Non posso portarlo altrimenti che perdonandolo, nella forza della croce di Cristo, di cui sono divenuto partecipe. Così la chiamata di Gesù a portare la croce pone ogni suo seguace nella comunione del perdono dei pecca-ti. Il perdono dei peccati è la passione in comunione con Cristo comandata al discepo-lo. Essa è imposta a tutti i cristiani. D. BONHOEFFER, Sequela, a cura di M. KUSKE - I. TÖDT, Traduzione dal tedesco di M. C. LAURENZI, Edizione italiana a cura di A. GALLAS (Biblioteca di Cultura 15 / Opere di Dietrich Bonhoeffer. Edizione critica ), Editrice Queriniana, Brescia 1997, pp. 79-80.

2. [Perdono:] Si trova l’equivalente della parola francese in altre lingue, l’inglese, lo spagnolo, il portoghese, l’italiano.
Nell’origine latina di questa parola si trova un riferimento al “dono”. Non dovremo cedere alle analogie tra dono e perdono, e neanche però trascurarne la necessità. Noi dovremo piuttosto tentare di articolarli insieme. Tra dono e perdono, c’è perlomeno questa affinità: l’uno e l’altro, dono per dono, hanno un rapporto essenziale col tempo. Legato a un passato che in un certo senso non passa, il perdono resta un’esperienza ir-riducibile a quella del dono, di un dono che normalmente è legato al presente, alla pre-sentazione o alla presenza di un presente come dono.
[…] Dovremo prendere in considerazione alcune incoerenze; e per esempio l’aporia che mi rende incapace di dare abbastanza, di essere abbastanza presente al presente che do, e all’accoglienza che offro, tanto che credo, ne sono anzi sicuro di dovermi sempre fare perdonare, chiedere perdono di non dare mai abbastanza, di non offrire o ricevere abbastanza.
Si è sempre colpevoli, ci si deve sempre far perdonare nel dono. E l’incoerenza si aggrava quando si prende coscienza che se si deve chiedere perdono di non dare, di non dare mai abbastanza ci si può sentire colpevoli anche, e dunque obbligati a chiede-re perdono, di dare, perdono perché si dà e per quello che può diventare richiesta di riconoscimento, un veleno, un’arma, un’affermazione di sovranità, ovvero di onnipo-tenza. Si prende sempre nel dare.
Si deve a priori dunque chiedere perdono per il dono stesso, ci si deve far perdonare il dono, il dominio o il desiderio di dominio che sempre aleggia nel dono. E, irresisti-bilmente al quadrato, ci si dovrebbe far perdonare il perdono, che, anche lui, rischia di comportare l’equivoco irriducibile di un’affermazione di sovranità ovvero di dominio.
Sono questi abissi che sono in agguato sempre per noi – non come incidenti da evi-tare ma come il fondo, il fondo senza fondo della cosa stessa detta dono o perdono. Dunque non c’è dono senza perdono, né perdono senza dono. Questo legame verbale del dono col perdono è presente anche in inglese e in tedesco. In inglese: to forgive, for-giveness. In tedesco una famiglia lessicale conserva questo legame del dono col perdono: vergeben vuol dire «perdonare», ich bitte um Vergebung, «chiedo perdono». Da una conferenza pronunciata nelle Università di Cracovia, Capetown e Gerusalemme nel 1997-1998, pubblicata su «Les Cahiers de L’Herne» e ripresa da J. DERRIDA, Tra dono e perdono, «La Repubblica», 10 ottobre 2004, 34.

3. Profondo è il pozzo. Non dovremmo dirlo insondabile? […] avviene che quanto più si scavi, […] quanto più si penetri e cerchi, tanto più i primordi dell’umano si rive-lano insondabili e, pur facendo discendere a profondità favolose lo scandaglio, via via e sempre più retrocedono verso abissi senza fondo.
Giustamente abbiamo usato le espressioni “via via” e “sempre più”, perché l’inson-dabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le offre mete e punti di arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuove vie […] come succede a chi, camminando lungo le rive del mare, non trova mai termine al suo cammino, per-ché dietro ogni sabbiosa quinta di dune, a cui voleva giungere, altre ampie distese lo attraggono più avanti, verso altre dune.TH. MANN, Le storie di Giacobbe, Traduzione di B. ARZENI, Introduzione di L. RITTER SANTINI (Oscar Narrativa 250), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996, p. 23.


4. La pedagogia evangelica.
Il riconoscimento di Gesù come Messia e Salvatore avviene come un fatto improvvi-so ed esplosivo quando Gesù rivela la sua divina capacità di scavare nel cuore e di scrutare gli inviolabili abissi della coscienza; ma insieme matura lentamente, attraverso un paziente itinerario nel quale la donna è invitata a risvegliare in sé una sete nuova e pura, oltrepassando la sete per l’acqua materiale, che appaga solo il corpo e solo per breve tempo. […]
Gesù, dunque, si presenta come verità dell’uomo attraverso parole, gesti, segni, dai quali traspare che egli conosce come è fatto l’uomo, sa quale è il suo vero bene, ha una visione luminosa del mistero che avvolge e spiega la sua vita; ma vuole che questa veri-tà, che è la sua parola, che è la sua venuta tra noi, che è lui stesso, incontri noi come cercatori della verità; come persone disposte a pagare tutti i prezzi che la ricerca della verità comporta; come ragionatori pacati e coraggiosi, che discutono il senso delle cose, valutano l’importanza e la fragilità degli incontri interpersonali, si interrogano sugli aspetti contrastanti della libertà, la quale, per un verso, ci si presenta come un valore ultimo, assoluto, totalmente appagante, per un altro verso è bene sfuggente, non ha contorni precisi, non sa darsi contenuti positivi, è in cerca di valori veramente assoluti, per i quali impegnarsi e nei quali realizzarsi.
Tra la scoperta della verità, che è Gesù, e la ricerca della verità, per cui ogni uomo è fatto, può nascere una benefica cospirazione.
È vero che, ultimamente, è proprio la verità recata da Gesù che rivela noi a noi stes-si, ci dice perché siamo fatti in questo modo, ci spiega perché siamo cercatori della ve-rità, ci incoraggia a non stancarci della ricerca, ci libera dalle ombre e dagli intoppi che ostacolano o interrompono del tutto il nostro cammino verso la verità.
Ma è anche vero che una vigile e incessante chiarificazione dei nostri modi di pensa-re, di giudicare, di fare progetti ci dispone ad accogliere con un frutto maggiore la luce della verità che proviene dall’incontro con Gesù.
Ecco perché alle soglie dell’incontro con Gesù non è inutile una battuta d’arresto sulla nostra condizione spirituale di cercatori della verità, per cogliere il senso e la por-tata di tale ricerca, insieme con i limiti e le oscurità che la affliggono. Tanto più che questa attenzione alla nostra situazione umana diventa indispensabile per comprendere il messaggio evangelico come portatore di una interpellanza vitale per la nostra esisten-za.  L. SERENTHÀ, Passi verso la fede: una nuova esposizione delle ragioni della fede, Prefazione di C.M. MAR-TINI (Testi di Teologia per Tutti), ElleDiCi, Leumann TO 1984, 19872, pp. 10-11.


5. La samaritana è il simbolo della persona di tutti i tempi. È importante che Gesù abbia fatto il discorso dell’acqua viva proprio con la donna, e per giunta una samarita-na scismatica, alle quale offre l’acqua liberatrice. Ormai il Padre, attraverso Gesù, si rivolge a tutti, ed è paradigmatico che si misuri con la samaritana. «Beati i poveri di spirito – in tutti i sensi – perché di essi è il regno dei cieli».
Che cos’è mai quest’acqua? Anzitutto è un dono che non viene da noi. Poi trattasi di acqua viva, e di un’acqua di cui chi ne beve non avrà più sete; ed è infine acqua che zampilla nella vita eterna, anche se ci è data ora. Troppe qualità ha quest’acqua da non far pensare che si tratti di Dio stesso, che si dona all’uomo, che entra nella sua storia, che si coinvolge con lui, che entra in comunione con lui. Per questo dono già i vecchi sapienti pregavano il Dio da cui tutto proviene: «Dio dei padri e Signore di misericordia […] dammi la sapienza che siede in trono accanto a te […] perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito» (Sap 9,1a. 4. 10).B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, p. 45.

6. Ascoltiamo da tanto le fontane.
Per noi suonano quasi come tempo.
Ma è più certo che tengono il passo
con la vicenda dell’eternità.
L’acqua è straniera e l’acqua t’appartiene,
è di qui e tuttavia non è di qui.
Per qualche istante sei la fonte di pietra
e l’acqua specchia le cose in te.
Come tutto è remoto e familiare,
disvelato da tanto e sconosciuto,
pieno di senso e insensato insieme.
Tua sorte è amare quello che non sai
Ti strappa il sentimento che gli doni
e lo trascina con sé oltre. Dove?

R.M. RILKE, Poesie II (1908-1926), Edizione con testo a fronte a cura di G. BAIONI, Commento di A. LAVAGETTO (Biblioteca della Pléiade), Einaudi – Gallimard, Torino 1995, pp. 267 e 269.

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