venerdì 1 marzo 2013

la verità esiste ed è sorgente di libertà III domenica di quaresima



Lettura
Dt 6, 4a;18,9-22
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio.
Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 105(106))
Salvaci, Signore, nostro Dio.
Abbiamo peccato con i nostri padri,
delitti e malvagità abbiamo commesso.
I nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie,
non si ricordarono della grandezza del tuo amore. R.

Molte volte li aveva liberati,
eppure si ostinarono nei loro progetti.
Ma egli vide la loro angustia,
quando udì il loro grido. R.

Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione, per il suo grande amore.
Li affidò alla misericordia
di quelli che li avevano deportati. R.
Epistola
Rm 3, 21-26

Fratelli, ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 8,46-47)
Gloria e lode a te, Cristo Signore!
Credete in me, dice il Signore;
chi è da Dio ascolta le parole di Dio.
Gloria e lode a te, Cristo Signore!
Vangelo: Gv 8,31-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Parola del Signore.

Commenti
Deuteronomio 6,4a;18,9-22

Mosè sta preparando l'entrata nella terra d'Israele che il Signore ha destinato al suo popolo.

Abitare una terra significa trasformarla come una propria casa: vi si sviluppa il lavoro, si costruiscono le abitazioni, si pongono i segni di culto. In particolare le scelte religiose lasciano tracce sulla terra che abitiamo e nel cuore di ciascuno. E poiché ci vorranno strutture e istituzioni per reggere questo popolo e governarlo in un cammino verso la propria pienezza e pace, nel libro del Deuteronomio, si apre una sezione in cui parlare di uffici e cariche: i giudici (16,18-20;17,2-13), la monarchia (17,14-20), i sacerdoti (18,1-8) ed i profeti (18,9-22).

Resta chiaro, comunque, che al centro della propria fede c'è un solo Signore. Nella terra in cui si entra il popolo troverà tracce di altre culture e religiosità, scoprirà comportamenti aberranti fatti in nome di Dio per cui, in circostanze drammatiche e pericolose, si arriva ad uccidere e a bruciare i propri figli e figlie in sacrificio agli dei. Il popolo d'Israele poi troverà culti magici e forme di divinazione che sono tentativi di mediazione contrapposti alla mediazione di Mosé (qui si fa l'elenco più completo delle pratiche superstiziose che sono 8: "la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, chi fa incantesimi, chi consulta i negromanti o gli indovini, chi interroga i morti"). Tutto questo si sviluppa soprattutto in momenti di crisi. E' male poiché tenta di ricattare la potenza di Dio a svelare il futuro e vuole costringere il Sigmore ad operare secondo i propri desideri insaziabili. Ma il futuro è nelle mani di Dio e il compito del popolo è quello di ascoltare il Signore. E se tutti questi "abomini" sono male, nascono dalla volontà di possedere, dalla pretesa della conquista e del potere, dalla ricerca di ricchezza e di potenza.

La profezia nasce dalla richiesta di mediazione sull'Oreb. Se Mosè può parlare con Dio faccia a faccia (Es33,11), perché il popolo deve accettare la rivelazione del Signore tra lampi e tuoni, come sull'Oreb? Il popolo ha paura e non vuole sentire la Parola del Signore proclamata in questo modo.

Questo disagio trova consenso e comprensione nel Signore stesso. Così, venendo incontro ai bisogni ed esigenze del suo popolo, dona loro i profeti. Anche il popolo d'Israele avrà persone che lo aiuteranno a nome di Dio come tutti i popoli hanno persone dotate di grandi poteri divinatori. Ma i profeti, che il Dio d'Israele invia, sono diversi: non saranno potenti né faranno paura, saranno i "profeti" disarmati e non ricatteranno nessuno. Porteranno la Parola del Signore e insegneranno ciò che il Signore vuole nella giustizia e nella pace.

Il Signore garantisce un profeta, a somiglianza di Mosè, che continuerà l'opera di Dio. I giudei aspettano, dice l'evangelista Giovanni, un nuovo profeta (Gv.1,21). Negli Atti (3,22-26) questo nuovo profeta è identificato con Gesù: "Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. (3,22).

Nella promessa il Signore garantisce, in tal modo, un nuovo modo di comunicazione. La Parola di Dio ha suscitato problemi sull'Oreb poiché si è vestita di forza tonante e fuoco.

Ora non ci si gioca sulla paura ma solo sulla Parola di Dio, il cui valore si può misurare da ciò che il profeta predica e garantisce, poiché si compie. Ma il profeta non è indovino. Egli proclama una seria rilettura di fatti, lo sgretolamento e la saldatura con la forza di Dio.

Anche oggi tutti noi siamo profeti per vocazione, a somiglianza di Gesù, essendo stati battezzati.

Riceviamo la sapienza di Dio e siamo chiamati ad analizzare le lacerazioni e le novità del mondo che è sempre sotto lo sguardo di Dio ed è tentato ogni giorno dal male. A noi tutti spetta l'impegno di aiutarlo a scoprire la forza di Dio e viverla quotidianamente.

Romani 3,21-26

Si parla spesso di giustizia di Dio e Paolo ci offre una prospettiva totalmente diversa da ciò che siamo abituati a pensare. Noi riteniamo che giustizia sia valutare in modo imparziale le persone ed il loro comportamento e retribuire ciascuno secondo i loro meriti. E invece, nella Scrittura, alla giustizia di Dio corrispondono la sua benevolenza, la sua grazia, la sua misericordia. Dio fa giustizia quando fa germogliare il bene, quando trasforma il peccatore in giusto. Perciò, già al tempo di Gesù, i migliori rabbini pensano che la giustizia e la bontà di Dio si manifestano verso coloro che non hanno alcun tesoro di misericordia. Paolo riprende questa intuizione, spiegando che Dio ha sviluppato la sua giustizia e misericordia in Gesù. "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù" (23-24).

Poco prima Paolo ha ricordato (Rom 2,20-22) che perfino il popolo d'Israele, che possiede la legge, non è stato fedele alla legge. Ma il Signore ha deciso di giustificare il suo popolo e lo fa prima di qualunque azione buona. L'intervento di Dio si è sviluppato dando all'uomo un cuore nuovo come aveva predetto il profeta Ezechiele "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo" (Ez 36,26-28). Paolo vede, nella parola "redenzione", l'immagine del comperare uno schiavo o liberare un prigioniero con il riscatto.

"È lui che Dio ha stabilito apertamente" (25). E' chiaro il richiamo alla crocifissione, palese a tutti quelli che hanno fede, come "manifestazione della giustizia di Dio per la remissione dei peccati passati." Ma qui si ricorda anche il "Propiziatorio" La traduzione letterale dice infatti: "Dio lo ha esposto come propiziatorio" (e viene tradotto "come strumento di espiazione"). Il Propiziatorio è il coperchio dell'arca su cui, nel giorno della espiazione, per purificare il popolo dai propri peccati, viene versato il sangue del capro, ucciso per la remissione dei peccati. Il "propiziatorio" è il punto d'incontro tra uomo e Dio, attraverso l'offerta del sangue; vengono in tal modo espiate e distrutte le colpe del popolo. Questa immagine, profondamente scolpita nella consapevolezza d'Israele, viene coraggiosamente applicata a Gesù da Paolo, al suo sangue che nella coscienza del popolo è vita. E quindi la crocifissione è come l'offerta della vita di Gesù che distrugge il male nel cuore dei popoli, il versamento del sangue sul propiziatorio. La morte di Gesù, allora, per chi è credente, non diventa maledizione per l'umanità, ma segno di giustizia di Dio che riconosce in Gesù il giusto e rende giusti tutti noi. Chi è credente scopre allora una speranza ed un amore pieno di Dio. Intravede un cammino fiducioso verso la santità stessa di Gesù.

Giovanni 8, 31-59

Questo testo, complesso e carico di fede e di lotte interne tra credenti, ha al centro, continuamente, la figura di Abramo, ricordato 8 volte e che, tuttavia, resta sullo sfondo non come il vertice della rivelazione, ma come colui che aspetta una soluzione matura nel suo cuore e quindi una speranza.

Il testo inizia con l'affermazione di Gesù: "Sono la luce del mondo" (8,12) e l'affermazione è fatta nel tempio, nella Festa delle Capanne, quando particolarmente splende ovunque la luce.

Gesù non vuole partecipare alla festa delle Capanne, a Gerusalemme, come invece vogliono i suoi parenti (7,3) che pretendono che, finalmente, si faccia pubblicità e si mostri per quello che è. Gesù deve far esplodere, come tutti sperano, il tempo del Messianismo. Ma Egli rifiuta di andarvi, affermando, esplicitamente, la pericolosità dell'andare a Gerusalemme. Ma poi, in incognito, si reca nella città santa e sale direttamente al tempio.

Egli parla pubblicamente, affrontando, come un buon maestro, i temi della Scrittura, tra lo stupore della gente che, comunque, si meraviglia della competenza senza che avesse frequentato dei famosi maestri. La discussione si fa subito accesa e intervengono solo alcuni che si ritengono esperti mentre la maggior parte delle persone ascolta. Le parole di Gesù sono subito di fuoco.

Giovanni ricorda che Gesù parla presso il "Tesoro" (8,20), il luogo dove si raccolgono i proventi della raccolta del popolo per il tempio. Dagli interventi precedenti e seguenti e dai giudizi, che Gesù dà del culto, si risente la denuncia di un pesante sfruttamento delle persone, riversato nelle casse del tempio stesso che è diventato luogo di commercio e di ricchezza, deformazione del culto e durezza di cuore.

Gesù parla, ma a suo rischio e pericolo. Giovanni, in questi due capitoli (7/8), ricorda 6 volte il verbo "uccidere". E, d'altra parte, il momento è tragico per il peccato della classe dirigente. Perciò, nella denuncia, Gesù chiaramente accetta di manifestarsi come Messia e come inviato dal Padre. La predicazione non propone "un'attesa, uno stare attenti, un preparatevi", ma diventa una chiara e drammatica proposta: "Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (vv31-32). E' pur vero che qualcuno presta attenzione a Gesù ("quelli che avevano creduto"v 31), ma Gesù li avvia immediatamente sull'itinerario dell'essere discepoli e nella responsabilità di accettare pienamente la sua parola. E aggiunge: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Viene toccato un nervo scoperto per il mondo ebraico il quale, soggetto a Roma, aspetta il messia. Ma la liberazione - è convinto- avviene con le armi, non con l'accettare Gesù e il suo messaggio. D'altra parte i discendenti di Abramo hanno sangue reale (Gn 17,16: Dio dice di Sara, moglie di Abramo: «Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Essi non possono, per questo, diventare schiavi.

Gesù deve allora inerpicarsi sui difficili sentieri della libertà: essa non, viene dalla stirpe, ma viene da Dio. Ed esiste una verifica della libertà. Si prova con il comportamento. Chi è da Dio non è bugiardo né omicida: solo Dio è libero. Così Gesù si oppone alla classe dirigente poiché, nonostante la propria attestazione di fedeltà a Dio, vuole uccidere Gesù poiché teme di perdere privilegi e sicurezze.

I gesti e i segni di Gesù mettono troppo in discussione la loro vita e la loro impostazione religiosa.

Così, per un verso, Egli garantisce la libertà per chi accetta il suo messaggio (8,31-36), per un altro verso nega che i giudei abbiano come padre Abramo. Essi hanno un padre diverso (8,37-40).

L'accusa velata che Gesù pone e che i giudei sospettano di sentirsi dire è che essi dipendono dall'idolatria, "figli della prostituzione". Essi invece. rivendicano la propria fedeltà poiché riconoscono solo il Dio d'Israele.

In sintesi:

- 8,31-41a: la libertà, che i Giudei pretendono di avere già come figli di Abramo, viene dalla verità del Figlio;
- 8,41b-47 Gesù, passo passo, arriva a dichiarare che il loro Padre è il nemico di Dio, l'omicida, e quindi non vengono da Dio: si confronta la paternità di Dio e quella del diavolo.
- 8,48-58 La risposta è organizzata in tre invettive. Altro che messia. Egli è folle, indemoniato, bestemmiatore fedifrago. La fede e l'unità con Cristo fanno superare la morte, poiché Gesù è più grande del tempo e perfino di Abramo. Gesù, infatti, è "IO SONO" (traduzione del nome di Jahvè).
- 8,59 La conclusione è il tentativo di fare giustizia nel tempio, lapidando Gesù. E Gesù fugge e si sottrae.

Ma così, dice Giovanni, definitivamente Dio esce dal tempio (8,59).

PER LA NOSTRA  QUARESIMA

1.I falsi profeti non sono delle persone che fanno delle false prediche, o che non
proferiscono altro che errori. Sono degli uomini il cui criterio sovrano non è la verità; degli
uomini che sono più all'ascolto del mondo che all’ascolto di Dio; che dicono ciò che è
necessario per giustificare le passioni del loro gruppo; che adulano l’opinione corrente,
qualunque essa sia, secondo i tempi e le circostanze, quella del “principe”, dei “grandi” o
della “massa”. Sono degli uomini che raccolgono le idee generose nell’ora in
cui cominciano a marcire; che si “impegnano” nel momento preciso in cui l’impegno comincia a portare più
vantaggi che rischi. Questi uomini, che parlano troppo di giustizia e di verità, si arrangiano
sempre per essere  à la page e per “ululare coi lupi”. Non dicono sempre solo errori o
menzogne, né fanno sempre soltanto il male. Ma la loro azione è perlomeno vanità. Essa
non eleva, ma abbassa. Spesso non fa dire la verità a colui che discerne la minaccia di
corruzione che essa porta. Sempre essa cospira contro i veri profeti.


2. Il mistero di Gesù può essere espresso con una semplice parola, la quale però,
nell’atto in cui è colta nel suo interiore significato, produce una specie di terremoto mentale
e avventura l’anima in vertiginosi slanci di meraviglia e di adorazione: la storia di Gesù è
l’auto-comunicazione di Dio, cioè è una vicenda pienamente umana, collocata nel tempo e
nel mondo, inserita in un contesto sociale, ma in essa Dio stesso si rende presente, così
come è in se stesso. [...]
L’evento di Gesù è appunto l’evento nel quale Dio esce dall’ombra indistinta del mistero
e dà legge, forma, misura, condizione a quella manifestazione di se stesso con cui fonda la
storia. Si tratta non solo di una manifestazione, ma di una autodonazione. [...] La legge di
quella manifestazione è il dono puro, il dono per eccellenza, il dono inconfrontabile con
ogni altro dono, perché è il dono del mistero intimo e inviolabile della propria vita divina.


3.Il mistero del Cristo è anche il nostro. Ciò che si è compiuto nel Capo deve
compiersi anche nelle membra. Incarnazione, morte e resurrezione: è radicamento, distaccamento e
trasfigurazione. Non c’è spiritualità cristiana che non comporti questo ritmo in tre tempi. Noi dobbiamo far penetrare il cristianesimo nel più profondo delle realtà  umane, ma non per farvelo perdere o snaturare. Non per svuotarlo della sua sostanza spirituale. Ma perché agisca nell’anima e nella società come un fermento che lievita tutta la pasta. [...]
Perché al cuore di tutto metta un principio nuovo, e faccia udire dappertutto l’esigenza e l’urgenza dell’appello dall’alto.

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