giovedì 7 marzo 2013

Quando la luce di Cristo sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza. IV di quaresima

Quando la luce di Cristo sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza.
Lettura
Es 17,1-11
In quei giorni. Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».
Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 35(36))
Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. R.

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. R.

È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. R.
Epistola
1Ts 5,1-11
Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 8,12)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Io sono la luce del mondo, dice il Signore;
chi segue me avrà la luce della vita.
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Vangelo: Gv 9,1-38b
In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Siloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Parola del Signore.

Commento

"Voi, fratelli, non siete nelle tenebre; infatti siete figli della luce" (Epist.). E' la nostra fortuna, dal giorno del battesimo, di essere "illuminati", come in antico si chiamavano i nuovi battezzati.
Gesù apre gli occhi al cieco nato. Il prefazio dice: "Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che nel fonte battesimale gli viene donata".
Dal battesimo viene a noi la luce di Cristo e la nuova vita in lui. Purché siamo di quelli che credono, come il cieco, nonostante l'incredulità e forse la paura di fronte ad una cultura che con tanta supponenza ci invade.

1) L'ILLUMINAZIONE
Il fatto narrato è un gesto ben concreto: un cieco dalla nascita è guarito. Costui viene inviato a lavarsi alla piscina di Siloe, "che significa: Inviato", cioè Messia. Il fatto allora è un segno: di Gesù che è luce del mondo: "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Luce come rivelazione piena di Dio: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito .. è lui che lo ha rivelato" (Gv 1,18). Luce che è la vita divina: "A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome" (Gv 1,12). Luce che è indirizzo sicuro di vita pienamente umana: "Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 9,12). Luce che è anche per l'oggi guarigione, consolazione e speranza dentro tante miserie della vita quotidiana. Accogliere Gesù - via per la quale Dio giunge a noi - è arrivare alla verità e alla vita: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6).
Quel segno si attualizza per noi nel battesimo. L'umanità, nata cieca per l'eredità di peccato ricevuta da Adamo, è resa priva della vita divina, ferita nelle più autentiche capacità umane e destinata alla morte, sull'immagine del malcapitato della parabola del Buon Samaritano, bisognoso che Dio si chini su di lui per salvarlo. Gesù ripete anche a noi: "Va' a lavarti alla piscina di Siloe". Va' a lavarti nella piscina del tuo battesimo e ne uscirai illuminato dalla mia grazia, riconciliato con Dio, partecipe ancora della vita divina, rafforzato dallo Spirito santo che ti rende capace di "resistere al male che non vuoi e fare il bene che vuoi" (Rm 7,18-19). Ce lo ripete oggi Paolo: "Dio ci ha destinati a ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (Epist.). "Voi, fratelli, siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre" (Epist.).
Da qui la consapevolezza della nostra nuova dignità e, conseguentemente, la coerenza di una qualità di vita diversa. "Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri" (Epist.). E con la sobrietà, cioè la padronanza di sé, ecco la fede, la carità e la speranza, quasi armi che ci difendono dal mondo: "Noi siamo sobri, vestiti della corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza" (Epist.). La fede che dice il nostro riferimento unico a Cristo; la carità come verifica della nostra professione cristiana; la speranza di un destino eterno che è la grande forza di noi credenti entro le lotte della vita.

2) LA SCELTA
Al gesto - al dono di Dio - deve corrispondere la nostra apertura, la nostra scelta. Il cieco nato, uomo sincero e realista s'arrende all'evidenza del fatto e cammina verso il riconoscimento del segno, passando dalla luce degli occhi alla luce della fede. Il suo ragionamento è semplice: "Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". Passa gradualmente da saperlo "un uomo che si chiama Gesù", a riconoscerlo "un profeta", cioè "uno che viene da Dio". Alla fine lo proclama "Signore", il Figlio dell'uomo che è il Dio venuto tra noi e che è risorto. A tale riconoscimento della divinità di Gesù approda appunto la fede battesimale.
All'opposto sta l'indurimento del cuore dei farisei di fronte a Gesù che non vogliono accettare il fatto per pregiudizio contro il segno, perché non vogliono riconoscere il divino che c'è in Gesù, riconoscerlo cioè Messia. Accanto ai farisei ci sta la folla che si perde in chiacchiere, si ferma alla pura curiosità: è lui il mendicante cieco, .. non è lui? Non prende posizione, non gli interessa più di tanto quel che è capitato...: come avviene per chi del fatto religioso si informa solo alla tv. Per i genitori del cieco poi è questione di paura: è troppo compromettente e rischioso credere in Cristo! E noi? Quale posizione prendiamo di fronte a Gesù? Quella aperta e leale del cieco? O quella supponente dei farisei "che sanno"? O quella indifferente della folla? O quella minimalista dei genitori che non vogliono compromettersi con Cristo?
La vita ha le sue prove, e l‘adesione di fede non è così sempre facile. Come per l‘antico popolo di Dio, nel deserto della vita viene a mancare l‘acqua, o c‘è da affrontare il nemico, viene quindi facilmente da dubitare di Dio, delle sue promesse e del suo aiuto: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no" (Lett.). C‘è bisogno ancora allora del bastone di Mosè e delle sue mani alzate a invocare l‘intervento salvifico di Dio (cf. Lett.). La fede è dono di Dio; ma anche la perseveranza nella fede è dono di Dio. Gesù ha tanto raccomandato la preghiera nei momenti della prova: "Pregate pert non entrare in tentazione" (Lc 22,40). "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). Le mani alzate anche della Chiesa, alla quale vogliamo essere inseriti per un sostegno e una sicurezza nelle scelte anticorrenti che siamo chiamati spesso a fare nel clima culturale di oggi.

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Un gesto di salvezza, compiuto da Gesù, suscita discussione e divisione. "Non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti.." (Lc 16,31), aveva detto Gesù a riguardo di chi non è disposto a riconoscere i suoi segni. Anche davanti alla risurrezione di Lazzaro ci fu chi non è rimasto convinto, anzi l‘ha vista come occasione per ucciderlo. Come i Giudei di oggi che dicono di "sapere". La fede è un dono, ma che richiede almeno l‘umiltà e la verità interiore di non chiedersi con pregiudizio al fatto soprannaturale. Il brano di Giovanni si conclude con una parola forte di Gesù: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane" (Gv 9,41).


PER LA NOSTRA QUARESIMA

1. Il Vangelo narra il vangelo.

Ogni evento in lui era vita,
la luce per gli uomini era quella vita.
E la luce brilla nelle tenebre. […]
Veniva nel mondo la luce vera
che rischiara ogni uomo.
Era nel mondo e mediante lui fu il mondo,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne tra i suoi, ma i suoi, lui, non l’accolsero.
A quanti però l’accolsero ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel nome di lui,
i quali, non da sangue, né da desiderio carnale,
né da volontà umana, ma da Dio sono stati generati. (Gv 1,4-5. 9-13)
Il segno per colui che è nato nella cecità, illumina la parola del Prologo del Quarto Vangelo. Già si dava a conoscere lo scontro tra luce e tenebra, tra accoglienza e rifiuto. Nessun accomodamento. Da sempre si affrontano: per percepire la tenebra fuori e interiormente occorre la luce. Per contrasto, non c’è continuità.
Luce che rivela, senza accecare.
La luminosità, la luce non si intrattiene con la tenebra.
La luce fa esplodere la tenebra: riceve accoglienza o rifiuto.
Vedere con gli occhi della fede o rimanere nel buio nell’incredulità.
Gesù guarisce gli occhi dell’uomo condotto, trascinato da lui, che niente chiede e niente attende.
Vede e deve dar ragione della luce.
Un balbettio all’inizio, che dice qualcosa dell’immensità dell’amore ricevuto nel gesto di Gesù. Ritorna alla vita e si incammina con le parole a dire l’evidenza dei suoi occhi aperti.
Cerca di dare nome a colui che, passando, si è fermato a guarirlo: un uomo chiamato Gesù, un profeta.
Colui che è nato nella cecità solo una cosa sa: «prima ero cieco e ora ci vedo».
«Noi sappiamo …»: i Farisei invece sono sempre sicuri del fatto loro.
Sono sicuri che Gesù non viene da Dio, perché … non osserva il sabato e dicono: «Noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore».
«Io non so …»: nel processo che i capi del popolo intentano all’uomo nato cieco questi dà prova di una sorprendente saggezza. Non sa e non se ne vergogna.
Ripete: «Non so». Questa affermazione non è reticenza dovuta alla paura, come quella dei genitori, ma è un’ammissione spontanea e sincera.
Pedagogo perdente dei discepoli di Mosè: «Questo il bello, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi!». E viene gettato fuori.
Gesù ritorna per condurre alla confessione di fede colui che ora vede: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Il passo alla luminosità della fede è sempre un incontro vivo con Gesù, la risposta al suo invito. Un incontro “originario”, di nuova nascita.
 La riflessione del n. 1 è di F. CECCHETTOM (Testo inedito).

L’uomo dall’anima consolata può sempre di nuovo costruire case di Dio e case degli uomini, può riempire il tempo traballante di nuovi inni e di canti e dare egli stessa forma alla comunità degli uomini. M. BUBER, citato da R. MANCINI, L’uomo e la comunità, Ed. Qiqajon, Bose 2004, p. 117.

2. La luce vera, per chi è nella tenebra.
L’acqua per chi ha sete della vita.
Il pastore che insegna e guida il camminare.
La porta per entrare nella sua dimora.
Nessuna tenebra, per quanto fitta, fa disperare che una qualche luce, o qualcosa della luce, possa penetrare in essa. […] Ma c’è forse qualcosa nella luce che non sia essa stessa luce, qualcosa che non si risolva in luce? Per questo simbolizza la riuscita, il compimento. […]
Quando nell’istante nascente, lei sopraggiunge, si apre, nel più oscuro dell’essere umano, qualcosa che prelude alla speranza.
M. ZAMBRANO, Dell’aurora, Traduzione ed edizione italiana a cura di E. LAURENZI (Le Vie 9), Marietti 1820, Genova 2000, p. 58.

3. Quanto noi vediamo compiuto nel cieco nato, è avvenuto parimenti in noi, chiamati dalla benevolenza del Signore al suo regno. Il legame della narrazione evangelica del cieco nato con il battesimo è stato sempre avvertito dalla coscienza cristiana. [...]
L’incontro con la Luce, che è vita, è bellezza, è armonia, è colore, è gusto, è suono: a tutto questo si apre quel cieco. […] Con il battesimo, sacramento della fede, siamo introdotti nel regno del Padre: diveniamo una nuova creatura. Il Nuovo Testamento ci parla dei “sensi nuovi” dell’uomo che si apre alla fede.
Questa novità di vita in assoluto non avviene se non per il dono che è nuovo, la grazia che ci fa figli di Dio; per il donatore stesso che entra in comunione con l’uomo, che è il Padre che si dona in Gesù “stringendoci” per mezzo del suo Santo Spirito. Tale è la realtà che è contenuta nel segno del cieco nato e tale è la realtà che ci dischiude il battesimo.
Questa novità suppone una conoscenza di Cristo e un’esperienza di fede. La maturità del nostro cammino ci fa sperimentare sempre più la provvisorietà e l’estrema relatività di ogni cosa. […]
Nella nostra situazione concreta può emergere il bisogno del cammino o della crescita nella fede. Ed è quanto è insinuato nella narrazione del cieco nato. Dalla fiducia in “quell’uomo” che si chiama Gesù, al riconoscere Gesù come profeta, fino all’adorazione della sua signoria, è un continuo cammino di fiducia in fiducia, di fede in fede, fino alla visione di Cristo e del Padre nella gloria: «Uno con lui».
B. CALATI, Conoscere il cuore di Dio. Omelie per l’anno liturgico, Introduzione di P. STEFANI (Quaderni di Camaldoli 11), EDB, Bologna 2001, pp. 47-48.

4. Ciechi e sordi, dobbiamo cominciare dal sentirlo che si narra a noi, e attraverso un ascolto paziente, pervenire a credere, a vedere la luce del giorno, a sperare: attendere tutto da te significa vivere di grazia. Infatti, «tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza» (Romani 15,4).
Sono convinto che la Bibbia è un libro di speranza e che leggerlo ha come risultato la speranza. […]
Tu, sei la nostra speranza. Cioè: eccoci insieme, noi che speriamo un giorno di conoscerti, di vederti in faccia. E noi allora saremo illuminati dal tuo sguardo: con-viventi. […]
Un evento: nascere di nuovo; l’unico potere che mai si potrà conquistare è donato a chi ti accoglie (cf Gv 1,12). «Nascere, è nascere alla speranza». È entrare nel tuo avvenire, e offrirsi affinché avvenga in questo mondo. Proprio quando dicevo: «Le tenebre mi coprano», la notte èdivenuta luce intorno a me (Sal 138). L’umanità è chiamata a divenire volto: «Vedranno il tuo volto». «Non vi sarà più notte… perché il Signore effonderà su di loro la sua luce» (Ap 22).
Sì, un futuro di luce ci attende, e già si dona a vivere: figli della luce lo siamo già (cf Col 1,23). La speranza è la porta che si apre alla novità e mi ingiunge un comandamento nuovo, il comandamento del nuovo di cui tu vuoi farci complici, innamorati.
“Più forti dell’odio”. Gli scritti dei monaci trappisti uccisi in Algeria, a cura della COMUNITÀ DI BOSE, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 137-142.

5. ... Ma tu cammina con noi
Signore
non perderti nel silenzio della tua solitudine.
Ti faremo compagnia
e ti terremo per mano.
Tu cammina con noi
inciampa con noi
sporcando di polvere e fango
i vestiti e le scarpe.
Abbandona velluti
e mantelli
brucia i turiboli
straccia i polverosi libri
delle liturgie.
Con forbici d’acciaio
lacera
pianete e merletti.
Ordina ai tuoi sacerdoti
di cercare il male dov’è
senza attenderlo
nel tiepido calore
delle sacrestie.
La luce è quello
che avanza dal buio
e noi cammineremo
perché ci sia più luce
nel tempo che si apre...
 L. VIOLANTE, Secondo Qoèlet, Dialogo tra Dio e gli uomini, Piemme, Casale Monferrato 2004, pp. 99s.


6. Si disserra la gabbia del prigione
s’avventa in libertà
a capofitto,
non si guarda attorno,
fissa
solo lo spazio che gli s’apre
in fronte, e che lo ingoia,
e come
lampada lo abbaglia.

Attento, non è sgombra
la via della liberazione, non lo è ancora.
Ancora c’è il paese
di malanimo e idiozia
da traversare passo passo.
Lo credevi – ed era buon diritto –
ormai alle tue spalle.
Senonché
non è mai tutto passato il passato
e anche il male rifiorisce.
 M. LUZI, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, p. 198. 

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