venerdì 17 gennaio 2014

"Fate quello che vi dirà" 19 1 2014



II domenica dopo Epifania (anno A)

“Fate quello che vi dirà”
Lettura
Nm 20,2.6-13
In quei giorni. Mancava l’acqua per la comunità: ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aronne.
Allora Mosè e Aronne si allontanarono dall’assemblea per recarsi all’ingresso della tenda del convegno; si prostrarono con la faccia a terra e la gloria del Signore apparve loro. Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame». Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli aveva ordinato.
Mosè e Aronne radunarono l’assemblea davanti alla roccia e Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?». Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e il bestiame.
Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do». Queste sono le acque di Merìba, dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro.
Parola di Dio.
Salmo (Sal 94(95))
Noi crediamo, Signore, alla tua parola.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. R.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. R.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova pur avendo visto le mie Opere». R.
Epistola
Rm 8,22-27
Fratelli, sappiamo che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 2,2.11)
Alleluia.
Invitato alle nozze in Cana di Galilea,
il Signore Gesù trasformò l’acqua in vino,
e manifestò la sua gloria
e i suoi discepoli credettero in lui.
Alleluia.
Vangelo: Gv 2,1-11
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta e centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Parola del Signore.
COMMENTI
Numeri 20, 2. 6-13

Il racconto si inquadra nella fatica del popolo d'Israele di orientarsi nel cammino della liberazione e nel coraggio di affidarsi veramente a Dio, con speranza.

Il popolo è in pena per l'acqua che manca e la sofferenza si amplifica per la memoria di quel frammentario benessere dato dalla varietà di cibo che l'acqua permetteva in Egitto: nei versetti precedenti si parla di mancanza di semi, di fichi, di uva e melograni. Il racconto ha delle analogie con uno stesso racconto riportato nel libro dell'Esodo (17,1-7); ma questa ripetizione vuole, probabilmente, dare significato al divieto e quindi alla impossibilità, per Aronne e Mosè, di entrare nella terra promessa.

Siamo nel luogo di "Meriba" che significa "contesa" e il popolo discute, anzi formula una specie di giudizio e tribunale: si può dire che denuncia Dio stesso e Mosé. E' inquieto del proprio futuro e teme la desolazione e la morte.

Il Signore sa comprendere le esigenze del popolo e la sua paura. Perciò Dio non si scandalizza dello sgomento, ma invita sempre ad avere fiducia e a superare l'angoscia. E tuttavia la paura nasce dalla propria insicurezza, dalla difficoltà di non saper trovare soluzioni, dalla dipendenza. Perciò Dio semplicemente ordina di "parlare alla roccia". Dice a Mosè: "Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l'acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame".

Mosè raduna il suo popolo in assemblea ma non esegue subito le parole del Signore. Anzi Mosé e Aronne sono travolti, essi stessi, da questa insicurezza e si ribellano alle pretese e alle accuse. Ritengono giusto che ci si debba difendere e quindi rispondono loro che non sono in grado di soddisfarli per ciò che chiedono, come se il cammino che hanno intrapreso verso la libertà fosse responsabilità loro. "Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?»" (v10).

Il testo prosegue nell'opera di mediazione di Mosè che accetta di far scaturire l'acqua dalla roccia. La sua titubanza, tuttavia, viene manifestata dal fatto che Mosè non si limita a parlare alla roccia, come aveva proposto, ma usa il bastone che è una specie di garanzia, segno di comando ma anche un talismano che è servito davanti a Faraone a mostrare la potenza di Dio. In più, Mosè ha battuto due volte la roccia col bastone. L'autore biblico rileva questa insicurezza, in Mosè, per mostrare la diffidenza e la esitazione nei confronti di Dio.

Mosè ed Aronne sono coinvolti nella stessa prospettiva del popolo, uscito dall'Egitto e quindi si sentono dire dal Signore: «Voi non introdurrete quest'assemblea nella terra che io le do». Anche Mosè ed Aronne si sono sviati dal loro ruolo di garanti della protezione di Dio: «Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti» (v 12).

Dio si fida di noi, ma diventa difficile essere coerenti fino in fondo. Anche i grandi mediatori, dice la Scrittura, come Mosè e Davide, non sanno superare il male, la fragilità e le infedeltà. E tuttavia il Signore ci coinvolge e ci incoraggia a continuare il suo progetto poiché chi ci va di mezzo non siamo solo noi, ma anche questo mondo e tutti gli uomini e donne che egli ha affidato alle nostre mani, sostenuti dallo Spirito.

Romani. 8, 22-27

Il cap 8 della Lettera ai Romani inizia con una garanzia: "Ora, dunque, non c'è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte" (vv1-2). La legge di Mosè non liberava dal peccato e dalla morte, ora invece siamo stati coinvolti nella legge dello Spirito. Così siamo trasfigurati poiché possiamo dire a Dio: "Tu sei mio papà" e possiamo considerarci veramente suoi figli: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». (v 15). L'adozione a figli non si riscontra in altri testi della Scrittura, salvo che in Paolo. Sembra che Paolo abbia attinto alla prassi giuridica greco-romana secondo la quale, i figli adottivi, una volta integrati nella famiglia, godono gli stessi diritti dei figli naturali e possono partecipare all'eredità.

Il testo, che leggiamo oggi nella liturgia, all'interno di questa novità del nascere nello Spirito, ci parla di tre "gemiti", e il richiamo del gemito è accompagnato dal ricordo delle doglie del parto. Tutto il brano ha, infatti, un respiro di speranza, di vita e di rigenerazione, non certo di morte.

- Il gemito della creazione: essa è stata creata splendida dalla potenza di Dio: "tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi" (v 22) e rivela il dramma dell'essere stata deturpata, sporcata e corrosa dalla nostra noncuranza e dal nostro sfruttamento, sottomessa alla corruzione dell'inquinamento e della guerra.

- Il gemito del cuore umano: "Anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (v 23 ). Noi abbiamo coscienza della nostra responsabilità e sentiamo i nostri limiti e le nostre paure, insieme con le nostre urgenze e le nostre ossessioni e cupidigie. Stiamo cercando la liberazione dallo Spirito per rinnovare il mondo. Ma, nella nostra confusione e pochezza, "se abbiamo lo stesso destino e viviamo nella stessa speranza per cui attendiamo con perseveranza", noi abbiamo un compito fondamentale: riempire questa attesa, aprire il cuore e aiutare il mondo al cambiamento nella preghiera. Ma noi non sappiamo pregare. Le nostre invocazioni sono solo tentativi per fare aderire Dio ai nostri progetti.

- Il gemito dello Spirito: lo Spirito viene in soccorso alla nostra debolezza e ci suggerisce quello che dobbiamo dire al Padre, poiché "lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili" (v 26). In fondo noi dobbiamo fare il nostro apprendistato di figli, sempre incapaci di capire a fondo il mondo di Dio a cui siamo chiamati. Ma lo Spirito, dentro di noi, mentre interpella il Padre, ci educa a valori nuovi, alla sintonia con le persone che soffrono, al mondo, spesso, senza speranza.

Ci viene chiesto conto delle domande della nostra preghiera poiché il nostro chiedere deve sintonizzarsi con la Parola e le scelte di Dio sul mondo che noi stessi abitiamo, che utilizziamo e di cui siamo signori e responsabili. La preghiera dello Spirito ci aiuta ad orientarci nel mondo di Dio per la speranza e la salvezza per tutti.

Giovanni. 2, 1-11

Gesù inizia, con il "segno" di Cana, il primo del Vangelo di Giovanni, il tempo "dei sette segni", permettendo ad un matrimonio di poveri sposi la continuazione della festa. Pochi se ne accorgono né Gesù pretende che tutti lo sappiano. Lo conoscono i servi e i discepoli, nuovi a questa sequela, che sono introdotti a riscoprire la gloria di Gesù.

Nella conclusione del racconto vengono posti il duplice significato del "segno": rivela la "gloria" del Figlio e il cammino verso la "fede". "Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (2,11).

Il "segno" non solo sorprende ma nasconde significati teologici profondissimi: Gesù incomincia a offrire i doni messianici con gratuità, aperti a tutti e apre la porta per la rigenerazione del mondo. Qui non ci si sofferma sulla potenza di Gesù, ma vengono valorizzati alcuni risultati sorprendenti: l'abbondanza del vino e la sua qualità impensabile, la sostituzione dell'acqua della purificazione, che oltre tutto è finita, con la gioia e l'allegria che il vino porta. Si stanno verificando i tempi nuovi, i tempi messianici, iniziando da una famiglia di poveri e, comunque, dove c'è bisogno di gioia e di pienezza.

C'è il messianismo che finora è stato atteso e conosciuto nella pienezza ma si profila il messianismo sconosciuto " dell'ora" che non significa solo il tempo del compimento ma l'avvenimento nel tempo che passa per la croce e si conclude nella risurrezione.

In questo cammino intravisto e in questa attesa si profila anche l'avvento del nuovo che sostituisce il vecchio; il vino della gioia sostituisce l'acqua della debolezza. Alla legge antica viene sostituita la nuova.

Questo richiamo all'ora di Gesù è dominante: è risolutore della difficoltà ed è nelle mani di Gesù. Così egli attende e insieme lo anticipa come segno: lo manifesta come gioia e splendore, dando in tal modo il significato della Gloria. Gloria è ciò che si manifesta come splendente. Qui inizia lo splendore di Gesù che manifesterà l'amore che si dona proprio nella situazione più drammatica e più lontana dalla pienezza. Nel matrimonio avviene il segno, nell'amore che si svilupperà fino alla morte, inizia il cammino della manifestazione di Gesù. In questo segno inizia anche il cammino dei discepoli. La fede in Gesù si apre sul mondo e coloro che lo seguono avranno la gioia di comunicare il segno e la sequela a cui siamo invitati perché il mondo sia ricco di questa novità.

Nel segno resta la presenza di Maria. E' colei che coglie la difficoltà prossima degli sposi, previene e intercede. Probabilmente non sa che cosa può accadere, ma ritiene che sia importante che il Figlio sappia per poter provvedere in qualche modo. Gesù risponde in modo evasivo e praticamente non ci sono spiragli per un intervento: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (v 4 ). Maria però riprende, a questo punto, la sua fiducia rinsaldata in una fede che lei stessa ha maturato e lascia a Gesù la soluzione, qualunque essa sia. Maria non suggerisce interventi, si fida della volontà di Gesù che a lei è sconosciuta e invita i servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (v 5). Tre volte viene nominata la parola "madre", e mai il nome Maria. Nel mondo orientale pare che sia segno di grande dignità ricordare la donna come madre del figlio illustre.

Ci sarà, nel Vangelo di Giovanni, un secondo momento dell'incontro di Maria con Gesù e sarà alla crocifissione (vv 19,26 ). Gesù le consegnerà Giovanni come figlio, dicendole: "Donna, ecco tuo figlio".

All'inizio ed alla fine della sua missione messianica, la Madonna è presente con la sua intercessione, accanto a Gesù. Viene chiamata "donna" non per segnare un distacco, ma per riconoscerla come collaboratrice alla salvezza con il nuovo Adamo, essa, la nuova Eva.

E' la domenica di una grande manifestazione, la scoperta della povertà e la speranza delle soluzioni nuove, legate alla volontà ed al progetto di Dio. L'itinerario è fatto da Gesù; accanto c'è Maria e insieme c'è la comunità dei discepoli che accettano di far presente la fatica, intervengono con fiducia, costituiscono una famiglia di fratelli e sorelle, aperta al mondo.

RITO ROMANO
II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Prima Lettura
Is 49,3.5-6
Dal libro del profeta Isaìa

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
Salmo responsoriale (Salmo 39)
Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.
Seconda Lettura
1Cor 1,1-3
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Acclamazione al Vangelo
(Gv 1,14.12)
Alleluia, alleluia.
Il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
a quanti lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio.
Alleluia.
Vangelo: Gv 1,29-34
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Commento
Nella seconda domenica del tempo ordinario, la Liturgia ci fa vivere l'esperienza delle nozze di Cana, posta da Giovanni all'inizio del suo Vangelo (Giov.2,1-12). È il terzo momento dell'Epifania, dopo la manifestazione di Gesù ai Magi e al mondo intero nel momento del Battesimo.
Anche questa pagina del Vangelo è di una ricchezza inesauribile, che dobbiamo scoprire e vivere sempre di nuovo.
L'evangelista stesso ci spiega la ragione per la quale la Liturgia vede nelle nozze di Cana il terzo momento dell'Epifania di Gesù. Egli infatti alla fine commenta: " Questo fece Gesù, come inizio dei suoi segni e ‘manifestò la sua gloria' e credettero in lui i suoi discepoli". Nelle nozze di Cana Gesù "ha manifestato la sua gloria": Dio si è manifestato nella presenza di Gesù che ha portato la vita in una festa di nozze, coinvolgendo i presenti perché la festa fosse veramente di tutti.
Ma che cosa ha fatto Gesù? "Ha fatto il primo dei suoi segni": il Vangelo di Giovanni, almeno nella prima parte, è il libro dei segni. Alla fine Giovanni dirà: "Gesù, in presenza dei suoi discepoli fece molti altri segni, che non sono scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Giov.20,30-31). Credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, è l'annuncio che percorre tutto il Vangelo: credere che nella carne di Gesù è presente la gloria del Figlio di Dio. Gesù è "segno" di Dio: nella sua carne, nella sua parola, nei suoi gesti si manifesta la ricchezza di Dio. Gesù è "Parola" di Dio: accogliere lui, comprendere il senso della sua presenza, dei suoi gesti significa vivere l'esperienza di Dio che entra nel profondo dell'esistenza umana aprendola ad una dimensione divina. Il Vangelo di Giovanni è la guida offerta a chi, credendo in Gesù, entrando nella sua intimità, sperimenta la intensità incontenibile della realtà umana: tutti i sensi sono presenti nell'esperienza di Gesù vissuta dai discepoli che egli ama, il vedere, toccare, sentire, mangiare, percepire il profumo... tutto ciò che è umano si apre ad un'intensità divina ed è la vita umana che diventa vita eterna. Tutto, vissuto con lui, diventa "segno" di una vita nuova, vita di Dio: rimanendo dentro l'umano si sperimenta Dio, perché Dio si è fatto uomo. Nella piccolezza c'è l'infinita grandezza di Dio: è Gesù, ed è il capovolgimento che egli opera, la novità dell'esperienza cristiana.
A Cana Gesù ha fatto il primo dei segni: ma quale "segno" ha fatto? Ai servi la madre di Gesù dice: "Qualunque cosa vi dica, fatelo". E Gesù comanda ai servitori: "Riempite d'acqua le anfore". Ed essi le riempiono. E poi: "Prendete, ora, e portatene a chi dirige il banchetto". Dall'ascolto della sua Parola, da questi gesti semplici e normali, accade quanto di più inatteso: comincia a sgorgare il vino inesauribile, comincia il pasto della festa, si realizza la profezia del pasto del Signore. A Cana si inaugura una radicale novità: l'inizio dell'azione creatrice di Gesù, compimento imprevedibilmente nuovo di un'attesa tenuta viva a lungo dalla parola dei profeti.
"Non hanno vino": è la constatazione che la madre di Gesù fa', rivolgendosi a Gesù. E' la constatazione di uno stato di povertà in cui si trovano tutti gli invitati a nozze: ma che festa di nozze è, quella nella quale non c'è vino? Tutto parte dalle sei anfore di pietra destinate alla purificazione rituale, per compiersi nel versarsi di un vino di qualità: tutto è così concreto, e tutto è simbolico. La situazione di povertà, di mancanza, di tristezza, ascoltando la parola di Gesù e mettendola in pratica, si trasforma in gioia piena, sovrabbondante: il compimento e la discontinuità del tempo della salvezza avviene intrecciandosi con la continuità dell'Alleanza. Il passaggio essenziale deve compiersi andando dalla Parola trasmessa da Mosè con i suoi precetti e i propri riti, all'incontro personale con Gesù, la Parola creatrice. Le anfore vuote devono essere riempite d'acqua fino all'orlo: senza quest'acqua non ci sarebbe vino. Non c'è soppressione, ma trasformazione. L'acqua diventa vino e lo diventa nell'atto del servizio compiuto dai ministri: "Attingete...portate...". Il servizio diventa il luogo di una ri-creazione.
Ecco il segno fatto da Gesù: le nozze che rischiavano di essere un momento di angoscia, di tristezza, diventano una gioia. La situazione di povertà in cui gli sposi si trovavano diventa esperienza di sovrabbondanza: nella povertà umana, nella impotente fragilità irrompe l'inesauribilità del dono gratuito di Dio. Il vino buono adesso c'è: è una sorpresa per colui che dirigeva il banchetto, un dono inatteso per lo sposo. Gli unici che sanno da dove viene il vino buono sono coloro che servono: è l'inizio dei segni, è l' "archetipo" dei segni, la sovrabbondanza dei doni, la festa di nozze, un'umanità in cui chi serve conosce il mistero che rende possibile la gioia della vita. Occorrerà camminare all'interno di questo "segno", "vedere" gli altri "segni", fino alla Croce, come discepoli amati da Colui che è l'Amore del Padre, per essere la comunità di coloro che prendono con sé la Madre di Gesù, umanità che vive la vita nuova, servizio di amore capace di trasformare l'acqua in vino.
A Cana nasce un'umanità nuova: in trasparenza Giovanni comincia a delineare la comunità dei discepoli che credono in Gesù e vivono la vita nuova, la vita di Dio. Dove nasce la vita è presente la Madre. A Cana "c'era la madre di Gesù". In Giovanni il nome di Maria non è mai presente, quando parla della madre di Gesù, interpellata come "donna". La madre di Gesù è presente all'inizio del ministero di Gesù e alla fine: Cana e la Croce. È lei, con i discepoli di Gesù, presente a Cana: è lei che prende coscienza della situazione degli sposi: "Non hanno vino". È lei che parla con Gesù: non gli chiede nulla, solo lo rende partecipe del bisogno di vita nuova. La risposta di Gesù in realtà è misteriosa e provocatoria: "Che c'è tra me e te, donna?" Che relazione c'è tra Gesù e questa donna? Solo quello biologico tra madre e figlio? Solo quello psicologico? "La mia ora non è ancora venuta": l' "ora di Cristo" è la Croce, l'ora del dono dello Spirito, della vita nuova. L' "ora di Cristo" è quella voluta dal Padre, a cui il Figlio ubbidisce.
"Qualunque cosa vi dica, fatelo": la madre di Gesù si rivolge ai servitori con le parole dell'esortazione rivolta al Sinai al popolo perché aderisca alla Parola di Dio. La madre di Gesù vive una radicale relazione con Dio: per questo sperimenta la fragilità umana amata da Dio. Per questo, lei sola sa che Gesù è il Figlio generato in lei per opera dello Spirito d'Amore che riempie la povertà dell'uomo. La sua relazione con Gesù non è solo psicologica o biologica: lei è la madre che ha accolto l'Amore di Dio e lo ha generato per il mondo. Per questo sarà presente al "compimento" dell' "ora della Croce", che a Cana comincia: nasce la comunità dei discepoli di Gesù, della vita nuova, del vino buono e sovrabbondante. Ma perché nasca Gesù nella carne povera dell'uomo, occorre una donna che sperimenti il nulla della creatura, lasci spazio a Dio, per diventare la Madre del Figlio di Dio: e perché nasca la comunità dei discepoli di Gesù, sarà sempre necessaria la donna che si apre a Dio per generare i suoi figli. Per questo la "donna" madre di Gesù, in Giovanni non ha nome, come non ha nome il "discepolo che egli ama": perché il nome è quello di ogni donna che come Maria si apre all'Amore di Dio per generare i suoi figli.

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