venerdì 4 marzo 2011

Domenica, 6 Marzo 2011: il vero pentimento

DOMENICA ULTIMA DOPO L'EPIFANIA - detta "del perdono"

LETTURA
Lettura del profeta Osea 1, 9a; 2, 7a.b-10. 16-18. 21-22

Il Signore disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio lino, / il mio olio e le mie bevande”. / Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, / la sbarrerò con barriere / e non ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, / perché stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio, / e la coprivo d’argento e d’oro, / che hanno usato per Baal. / Perciò, ecco, io la sedurrò, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore. / Le renderò le sue vigne / e trasformerò la valle di Acor / in porta di speranza. / Là mi risponderà / come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì dal paese d’Egitto. / E avverrà, in quel giorno / – oracolo del Signore – / mi chiamerai: “Marito mio”, / e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. / Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nell’amore e nella benevolenza, / ti farò mia sposa nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore».

SALMO
Sal 102 (103)

® Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. ®

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. ®

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 1-4

Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 15, 11-32

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Commento


Il testo può essere compreso meglio se lo si collega alle prime righe del cap.15. Esse, infatti, danno
il vero significato della parabola del Figliol prodigo, oltre quelle della pecora smarrita e della
dramma ritrovata.
“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano
dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi
di voi, se ha cento pecore..;.Oppure, quale donna,.;.Disse ancora: «Un uomo aveva due figli..” (15,1-
4)
Gesù, nel vangelo di Luca, racconta queste tre parabole, e, in particolare la terza, poiché sta
svelando l’amore di Dio verso “i pubblicani e i peccatori” e sta rispondendo alle mormorazioni dei
giusti: i farisei, i teologi, i cultori della legge che rifiutano l’accoglienza e la misericordia di Gesù,
così sfacciata e così scandalosa.

Perciò queste parabole non sono rivolte ai peccatori. Quando nel
Vangelo si dice “Egli disse loro” (v 3) significa che Gesù affronta i perfetti, i puri: sono loro coloro
che pretendono di conoscere Dio e la sua giustizia. A loro Gesù parla e dice: “Ecco, con il loro
rifiuto verso chi sbaglia, i giusti e i puri mettono addirittura a rischio il loro rapporto con Dio e ne
deformano la conoscenza, come il fratello maggiore”.

Questa lettura è particolarmente evidente nella seconda parte della parabola del figliol prodigo, che
pure è un racconto splendido ed esaustivo. Ma nella seconda parte acquista un rilievo fondamentale
l’atteggiamento del fratello maggiore, come posizione precisa e scandalizzata dei giusti.

Il figlio più giovane di un ricco possidente pretende la sua parte di eredità. A lui che è secondogenito
spetta un terzo dei beni mobili mentre il patrimonio immobiliare spetta integralmente al primogenito
(Deut 21,17; Lev 25,23 e ss). Al padre, comunque, resta l'usufrutto di tutto ciò che ha, fino alla sua
morte.

Il padre non fa nessuna resistenza e divide le sostanze tra i due figli. Il figlio più giovane va in un
paese lontano, tra i pagani, visto che usano pascolare i porci. Vive senza una linea morale se non
quella del capriccio, del gusto, dell'interesse, dell'emotività, dell'esibizionismo, dello sciupio. La
ricerca dei piaceri, di falsi amici e di aberrazioni sessuali si concludono non solo per nausea ma
anche per esaurimento di risorse economiche. Alla fine, per poter campare, questo giovane
spensierato deve adattarsi al primo lavoro che capita e che risulta degradante poiché deve pascolare
animali impuri, senza, tra l’altro, la possibilità di ricuperare possibilità di vita.

Il ragazzo, finalmente, "rientra in sé", il che non vuol dire che si pente ma, stretto dal bisogno, riesce a capire
d'aver impostato una linea di vita totalmente sbagliata e inconcludente. Il ricordo della vita ordinata,
del benessere di casa, dell'accoglienza e del rispetto di cui era egli stesso onorato gli fa prendere la
decisione di tornare comunque, calpestando anche l'orgoglio. Scopre che il problema che gli si pone
è quello della sopravvivenza. E, fondamentalmente, ha fiducia di un padre che lo saprebbe
accogliere, almeno così spera, sapendo certamente porre alcune sue condizioni: di resa: “Non più la
considerazione di figlio, ma il lavoro come un salariato” ecc.

La descrizione del padre è riassunta in cinque verbi: "Il padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e continuò a baciarlo" (v 20). E al figlio a cui anche i porci hanno
negato le carrube, dona una veste lunga (la più bella), l'anello al dito (il sigillo dell'autorità sui servi
e sui beni del padre), i sandali ai piedi (è l’uomo libero; gli schiavi camminano scalzi).

La festa è il segno della gioia in cui il padre ripropone il figlio al vertice della sua pregressa dignità,
con un atto completamente gratuito in cui non viene verificato assolutamente la presenza o meno del
pentimento. È il segno di un amore senza condizioni che il padre offre, senza cercare, tra l’altro, il
consenso del figlio maggiore.

Questi ritorna, sfinito dal lavoro, e stordito s'informa con stupore della festa in casa sua, organizzata
a sua insaputa e comunque assolutamente eccezionale. Il servo è corretto e dà le indicazioni
fondamentali di comprensione. Ma a questo punto il padre deve uscire anche per il figlio fedele che
rifiuta di entrare. Questi ritiene, infatti, di avere buoni motivi per dissentire.

Non ha ancora scoperto il cuore del padre (non lo chiama mai così, mentre il figlio minore, ritornato,
chiama il padre cinque volte quasi per riabituarsi a quell'unico elemento che gli permette di fermarsi in quella casa. Ad
analizzare bene le cose, il figlio minore scopre il padre quando torna, il figlio maggiore non sa
ancora scoprire il Padre, con cui ha vissuto poiché nel suo cuore ha sempre e solo considerato un
padrone.

La parabola finisce qui: non si sa se il fratello maggiore sia entrato a far festa, non si sa quali
rapporti siano iniziati tra i due fratelli. L'unica realtà certa è che il padre deve continuamente
rieducare coloro che gli sono figli, perché scoprano in lui una paternità preziosa, profonda ed anche
diversa che si manifesta per ciascuno in modo unico ed ineguagliabile.


Pillola spirituale

E' la gratuità che rende vero e stabile l'amore.
Anche se l'altro ti abbandona,
il tuo amore verso di lui non viene meno.
Soffri, ma non viene meno.
E' come l'amore del Crocifisso: rifiutato, dona la vita per chi lo rifiuta.

Approfondimento

Il vero pentimento
IL PENTIMENTO (O DOLORE DEI PECCATI)


Dal Signore impariamo una certa successione: Egli è venuto per patire, ma finché non è venuta l'ora non anticipa la passione.

Quindi bisogna riconoscere con chiarezza tutti i peccati, la loro gravità, e sentirli come nostri, poi viene il momento del pentimento.

Che cosa significa pentirsi ?

Pentirsi vuol dire che siamo inorriditi per la grande distanza che c'è, a causa del peccato, tra Dio e noi.
Nel pentimento non c'è posto per scuse o per attenuanti in considerazio¬ne delle circostanze.
Dobbiamo guardare in faccia la nostra colpa in quanto colpa e misurarne la gravità.
Per capirne la gravità non dobbiamo guardare solo a ciò che abbiamo commesso, ma soprattutto a ciò che Dio fa per noi.
Anche per il penti¬mento Gesù resta il nostro modello.
Gesù porta i nostri peccati al Padre in un amore cosi purificante che il Padre vede solo l'amore e l'opera di riconciliazione del Figlio.
Nessuna difficoltà, nessuna stanchezza, nessun viaggio, nessun discorso,
nessun miracolo è in grado di distogliere Gesù, durante la sua vita,
da questo atteggiamento di amore.
Da questa vicinanza del Figlio con il Padre, noi possiamo capire quanto ci siamo allontanati.
Non abbiamo altra misura per capire la vicinanza che avevamo nei giorni della grazia e che ora abbiamo perduto.
Solo se usiamo questo modo di misurare il nostro peccato ci avviciniamo al pentimento cristiano.
Infatti il pentimento cristiano non è quello di chi è dispiaciuto di non essere migliore di ciò che è, ma è quello che viene dal percepire quanto ci siamo allontanati dall'amore
di Dio. Questo pentimento deve cagionare dolore, infatti se è cristiano non è un semplice atto d'intelletto, ma coinvolge il cuore.

Il dolore deve essere del nostro cuore, del cuore che avrebbe dovuto amare e che non ha amato.
*****

Da che cosa deve nascere il dolore ?

Dal fatto che abbiamo peccato davanti a Dio, al suo amore che è più grande di ogni altra realtà.

Questa circostanza: "Davanti a lui", deve essere tenuta presente nel modo più concreto possibile per suscitare il pentimento.

Ciascuno deve dire a se stesso: "proprio davanti al suo volto ho preso posizione contro di Lui"; bisogna mettersi davanti agli occhi, al vivo per quanto è possibile, questa situazione.

Dio in Gesù Cristo ha rivelato il suo amore infinito per me e non ha avuto esitazione a salire sulla Croce e io l'ho guardato in faccia e l'ho tradito o, almeno, l'ho dimenticato.

Il suo amore è la realtà sconvolgente che fa nascere il dolore.

Come è accaduto a Pietro che pianse amaramente per aver tradito colui che anche per lui sta per dare la vita.
Proprio perché il dolore nasce dall'amore di Dio per noi esso non può rimanere solo dolore, ma diventa anche certezza della salvezza, certezza che non saremo mai abbandonati.
"Chi potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù" Rm. 8 dice S. Paolo.

L'amore di Dio è il fondamento del dolore, ma anche della speranza.

Il peccatore nel fondo della sua fede conosce questo amore che non può mai andare perduto per lui, e che è la prima causa che rende possibile il pentimento.
Solo mettendosi dal punto di vista di Dio il dolore diventa perfetto.
Quello che veramente conta è che il motivo della conversione: deve essere Dio e l'amore per lui.

Uno potrebbe chiedere se ci sono altri motivi per essere addolorati. oltre all'amore di Dio.
Bisogna rispondere che molte persone si addolorano più per se stesse che non per Dio:
c'è chi si addolora perché non è riuscito ad essere come avrebbe voluto ed è ferito nel suo orgoglio;
c'è chi non è riuscito a mantenere una promessa fatta agli altri e si sente sminuito agli occhi altrui.

Questi tipi di dolore non sono quelli giusti.

Primo perché non ha niente a che fare con Dio, anzi si dimentica di Dio.
Secondo perché molto spesso conduce alla paralisi e allo scoraggiamento. Si vede che non ce la si fa proprio e invece di impegnarsi di più, si lascia pian piano ogni sforzo per migliorarsi: forse senza essere esplicito è questo l'atteggiamento più ricorrente delle cattive confes¬sioni.

Ci sono persone che non si ritengono obbligate a mostrare un serio pentimento davanti a Dio e si limitano a un pò di rammarico solo con se stessi.
Questo significa non ubbidire al Signore, non capitolare davanti a Lui e voler tenere il coltello dalla parte del manico.
In questo modo la relazione di vivo amore tra Dio e l'uomo presto o tardi si estinguerà.

CHE COSA SUCCEDE INVECE QUANDO IL DOLORE E' AUTENTICO ?

Se uno è completamente afferrato da un dolore vero vede non solo i peccati commessi, ma anche tutta la propria vita lontana da Dio. E di tutto ciò non ne vuole più sapere
Emerge il desiderio vivissimo di estinguere questa vita per lasciare il posto alla "novità" dell'amore di Dio e, quindi, alla speranza.

Se vogliamo usare un'immagine, è come se il peccatore vedesse se stesso come un morto al quale il Signore risorto offre la possibilità di rientrare nella vita.
Il Signore ci dona qui una parte della sua vita eterna, e il dolore della confessione è come un raggio della vita eterna che entra nella situazione di morte in cui si trova il peccatore e lo illumina e lo conduce alla rinascita.

Il dolore vero dei peccati proprio perché fa entrare in comunicazione con la luce di Dio, diventa stimolo potentissimo all'azione, al cambia¬mento.

Mentre il dolore falso scoraggia, il dolore vero porta alla trasforma¬zione dell'essere: il cristiano addolorato non vuole stare più lontano dal Signore e cerca la strada del ritorno, che significa la strada della conversione.

Qualcuno potrebbe dire: "ma che senso ha tutto questo discorso sul dolore, quando poi tutto ritorna come prima ?".

Dopo la confessione ritorna tutto come prima ?
E' vero ?
Solo se si ha una fede limitata e un amore povero si può pensare questo.
Può pensare cosi solo chi guarda a se stesso e alle sue impossibilità e si dimentica di guardare a Dio e alle sue possibilità. Dobbiamo ricordarci della parola di Gesù: "ciò che impossibile agli uomini è possibile a Dio".
Chi è veramente addolorato per il proprio peccato cerca di tornare a Dio con tutte le forze e si impegna nel combattimento per una vita rinnovata, avendo fiducia nell'aiuto di Dio.
In tal modo la confessione fatta mensilmente o settimanalmente porta sempre qualche cosa di nuovo. Se non altro il desiderio sincero di stare vicino a Dio e di non tollerare la lontananza da Lui.

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