giovedì 11 aprile 2013

TOGLI LE LENTI DA SOLE DAVANTI ALLA LUCE DI CRISTO Domenica 14 aprile III domenica T. Pasqua (Anno C)



Domenica 14 aprile III domenica T. Pasqua (Anno C)

At 28,16-28
In quei giorni. Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.
Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti sappiamo che ovunque essa trova opposizione».
E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri:
Va’ da questo popolo e di’:
Udrete, sì, ma non comprenderete;
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano, e io li guarisca!
Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!».
Parola di Dio.
Luca fa finire il racconto missionario della
prima Comunità cristiana (Gli Atti degli
Apostoli) a Roma, con la venuta e la detenzione di Paolo. Paolo mantiene l'impegno
dell’evangelizzazione, iniziando dai fratelli Ebrei. E, di fatto, essi accettano di parlare con
lui poiché sa offrire credenziali di valori, garantendo che avrebbe parlato della “speranza
di Israele".
Non ci sono preconcetti, né sono state inviate spie o staffette per scoraggiare e mettere in
cattiva luce Paolo. Così, nello stile di una fiduciosa amicizia, l'appuntamento con Paolo si
profila come una spiegazione della vita di Gesù che pure trova "ovunque opposizione”.
Comunque Paolo deve entrare nel merito del messaggio e lo fa utilizzando tutta la sua
conoscenza e preparazione biblica "cercava di
convincerli riguardo a Gesù partendo dalla
legge di Mosè e dai profeti" (28,23).
L'esperienza del dialogo con i fratelli Ebrei e i loro Notabili si dimostrò povera perché,
non ci fu accordo e anche coloro che erano disposti ad accogliere le parole di Paolo, per la
confusione e la discussione accesa, "se ne andarono a casa". E questo significò un
ennesimo smacco per il compito di evangelizzazione assunto.
Paolo non rinuncia a priori, non trova scuse poiché i suoi fratelli nella fede hanno diritto di
essere i primogeniti della salvezza. Poi ritorna sul
lamento di Isaia
(28,26-27) che in
seguito fu fatto proprio dal racconto dei 4 Evangelisti per giustificare il rifiuto di Israele di
fronte alla predicazione di Gesù.
La conclusione è l'universalismo: "questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse
ascolteranno" (28,28). Paolo non si scoraggia, ma opera "con franchezza e senza
impedimenti" (28,30) con tutti quelli che venivano a lui.
Si fanno spesso programmazioni e progetti, ma poi il Signore ti conduce per altre strade
che vanno riconosciute e seguite.

Salmo (Sal 96(97))
Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria. oppure: Alleluia, alleluia, alleluia.
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Giustizia e diritto sostengono il suo trono. R.

Annunciano i cieli e la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria.
A lui si prostrino tutti gli dèi. R.

Tu, Signore,
sei l’Altissimo su tutta la terra,
eccelso su tutti gli dèi. R.
Epistola
Rm 1,1-16b
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché della vostra fede si parla nel mondo intero. Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, come io continuamente faccia memoria di voi, chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio, io abbia l’opportunità di venire da voi. Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito – per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma.
Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.
Parola di Dio.
La Lettera ai Romani, di cui leggiamo l'inizio, si pone a criterio e a risposta della base
dell’esistenza umana: qual è la posizione giusta per l'uomo di fronte a Dio?
Paolo suggerisce che la risposta giusta è la fede, grazie alla quale l'uomo crede, si
consegna a Dio e si fida della sua Parola.
Da questa consapevolezza nasce il senso dell
a propria vocazione, dice Paolo. "Sono stato
chiamato e scelto per annunciare il Vangelo di Dio (1,1). Questo Vangelo è Gesù, che nella
sua esistenza fu discendente di Davide secondo la carne, e Figlio di Dio, risuscitato dai
morti, secondo lo Spirito" (1,2-4). In Gesù si attuano insieme la presenza del finito e
dell’infinito, della carne e dello Spirito.
Paolo continua a pensarsi strumento di Di
o, schiavo e proprietà del Signore, poiché
interpreta i fatti personali come indicazioni di Dio. L'aver ricevuto la grazia (a Damasco -
Atti 9) lo rende apostolo per suscitare
l'obbedienza della fede in tutte le genti".
E coloro che incontrano la fede e l'accettano risultano santi per chiamata di Dio e
meritevoli del saluto “Grazia e pace”, che indica, per chi è cristiano, la benevolenza di Dio
(Grazia) e la pace tra i fratelli (1,7) La riflessione che stiamo compiendo in questo "anno sacerdotale" ci ricorda che elemento fondamentale, per tutti i credenti, è il culto. Lo stesso Paolo ci ricorda il vertice del suo culto che consiste nell'evangelizzare: il sacrificio di Gesù in Lui si attua nell'impegno di manifestarlo come Signore e Salvatore. "Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il Vangelo del Figlio suo" (1,9).
Paolo insegna, qui ed in altri testi (es. Rom 12,1 ss), che il culto si vive nella vita: è il
culto spirituale che ognuno propone mentre opera con responsabilità ed amore azioni ed
impegni che sono misurati nella fede. E’ la quotidianità sviluppata secondo la propria
vocazione di sacerdote, lavoratore, imprenditore, politico, sindacalista, professionista ecc.
La consapevolezza per cui agiamo nella fede e sulla quale ci misuriamo nasce da: “Non mi
vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (1,16).


Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 14,23)
Alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.
Vangelo: Gv 8,12-19
In quel tempo. Il Signore Gesù parlò agli scribi e ai farisei e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».
Parola del Signore.
Il clima intorno a Gesù è infuocato. Nei capitoli precedenti c’è un gran parlare, in sordina,
tra persone che si pongono il problema della sua identità. Ma se ciascuno si dibatte su
interrogativi, ipotesi, speranze, congiunture, i
capi dei giudei, i capi dei sacerdoti e i farisei
fanno di tutto per fermare Gesù che predica.
E se hanno cominciato con le guardie che tornano disorientate dalla parola di Gesù,
continuano con il compromettere Gesù, mettendolo a confronto con la legge di Mosè.
Così provocano la fedeltà di Gesù alla legge, portandogli una donna “sorpresa in fragrante
adulterio” (8,4). La soluzione del giudizio non entra nel merito della legge, ma sulla
responsabilità di chi vuole giudicare. Il problema della legge, anche per Mosè, non è
l’ossequio formale, ma una pulizia interiore che l’uomo non sa raggiungere.
Perciò nelle mani di Gesù, la legge è una verifica di una coerenza interiore, non uno
strumento di potere che interviene con durezza e senza nessuna possibilità di misericordia.
La vita di questa donna, per loro, è anche tranello per la vita di Gesù. Gesù risponde
invitando le persone alla verifica di una propria coerenza interiore. Solo dopo possono
permettersi di diventare giustizieri per la legge, se si riconoscono in coscienza santi. “Chi
di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (8,7).
In queste contraddizioni e confusioni, Gesù, finalmente, si proclama luce: “Io sono la luce
del mondo”. L’affermazione si rifà a quella serie di risposte che accompagnano la vita e i
fatti (“segni”) di Gesù. “Io sono” suscita l’eco della rivelazione di Dio sul Sinai e,
insieme, esplicita la bellezza del dono che la pienezza di Dio offre.
“Io sono la luce”, ma anche: “Io sono il pane, il pastore, la porta, la vita”. In queste
manifestazioni c’è lo svelarsi strano di Gesù e la polemica successiva. Gesù sapeva che
non potevano capirlo, ma continua a parlare di rivelazione e testimonianza. La rivelazione
di Gesù è completa poiché egli dà un volto nuovo a Colui in cui ciascuno crede.
Garantisce, secondo la legge, che i testimoni sono
2 (Deut. 19,15): Lui e il Padre; ed invita
a ripensare in modo nuovo la fede.
E’ Gesù che illumina, che manifesta stili e contenuti. E’ Lui che si fa Guida e che
arricchisce della luce di vita. Ognuno tenti, nonos
tante le difficoltà, di farsi discepolo per
entrare nella comunione e nella luce del Padre e di Cristo.

PER LA NOSTRA VITA

1.
Tocca addormentarsi in alto nella luce.
Tocca restare svegli in basso nell’oscurità intraterrestre. [...]
Laggiù nelle “profondità”,
negli inferi il cuore veglia, non si concede
riposo, si riaccende in se stesso. In alto, nella luce
il cuore si abbandona, si concede. Si raccoglie
[...]
Si addormenta infine senza più pena.
Nella luce che accoglie dove non si patisce violenza alcuna”.

2.
Partecipiamo a una luce che viene molto dall’alto; la nostra intelligenza non afferra
l’Assoluto
con una presa sempre astratta
senza essere stata afferrata da Lui. E’ ciò che si
esprimerà dicendo con una tradizione che risale a S. Paolo, che se vi è una conoscenza di
Dio, anche naturale, in fin
dei conto è per “rivelazione” di Dio. “Per e
s
sere illuminato
bisogna essere guardato”. “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.

3.
La giustizia di Dio si rivela nel vangelo per il fatto che nessuno è escluso dalla
salvezza, sia che venga come
giudeo, sia che venga come greco o come barbaro. Infatti a
tutti ugualmente il Salvatore dice:
Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi
(Mt 11,28).
Circa l’espressione
da fede in fede
poi, abbiamo già detto sopra che anche il primo popolo si
trovava nella fede poiché aveva creduto a Dio e al suo servo Mosè e ora da quella fede è
passato alla fede del vangelo.
Ciò che poi dice, tratto dalla testimonianza del profeta Abacuc:
Il giusto vivrà della fede
(Ab 2,4), è inteso sia di colui che è nella
legge, affinché creda pure ai vangeli, sia di chi è nei
vangeli, affinché creda pure alla legge e ai profeti. Infatti l’una cosa senza l’altra non arreca
la pienezza della vita.

4.
L’Evangelo non ha bisogno di cercare né di fuggire il conflitto delle rel
igioni e delle
visioni del mondo. Come annunzio della limitazione del mondo conosciuto per opera di un
altro, sconosciuto, esso è fuori concorso nei confronti di tutti i tentativi di scoprire e rendere
accessibili, nell’interno del mondo conosciuto, zone
di esistenza più elevate, relativamente
sconosciute. Esso non è una verità accanto ad altre verità, esso pone in questione tutte le
verità. Esso è il cardine, non la porta. Chi lo comprende in quanto impegnato nella lotta per
il tutto, per l’esistenza, è
liberato da ogni lotta. Non vi è apologetica, non vi è
preoccupazione per la vittoria dell’Evangelo. In quanto è la negazione e la fondazione di
ogni dato, esso è la vittoria che piega il mondo. Esso non ha bisogno di essere patrocinato e
sostenuto, anzi,
difende e sostiene coloro che lo  ascoltano e lo annunziano. Per la causa
dell’Evangelo non è necessaria la venuta di Paolo in Roma, agitata da tutti gli spiriti, come è
certo che in virtù dell’Evangelo egli può venire e verrà fiducioso e senza vergogna.
Noi
saremmo inutili a
Dio,
Dio dovrebbe vergognarsi di
noi,
se non fosse Dio
in ogni caso non
il contrario.
L’Evangelo della risurrezione è
“potenza di Dio.”
Esso è la sua “virtus” (Vulgata), la
rivelazione e la conoscenza della sua importanza, la dimostrazione della sua eccellenza sopra
tutti gli dèi. Esso è l’azione, il miracolo dei miracoli, in cui Dio si dà a conoscere come
quello che è, cioè come il Dio sconosciuto che abita
 in una luce inaccessibile, il Santo, il
Creatore, il Redentore.
«Quello che voi avete adorato senza conoscerlo, io ve l’annunzio!»
(Atti 17:23).
Tutte
divinità
che rimangono al di qua della linea segnata dalla risurrezione,
che abitano in templi fatti d’opera di mano, e che sono serviti da
mani d’uomini, tutte le
divinità che hanno “bisogno di qualcuno” cioè dell’uomo che pensa di conoscerle (Atti 17:24-25), non sono Dio. Dio è il Dio sconosciuto

5.
La potenza di Dio è potenza
“per la salvezza.”
L’uomo si trova in questo mondo in
prigione. Una riflessione alquanto profonda non
può concedersi nessuna incertezza sulla
limitazione delle possibilità che sono qui e ora a nostra disposizione. Ma noi siamo più lontani da Dio, il nostro inganno verso lui è più
grande (1: 18; 5: 12) e le sue conseguenze sono sempre ancora più vaste (1:24; 5:12)
di quanto ci permettiamo di pensare. L’uomo è signore di se stesso. La sua unità con Dio è lacerata in un modo tale che non siamo nemmeno piú in grado di rappresentarci la sua restaurazione. La sua creaturalità è la sua catena.
Il suo peccato è la sua colpa. La sua morte è il suo destino. Il suo mondo è un informe
ondeggiante caos di forze naturali, psichiche e altre. La sua vita è un’apparenza. Questa è la nostra situazione.
 “Vi è un Dio?” Domanda veramente legittima! Concepire questo mondo
nellasua unità con Dio, è colpevole arroganza religiosa, se non è la conoscenza ultima di ciò
che è vero al di là della nascita e della morte, conoscenza che viene da Dio. La presunzione
religiosa deve sparire, se deve subentrare ad essa la conoscenza che vien
e da Dio. Quando  circolano monete false, anche le buone sono sospette. L’Evangelo offre la possibilità di
questa conoscenza ultima. Ma perché divenga realtà, essa deve mettere fuori corso tutte le
concezioni penultime. L’Evangelo parla di Dio come è, esso
intende Lui stesso, Lui solo.
Esso parla del Creatore che diventa , il nostro Salvatore e del Salvatore che è il nostro
Creatore. Esso tende a rinnovarci in tutto e per tutto. Esso ci annunzia la trasformazione
della nostra creaturalità in libertà, la remissione dei nostri peccati, la vittoria della vita sulla
morte, il rinvenimento di tutto ciò che è perduto. Esso è il grido di allarme, il segnale
d’incendio di un mondo nuovo che viene.



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