venerdì 8 luglio 2011

DOMENICA 10 Luglio 2011 IV DOPO PENTECOSTE

Commento alle letture e approfondimento sul tema della globalizzazione come periodo storico che stiamo vivendo.


LETTURA
Lettura del libro della Genesi 6, 1-22

In quei giorni. Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo –, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Questa è la discendenza di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e, a un cubito più sopra, la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli, secondo la loro specie, del bestiame, secondo la propria specie, e di tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie, due di ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro». Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece.

SALMO
Sal 13 (14)

® L’alleanza di Dio è con la stirpe del giusto.
Lo stolto pensa: «Dio non c’è».
Sono corrotti, fanno cose abominevoli:
non c’è chi agisca bene.
Il Signore dal cielo si china sui figli dell’uomo
per vedere se c’è un uomo saggio,
uno che cerchi Dio. ®

Sono tutti traviati, tutti corrotti;
non c’è chi agisca bene, neppure uno.
Non impareranno dunque tutti i malfattori,
che divorano il mio popolo come il pane
e non invocano il Signore? ®

Ecco, hanno tremato di spavento,
perché Dio è con la stirpe del giusto.
Voi volete umiliare le speranze del povero,
ma il Signore è il suo rifugio. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 5, 16-25

Fratelli, vi dico: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Luca 17, 26-30. 33

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva».

Commento

Le tre letture di questa domenica si aprono ad una riflessione sulla storia:

a. Il mondo in cui siamo si deforma e si depaupera sempre di più nella violenza fino al punto da

arrivare alla dissoluzione e alla morte (1 lettura).

b. Gesù nel Vangelo dice: "Siete posti nel mondo per essere un segno di speranza” e quindi ci chiede di

vivere ciò che il Vangelo di Matteo ci fa leggere: "avete udito ma io vi dico" (Mt cc5-6)

c. San Paolo ci dà la traccia di pensieri e di sentimenti nuovi da vivere nelle nostre comunità e nel

presente: nel tempo e nello spazio, in cui ci troviamo. Rispetto al tempo di Noé e di Lot, Gesù ci dà strumenti

nuovi. Rinnovare il mondo con la gente che incontriamo, garantì di valori e spessori che possono sembrare

perdita di vita. Eppure portano ad un tempo di sconcertante novità.

Lettura del libro della Genesi 6, 1-22

L’autore biblico vuole continuare l'insegnamento sui grandi fatti dell'umanità, fino ad arrivare alla scelta che

Dio farà con il piccolo popolo d’Israele, iniziando con Abramo. Così i primi 11 capitoli del libro della Genesi,

che comprende anche il racconto del diluvio, aiutano a ripensare al progetto di Dio, al disfacimento di ciò che

si è incancrenito, alla ricomposizione di una realtà nuova e infine alla costituzione di un'Alleanza.

Siamo in un racconto detto “Preistoria biblica” dove gli elementi fondamentali sono delle linee teologiche che

esprimono i progetti di Dio, utilizzando un materiale culturale corrente nel tempo e che ha, come protagonista,

l'uomo in quanto tale, e cioè l'unica umanità di tutti i tempi, creata da Dio, come vertice della creazione,

ricaduta nella miseria a causa del peccato liberamente commesso. Nel testo vengono riportati i racconti simili

ai miti presenti nelle diverse culture del medio-oriente, in particolare dei cananei e degli assiro-babilonesi. E

tuttavia rispetto a questi il racconto rivela una diversa concezione del cosmo e dell'umanità, compresi alla luce

della fede dell'unico Dio Creatore e Salvatore. L'adattamento, ovviamente si è formato secondo criteri personali

dell'autore o degli autori, formati nella coscienza di fede ebraica.

Nella cultura medio-orientale erano conosciuti racconti di inondazioni diverse, ma soprattutto quella raccontata

e ritrovata scritta su tavolette circa episodi nella vita di Gilgamesh: potrebbe essere il richiamo di una enorme

inondazione, comunque la si voglia identificare. Il racconto vuole avere il significato di un castigo di Dio che

vuole cancellare una umanità dissoluta. Molti elementi mitici e mitologici conosciuti vengono recuperati

all'interno del disegno di Dio che si presta ad una riflessione sulla storia. Così l'autore biblico utilizza molto

materiale antico esistente, lo tratta con molto rispetto e nello stesso tempo lo interpreta.

I figli di Dio non sono tanto semidei come poteva far pensare una mitologia orientale, ma i discendenti dei

giusti che però sposano le figlie degli uomini (potrebbero essere identificate come le città Cananee, città come

spose). Tra gli ebrei era proibito sposarsi con delle straniere che potevano portare costumi ed usi licenziosi, e

comunque culture idolatriche. In tal modo l'incontro matrimoniale si sviluppa spesso in poligamia, in

dissoluzione sessuale, in turbamenti di rapporti che non mantengono coerenza e correttezza.. In questo caso si

decade lentamente nella perversione e, dice l'autore biblico, un Dio che ha fatto tutte le cose belle, si ritrova

con una umanità che sta dissolvendo ogni patrimonio di valori e di bellezza. Da qui il linguaggio umano di Dio

che si pente; e il pentimento viene manifestato attraverso la distruzione di ciò che vive. E tuttavia il Signore sa

guardare l'onestà e la bellezza che ancora esiste in una famiglia e quindi viene consegnato a Noè, ai suoi tre

figli e alle quattro donne della famiglia, il compito di salvarsi dalla distruzione, salvando l'umanità e la vita

degli animali per poter così ricominciare un progetto nuovo.

Per amore di giusto vengono la salvezza e il perdono.

Se finora gli anni della vita sono stati enormemente allargati, ora si riducono fino ai 120 anni (drastica

riduzione rispetto agli antenati). Nel frattempo Noè riceve il compito di costruire l'arca: è un natante, a forma di

cassa, lunga circa 150 m, larga 25 m e alta 15 m (il cubito è 46 cm). L'autore biblico si preoccupa anche di

rendere verosimile il manufatto perché Noè non può avere a disposizione colonne ma solo tronchi d’albero. Si

limita perciò a tre piani, secondo la divisione del mondo: sotto terra, la terra e il cielo. L’arca non ha né prua, né

poppa, né remi, né timone. E’ destinata a galleggiare e non ad arrivare ad una destinazione particolare. A ben

vedere, tuttavia, ci si preoccupa di parlare di un tempio più che di una nave e Noé compie tutto quello che il

Signore ha detto, senza pensare di programmarsi un futuro. Egli accetta di restare nelle mani di Dio. Il testo

merita di essere letto fino alla sua conclusione (capitolo 9) mentre vengono riferiti molti elementi concreti e

curiosi, dipendenti dalle fonti da cui è tratto il racconto. Se si vuol fare un esempio, tutto assomiglia ad un

avvenimento storico riportato su un dipinto. Mentre si fa conoscere delle linee generali, non si possono

dimenticare i particolari concreti che nessuno, però, scambia per realtà oggettiva. Gli elementi fondamentali di

questo racconto sono l'arca (ripetuta 7 volte) il diluvio (v 17) e l'alleanza (v 18).

L'umanità non è capace di reggere il rapporto con Dio e si lascia travolgere dalla propria potenza, e

sottomettere dalla seduzione. Il Signore vuole riportare questo mondo ad una sua bellezza, pur nella fragilità di

una umanità mortale. Egli vuole stabilire un rapporto di amicizia reciproca e di rispetto. Noè sarà all'altezza

della situazione e Dio stesso garantirà che l’umanità non sarebbe più stata distrutta da un diluvio.

lLa lettera ai Galati è stata scritta attorno all'anno 55 d.C ed è stata inviata alle chiese che abitano nella Galazia,

al centro dell'attuale Turchia, visitate da Paolo nel suo primo viaggio missionario. Paolo affronta una realtà che

si sta dimostrando ambigua: nella comunità cristiana si inseriscono alcuni giudeo-cristiani che ribadiscono la

necessità della legge mosaica e della circoncisione anche per i cristiani che vengono dal paganesimo. Per molti

ebrei erano ancora troppo radicate la legge di Mosé e quindi la cultura che ad essa si rifaceva. Il valore di Gesù,

che pure era riconosciuto grande, non arrivava a ridimensionare e quindi a sostituire i criteri legati alla

mentalità ebraica della salvezza.

Paolo è impaurito e, nello stesso tempo, adirato perché non si accetta, da parte di molti, di arrivare ad una

chiarezza fondamentale, riconoscendo Gesù come il Figlio di Dio, unico mediatore, superiore a Mosé e alla

legge ebraica, rivelatore di Dio Padre per noi.

Neppure la risurrezione di Gesù dai morti riesce a fare breccia nelle perplessità e nelle scelte fra i custodi della

egge ebraica, e perciò non sanno rivolgersi totalmente nella fede in Gesù, accettando di essere diventati figli di

Dio.

Il richiamo fondamentale è quello della libertà: "Cristo ci ha liberati per la libertà" (5,1). Per questo ci deve

essere una particolare attenzione a mantenere questa libertà salda e purificata.

Si parla della “carne” per indicare che l'uomo, se vive al di fuori dell'influsso dello Spirito, è soggetto

all'egoismo. (vv19-21). Lo Spirito, che si contrappone alla “carne”, è lo Spirito di Dio, presente in ogni

credente, che lo porterà a produrre frutti di beni. Paolo insiste su scelte positive, suggerendo di assecondare lo

Spirito più che sviluppare sforzi particolari di ascetismo. Secondo un uso che spesso Paolo sviluppa

nell'elencare i "cataloghi di vizi" (vedi nelle lettere ai Romani, 1Corinti, Efesini, Colossesi), sono ricordati

circa 15 azioni perverse che allontanano dal Regno di Dio. In contrapposizione al "desiderio della carne", lo

Spirito produce frutti di amore. In questo caso Paolo ne elenca 9: essi rappresentano lo stile nuovo e la libertà

del cristiano. «Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un

pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13). Paolo non

dimentica che, in conclusione, la radice della novità e la sintesi della legge è l'amore reciproco: «Tutta la legge

infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5,14).

Fanno sempre molta impressione l’attenzione e la preoccupazione di identificare il credente in Gesù come colui

che porta la gioia e la pace. Paolo non si trovava in un mondo migliore del nostro, eppure egli ritiene

fondamentale l’espressione che nasce dal cuore e che si dimostra nella operosità e nelle scelte.

Lettura del Vangelo secondo Luca. 17, 26-30. 33

Il breve testo di questa domenica è inserito in quella che si chiama "Piccola apocalisse (o piccola rivelazione)

di Luca” (17,20-18,8). Luca ha presente, probabilmente, la fatica e la sofferenza delle prime comunità cristiane

che desiderano poter sapere e vedere visibilmente e gloriosamente, in proprio, “il giorno del Signore che

viene”. Esse attendono un intervento risolutivo di Dio come giudizio sul bene e come condanna del male, per

concludere la fatica e la sofferenza della persecuzione.

Fondamentale parola in questi testi è la “fede”. Infatti, all'inizio e alla fine di questa sezione, Gesù la richiama:

"La tua fede ti ha salvato" (17,19) e “Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra ?" (18,8).

Così, in sottofondo, da parte degli ascoltatori, emergono due interrogativi sul Regno. ”Quando e dove" il Regno

di Dio si farà evidente?” E mentre parlano del Regno, i discepoli si rendono conto di parlare del re di questo

Regno. In altri termini si chiede conto a Dio del significato e dello sviluppo della storia umana e, convinti che

Dio dirige la storia, vengono poste le domande fondamentali per intravvedere sia il dominio di Dio sia il futuro

del mondo e quindi lo svolgersi della gloria di Gesù.

La risposta che Gesù dà loro passa attraverso l'esperienza che pur dovranno fare, a somiglianza dell’inviato del

Signore. il re di questo Regno, Egli dovrà supportare l'umiliazione della povertà e della morte fino alla croce.

La manifestazione di pienezza sarà solo alla fine della storia, ma questa viene dopo aver trascorso insieme le

sofferenze della contraddizione della realtà quotidiana. E’ quello che conta, infatti. Conta ciò che ciascuno vive

nel suo presente e a questo siamo chiamati per incarnare giorno per giorno la parola di Gesù, altrimenti il

passato e il futuro sono vuoti.

Ma attenti! Questo cammino della storia ha come esemplificazione gli avvenimenti che hanno toccato Noè e

Lot. I loro contemporanei hanno sperimentato con mano, certamente, il senso della loro quotidianità e hanno

creduto così di costruire la propria vita e la propria salvezza. Al tempo di Noè essi hanno esaurito la loro

attenzione nel mangiare, nel bere, nello sposarsi e nel tempo di Lot hanno sviluppato una quotidianità,

rivolgendo, in più, interesse nello sviluppo del commercio e nel costruire. In pratica non risulta che abbiano

fatto qualcosa di male, svolgendo una vita, legata alla dimensione umana. E tuttavia sono stati travolti perché

hanno esaurito le loro energie, semplicemente, nell'operare, perdendo di vista il progetto di Dio. Anche per le

generazioni future ci sarà una sorpresa. Ognuno è chiamato a vivere nel suo tempo e nel suo spazio. Nel

frattempo, però, sarà. Importante che si viva questa quotidianità, ancorandosi al fondamento della nostra vita

con la parola di Gesù e accettando di vivere alla sua presenza.

Si parla di acqua e di fuoco. Ma Gesù porta un’acqua nuova ed un fuoco nuovo: per chi è credente, Gesù offre

l'acqua del battesimo e il fuoco dello Spirito.

Così il credente diventa segno di questa attesa per tutti, nella sua quotidianità, mentre esprime la fedeltà a Gesù

e il coraggio di progetti e stili nuovi di vita.

Le tre letture di questa domenica si aprono ad una riflessione sulla storia:

a. Il mondo in cui siamo si deforma e si depaupera sempre di più nella violenza fino al punto da

arrivare alla dissoluzione e alla morte (1 lettura).

b. Gesù nel Vangelo dice: "Siete posti nel mondo per essere un segno di speranza” e quindi ci chiede di

vivere ciò che il Vangelo di Matteo ci fa leggere: "avete udito ma io vi dico" (Mt cc5-6)

c. San Paolo ci dà la traccia di pensieri e di sentimenti nuovi da vivere nelle nostre comunità e nel

presente: nel tempo e nello spazio, in cui ci troviamo. Rispetto al tempo di Noé e di Lot, Gesù ci dà strumenti

nuovi. Rinnovare il mondo con la gente che incontriamo, garantì di valori e spessori che possono sembrare

perdita di vita. Eppure portano ad un tempo di sconcertante novità.

Solidarietà, sussidiarietà e mercato

di Rosario Sitari*

ROMA, giovedì, 7 luglio 2011 (ZENIT.org).- Oggi tutti i problemi sono planetari. La scena in cui si rappresenta la nostra vicenda umana è il Villaggio Globale. Sveglia con radio giapponese prodotta in Malesia, vestito con lana australiana, caffè colombiano, molti dei componenti della nostra auto vengono prodotti in diverse parti del mondo. Il quartiere generale della società in cui lavoriamo è in un altro continente. Gli strumenti di lavoro vengono dalla Corea, Taiwan, Stati Uniti e da altri Paesi d’Europa. Una spremuta d’arancia può venire dal Brasile. Vestiti, scarpe, giocattoli e una gran quantità di altri prodotti provengono dai paesi più diversi e lontani. Che dire poi dei flussi migratori che colmano il deficit di servizi e quello demografico. Il mercato globale è una realtà che inizia nelle nostre case.[1] La globalizzazione non riguarda solo l’economia e la tecnologia; essa permea di sé tutte le attività umane, come il modo di vestire e di divertirsi, la lotta alle malattie, la lotta alla criminalità organizzata e la lotta al terrorismo. La globalizzazione non ha di per sé una connotazione negativa, tuttavia ciò che in linea di principio appare fattore di progresso genera spesso conseguenze ambivalenti, o decisamente negative, specialmente a danno dei poveri.

La situazione

Nel mondo globalizzato sono presenti punti di forza e punti di debolezza.

a) punti di forza:

1. - l’interdipendenza tra i popoli si è accresciuta;

2. - produzione e commercio hanno fruito di regole globali e, perciò, il loro sviluppo non è stato anarchico;

3. - si è formata l’opinione pubblica mondiale.

b) punti di debolezza:

1. - la crescita della finanza è stata anarchica e selvaggia;

2. - il divario nord-sud, la povertà e la mortalità per fame sono sempre fenomeni largamente diffusi;

3. - la globalizzazione è priva di strumenti per capirla e governarla.

Il problema è quello di dominare i tre paradossi sociali della globalizzazione: l’aumento delle disuguaglianze che avviene in un contesto generalizzato di aumento della ricchezza e del reddito medio; l’andamento del reddito pro-capite che non solo non garantisce l’accesso al sapere, ma ne esclude un numero elevato di persone; la crescita senza occupazione che procede in parallelo con lo sviluppo del processo di mondializzazione dei mercati.

Quando si parla di disoccupazione diventa ineludibile dire qualche parola su un termine molto abusato, quello di flessibilità, che si confonde con l’altro termine, più realistico: precarietà.

I sistemi economici necessitano di flessibilità. La flessibilità, però, deve riguardare tutto il sistema. Non ha senso tenersi un sistema interamente pietrificato in sinecure inamovibili e in rigidità normative e amministrative, il cui unico elemento di flessibilità è rappresentato dal mercato del lavoro.

È l’intera società che deve essere flessibile!

La società, invece, è ancora organizzata in assetti istituzionali pensati nella fase industriale fordista, nella quale è rigorosa la distinzione tra l’uomo lavoratore e l’uomo consumatore in un quadro di stabilità. Occorre, sostiene Zamagni, passare dalla società del posto di lavoro alla società delle attività lavorative: si devono apprestare le condizioni per far emergere nuove attività nei vari punti del sistema, vale a dire là dove sorgono le esigenze.

Flessibilità di tutta la società, dunque, e sussidiarietà di tipo orizzontale sono le due facce della stessa medaglia: la terza rivoluzione industriale.

La terza rivoluzione industriale

È necessario individuare un quadro di riferimento di politica economica nel quale la flessibilità di sistema consenta la socializzazione del rischio connesso alla necessità di cambiare le diverse attività lavorative nel ciclo di vita di una persona.[2]

Il mercato deve evolvere in modo da comprendere l’economia civile: l’unica in grado di percepire la prossimità del momento produttivo a quello del consumo, e l’unica in grado di produrre profitto al solo scopo di reinvestirlo per finalità generali. Il mercato risulterà perciò costituito da un’economia che emerga dalla cultura della reciprocità accanto all’economia che proviene dalla cultura del contratto.[3]

Ogni persona, dunque, nella sua piena responsabilità laicale e nella relazionalità con altre persone, ha il dovere di lavorare in questa direzione. Deve, cioè, trasformare le proprie convinzioni in scelte di ricerca, di formazione e di proposta per la crescita della società civile. Nella ricerca di soluzione ai problemi, e nella prospettiva di operare per la giustizia e la pace della famiglia umana, si acuisce la sensibilità e la responsabilità dei cittadini e si promuove la collaborazione tra credenti e non credenti e tra credenti di altre religioni. La relazionalità diventa così veicolo di riflessioni corali di interesse generale su metodi e strumenti che attengono alla micro e alla macroeconomia: cioè sui prezzi e, al tempo stesso, sulle quantità aggregate e, quindi, sull’economia dell’impresa, sull’economia del benessere, sull’economia dell’energia e delle risorse naturali.

In ultima analisi l’obiettivo di umanizzare l’economia è un problema esclusivamente etico e politico per cui il globalismo riformista sembra essere la politica in grado di rispondere allo scopo. Il globalismo riformista punta sul fattore istituzionale e su regole comuni condivise per il governo di una globalizzazione rispettosa delle diverse identità. Il bene comune, concepito dai fondamentalisti di mercato come risultato della concorrenza, viene indicato dai riformisti come obiettivo consapevole dell’azione dell’uomo che si avvale dello strumento del mercato.

Così bisogna avere consapevolezza che le misure volte a promuovere una competitività globale implicano costi e rischi sociali nel breve e nel medio termine che richiedono approcci pazienti e articolati paese per paese.

Occorre perciò un forte impegno delle istituzioni multilaterali: queste sono in grado di procedere con prudenza e gradualità e di avere riguardo non soltanto alla compatibilità con le situazioni e le vocazioni di questi Paesi, ma anche alle conseguenze socio-politiche che possono derivare dall’integrazione economica.

Da qui la necessità di ricercare soluzioni adatte ai contesti locali e garantire la coesistenza tra aziende dei Paesi industrializzati e aziende familiari dei Paesi in via di sviluppo.

Solidarietà, sussidiarietà e mercato

E’ necessario che etica ed economia debbano collegarsi per dare senso al vivere sociale. Ora dobbiamo aggiungere che il collegamento risulterà impedito se l’economia si pone come fine globale e la razionalità economica rigetta nell’irrazionale ogni considerazione al di fuori di essa. Risulterà altresì impedito se l’etica si limita alle petizioni di principio: il giudizio etico non può che essere fondato su una corretta analisi dei fatti e delle teorie economiche. Il giudizio etico astratto risulterà inutile o addirittura dannoso perché può diventare funzionale al mantenimento dello status quo. Con l’affermazione dei princìpi l’etica deve pertanto saper indicare anche come i princìpi stessi incidano e muovano la prassi economica in una certa direzione e ne contrastino altre.

Il valore fondante per il governo dell’economia globalizzata può essere così enunciato: la persona è sempre fine e mai mezzo; è individuale e, insieme, comunitaria. Questo valore fondante richiede la convinta accettazione di tre principi:

1.- il principio della destinazione universale dei beni che coinvolge giudizi di valore in campo economico e nel lavoro produttivo;

2.- il principio di solidarietà, che esprime l’inscindibilità e la reciprocità tra l’io individuale e l’io sociale, evoca un senso di legame con gli altri in termini di collaborazione, condivisione e partecipazione alla vita pubblica;

3.- il principio di sussidiarietà, soprattutto concepito nella sua versione orizzontale, che si esprime in un tipo di organizzazione sociale nel quale coniugare la solidarietà con la libertà.

Per i Paesi in via di sviluppo la crescita ha priorità assoluta, lo sviluppo del reddito viene prima di tutto, anche prima della tutela dei diritti umani e della salvaguardia ambientale. Essi credono nell’interdipendenza dei Popoli perché in essa vedono un chiaro segno dei tempi che rappresenta l’incarnazione del principio di solidarietà e offre una risposta razionale alla complessità contemporanea.

Ma il fatto che viviamo in un mondo di interdipendenza economica non implica che questo mondo muova necessariamente verso l’integrazione delle ragioni dell’efficienza e della solidarietà nell’economia globalizzata.

Per tener conto contemporaneamente delle condizioni dell’efficienza, dell’equità e della libertà occorrono regole e istituzioni edificate dalla società civile.[4]

A questo proposito il realismo cattolico ci ricorda che il cammino dell’uomo è tracciato in un sentiero disseminato di bene e di male.

Il cammino dell’uomo tra il bene e il male

La dialettica tra etica e funzioni di produzione e di consumo è centrale nella cultura moderna e ha in sé un misto di aspetti positivi e negativi non sempre distinguibili gli uni dagli altri.

Alcuni esempi.

La condizione dei bambini-schiavi dei Paesi poveri, che realizzano abiti e giocattoli per i loro coetanei dei Paesi avanzati, evoca la stessa indignazione che proveniva dall’Inghilterra protoindustriale del Sette e dell’Ottocento.

Di sicuro l’iniquità dei processi di produzione e di distribuzione della crescita economica è e rimane non etica, come non etica rimane la negazione delle possibilità di affrancarsi dalla povertà.

Ma la storia non ha andamento lineare; procede, invece, per salti di discontinuità nei quali l’iniquità sembra essere un passaggio inevitabile.

L’Inghilterra accettò l’iniquità per industrializzarsi. Così fanno i PVS che la accettano oggi e non ne fanno mistero; anzi, l’accettano addirittura di buon grado.

Questi fatti pongono con forza questioni complesse alle coscienze per le modalità in cui si realizza l’immoralità economica. Affrontare questi fatti non è semplice, né scontato, nemmeno sotto il profilo morale.

Vediamo perché.

Il modo come è stato privatizzato l’ENEL, la Telecom e le Autostrade, e le vicende della Parmalat, sono iniquità chiaramente ascrivibili a un misto di incompetenza e di comportamenti inquadrabili nei rigori del codice penale.

Ma le iniquità, quando si verificano nei Paesi industrializzati, emergono con chiarezza e possono essere affrontate con gli strumenti del diritto.

Si verificano, però, episodi nei Paesi poveri, che turbano le nostre coscienze per l’intreccio di bene e di male che in tali episodi si manifestano. Per chi si imbatte in questi episodi è molto difficile praticare regole di condotta univoche ed eticamente sostenibili.

Gli ostacoli che si frappongono a fronte dei tentativi di attuare la giustizia in questi Paesi sono di due tipi.

I primi riguardano le difficoltà Paese.

I PVS, sono disposti a pagare qualunque prezzo pur di avere lo sviluppo. Il fatto è che non si fidano dei Paesi ricchi perché ritengono che questi Paesi non siano animati da altruismo, ma col pretesto della tutela dell’ambiente e dei diritti delle donne e dei bambini tendono a perpetuare il colonialismo in modo surrettizio al solo scopo di difendere aziende e posti di lavoro non più competititivi.

Per superare una tale diffidenza e per dimostrare che si vuole veramente la crescita dei PVS basterebbe, come è scritto nella caritas in Veritate, “favorire il progressivo inserimento dei loro prodotti nei mercati internazionali, rendendo così possibile la loro piena partecipazione alla vita economica internazionale.”(Cfr. CV n. 58).

Ci sono poi i casi di difficoltà per il comportamento dei singoli consumatori e delle singole imprese dei Paesi ricchi nel rapportarsi con i Paesi poveri.

È moralmente lecito comprare giocattoli a prezzi irrisori dai Paesi poveri pur sapendo che questi sfruttano il lavoro di bambini sottopagati che lavorano in condizioni di pericolo per la loro stessa incolumità? E se il lavoro di questi bambini fosse l’unica fonte di reddito per le loro famiglie?

È moralmente lecito per le imprese dei Paesi ricchi organizzare cartelli per l’acquisto di materie prime a basso prezzo e delocalizzare impianti industriali nei luoghi dove la tutela dell’integrità fisica dei lavoratori o la difesa dell’ambiente sono vere e proprie astrazioni concettuali? E se il ricorso al dumping fosse necessario ai Paesi poveri per il loro decollo industriale?

Ma non è stato, questo, il prezzo che l’Inghilterra ha pagato per diventare un Paese industrializzato?

Considerazioni conclusive

Anche per affrontare questo tipo di problemi l’esercizio della democrazia transnazionale è insostituibile, così come è insostituibile il ruolo dei corpi intermedi organizzati a rete che ne costituiscono il corollario. In questa articolazione della società civile sta la dimensione ottima per coniugare economia e politica, ricchezza e distribuzione, concorrenza e cooperazione, localismo e globalizzazione.

Nella solidarietà e nella sussidiarietà, che si esprimono compiutamente nei corpi intermedi, si realizza lo sviluppo umano integrale. Qui, dove l’individuazione dei beni da produrre emerge in modo spontaneo dalla natura e dalla portata dei bisogni da soddisfare, “i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i nostri doveri verso la persona considerata in sé stessa e in relazione con gli altri” (Cfr. CV n. 51).

La conclusione più importante da trarre è che la globalizzazione delle istituzioni non market, così come l’apprestamento delle condizioni finalizzate al bene comune della famiglia umana, non sono meno importanti della globalizzazione dei beni materiali.

[1] Cfr. R. Ruggiero, Libertà degli scambi, globalizzazione ed interdipendenza economica: fattori di progresso e di rafforzamento della pace nel mondo, in R. Papini, A. Pavan, S. Zamagni (a cura di), “Abitare la società globale”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997.

[2]. La frontiera della solidarietà non può più identificarsi con l’assistenzialismo all’impresa e al lavoro, così come è storicamente avvenuto e come, forse, doveva avvenire. Oggi solidarietà significa trovare a livello istituzionale il modo di socializzare il rischio. Rischio dovuto al fatto che nel mercato del lavoro della società post-industriale ciò che è importante non è tanto imparare un mestiere quanto, piuttosto, acquisire capacità e disponibilità a cambiare mestiere.

[3]. Lo Stato e il mercato for profit non possono essere considerati come gli unici regolatori della vita economica e sociale. Al non profit si chiede di operare per la generazione del capitale sociale, vera risorsa scarsa delle società avanzate. Il volume, di cui di seguito si propone la lettura, affronta tale argomento nell’ottica del terzo settore italiano. In esso si avanzano anche proposte innovative, alcune delle quali, peraltro, sono state realizzate. Cfr. S. Zamagni, (a cura di), Il non profit italiano al bivio, EGEA, Milano, 2002.

[4] . Cfr. S. Zamagni, Sviluppo, efficienza, solidarietà: per un mondo non ineguale, il Mulino, 2/1993.

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*Il prof. Rosario Sitari è docente di Politica dell’ambiente all’Università LUMSA di Roma e Segretario nazionale AIDU (Associazione Italiana Docenti Universitari). Autore di pubblicazioni in materia di politica economica e di politica industriale, di economia e politica dell’energia e dell’ambiente. Già dirigente ENI, ha insegnato nelle Università statali di Roma, Cagliari e Parma, nella Scuola di Management della LUISS, nella Scuola Superiore E. Mattei e nell’Istituto di Formazione dell’Association For European Training of Workers on the impact of New Technology.

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