giovedì 13 marzo 2014

Il dono di Dio è veramente per tutti. 16.3.2014





II domenica di Quaresima (Anno A) “Della Samaritana”




Mi ha sempre profondamente colpito il dono di Gesù fatto alla Samaritana.
Questa persona è una somma di marginalità. Innanzitutto è una donna, nella società antica non poteva fare neppure la missionaria, dato che la sua testimonianza non valeva. In secondo luogo appartiene ai Samaritani, popolo considerato eretico dai Giudei. Infine è una donna dalla vita travagliata con i suoi cinque mariti e il convivente attuale, quindi anche moralmente dubbia.
Eppure proprio a Lei Gesù rivela la sua identità più profonda: Sono io che ti parlo (il Messia).
Il dono di Dio è veramente per tutti.
Mentre noi scambiamo i nostri doni solo tra pari, senza accorgerci che così non sono più doni, ma piccole convenienze.


Lettura
Es 20,2-24
In quei giorni. Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!». Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio.
Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non farete dèi d’argento e dèi d’oro accanto a me: non ne farete per voi! Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò».
Parola di Dio.
Salmo (Sal 18(19))
Signore, tu solo hai parole di vita eterna
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. R.

Ti siano gradite
le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. R.
Epistola
Ef 1,15-23
Fratelli, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Cfr Gv 4,42.15)
Gloria e lode a te, o Cristo!
Signore, tu sei veramente
il salvatore del mondo:
dammi dell’acqua viva,
perché non abbia più sete.
Gloria e lode a te, o Cristo!
Vangelo: Gv 4,5-42
In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunse una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete: ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
n quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ha da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Parola del Signore.
Esodo. 20, 2-24
Dopo aver affrontato il potere del Faraone e i suoi dinieghi, soprattutto dopo avere assistito ai drammi delle 10 piaghe verso cui è andato incontro il popolo egiziano che ha reso schiavo il popolo di Dio, il Signore mantiene la promessa della liberazione e fa ottenere il permesso di uscire per camminare verso il monte del deserto e sacrificare al proprio Dio. Ma poi Faraone ha un ripensamento e insegue il popolo su quel cammino strano che Mosè ha imboccato, scendendo a sud fino ad arrivare ad avere di fronte il mare, impossibile da attraversare senza barche. Eppure la mano di Dio protegge coloro che ha liberato e proprio quel passaggio nel Mar rosso rompe definitivamente il rapporto con i propri persecutori. Il popolo è libero e nella libertà può iniziare a costruire la propria storia.
Ma un popolo schiavo non ha una legge propria poiché finora la legge è stata dettata dai propri oppressori. Ora deve inventarsene una per vivere liberi, per essere in pace, per superare le violenze che hanno subito dai più forti, e debbono organizzarsi con regole e norme perché ogni persona sia rispettata.
Il Signore ha fissato un appuntamento sul monte: vuole concludere il patto di alleanza e suggerire scelte di comportamento che permettano di mantenere la libertà conquistata. L'appuntamento è al Sinai, nel deserto che già hanno imparato a conoscere e in cui sono vissuti, da tre mesi, vegliati dalla previdenza del Signore che ha fornito pane, acqua e carne. Il Signore, sul monte, detta le 10 Parole, non norme giuridiche o ordini di un monarca assoluto. Sono le raccomandazioni di stile e di comportamento per sopravvivere a se stessi e al male del mondo. Saranno conservate nell'Arca dell'Alleanza come tesori in uno scrigno, e andranno difesi poiché costituiscono la vita nel tempo. E non sono proclamate come legge universale ma come confidenze di un Dio benigno che si confida con amorevolezza e sapienza con il suo popolo. Così non si possono cogliere appieno le 10 Parole (c'è una seconda versione in Deuteronomio(5,6-21), se non si riprende il significato profondo della introduzione in cui il Signore si presenta come liberatore: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù". Sono 10 Parole, che fondano i criteri morali della vita di un popolo come 10 sono le Parole della creazione attraverso cui Dio crea il mondo per poterne fare poi, un giorno, un dono all'umanità che ne sarà padrona, ospite, responsabile. Così la creazione di Dio e la condotta morale del suo popolo hanno il compito di ricostruire ogni giorno un mondo di pace e coerente alla sapienza di Dio. Il Signore, con le 10 Parole, si fa conoscere nella bellezza della creazione e nella sapienza della legge morale: fuori, nel creato e dentro, nella coscienza di ciascuno e del suo popolo, Dio crea l'umanità a sua immagine, in pienezza, collaboratrice nel creato, con la prospettiva di un progetto di armonia e di sviluppo gioioso e sereno. Vengono aggiunte altre raccomandazioni: il primo è il superamento della paura: il rapporto con Dio è corretto quando si pone come rispetto e consapevolezza dei propri limiti (il timore di Dio diventa antidoto al male). Il secondo vieta la costruzione di idoli. Infine il Signore suggerisce i riti essenziali di culto con offerte di animali sacrificati su un altare di terra.
Così il Signore ha indicato l'amore per la libertà del suo popolo, ed ha offerto le istruzioni per l'uso. Le 10 Parole non sono strumenti di oppressioni ma ancora criteri e comportamenti per mantenere la propria libertà. I dieci comandamenti sono segni e suggerimenti di libertà.
Efesini. 1, 15-23
La lettera agli Efesini è uno di quei testi che fanno parte degli "scritti della prigionia", e si colloca negli anni tra il 58 e il 60 d. C. Dopo il saluto (1,1-2) e la preghiera (1,3-14) si sviluppa il testo vero e proprio della lettera in cui Paolo comincia a rendere grazie a Dio (1,15-16) perché questa sua comunità si distingue per la fede in Gesù e per la carità verso i fratelli. Infatti " la fede si attua nella carità" (Galati 5,6). Paolo continua dicendo che, nella sua fatica, li sostiene pregando perché maturino dentro di loro uno Spirito di sapienza e di rivelazione. Il riferimento è fatto al Dio del Signore nostro Gesù Cristo. Paolo chiede, facendosi eco di Gesù che prega il Padre nel Getsemani, uno spirito di sapienza per vivere da veri credenti in Dio nella storia quotidiana e chiede la rivelazione di una conoscenza sempre più profonda nel Signore che ci rende suoi amici. Chiede che i loro occhi siano illuminati dal cuore (v 1, che questo sguardo affettivo sulla creazione apra gli orizzonti della speranza e faccia intravedere un futuro bello e nuovo quale ha una mamma che guarda il suo bambino. E se vede una realtà fragile nel presente, intravede la persona adulta e la grandezza di un suo comportamento che daranno onore a lui e a tutta la famiglia. Questi occhi, per la fede in Gesù, fanno scoprire "i tesori di gloria e la straordinaria grandezza della potenza di Dio verso di noi" (vv 18-19)..
La garanzia che il Padre ci offre è la vicenda di Gesù che ci schiude orizzonti di gloria anche dopo la morte poiché "Gesù è stato risuscitato e siede alla sua destra nei cieli" (v 20).
Concludendo con l'immagine di Cristo risorto, capo di quel corpo che è la Chiesa, tutto il mondo è nello stesso tempo "dominio di Dio Signore", vincitore della morte e del male e pienezza, liberazione e "perfetto compimento di tutte le cose". (vv 22-23).
Giovanni. 4, 5-42
Gesù, racconta l'evangelista Giovanni, dopo il segno dell'acqua trasformata in vino a Cana (2,1-12), la salita a Gerusalemme e l'intervento di purificazione del tempio (2,13-22), l'incontro con Nicodemo nella notte (2 23-3,21) e le tensioni tra i discepoli di Giovanni il Battista, viene chiaramente proclamato nella sua identità da Giovanni Battista come lo sposo mentre il profeta si proclama amico che si rallegra dello sposo (3,22-36). A questo punto Gesù abbandona la Giudea e torna a nord, in Galilea, passando attraverso la Samaria (4,5-42). Il racconto della samaritana sviluppa i grandi temi della rivelazione di Gesù, della missione nel suo popolo, anche quello considerato eretico, su cui garantisce il suo Spirito e la pienezza del culto.
Il testo è molto complesso, aperto a molte spiegazioni, e mentre non si può negare la possibilità di un incontro tra Gesù e la donna al pozzo, bisogna recuperare tutte quelle dimensioni teologiche che ci fanno approfondire, secondo Giovanni, la presenza di Gesù nel mondo. Il racconto si svolge in due grandi scene: il dialogo di Gesù con la Samaritana (vv 7-26) e quello con i discepoli (vv 31-38) in un itinerario in cui ritornano i discepoli mentre la Samaritana va in città ad annunciare (vv 27-30). Il colloquio con i discepoli è diviso in due parti (vv 31-34 e 35-38).
L'incontro con Gesù e la samaritana inizia presso un pozzo. Nel linguaggio biblico spesso il pozzo richiama luogo di convegno, di incontro e anche del fidanzamento: così è avvenuto per Mosé (Sippora Es 2,16), per il servo di Abramo che cerca la sposa per Isacco (Gen 24 Rebecca), per Giacobbe (Rachele Gen 29).. Il simbolismo è anche trasparente. Gesù cerca il suo popolo, che è la sposa di Dio, e sposa del messia, per rivelare che Dio mantiene le sue promesse di sposo a tutto Israele, a Giuda e a Samaria. La donna è la meno adatta poiché al pozzo non arriva una ragazza nubile, ma una donna con cinque matrimoni alle spalle e una attuale situazione irregolare. Non si dice che la donna abbia offerto acqua né si dice che Gesù abbia bevuto. L'incontro è solo un dialogo. In tutto il testo si sviluppa la conoscenza progressiva dì Gesù: un giudeo (v 9), uno più grande di Giacobbe (v 12), un Signore, capace di compiere un prodigio (v 15), un profeta (v 19), il Messia che viene alla fine della storia (vv 25-26,29), l'inviato del Padre che, a sua volta, risulta essere (vv 3438), il Salvatore del mondo ( v 42).
L'acqua viva è l'acqua che rigenera, che disseta la sposa assetata (Osea 2,5), è la bocca del giusto (Pr 10,11) è il timore del Signore (Pr 14,27) ma è anche la sapienza stessa paragonata ad una fonte (Baruc 3,12). L'acqua viva è l'azione vivificante del Dio d'Israele nell'alleanza che ha come immagine una relazione eterna. Isaia ricorda: "O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha danaro venga ugualmente" (55,1-3). In un incontro che va oltre le regole, tra una donna samaritana, eretica e Gesù, un maestro giudeo, si assiste ad una sconcertante rivelazione di Gesù stesso: si presenta come mendicante che però garantisce di avere un dono eterno. La donna presta un'attenzione coraggiosa e profonda. Prende coscienza del suo bisogno e della esigenza di chiarezza interiore e Gesù capisce che, al di là delle apparenze, la donna è desiderosa di capire e di ricevere. Ma, per ricevere il dono, bisogna accettare di pronunciare una verità che mette a disagio: "Vai a chiamare tuo marito." La donna, in fondo, si nasconde dietro ad una parola: "non ho marito", ma è sincera e Gesù accetta la risposta e gliela riconosce come una risposta vera, corretta, coerente: la donna parla di cinque mariti precedenti e Gesù aggiunge: "il compagno, l'attuale, non è tuo marito". A questo punto la samaritana diventa, ancora una volta, l'immagine del suo popolo contaminato dagli idoli dai cinque popoli della Mesopotamia introdotti, secoli prima, dagli eserciti conquistatori assiri nella Samaria (2 Re 17,2441). Perciò questa popolazione è stata inquinata dagli idoli.
La ricerca della verità conduce, insieme, al significato della propria fede e all'espressione di fede che è il culto. Da qui la domanda: "Dove adorare?". Gesù risponde: "Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano" (vv21-23).
Il culto non ha più una collocazione geografica ma il rapporto con lo Spirito e la verità, che è poi Gesù e la sua Parola. E quando si vuol rimandare il problema all'insegnamento chiarificatore di un profeta- Messia che chiarirà, Gesù risponde che quel profeta- messia è qui.
La sete della donna e la sete di Gesù portano agli incontri che vanno valorizzati come segni e attesa di rivelazione. Gesù ha iniziato il suo cammino missionario e la donna, per prima, avendo accolto la novità di Gesù, si fa missionaria presso i suoi concittadini, abbandonando la brocca..
Con i discepoli inizia un nuovo dialogo mentre si sentono sconcertati dal fatto che il maestro parli con una samaritana e dal rifiuto del cibo. Allora la missione ridiventa ancora elemento rivelatore delle scelte. La volontà di Dio è l'opera per cui Gesù è venuto. Questa volontà ha in sé il progetto del raccogliere e il progetto di liberare. I discepoli iniziano a scoprire il vero progetto della vita di Gesù. Cominciano anche a intuire il cibo vero della Chiesa.

RITO ROMANO



Lectio - Anno A

Prima lettura: Genesi 12,1-4


     In quei giorni, il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò,renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò,e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
    

2  Una richiesta di ascolto che si fa coraggiosa accoglienza è formulata anche nella prima lettura che narra la vocazione di Abramo.
     La costruzione del brano segue lo schema: comando, promessa, esecuzione. Dio è il soggetto del primo verbo e rimane idealmente il soggetto di tutta la storia della salvezza che segue. Il discorso di Dio incomincia con un imperativo che esige da Abramo una radicale rottura con tutti i legami naturali, quello del paese, della parentela più larga e quello della famiglia. Abramo deve abbandonare ogni cosa e affidarsi esclusivamente alla guida di Dio. Deve ascoltare lui solo.
     La richiesta di Dio è esigente ma non invita ad un salto nel vuoto. Nelle frasi che seguono ritorna non meno di cinque volte la radice «benedire». Se Dio esige molto; è pure capace di assicurare un benessere che investe la persona di Abramo e tutta la sua discendenza. Abramo appare fin dall'inizio il modello esemplare di tutti coloro che accolgono la parola divina. Egli sarà il capostipite del popolo ebraico che lo chiama «nostro padre», ma sarà additato come modello di fede anche ai cristiani (cf. Paolo in Rm 4). Anche il Corano, il libro sacro dell'islam, tributerà un grande onore al patriarca.
     La frase finale «Abramo partì (letteralmente: si mise in viaggio)» è più efficace di qualsiasi descrizione psicologica e nella sua grandiosa semplicità ci rivela meglio di ogni altra cosa la portata di questo avvenimento. Abramo fa suo il progetto divino e si sottomette a quella parola dura ma capace di assicurare vita e prosperità. L'ascolto si fa obbedienza e l'obbedienza è premessa di ricca benedizione.




Seconda lettura: 2Timoteo 1,8b-10


     Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.


2  L'ascolto va fatto a Dio (prima lettura e Vangelo) e a coloro che lo rappresentano. In questa lettera che costituisce quasi il suo testamento spirituale, Paolo non manca di dare preziose indicazioni al suo fedele collaboratore Timoteo.
     Il minuscolo brano è composto da un'esortazione iniziale e da un mini trattato teologico che fonda e giustifica tale esortazione.
     L'inizio raccomanda: «Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo». Senza mimetizzare il duro lavoro apostolico, Paolo parla apertamente della sofferenza procurata dall'annuncio del Vangelo. Le resistenze e le ostilità di vario genere non devono scoraggiare o bloccare Timoteo, corroborato sia dall'esempio di Paolo, sia, soprattutto, dalla forza che viene da Dio stesso.
     Vale la pena di impegnarsi totalmente per il Vangelo perché esso è annuncio ed esperienza di salvezza. Lo dice tutto il resto del brano, presentando corpose linee teologiche. La salvezza viene da Dio, è suo dono e non nostro merito. Tale salvezza o grazia giunge a noi per mezzo di Cristo Gesù, chiamato «salvatore nostro». La sua opera consiste soprattutto nel mistero pasquale, richiamato nella frase finale.
     Se Timoteo ascolta Paolo e lavora indefessamente per portare il Vangelo che è Cristo stesso, allora la salvezza si può impiantare nella vita degli uomini e determinare un nuovo corso della loro esistenza.

Vangelo: Matteo 17,1-9


     In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».


Esegesi

     Dopo il brillante superamento della tentazione di domenica scorsa siamo immersi nella gloriosa scena di oggi. La trasfigurazione è un tripudio di luce durante il cammino verso la croce. La quaresima ci chiama a rinnovare il nostro impegno cristiano, assicurandoci la possibilità della vittoria e, di più ancora, della gloria. Condizione: seguire Gesù, come ci raccomanda, anzi comanda, la voce divina: «Ascoltatelo».
     Il nostro episodio è collocato tra il primo e il secondo annuncio della passione-risurrezione di Gesù. Poiché Marco e Luca, al pari di Matteo seguono la stessa sequenza, si deve dedurre l'importanza e la necessità di questo ordine. La trasfigurazione di Gesù sul monte non è quindi un episodio isolato, ma prende significato nel contesto del mistero pasquale.
     La scansione dell'episodio segue un chiaro tracciato. Si parte da una premessa storico-geografica (v. 1) e si passa poi al tentativo di esprimere con immagini qualcosa dell'evento (v. 2). La sua straordinarietà è anche affidata alla presenza di due autorevoli testimoni quali Mosè ed Elia (v. 3), alla frase maldestra di Pietro che non riesce a percepire bene il senso di quanto sta vivendo (v. 4) e alla nube luminosa, segno di un grande intervento di Dio. La sua voce sta come cuore e vertice di tutto il brano, indicando in Gesù colui che i discepoli devono seguire incondizionatamente (v. 5). Raggiunto l'apice con la parola divina, ecco la reazione umana fatta di prostrazione a terra e di timore reverenziale (v. 6), cui segue la parola rassicurante di Gesù (v. 7) e quindi il ritorno alla normalità (v. 8). Il comando di non divulgare l'accaduto prima della risurrezione di Gesù (v. 9) sta a indicare che l'episodio prende intelligibilità solo alla luce del mistero pasquale: un'ulteriore conferma che i due annunci di passione-risurrezione, incorniciando il brano, ne sono già una prima chiave interpretativa.
     Il gruppo degli apostoli, normalmente compatto, conosce eccezionalmente una drastica riduzione nell'episodio odierno che mette in scena solo tre testimoni: Pietro, Giacomo e Giovanni. La scelta si radica nell’imperscrutabile volontà di Gesù. Si possono fare solo dei timidi tentativi per intuire qualcosa di quella volontà. La presenza di Pietro è scontata, data la sua nuova responsabilità (cf. poco prima in 16,13-19). Meno comprensibile la presenza dei due fratelli Giovanni e Giacomo, scelti forse, perché il primo è il discepolo prediletto e l'altro colui che testimonierà per primo la fedeltà a Cristo con il martirio nell'anno 44 (cf. At 12,1-2). In ogni caso, i tre sono gli stessi che qualche tempo più tardi saranno chiamati a dividere un'altra esperienza con Gesù, quella della sua agonia nell'orto degli Olivi. La presenza degli stessi testimoni crea una correlazione tra i due episodi, l'uno di gloria e l'altro di sofferenza.
     La trasfigurazione
     La trasfigurazione avviene in un contesto di lontananza dalla vita ordinaria. Il testo parla di Gesù che conduce i tre in disparte e su un alto monte. È un momento di astrazione dalla vita quotidiana per far tacere le voci rumorose dell'affannoso vivere per calarsi nel silenzio che favorisce l’incontro con Dio. Già il profeta Osea suggeriva questo fruttuoso ritiro: «La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16).
     In generale, il monte è luogo abituale di incontro con Dio. Anche Mosè era salito sul monte per ascoltare la volontà divina, codificata nelle Dieci Parole (cf. Es 19,20). È sulla montagna che si incontra Dio. In tutte le religioni, le divinità hanno la loro abitazione sulla montagna che è il luogo dove cielo e terra s'incontrano.                           
     Il monte della trasfigurazione è stato identificato dal IV secolo – e forse già prima da Origene - con il Tabor, che in realtà non raggiunge i seicento metri sul livello del mare. La sua posizione nella grande pianura di Esdrelon lo rende, nella mappa geografica palestinese, «un alto monte». Inoltre «alto» ha più valore teologico che geografico: esprime  allontanamento dal vivere abituale e lo sforzo di ascesa per raggiungere la vetta.
     L’evento di cui essi furono privilegiati testimoni viene chiamato trasfigurazione. Con questo termine si vuole dire che Gesù si presenta diverso transfigurato, cioè al di là (trans) dell'aspetto abituale. È la presentazione del Gesù profondo, quello che normalmente non si conoscere. Nell'impossibilità di esprimere a parole il fascio eterogeneo di fatti, sensazioni, emozioni e sentimenti di quanto accaduto, l’evangelista si rifugia nelle immagini: il volto di Gesù diventa splendente come il sole e le sue vesti candide come la luce. La luce, simbolo della presenza divina, investe sia il volto sia le vesti, cioè tutta la realtà di Gesù, dentro e fuori. Si vuol dire che ai tre è concesso di assistere a una manifestazione divina. Sul monte è già paradiso, sul monte è già eternità.
     Mosè ed Elia
     Tutto parla al superlativo, anche la presenza di due autorevoli personaggi quali Mosè ed Elia. La legge ebraica esigeva che un fatto fosse comprovato dall'attestazione di due testimoni (cf. Dt 19,15): ecco il primo significato della presenza dei due.                                                          
     Di più, essi sono visti come il simbolo dell'Antico Testamento, i rappresentanti della legge e dei profeti, i due precursori o testimoni dell'alleanza. Si aggiunga pure che di essi si attendeva il ritorno. Mosè aveva promesso al suo popolo: «Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me: a lui darete ascolto» (Dt 18,15). Di Elia aveva profetizzato Malachia: «Ecco io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (Mal 3,23). Il rabbino Jochanan ben Zaccai avrebbe detto: «Dio disse a Mosè: quando invierò il profeta Elia, voi due verrete insieme».
     La loro presenza conferisce autorità all'uomo Gesù che, immerso nella luce divina, si qualifica agli occhi dei discepoli come una persona di eccezionale valore. I due testimoniano che la storia è giunta alla sua grande svolta, perché è arrivato il tempo promesso e da tanto atteso, il tempo del Messia.
     L'intervento di Pietro
     A questo punto Pietro è l'unico che riesce a verbalizzare i propri sentimenti ed esce con l'espressione: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Le sue parole portano il marchio della spontaneità, ma anche quello della istintività e della irriflessione.
     È una reazione maldestra, inconsulta, tipica dell'uomo che sembra generoso nel pensare agli altri, ma che in realtà pensa egoisticamente a se stesso e al gruppetto. Pensa esclusivamente all'ora presente che intende trattenere in forma stabile ed esclusiva. Secondo il profeta Osea, l'abitazione sotto le tende è un segno della visita che Dio compie alla fine del tempo per abitare per sempre con il suo popolo (cf. Os 12,10). Pietro pensa che la fine del tempo sia lì, sul monte, e che conviene inaugurare il cielo sulla terra. Le sue sono le parole dell'uomo che vorrebbe eternare quell'attimo per goderlo per sempre.
     Pietro esprime un sentimento umanamente condivisibile. Tutti vorrebbero dimenticare un passato gravato di difficoltà e ignorare un futuro carico di incognite, per assaporare unicamente un presente gratificante.
     Anche se comprensibile e in parte giustificabile, il desiderio di Pietro rimane interiormente bacato, perché vorrebbe snaturare la finalità dell'esperienza. La sua rimane una risposta impropria perché non ha ancora ascoltato, volendo rispondere prima di capire il senso profondo dell'avvenimento. La trasfigurazione è un fatto divino e si comprende solo se Dio ne offre la chiave. Per questo occorre prima ascoltare Dio, e solo in seguito sarà possibile dare una risposta adeguata e corretta.
     La testimonianza di Dio
     La scena, già grandiosa, raggiunge il suo apice con la presenza e la parola di Dio. La nuvola luminosa è la forma sensibile con la quale Dio si rivela. Opaca e risplendente allo stesso tempo, essa manifesta Dio presente senza rivelarne il mistero. È la nube che guida il popolo nel deserto (cf Es 13,21), è dalla nube che Dio parla a Mosè (cf. Es 24,18), è ancora la nube che riempie il tempio al momento della sua consacrazione (cf. 1Re 8,10). Oltre a essere elemento della presenza di Dio, la nuvola coinvolge i tre discepoli che entrano quindi nel mistero di Dio, proprio come Maria, anch'essa partecipe del divino (cf. Lc 1,35).
     Grazie a questo coinvolgimento, i tre discepoli sono in grado di ascoltare la voce divina: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Già al momento del battesimo (cf 317) la voce divina era intervenuta a proclamare Gesù il «Figlio Prediletto». Ora, la sorprendente novità sta nell'imperativo «ascoltatelo» che designa Gesù soprattutto come il profeta che tutti dovevano ascoltare (cf. Dt 18,15).
     Inserito nel contesto dei due annunci di passione-risurrezione e poco prima di iniziare il cammino verso Gerusalemme, questo «ascoltatelo» del Padre ha la forza propulsiva di un impegno che non può essere disatteso. È come se dicesse: «Ascoltate lui e solo lui». L'ascolto si fa obbedienza (come suggerisce anche la parola italiana ‘obbedienza’ da ob+audio=ascoltare) e quindi sequela. I discepoli sono sollecitati a riporre in Gesù una fiducia incondizionata e a seguirlo. L'ascolto-sequela deve portare i discepoli dove Gesù va, senza tentennamenti e senza resistenze.
     Dopo l'ascolto di Dio, dovrebbe venire la risposta. Solo ora è legittima e fruttuosa. II cadere a terra bocconi e il timore reverenziale dei discepoli costituiscono una prima e ancora istintiva risposta: l'uomo davanti Dio si mette in adorazione. A questo punto Pietro e i suoi amici non sono chiamati a dare una risposta verbale, bensì una risposta esistenziale: smettere di voler modificare il programma messianico impedendo a Gesù la sofferenza (cf. 16,22) e riprendere il cammino, anche se duro, per stare insieme a quel Gesù che ora hanno contemplato per un attimo nel fulgore della sua divinità e soprattutto nella sua intima relazione con il Padre.
     Poi tutto ritorna nella normalità. Spariscono Mosè ed Elia, non si vede più la nube luminosa, né si intende la voce di Dio. Rimane solo Gesù. Solo lui ora conta. Ricchi dell'esperienza avuta ed edotti dall’insegnamento divino, gli apostoli devono capire che la loro vera risposta sarà di seguire Cristo, ovunque egli vada, qualunque strada egli vorrà prendere, perché solo in lui si realizza l'Antico Testamento rappresentato da Mosè e Elia, solo lui è la piena e vivente espressione dell’amore del Padre. Stare con lui significa realizzare la storia, compiere il progetto divino, raggiungere la piena vittoria.
     La consegna del silenzio
     Può sembrare inopportuno il divieto impartito da Gesù agli apostoli di non fare parola della loro esaltante esperienza. Come è possibile non partecipare ad altri un'esperienza che ha permesso di abbracciare cielo e terra? Per quanto difficile a mantenersi, l'impegno al silenzio era saggio. Raccontare l'avvenimento della trasfigurazione, esponeva la persona di Gesù a pericolosi fraintendimenti. C'era poi da dubitare che gli altri sarebbero arrivati a percepire il mistero che si nascondeva dietro le apparenze di un uomo come gli altri.
     La comprensione del Cristo trasfigurato si pone nella linea delle apparizioni del Risorto. Solo quando i discepoli saranno inviati al mondo a testimoniare la sua risurrezione, potranno parlare della trasfigurazione, divenuta allora una forza controllabile e comprensibile. Per il momento se ne devono servire in esclusiva, come un prezioso viatico che li accompagna nel tempo duro che li aspetta. È un momento di sovrabbondanza spirituale che dovrà alimentarli nei momenti di carestia, quando la tentazione, lo scoraggiamento e l'incognita sopravverranno per demolire la fiducia in Gesù e scoraggiarne la sequela.
     Ecco perché l'episodio si colloca tra i due annunci di passione-risurrezione e la sua comunicazione è autorizzata solo dopo la Pasqua. Fuori da questo suo alveo teologico, resterebbe un miracolo difficilmente inquadrabile nella logica del Vangelo.

Meditazione

      La storia di salvezza, che inizia con la vocazione di Abramo (I lettura), trova in Gesù il suo punto culminante, come attestano Mosè ed Elia sul monte della trasfigurazione (vangelo), e prosegue nei tempi della chiesa con la vocazione santa dischiusa dall'evangelo di Gesù Cristo (II lettura). L' obbedienza di Abramo apre la via al compiersi della promessa di Dio di fare di lui una benedizione per tutte le genti (I lettura); alla trasfigurazione la voce divina chiede obbedienza a Gesù, il Figlio: «Ascoltate lui!» (vangelo); l'evento pasquale è grazia che chiede obbedienza al credente e lo rende testimone (II lettura).
     Al cuore dell'episodio della trasfigurazione vi è la voce dalla nube che comanda l'ascolto di Gesù (Mt 17,5). La reazione dei discepoli alle parole celesti lega ascolto e timore: «all’udire ciò, i discepoli [... ] furono presi da grande timore» (Mt 17,6). Vi è qui l'eco del passo di Dt 4,32-33 che dice: «Dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra vi fu mai cosa grande come questa, che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco e sia rimasto vivo?». Oggi, l'espressione che parla di «ascolto della parola di Dio» è in bocca a tutti e rischia la banalizzazione: ascoltare la parola di Dio è esperienza temibile che non coincide con la lettura e l'ascolto di pagine bibliche e non può essere confusa con segni dei tempi individuati per via sociologica più che mediante discernimento spirituale. Ascoltare la parola di Dio significa scoprire la presenza di Dio e accoglierla in noi, ma si tratta di una presenza irriducibile all'ordine della rappresentazione, della percezione e della conoscenza. È una presenza altra, è luce. È la presenza luminosa che abita Gesù. E che raggiunge i discepoli grazie alla voce di Dio che, attraverso le Scritture, proclama l'identità messianica di Gesù («Questi è il mio figlio»: Sal 2,7), servo («In lui mi sono compiaciuto»: Is 42,1) e profeta («Ascoltatelo!»: Dt 18,15). L'ascolto della parola di Dio è temibile anche perché conduce al cambiamento, alla conversione, a mutare vita facendo della parola ascoltata il centro rinnovato e innovatore della propria esistenza. L'ascolto della parola di Dio è temibile perché provoca una crisi, un esodo (come avviene per Abramo: Gen 12,1-4), un uscire dalla casa delle certezze e delle abitudini per iniziare un cammino non sorretto da umane sicurezze.
     L'esperienza della trasfigurazione di Gesù coinvolge anche i sensi dei discepoli: essi ascoltano, vedono, sono toccati da Gesù (Mt 17,7: «toccandoli», notazione solo di Matteo). Il corpo è il soggetto dell'esperienza spirituale e i sensi corporei intervengono in essa. Consentendoci di aprirci all'alterità, di metterci in contatto con il mondo, essi svolgono una funzione incoativamente spirituale. E la trasfigurazione ci suggerisce di ritrovare l'unità della spiritualità cristiana uscendo dai dualismi che spesso l'hanno segnata: interiore-esteriore, sensi-spirito, corpo-anima, sensibilità-interiorità... La separazione tra corpo e spirito o la loro confusione conducono alla morte dell'uno e dell'altro e soprattutto fanno sparire l'autentica esperienza spirituale, che è esperienza di tutto l'uomo. Il credente ordina i suoi sensi con la fede, li innesta in Cristo, li allena alla preghiera, li lascia guidare dallo Spirito santo e così la sua esperienza di Dio sarà integrale. Come lo fu per Agostino nell'incontro che cambiò la sua esistenza: «Mi chiamasti e il tuo grido lacerò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e io respirai e anelo verso di te; gustai e ho fame e sete; mi toccasti e arsi dal desiderio della tua pace» (Confessioni X,27,38). Non siamo di fronte a esperienze mistiche riservate a pochi eletti, ma all'esperienza di fede ordinaria del credente che ascoltando la parola di Dio attraverso la Scrittura vede nella fede il volto di Cristo, tocca la sua presenza che gli si offre, gusta la consolazione dello Spirito, piange di compunzione, respira il respiro di Dio, ovvero, giunge a vivere la sua quotidiana esistenza, che è esistenza nel corpo, sotto la luce trasfigurante della grazia.




Nessun commento:

Posta un commento