martedì 9 marzo 2010

14 MARZO 2010 DOMENICA DEL CIECO - IV di Quaresima

14 MARZO 2010 DOMENICA DEL CIECO - IV di Quaresima

PROGRAMMA QUARESIMALE IN TRE PICCOLE MOSSE PIU’ UNA

1. CHE COSA HAI FATTO PER I POVERI FINO A IERI?
2. CHE COSA HAI FATTTO OGGI PER I POVERI?
3. CHE COSA PENSI DI FARE PER I POVERI DOMANI?

3+1. SE NON HAI PASSATO IL TEST PROVA A PREGARE.

ECCOTI ORA LETTURE E COMMENTO



LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 17, 1-11

In quei giorni. Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk.

SALMO
Sal 35 (36)

® Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. ®

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. ®

È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 5, 1-11

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 9, 1-38b

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».

«Sono luce del mondo», risponde Gesù ai discepoli che gli chiedono perché l'uomo che hanno davanti è cieco, dalla nascita. Di notte nessuno ci vede; siamo tutti ciechi. Quando però viene la luce, c'è chi chiude gli occhi e resta nelle tenebre, c'è chi li apre ed è illuminato.

Nel prologo si dice che la Parola, vita di tutto ciò che esiste, è luce degli uomini (1,4). Gesù, Parola diventata carne, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio, si è rivelato nei cc. 5-8 come vita; ora, nel c. 9, si manifesta come luce.

Vita e luce sono intimamente connesse: venire alla luce significa nascere. Inoltre ogni realtà è conosciuta e utile per l'uomo quando viene alla luce della sua intelligenza. Infine l'amore dà una luce particolare al cuore, che fa vedere con occhi nuovi. La luce è principio di tutto: fa esistere e conoscere, godere e amare. Il contrario della luce è la tenebra e la notte, la cecità e l'inganno, la tristezza e l'odio: la morte.

In questo capitolo si presenta l'itinerario battesimale: è un cammino di illuminazione che ci fa uomini nuovi, nati dall'alto (3,3), da quell'acqua che è lo Spirito (3,5). I battezzati sono chiamati «illuminati» (cf. Eb 6,4; 10,32); un antico inno battesimale dice: «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).

Si dice spesso che la fede è cieca, confondendola con l'irrazionalità della creduloneria, equamente diffusa tra chi crede di credere e chi crede di non credere. La fede cristiana è essenzialmente un «vedere». Non si tratta di avere visioni singolari o strane: si tratta semplicemente di aprire gli occhi sulla realtà. L'uomo infatti è cieco dalla nascita: i suoi occhi, più che finestre sull'altro, sono specchi che riflettono i suoi fantasmi, scambiati per verità. Il buio e la paura gli hanno chiuso gli occhi e gli fanno proiettare sulle palpebre i suoi timori. Solo la luce dell'amore gli permette di aprire gli occhi e vedere ciò che c'è.

Il testo inizia con un cieco che vede e termina con dei presunti vedenti che restano ciechi. In mezzo c'è il processo di illuminazione dell'ex cieco. La conoscenza che egli ha di Gesù come «quell'uomo» (v. 11), diventa sempre più chiara e profonda: è un profeta (v. 17), è da Dio (v. 33), è il Figlio dell'uomo, è il Signore che vede e adora (vv. 35-38). Dall'iniziale «non so dove sia» (cf. v. 12), giunge ad accoglierlo come quello che parla con lui (v. 37).

Le resistenze che l'ex cieco incontra - sono fuori o dentro di lui? - lo portano a scoprire la sua identità: diventa una persona libera di pensare senza pregiudizi, indipendente dalle pressioni altrui e capace di contraddire chi nega la realtà. È un uomo nuovo, che torna a rispecchiare il Volto di cui e immagine: è «io sono» (v. 9), che sta davanti a «Io-Sono»!

Nel racconto noi siamo come i vari personaggi. O ci identifichiamo con il cieco, per fare la sua stessa esperienza di luce, o siamo tra quelli che vogliono restare ciechi, perché presumono di non esserlo (v. 41).

Dopo questo segno, le cui implicazioni sono sviluppate nel c. 10, segue nel c. 11 la risurrezione di Lazzaro, espressamente collegata alla guarigione del cieco (11,37). «Vedere» infatti è rinascere a vita nuova.

La Parola, luce e vita di tutto, testimonia di se stessa semplicemente mostrando ciò che è in ciò che fa: comunica se stessa illuminando e facendo vedere ogni realtà nella sua differenza. La sua venuta provoca una crisi, con un duplice esito: c'è chi l'accoglie e chi la rifiuta. Questo è il giudizio, di vita o di morte, che l'uomo compie su se stesso. Il testo evangelico ci pone davanti agli occhi questo processo perché lo conosciamo e, liberati dall'inganno, possiamo giungere alla verità che ci fa vivere.

L'ostilità incontrata dal cieco illuminato è la medesima che ha dovuto sostenere Gesù da parte dei suoi contemporanei. È la stessa che deve sostenere la Chiesa di Giovanni da parte del suo ambiente e ogni credente da parte del mondo. Il Vangelo è eterno e racconta una storia sempre attuale: in ogni tempo c'è un cieco che viene alla luce e mostra ai presunti vedenti che sono ciechi, perché aprano gli occhi sulla loro situazione. La luce fa breccia nelle tenebre di una persona concreta: gli altri sono chiamati a fare la stessa esperienza, superando le proprie resistenze uguali a quelle che emergono nel racconto.

Le parole ricorrenti danno continuità alla narrazione e ne offrono la chiave di lettura: cieco (13 volte), aprire gli occhi (7 volte), vedere (8 volte), vedere di nuovo (4 volte), lavarsi (5 volte), fango (5 volte), generare (5 volte), genitori (6 volte), conoscere (11 volte), peccare (2 volte su un totale di 4 in Giovanni), peccatore (4 volte, solo qui in Giovanni), come (6 volte), dove (2 volte), chi e che cosa (6 volte). Inoltre, ci sono vocaboli unici oppure rari in Giovanni: nascita, sputare, sputo, fango, ungere, timorato di Dio, straordinario, mendicare, essere espulsi dalla sinagoga, adorare e confessare. Questi termini illustrano cos'è il battesimo, come avviene e cosa comporta.

Dal punto di vista formale il racconto, introdotto da un dibattito sul peccato (v. 2s) ripreso più avanti (v. 25s), è ben congegnato: al segno (vv. 1-7) segue prima l'interrogatorio del cieco da parte della folla (vv. 8-12) e da parte dei farisei (vv. 13-17), poi quello dei suoi genitori da parte dei giudei (vv. 18-23) ed infine quello del cieco da parte dei giudei (vv. 24-34). Il tutto si conclude, come all'inizio, con un incontro con Gesù (vv. 35-38) e un giudizio: la luce del mondo è venuta a dare la vista ai cíechi e a convincere di cecità chi crede di vedere (vv. 39-41).

C'è una «lotta continua» nell'uomo, sia per chi viene alla luce sia per chi resta nelle tenebre. Chi viene alla luce deve sostenere l'opposizione delle tenebre; chi resta nelle tenebre avverte il dilagare della luce, che non riesce ad arrestare. È una lotta interiore a ciascuno di noi: «La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste» (Gal 5,17). Infatti quando vogliamo il bene, sentiamo le resistenze del male; quando facciamo il male, sentiamo il rimorso della coscienza, perché siamo fatti per il bene. È il dramma dell'uomo, in cui si compie il faticoso passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Oggi, come allora, le «tenebre» sono da individuare in quel sistema di «omologazioni» che ci impedisce di vivere la libertà di essere noi stessi.

Gesù è luce del mondo: ci fa venire alla luce della nostra verità, che è la sua stessa di Figlio.

La Chiesa si riconosce nel cieco e nel suo lento cammino battesimale, che la illumina e la porta a vedere e seguire il pastore della vita.


A tutti buona continuazione del cammino quaresimale

Don Michele

RITO ROMANO
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C)
Prima Lettura
Gs 5,9.10-12
Dal libro di Giosuè
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: “Oggi ho allontanato da voi l'infamia d'Egitto”.
Gli Israeliti si accamparono a Galgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nella steppa di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
La manna cessò il giorno seguente come essi ebbero mangiato i prodotti della terra, e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Salmo responsoriale (Sal 33)
Il Signore è vicino a chi lo cerca.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.

Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
Seconda Lettura
2Cor 5,17-21
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Acclamazione al Vangelo
(Lc 15,18)
Gloria e lode a te, o Cristo!
Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te!
Gloria e lode a te, o Cristo!
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”.
Allora egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
COMMENTO DI P. RANIERO CANTALAMESSA

Il vangelo della IV domenica di Quaresima è una delle pagine più celebri del vangelo di Luca e di tutti e quattro i vangeli: la parabola del figliol prodigo. Tutto, in questa parabola, è sorprendente; mai Dio era stato dipinto agli uomini con questi tratti. Ha toccato più cuori questa parabola da sola che tutti i discorsi dei predicatori messi insieme. Essa ha un potere incredibile di agire sulla mente, sul cuore, sulla fantasia, sulla memoria. Sa toccare le corde più diverse: il rimpianto, la vergogna, la nostalgia.

La parabola è introdotta con queste parole: "Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro". Allora egli disse loro questa parabola..." (Lc 15, 1-2). Seguendo questa indicazione, vogliamo riflettere sull'atteggiamento di Gesù verso i peccatori, spaziando su tutto il vangelo, mossi dallo scopo che ci siamo prefissi in questo commento ai vangeli della Quaresima, di conoscere meglio chi era Gesù, cosa sappiamo storicamente di lui.

È nota l'accoglienza che Gesù riserva ai peccatori nel vangelo e l'opposizione che essa gli procurò da parte dei difensori della legge che lo accusavano di essere "un mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori" (Lc 7, 34). Uno dei detti storicamente meglio attestati di Gesù suona: "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mc 2, 17). Sentendosi da lui accolti e non giudicati, i peccatori lo ascoltavano volentieri.

Ma chi erano i peccatori, quale categoria di persone veniva designata con questo termine? Qualcuno, nell'intento di scagionare del tutto gli avversari di Gesù, i farisei, ha sostenuto che con questo termine si intendono "i trasgressori deliberati e impenitenti della legge", in altre parole i criminali, i fuori legge. Se fosse così, gli avversari di Gesù avevano tutta la ragione di scandalizzarsi e di ritenerlo persona irresponsabile e socialmente pericolosa. Sarebbe come se oggi un sacerdote frequentasse abitualmente mafiosi e criminali e accettasse i loro inviti a pranzo, con il pretesto di parlare loro di Dio.

In realtà le cose non stanno così. I farisei avevano una loro visione della legge e di ciò che è conforme o contrario ad essa e consideravano reprobi tutti quelli che non si conformavano alla loro rigida interpretazione della legge. Peccatori, insomma, erano per loro tutti quelli che non seguivano le loro tradizioni e i loro dettami. Seguendo la stessa logica, gli Esseni di Qumran consideravano ingiusti e violatori della legge i farisei stessi! Succede anche oggi. Certi gruppi ultraortodossi considerano automaticamente eretici tutti quelli che non la pensano esattamente come loro.

Un eminente studioso scrive a questo riguardo: "Non è vero che Gesù aprisse le porte del regno a criminali incalliti e impenitenti, o negasse l'esistenza di 'peccatori'. Gesù si oppose agli steccati che venivano eretti nel corpo d'Israele, per i quali alcuni israeliti venivano trattati come se fossero fuori del patto e esclusi dalla grazia di Dio" (James Dunn).

Gesù non nega che esista il peccato e che esistano i peccatori. Il fatto di chiamarli "malati" lo dimostra. Su questo punto egli è più rigoroso dei suoi avversari. Se questi condannano l'adulterio di fatto, egli condanna anche l'adulterio di desiderio; se la legge diceva di non uccidere, lui dice che non si deve neppure odiare o insultare il fratello. Ai peccatori che si avvicinano a lui, egli dice: "Va' e non peccare più"; non dice: "Va' e continua come prima".

Quello che Gesù condanna è di stabilire per conto proprio qual è la vera giustizia e disprezzare gli altri, negando loro perfino la possibilità di cambiare. È significativo il modo in cui Luca introduce la parabola del fariseo e del pubblicano: "Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri" (Lc 18,9). Gesù era più severo verso coloro che, sprezzanti, condannavano i peccatori, che verso i peccatori stessi.

Ma il fatto più nuovo e inaudito nel rapporto tra Gesù e i peccatori non è la sua bontà e misericordia verso di loro. Questo si può spiegare umanamente. C'è, nel suo atteggiamento, qualcosa che non si può spiegare umanamente, cioè ritenendo che Gesù fosse un uomo come gli altri, ed è il fatto di rimettere i peccati.

Gesù dice al paralitico: "Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati". "Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?", gridano inorriditi i suoi avversari. E Gesù: "Affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati, Alzati, disse al paralitico, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua". Nessuno poteva verificare se i peccati di quell'uomo erano stati rimessi o no, ma tutti potevano costatare che si alzava e camminava. Il miracolo visibile attestava quello invisibile.

Anche l'esame dei rapporti di Gesù con i peccatori, contribuisce dunque a dare una risposta alla domanda: Chi era Gesù? Un uomo come gli altri, un profeta, o qualcosa di più e di diverso? Durante la sua vita terrena Gesù non affermò mai esplicitamente di essere Dio (e abbiamo spiegato in precedenza anche perché), ma agì attribuendosi poteri che sono esclusivi di Dio.

Torniamo adesso al vangelo di domani e alla parabola del figliol prodigo. C'è un l'elemento comune che unisce tra loro le tre parabole della pecorella smarrita, della dramma perduta e del figliol prodigo narrate una di seguito all'altra nel capitolo 15 di Luca. Cosa dice il pastore che ha ritrovato la pecorella smarrita e la donna che ha ritrovato la sua dramma? "Rallegratevi con me!". E cosa dice Gesù a conclusione di ognuna delle tre parabole? "Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione".

Il leitmotiv delle tre parabole è dunque la gioia di Dio. (C'è gioia "davanti agli angeli di Dio", è un modo tutto ebraico di dire che c'è gioia "in Dio"). Nella nostra parabola, la gioia straripa e diventa festa. Quel padre non sta più nella pelle e non sa cosa inventare: ordina di tirare fuori il vestito di lusso, l'anello con il sigillo di famiglia, di uccidere il vitello grasso, e dice a tutti: "Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

In un suo romanzo, Dostoevskij descrive un quadretto che ha tutta l'aria di una scena osservata dal vero. Una donna del popolo tiene in braccio il suo bambino di poche settimane, quando questi - per la prima volta, a detta di lei- le sorride. Tutta compunta, ella si fa il segno della croce e a chi le chiede il perché di quel gesto risponde: "Ecco, allo stesso modo che una madre è felice quando nota il primo sorriso del suo bimbo, così si rallegra Iddio ogni volta che un peccatore si mette in ginocchio e rivolge a lui una preghiera fatta con tutto il cuore" (L'Idiota, Milano 1983, p. 272). Chissà che qualcuno, ascoltando, non decida di dare finalmente a Dio un po' di questa gioia, di fargli un sorriso prima di morire...

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