mercoledì 3 marzo 2010

III domenica di Quaresima 7 marzo 2010

DOMENICA DI ABRAMO 2010 (7 marzo) - III di Quaresima


LETTURA
Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4a; 18, 9-22

In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio. Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».

SALMO
Sal 105 (106)

® Salvaci, Signore, nostro Dio.
Abbiamo peccato con i nostri padri,
delitti e malvagità abbiamo commesso.
I nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie,
non si ricordarono della grandezza del tuo amore. ®

Molte volte li aveva liberati,
eppure si ostinarono nei loro progetti.
Ma egli vide la loro angustia,
quando udì il loro grido. ®

Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione, per il suo grande amore.
Li affidò alla misericordia
di quelli che li avevano deportati. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 3, 21-26

Fratelli, ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 8, 31-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

COMMENTO

«Prima che Abramo fosse, IO SONO», afferma Gesù alla fine di questa lunga discussione con i giudei che hanno creduto «in lui» (cf v. 30) o, meglio, «a lui» (cf. v. 31). Credere «a lui» è dar credito alle sue parole, credere «in lui» è aderire alla sua persona. Si può dar credito al suo messaggio, senza accettare la sua persona. Ma la verità è sempre «carne»; per questo, quando si rivela in Gesù, è rifiutata dall'ideo¬logia religiosa. Non si può accettare il suo messaggio su Dio e sull'uomo, se non si accetta che lui stesso è il suo messaggio: è la carne della Parola, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio.

Nel testo si affrontano i temi della verità, della libertà e della paternità, fonda¬mentali per ogni uomo. La verità, che dà la libertà, è la conoscenza del Padre e l'ac¬cettazione di essere figli. La verità di Dio come Padre rende liberi; la menzogna di un dio padrone, al quale servire o ribellarsi, rende schiavi. Infatti la relazione pa¬dre/figlio condiziona tutte le altre. La rivelazione di Dio come Padre, possibilità ul¬tima di riscatto da ogni cattiva esperienza nel confronti dei padre terreno, è l'argo¬mento dominante dei testo.
La verità sta nella parola che fa venire alla luce una realtà conosciuta; l'errore sta nella parola che non corrisponde alla realtà; la menzogna sta nella parola erra¬ta, appositamente detta per indurre un altro in errore.
La parola vera, erronea o menzognera che sia determina il fare dell'uomo: ognuno agisce, anzi diventa secondo la parola che accoglie. Se è vera, la parola dona la libertà di entrare in comunione con chi parla e in armonia con la realtà; se è erra¬ta, rende schiavi dell'inganno; se è menzognera, è una trappola per piegare l'altro ai propri intenti. Dove c'è verità, c'è libertà e amore; dove c'è errore, c'è buio e igno¬ranza; dove c'è menzogna, c'è violenza e schiavitù, oppressione e morte: «Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua» (Sir 28,18). La parola governa i rapporti degli uomini tra di loro e con le cose; la lingua è come il ti¬mone di una nave (cf. Gc 3,3 10): può condurla in porto o farla naufragare.
La verità più importante riguarda l'uomo stesso: chi è l'uomo, qual è la sua realtà profonda? Gesù, il Figlio, è venuto a rivelarci che siamo figli di Dio, simili al Padre. Egli, nel tempo in cui è vissuto tra noi, ci ha manifestato quel Dio che nessu¬no mai ha visto.
La parola «verità» è particolarmente cara a Giovanni: nel suo Vangelo esce venticinque volte (tre volte in Marco, tre in Matteo e tre in Luca). Così pure «vero» esce dieci volte (sette volte in Marco, una in Matteo e nessuna in Luca), mentre «veritie¬ro» esce nove volte (una volta in Luca e nessuna in Marco e Matteo). Per Giovanni la verità non è un'idea, ma una persona concreta: Gesù. Egli, con ciò che fa e dice, è la verità dell'uomo: rivela sé come Figlio e noi come suoi fratelli.
Da questa verità nasce la nostra libertà di figli, che è quella di essere come Dio stesso, nostro Padre. La libertà è la caratteristica più propria e cara all'uomo, ma anche la più ambigua. Insieme all'amore, è la realtà più adulterabile e adulterata che ci sia.
L'idea di libertà del giudaismo cristianesimo è diversa da quella che propongono le varie culture, antiche e moderne, almeno là dove essa è presa in considera¬zione. Queste, semplificando, hanno i due concezioni opposte.
La prima considera libero l’uomo potente, che può fare ciò che gli pare e pia¬ce, mentre gli altri sono schiavi, possibilmente suoi. Questo modo di pensare, sem¬pre attuale e antico quanto il inondo, pone come principio di azione la ricerca del proprio piacere. Si può obiettare che questo criterio, se è sufficiente per l'animale, programmato dall'istinto, per l'uomo è il fallimento della sua umanità: resta schia¬vo dell'egoismo, asservendo ad esso tutto e tutti.
La seconda, al contrario, considera libero il sapiente o l'asceta, che sa e fa ciò che deve, mentre gli altri sono schiavi dell'ignoranza o dell'incapacità di fare ciò che sanno. Questo modo di pensare più aristocratico del precedente, comune a filoso¬fi e religiosi pone come principio di azione il proprio dovere, che altro non è che il piacere, tipicamente umano, di essere giusti e corretti, senza sottostare a condi¬zionamenti. È la libertà di Diogene davanti ad Alessandro Magno. Ma questa liber¬tà, per quanto più nobile della prima, lascia ancora l'uomo schiavo del proprio io o super io.
Secondo la Bibbia, invece, l'uomo è libero perché immagine e somiglianza di quel Dio che è amore: è libero perché suo interlocutore e partner, capace di rispon¬dere all'amore con l'amore. Il vincolo personale con lui, l'assoluto, lo assolve (= sle¬ga) dal dominio del proprio piacere o del proprio dovere, rendendolo capace di agi¬re secondo l'amore che conosce. Il principio della libertà è quindi l'amore, che ci ren¬de simili a Dio. La libertà cristiana consiste nell'amare come e perché siamo amati, mettendoci ognuno a servizio dell'altro (cf. Gal 5,13).
Questa libertà non è frutto di ricerca intellettuale o ascesi morale; viene piut¬tosto dall'accettare la verità di ciò che siamo: figli amati. È quanto Gesù, il Figlio, è venuto a rivelarci, per liberare la nostra libertà.
L'uomo ha bisogno di essere accettato: vive o muore a seconda che sia accetta¬to o meno dall'altro. Fino a quando non conosce un amore incondizionato, cerca ne¬cessariamente di guadagnarsene almeno delle briciole. Esse sono però insufficienti alla sua fame: ciò che è parziale e guadagnato non è amore, perché l'amore non può essere che totale e gratuito. Solo chi si sa amato senza condizioni, è libero di amare se stesso e gli altri. Per questo il principio della nostra libertà è la verità di Gesù, il Figlio amato, che ci rivela la nostra identità di figli amati dal Padre.
Questa concezione di verità e libertà, centrata sull'essere figli, implica necessa¬riamente la paternità: la verità che rende libero l'uomo è la conoscenza dell'amore del Padre, che gli permette di accettare la propria realtà di figlio. Per ben quattordi¬ci volte in questo testo esce direttamente la parola «padre», con numerose espres¬sioni equivalenti. Ma anche la paternità è un termine ambiguo. Si può infatti pensa¬re il padre come colui che toglie la libertà e schiaccia il figlio, oppure come colui che gli dà la vita e la libertà. Anche se fino a poco tempo fa si pensava che si potesse es¬sere figli di un solo padre, ognuno di noi ha sempre avvertito dentro di sé una «dop¬pia paternità», una buona e una cattiva. Infatti oltre l'immagine di un Padre buono, c'è in noi anche una cattiva opinione su Dio che non ci fa accettare lui come Padre e noi stessi come suoi figli. Rifiutiamo la sua paternità perché nel nostro cuore ne è subentrata un'altra, surrettizia e fraudolenta: quella del diavolo (= divisore), che ci divide dal Padre, da noi stessi come figli e dagli altri come fratelli. Nella Bibbia que¬sta paternità malefica, che tutti sperimentiamo, deriva dall'aver dato ascolto alla menzogna che ci dipinge un dio invidioso della nostra vita e felicità (cf. Gen 3,1ss). Come può vivere un figlio che considera in questo modo suo padre? Uno diventa l'immagine che ha del padre/madre. All'origine dei mali dell'uomo, ora come allora, c'è sempre una menzogna, un «delitto semantico». In questo modo, parole come Dio, padre, amore, verità, libertà, giustizia, felicità più necessarie del pane per vivere , diventano avvelenate di morte. Come la verità ci rende liberi, così la menzogna ci rende schiavi del non senso e del caos, preda della paura e delle tenebre.
Gesù, luce del mondo (v. 12), luce vera che illumina ogni uomo (1,9), è venuto a liberarci dalla menzogna, per restituire a Dio, a noi e ad ogni realtà, il suo volto. La lotta tra verità e menzogna, libertà e schiavitù, si riduce in ultima analisi nell'ac¬cettare o meno la realtà di Dio come Padre e di noi stessi come suoi figli. Essa emer¬ge allo stato puro nell'adesione o nel rifiuto del Figlio. Non aderire a lui significa uc¬cidere la verità nostra e di Dio.
L'uccisione dei Figlio, apice del male, ne è anche la fine. Sia perché non può andare oltre, sia perché in essa «Io Sono» si rivela per quello che è (cf. v. 28). Se noi uccidiamo Gesù, egli, dando la vita per noi, manifesta chiaramente chi è Dio: amo¬re infinito per noi. Per questo il Figlio dell'uomo innalzato è la vittoria definitiva della luce sulla tenebra (cf. 3,14 16).

Il testo si articola in tre parti. Gesù invita coloro che hanno creduto a «dimo¬rare» nella sua parola di Figlio, per conoscere la verità che fa liberi. Si può essere fi¬gli di Abramo, e anche cristiani, restando schiavi della menzogna che non fa dimo¬rare in questa parola (vv. 31 36). In realtà siamo figli della parola che ascoltiamo e viviamo. Si vede di chi siamo figli da ciò che facciamo. Se non accogliamo il Figlio o vogliamo ucciderlo, non siamo figli né di Abramo né di Dio, al quale Abramo cre¬dette: siamo figli del diavolo, padre della menzogna e omicida (vv. 37 47). Ai ripetuti insulti, Gesù replica che chi ascolta la sua parola non muore in eterno. I suoi ascol¬tatori gli chiedono chi pretenda di essere, se tutti ì servi della Parola, da Abramo ai profeti, sono morti.
Gesù risponde proclamandosi colui il cui Padre è quello che essi chiamano loro Dio. Egli è il Figlio, che era al principio: è «Io Sono». La sua rivelazione provoca il tentativo di lapidazione (vv. 48 59).

Gesù è la verità che ci fa liberi. È infatti il Figlio di Dio che rivela l’identità nostra come figli e di Dio come padre, liberandoci dalla menzogna che ci rende schiavi di una falsa immagine di lui e di noi.
La Chiesa, pur credendo in Gesù, scopre in sé una doppia paternità, che si ma¬nifesta rispettivamente corne fiducia/ascolto o sfiducia/non ascolto del Figlio.


RITO ROMANO


Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Disse anche questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai”.

COMMENTO DI P. RANIERO CANTALAMESSA
Il vangelo della III Domenica di Quaresima ci offre un esempio tipico di come predicava Gesù. Egli prende lo spunto da un fatto di cronaca (l'uccisione di alcuni galilei per ordine di Pilato e la caduta di una torre che aveva fatto diciotto vittime) per parlare della necessità di vigilare e di convertirsi. Secondo il suo stile rafforza quindi il suo insegnamento con una parabola: "Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna...". Seguendo il programma che ci siamo prefissi per questa Quaresima, noi partiamo da questo brano per allargare lo sguardo a tutta la predicazione di Gesù, cercando di capire cosa essa ci dice sul problema chi era Gesù.

Gesù iniziò a predicare con una solenne dichiarazione: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15). Noi ci siamo assuefatti al suono di queste parole e non ne percepiamo più la novità e il carattere rivoluzionario. Con esse Gesù veniva a dire: il tempo dell'attesa è finito; l'ora dell'intervento decisivo di Dio nella storia umana, annunziata dai profeti, è scoccata; quel tempo è ora! Ora si decide tutto, e si decide in base all'atteggiamento che ognuno prenderà davanti alle mie parole.

Questo senso di compimento, di traguardo finalmente raggiunto, si percepisce in diversi detti di Gesù di cui non si può mettere in dubbio l'autenticità storica. Un giorno, rivolgendosi ai discepoli in disparte, egli disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono" (Lc 10, 23-24).

Nel discorso della montagna Gesù dice tra l'altro: "Avete inteso che fu detto (da Mosè!)..., ma io vi dico". Immaginiamo che un predicatore sale sul pulpito e comincia a dire: "Avete inteso che Gesù vi ha detto..., ma io vi dico". L'impressione che dovevano fare le parole di Cristo ai suoi contemporanei non era molto diversa. Davanti ad affermazioni simili, non ci sono molte spiegazioni: o chi parla è un pazzo esaltato, o dice semplicemente la verità. Un pazzo però non vive e non muore come ha fatto lui e non continua a scuotere l'umanità a distanza di venti secoli dalla sua scomparsa.

La novità della persona e della predicazione di Gesù emerge in modo chiarissimo dal confronto con Giovanni Battista. Giovanni parlava sempre di qualcosa di futuro, un giudizio che stava per accadere; Gesù parla di qualcosa che è presente, un regno che è venuto e operante. Giovanni è l'uomo del "non ancora", Gesù è l'uomo del "già".

Gesù dice: "Tra i nati di donna non c'è nessuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui" (Lc 7, 28); e ancora: "La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi" (Lc 16, 16). Queste parole dicono che tra la missione di Giovanni e quella di Gesù c'è stato un salto qualitativo: il più piccolo nel nuovo ordine è in una posizione migliore che non il più grande del vecchio ordine. Furono queste ragioni che indussero i discepoli di Bultmann (Bornkamm, Konzelmann...) a staccarsi dal loro maestro, ponendo il grande spartiacque tra l'antico e il nuovo, tra ebraismo e cristianesimo, nella vita e nella predicazione di Cristo e non nella fede della Chiesa dopo la Pasqua.

Appare chiaro da ciò quanto sia storicamente insostenibile la tesi di alcuni che racchiudono Gesù all'interno del mondo ebraico contemporaneo, facendo di lui un ebreo come gli altri, che non ha inteso operare nessuna rottura con il passato, né portare nessuna novità sostanziale. È un far regredire la ricerca storica su Gesù a uno stadio da tempo superato.

Torniamo, come al solito, al brano evangelico della domenica, per trarne qualche insegnamento pratico. Alla notizia della strage operata da Pilato e del crollo della torre di Siloe, Gesù commenta: "Credete voi che le vittime di quelle disgrazie fossero più peccatori degli altri? No, vi dico, ma se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo. Ne deduciamo un insegnamento importantissimo. Le disgrazie non sono, come alcuni pensano, segno di castigo divino nei confronti dei colpiti; sono semmai un ammonimento per chi resta.

Questa è una chiave di lettura indispensabile, per non perdere la fede di fronte alle sciagure terribili che avvengono ogni giorno sulla terra, spesso tra le popolazioni più povere e indifese. Gesù ci fa capire come dovremmo reagire quando, a sera, la televisione ci porta notizie di terremoti, inondazioni, o stragi come quella di Pilato. Non con degli sterili "O poverini!", ma traendone spunto per riflettere sulla precarietà della vita, sulla necessità di stare pronti e di non attaccarsi esageratamente a quello che da un giorno all'altro ci può venire a mancare.

Risuona nel brano evangelico la stessa parola con cui Gesù iniziò a predicare: conversione. Vorrei però far notare che convertirsi non è solo un dovere, è anche una possibilità per tutti, quasi un diritto. È una buona, non una cattiva, notizia! Nessuno è escluso dalla possibilità di cambiare. Nessuno può essere dato per irrecuperabile. Vi sono, nella vita, situazioni morali che sembrano senza via d'uscita: divorziati risposati, coppie con figli, che convivono senza essere sposati, pesanti precedenti penali a carico, condizionamenti di ogni genere.

Anche per questi c'è la possibilità di cambiamento. Quando Gesù disse che era più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli, gli apostoli osservarono: "E chi allora si può salvare?". Gesù rispose con una frase che vale anche per i casi che ho accennato: "Impossibile agli uomini, non a Dio".

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