martedì 30 novembre 2010

DOMENICA 5 DICEMBRE 2010 IV DI AVVENTO

Vangelo secondo Matteo 21, 1-9

In quel tempo. Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: / Ecco, a te viene il tuo re, / mite, seduto su un’asina / e su un puledro, figlio di una bestia da soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Osanna nel più alto dei cieli!».

COMMENTO

Una modesta acclamazione popolare acquista, nel Vangelo di Matteo, il fascino di una
scena trionfale di Gesù nella città santa, con tutta quella dignità regale e messianica che
dall'evangelista viene ripresa, ripensando il testo del profeta Zaccaria.

Tuttavia il trionfo si lega però alla passione.

La citazione di Zaccaria ricorda, in particolare, la mitezza e l'umiltà. Infatti, dal testo citato di Zaccaria vengono tolti due aggettivi:
"Egli è giusto e vittorioso" (Zac 9,9) così come vengono sostituite le parole,
"Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme" con
"Dite alla figlia di Sìon" di Isaia (62,11).

Matteo concentra l'attenzione su Gesù "mite" (umile). Questi, infatti, non entra vittorioso
su un focoso destriero, ma su un umile asinello, come annunciatore di pace (Zac 9,10).
Gesù, sale al tempio, coinvolto in un trionfo improvvisato, che, a dire la verità, anche Lui
ha provocato, prenderà poi possesso della città santa e ne scaccerà i profanatori (21,12-
17).

La folla distende le vesti e agita rami di alberi mentre scandisce acclamazioni. Queste
però risultano pericolose poiché fanno riferimento alla dignità regale, acclamata in modo
semplice e ingenuo.

Nel Salmo 118,19 si fa riferimento alla folla che nella "festa delle capanne"e "della
dedicazione" facevano un corteo gioioso: "Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai
lati dell'altare". I pellegrini, che probabilmente accompagnano Gesù o i suoi compatrioti
galilei, accampati fuori Gerusalemme, si ricordano di questa consuetudine e organizzano
una festa in modo rozzo e modesto. L'acclamazione "Osanna" significa, inizialmente,
"Deh! Salvaci", ma poi è diventato un grido gioioso, a cui fanno seguito le acclamazioni
messianiche, tratte dal Salmo 118,25-26.

Il Signore non viene come ce lo aspetteremmo. Non traspaiono i nostri progetti né le
nostre rivincite. Egli annulla le vittorie. Quando viene, porta una proposta di pace e di
novità a cui solo le persone semplici, i credenti in Lui, rispondono fiduciosi.
Egli non garantisce niente di ciò che ci aspettiamo. Per il suo trionfo chiede in prestito a
noi le piccole cose che abbiamo: gli asini, la festa, i mantelli, i rami degli alberi, le grida
di acclamazione, la fiducia. Egli non manifesta esigenze di potere, né forze combattenti,
né desideri di trionfo.

Egli non vuole vincere nessuno, e questo dovrebbe essere ben chiaro nella sensibilità del
nostro mondo credente.

A noi piace pensare che Cristo "impera, vince, regna". Cristo viene per servire, per amare
fino alla morte, per offrire chiarezza e lucidità su quello che veramente conta. E queste
parole vanno lette nel sangue dei martiri messicani agli inizi del secolo XX. Ma poi la
voglia di dimostrare e di vincere ci rende facilmente fondamentalisti quando vogliamo e
pretendiamo di dimostrare e di difendere la potenza di Dio. Ma Egli ci offre un cammino
in libertà verso di Lui, il Signore che ci accompagna discreto e invisibile e che ci accoglie
con un abbraccio di comunione. Ci accoglie come umili testimoni della volontà del Padre
che ama e non vuol vincere.

Approfondimento Il Cristianesimo in dialogo con la cultura europea

Cristiani tutti di un pezzo del Card. Kurt Koch

Secolarizzazione o secolarismo?
Le democrazie dell’Europa occidentale sono spesso qualificate come materialiste ed edoniste. Ma è la nozione di secolarizzazione quella che torna più spesso nei discorsi del magistero della Chiesa cattolica. A uno sguardo un po’ attento questo termine si rivela troppo vago per descrivere le nostre società occidentali. Questo soprattutto per tre motivi, che esamineremo uno dopo l’altro.
Nel discorso ecclesiastico il termine 'secolarizzazione' è spesso utilizzato in senso negativo, e questo giustifica una resistenza della Chiesa a un mondo moderno che si distacca da essa. Un motivo di questa posizione difensiva è da cercare in una certa confusione fra la secolarizzazione come fatto culturale e la secolarizzazione come processo politico ed economico. Vista in questo modo, la secolarizzazione è necessariamente compresa come un rifiuto della Chiesa e una progressiva scristianizzazione. Invece la Chiesa dovrebbe gioire che il cristianesimo in Europa esista anche in forma secolarizzata, prova che essa ha trasmesso all’intera società i frutti dell’evangelo: rispetto della libertà di coscienza, dignità inviolabile di ogni persona, dovere di ingerenza per l’altrui protezione (compresa e soprattutto la vita di persone handicappate o ferite), scuola obbligatoria, per citare solo qualche esempio particolarmente significativo. Sono questi altrettanti tesori evangelici secolarizzati. Alcuni di essi sono stati anzi pienamente riconosciuti come tali solo una volta secolarizzati!
Una mobilitazione cristiana contro questo tipo di secolarizzazione sarebbe dunque il risultato di un grave errore di giudizio. Se infatti la secolarizzazione culturale implica certamente la rottura di un legame con la Chiesa, non per questo equivale a una scristianizzazione.
Questa convinzione è stata condensata dal teologo protestante Trutz Rendtorff in una formula lapidaria: «La secolarizzazione, vista sul piano culturale, non è un concetto che si opponga al cristianesimo». Per contro è possibile respingere un’altra tesi di Rendtorff sul fatto che «la secolarizzazione, in quanto movimento che si oppone al cristianesimo, si produce solo per effetto di pressioni politiche deliberate». Se infatti la situazione nell’Europa ex comunista conferma questa tesi, quel 'solo' è di troppo: non sempre avviene così. A est come a ovest la secolarizzazione ha preso talvolta la forma di un processo anticristiano per divenire così un pericoloso secolarismo, ma non ha assunto sempre necessariamente questa forma. Si fa allora apparire l’ombra oscura della recente situazione dell’Europa occidentale, ma questa è percepita adeguatamente solo se la secolarizzazione è stata prima considerata alla luce positiva della fede cristiana.
Questa luce è a sua volta accompagnata da un’altra ombra, più inquietante, prodotta dal cristianesimo stesso. La divisione confessionale dell’Europa, con le sue atroci conseguenze di guerre, la tragica incapacità delle chiese a mantenere la pace religiosa, tutto questo, visto storicamente, ha condotto alla necessità di sottrarre la vita civile, in ambiti importanti, alle contraddizioni confessionali, situandola in un contesto secolarizzato. Deplorare il secolarismo dell’Europa o la sua dimenticanza di Dio, che Martin Buber chiamava 'eclisse di Dio', equivale per le Chiese a fare innanzitutto autocritica. Per le Chiese dell’Europa ex comunista una tale autocritica deve portare a riconoscere da un lato che il crollo del sistema totalitario costituisce un’immensa opportunità per la comunicazione della fede, ma che d’altro lato esso non garantisce per nulla la riuscita di tale comunicazione. Ciò non significa che la Chiesa debba ora prendere il posto dello Stato e dettare alla società civile le sue linee di condotta. Il cristianesimo ha la vocazione di ricordare al legislatore le esigenze evangeliche, non di sostituirsi a esso.

Secolarizzazione o postmodernità vagamente religiosa?
La comunicazione della fede non è dunque una soluzione di ricambio contro la secolarizzazione. È però una via per sormontare il secolarismo, che ha provocato una tremenda assenza di Dio nella cultura europea. Ma le società moderne sono davvero tanto empie quanto si vorrebbe farci credere? Questa domanda ci conduce a considerare un secondo motivo per cui la nozione di secolarizzazione sembra poco adatta a caratterizzare le società occidentali. In effetti questa idea di secolarizzazione è spesso legata, soprattutto entro la Chiesa, al seguente pregiudizio: nelle nostre società moderne la religione e il cristianesimo non hanno più avvenire. Una simile analisi ha a quanto pare dalla sua i pronostici dei sociologi della religione. Max Weber, ad esempio, ha caratterizzato la secolarizzazione come un processo di 'disincanto' del mondo. In essa egli vedeva l’inevitabile destino delle società industrializzate. Al suo seguito i sociologi della religione sono stati unanimi nell’affermare che il processo di secolarizzazione era irreversibile.
Questo 'dogma' peraltro è oggi largamente abbandonato, soppiantato da quello della persistenza (o del ritorno) della religione.
Secondo quest’analisi non ci si deve attendere uno sviluppo illimitato della secolarizzazione.
Le società moderne dell’Europa occidentale creano da se stesse un bisogno di senso, attraverso il vuoto che la cultura secolare non riesce a colmare. Di fatto, la religione è nuovamente molto presente nelle nostre società occidentali, che sia attraverso l’esoterismo o la new age. Si sviluppano forme di religione totalmente nuove, nel momento stesso in cui le Chiese si svuotano. Secondo Walter Kasper si tratta di un «miscuglio quasi impossibile da definire, fatto di una cosiddetta mistica e di meditazione orientale. Spesso raggiunge i movimenti ecologisti e femministi, ove i miti sono di grande attualità». La redenzione, come sottolinea non senza umorismo il teologo cattolico Tiemo Rainer Peters con una strizzatina d’occhio a Eugen Drewermann, non è ormai altro che «la liberazione dell’anima angosciata, strappata al complesso turbine della società e tuffata nella consolazione di una religione privata».
Le attese di Feuerbach, di Marx, di Nietzsche e di Freud si sono rivelate fallaci, come altrettante superstizioni. Ma d’altro lato, sarebbe illusorio concludere che la fede cristiana potrebbe sostituire queste illusioni!
Nelle nostre società infatti la superstizione antireligiosa è stata sostituita da una superstizione religiosa. A questo punto in Europa occidentale il problema esplosivo per le Chiese cristiane non è il conflitto tra credenza e miscredenza, ma quello tra fede e superstizione, tra venerazione e idolatria. La confusione tra fede cristiana e religione patriottica o 'religione civile' è una tenace variante dell’idolatria. La si ritiene capace di garantire l’ordine sociale, ma come fa notare il teologo cattolico Francis Fiorenza, nella religione civile «l’universalismo della religione è minato dal particolarismo nazionalista». La grande tentazione è allora l’idolatria nazionalista. Le Chiese cristiane soccomberebbero a questa tentazione se, come nota Eberhard Jüngel, consentissero a «proporre i loro servizi, in quanto religione civile, a un’Europa in via di unificazione, invece di richiamare il diritto di tutti i credenti a situarsi in maniera costruttiva e critica di fronte alla città».
Secolarizzazione culturale o differenziazione politica?
Vi è un terzo motivo per cui il concetto di secolarizzazione è poco adatto a fondare una nuova comunicazione della fede nella società attuale. Certamente le Chiese hanno perduto la posizione privilegiata di un tempo, ma adempiono ancora a un ruolo importante, in particolare ai margini della società, là dove si manifestano dei bisogni sociali in attesa di risposta. A questo titolo la società moderna assegna due missioni alle Chiese. In primo luogo le Chiese hanno sempre la facoltà di influenzare la condotta delle singole persone.
Ma questa missione è considerata per lo più come una funzione di compensazione. Le Chiese condividono la sorte delle istituzioni di tempo libero in generale. Secondo l’analisi di Jürgen Habermas, il tempo libero è legato al suo contrario, al tempo lavorativo. Serve a ricostituire la capacità di lavorare, a compensare l’attività faticosa fisicamente e psichicamente sfibrante. Si attende dunque dalle Chiese questo sollievo, soprattutto la domenica, attraverso un po’ di sfavillio festivo che compensi la monotonia della settimana.
Finché le Chiese rispondono a quest’attesa ricevono una certa considerazione. Ma non appena si sforzano di forgiare e di umanizzare il mondo quotidiano, quello della settimana, vengono percepite come se esercitassero un’ingerenza intollerabile negli ambiti della politica e dell’economia, e rimandate allo spazio religioso loro assegnato.
In secondo luogo la società affida alle Chiese la gestione della precarietà della vita. Si presume che le Chiese si assumano ciò che fa parte della finitezza umana, soprattutto le situazioni limite di colpevolezza, di sofferenza, di malattia e di morte. Si presume che portino consolazione (o anestesia?) con la promessa di una vita migliore nell’aldilà. Le Chiese ottengono così lo statuto di «pompieri spirituali» o di «farmacie del senso». Finché rispondono a quest’attesa ricevono anche in questo caso una certa considerazione. Ma non appena vogliono andare oltre l’aiuto dato alle persone stritolate dagli ingranaggi della società, e tentano di bloccare questi ingranaggi, si sentono nuovamente accusare di ingerenza proibita in un ambito che non è il loro.
Questa doppia destinazione della Chiesa in un ambito religioso ben delimitato è ciò che viene chiamato privatizzazione della religione.
Un simile processo di frantumazione sociale e di retrocessione delle Chiese nella sfera privata pone una domanda cruciale alle Chiese. Come situarsi in questa società frantumata e come annunciarvi l’evangelo in modo credibile?
Secondo il sociologo Franz-Xaver Kaufmann, si presentano soltanto tre opzioni per rispondere a tale domanda.
In primo luogo, quelli che si usa chiamare tradizionalisti colgono bene la posta in gioco, ma non propongono alcuna terapia utile.
Sognano di ristabilire la situazione del Medioevo. Dato che ciò è impossibile, si sforzano di mantenere, all’interno del loro spazio confessionale, i segni delle antiche società cristiane. Questa opinione regressiva tende a costituire delle 'riserve' di religioso.
Anche se ne esistono ancora dei residui, una tale scelta è superata e non offre alcuna prospettiva di avvenire per una nuova evangelizzazione.
In secondo luogo esiste una concezione liberale, largamente diffusa, che consiste per la Chiesa nel rispondere alle domande rivoltele, nell’ambito della compensazione o della gestione della precarietà. Il problema non è che la Chiesa risponda a tali attese, le quali fanno certo parte della sua missione, ma che risponda unicamente a esse. In tale caso non solo rischia di diventare una semplice fornitrice di servizi che smercia i suoi prodotti sul mercato del senso della vita, ma sarebbe anche tentata, a questo punto, di lasciarsi dettare i suoi compiti e la sua missione dalle attese della società piuttosto di definirli a partire dall’evangelo.
In terzo luogo, di fronte a queste due derive poco promettenti, si presenta l’opzione missionaria. Essa mira a superare le frontiere del senso e del religioso, quali sono determinate dalla società. Non accetta assolutamente, come sottolineano i fratelli Gerhard e Norbert Lohfink, di «lasciare una società borghese e individualista relegare la Chiesa nel settore del religioso e del trascendente». Vuole anche esercitare una funzione critica nei confronti della società e delle correnti dominanti di oggi. Per essa la comunicazione della fede consiste nel diffondere l’evangelo, come il sale, in tutti i settori della vita sociale. Pare evidente che solo questa opzione permette davvero una comunicazione della fede nel contesto europeo. La Chiesa deve imparare ad accettare senza complessi il pluralismo circostante, che relativizza la sua propria esistenza. Tale sfida non dispensa in alcun modo la Chiesa dall’annunciare a tutti la verità e l’assoluto dell’evangelo, ma deve renderla cosciente che questo annuncio universale dell’evangelo, che per essa è una verità indubitabile, nella società moderna non è che un’affermazione in mezzo ad altre. Ciò le apparirà tanto più facile quanto più, da un lato, sarà convinta di derivare la sua autorità solo dall’«autorità di Cristo supplice» e, d’altro lato, si ricorderà che è appunto grazie alla sola forza dell’evangelo e della pratica della carità, senza ricorso al braccio secolare, che essa stessa ha preparato storicamente il pluralismo delle società moderne, garanzia sufficiente perché la secolarizzazione non si degradi in un secolarismo totalitario.


RITO ROMANO



COMMENTO

Matteo 3,1-12

1 In quei giorni, venne Giovanni il Battista e
predicava nel deserto della Giudea 2 dicendo:
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è
vicino!». 3 Egli infatti è colui del quale aveva
parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di
uno che grida nel deserto: Preparate la via del
Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
4 E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di
cammello e una cintura di pelle attorno ai
fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele
selvatico. 5 Allora Gerusalemme, tutta la
Giudea e tutta la zona lungo il Giordano
accorrevano a lui 6 e si facevano battezzare da
lui nel fiume Giordano, confessando i loro
peccati.
7 Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo
battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi
ha fatto credere di poter sfuggire all’ira
imminente? 8 Fate dunque un frutto degno della
conversione, 9 e non crediate di poter dire
dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”.
Perché io vi dico che da queste pietre Dio può
suscitare figli ad Abramo. 10 Già la scure è
posta alla radice degli alberi; perciò ogni
albero che non dà buon frutto viene tagliato e
gettato nel fuoco. 11 Io vi battezzo nell’acqua
per la conversione; ma colui che viene dopo di
me è più forte di me e io non sono degno di
portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito
Santo e fuoco. 12 Tiene in mano la pala e pulirà
la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel
granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco
inestinguibile».


Giovanni Battista è il precursore del Messia. Egli è consapevole che i
tempi della salvezza si stanno compiendo e invita alla conversione il
popolo d’Israele. Il regno di Dio si avvicina e occorre prepararsi
convertendosi dal peccato per vivere nella giustizia.
Già Isaia aveva annunciato il suo presentarsi sulla scena del mondo con
questa missione: preparare il cuore degli uomini per la venuta del
messia.
Giovanni sta nel deserto, lontano dai luoghi della vita comune, deserto
come luogo in cui si riscoprono le cose essenziali che permettono di
vivere: cavallette e miele selvatico, che indicano l’affidamento al
Signore. Il deserto è il luogo in cui il Signore riconduce il suo popolo
per fargli rivivere i legami di amore con cui lo unisce a sé (Os 2,16; Os
11,1-6), per fargli sperimentare la giustizia di Dio nei suoi confronti,
così che possa anche lui viverla pienamente.
L’essenzialità della vita di Giovanni era un segno ben compreso dai suoi
contemporanei, che vedevano in lui un uomo degno di fede, uno che non
ha altro interesse che quello di annunciare ciò che ha udito. Per questo
andavano a confessare a lui i loro peccati.
A chi viene da lui forte della propria fede e tradizione, Giovanni rivolge
una parola sferzante: non fatevi scudo della vostra tradizione, ma anche
voi, come tutti gli altri, convertitevi.
Il tempo del giudizio è vicino e tutto ciò che in ciascuno non porta un
frutto di bontà e di giustizia, verrà tagliato e gettato nel fuoco (cfr. Mc
9,42ss).
Giovanni è consapevole che se lui battezza solo con l’acqua, cioè
attraverso un mezzo esterno, simbolo della realtà interiore, il Messia
invece immergerà gli uomini nello Spirito d’amore del Padre, che
brucerà tutti i peccati e lascerà vivere il buon grano, nutrimento d’amore
per tutti.
Accogliamo con gioia questa purificazione dei nostri peccati che si
realizza tramite il fuoco d’amore che viene da Dio.

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