venerdì 8 aprile 2011

Domenica, 10 Aprile 2011 V DI QUARESIMA - "di Lazzaro"


LETTURA

Lettura del libro dell’Esodo 14, 15-31

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri». L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare. Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.

SALMO
Sal 105 (106)

®Mia forza e mio canto è il Signore.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Chi può narrare le prodezze del Signore,
far risuonare tutta la sua lode?
Ricòrdati di me, Signore, per amore del tuo popolo,
visitami con la tua salvezza. ®

Minacciò il mar Rosso e fu prosciugato,
li fece camminare negli abissi come nel deserto.
Li salvò dalla mano di chi li odiava,
li riscattò dalla mano del nemico.
Allora credettero alle sue parole
e cantarono la sua lode. ®

Salvaci, Signore Dio nostro,
radunaci dalle genti,
perché ringraziamo il tuo nome santo:
lodarti sarà la nostra gloria.
Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
da sempre e per sempre. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 2, 4-10

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 1-53

In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

COMMENTO

II Vangelo di Giovanni racconta la risurrezione di Lazzaro. Egli è il segno concreto

della gloria di Dio e l'avvenimento in cui si manifesta in modo profondo la

partecipazione alla sofferenza umana di Cristo di fronte alla morte, ma anche l’unico

personaggio che finalmente lotta contro la morte nel mondo. Egli ha una scelta sola:

quella della vita. E di fronte alla morte Gesù pronuncia la parola della risurrezione.

Il dialogo iniziale di Gesù con i discepoli, fermo anche se sconcertante, mostra

irremovibilità per un amico malato e richiama solo la gloria di Dio. Ma non si

affretta. Egli permette che la morte faccia il suo corso, perché, alla fine, si capisca

che sono la forza di Dio e la sua figliolanza con il Padre, di cui ha immensa fiducia,

che compiranno il prodigio. Finalmente Gesù torna a Betania e Marta gli va

incontro: ella porta nel cuore la morte, anche se gli amici la consolano. In fondo,

rimprovera il silenzio, la lontananza di Gesù e la sua insensibilità. Marta tuttavia sa

che Dio concede tutto ciò che Gesù chiede e sa che suo fratello risorgerà alla fine del

mondo.

Gesù invece riporta la vita piena nel presente. E' Lui la vita e la risurrezione e ripete

così "lo sono" che Giovanni riprende continuamente come richiamo alla divinità di

Gesù, nella piena comunione con Dio Padre (Jahvè: IO SONO). Se Marta risponde

con una professione di fede propria della comunità in attesa, Maria, che arriva subito

dopo, rappresenta il dolore senza speranza e senza prospettive. Al contrario, Gesù

vive questo momento in modo sereno anche se accorato.

Gesù freme dentro di sé e condivide con il pianto la tragedia della sofferenza umana

e della morte stessa; e tuttavia egli mostra di essere venuto a vincerla, offrendo la

pienezza della vita. Se ne accorgono del pianto di Gesù e lo interpretano come

amore, ma Gesù è ugualmente sotto accusa! “Perché non ha usato prima la sua

forza?” E tuttavia Gesù, in mezzo a diffidenze e perplessità, si avvia a manifestare la

gloria di Dio e chiede di fidarsi di lui. “Togliete la pietra".

Gesù affronta la lotta più grande per un amico e anticipa così, attraverso una

risurrezione temporanea (Lazzaro sarebbe ancora morto, un giorno, come tutti noi),

il dono della vita eterna che acquisterà per sé e che offrirà poi, come garanzia, ai suoi

amici.

La preghiera al Padre, finalmente, esprime il mondo di gioia, di ringraziamento e di

novità nel cuore di Cristo. Poi viene la liberazione di Lazzaro dalla morte e dalla

paura della morte. Cosi ogni uomo, finalmente, può offrire tutto il suo cuore senza

timore, libero per una dedizione generosa e totale.

II miracolo è avvenuto per la mediazione della fede di Maria e di Marta, sorelle di

Lazzaro. Queste hanno mostrato fiducia in Gesù. Pur lontanissime dall'idea di una

restituzione, nel dialogo si sentono fiduciose in Gesù e riconoscono la sua autorità e

la sua amicizia.

Il credo delle sorelle è ancora fragile poiché non è filtrato attraverso la morte e la

risurrezione di Gesù, ma è l'inizio di un cammino di speranza. "Io credo che tu sei il

Cristo, il figlio di Dio che deve venire nel mondo" (v 27). In fondo anche la nostra

fede mantiene lo stesso spessore: sappiamo di Gesù risorto ma non sperimentiamo la

sua potenza. Forse riusciamo di più a capire le sue lacrime e meno il coraggio di

urlare; “Togliete la pietra”.

La nostra fede ha bisogno di camminare con fiducia e di crescere, poiché

continuiamo a sentire le stesse domande di Marta e Maria e degli amici che

nascondiamo nel cuore: “Dov’eri? Perché non sei intervenuto?”.

APPROFONDIMENTO

“Gv 11: la risurrezione di Lazzaro”

don Silvio Barbaglia

1 Introduzione

Pensavo questa volta di trattare un testo che sarà funzionale alla riflessione prossima sul

discepolo amato che è quella sulla resurrezione di Lazzaro, che troviamo al capitolo 11. Vorrei

quindi riflettere sul personaggio di Lazzaro e su questo episodio fondamentale della sua vita. La

finalità che vogliamo raggiungere è quello di entrare in un testo che è sconosciuto alla tradizione

sinottica. Un testo particolare, su cui l’evangelista sta tantissimo, è di grande rilevanza ed è

collocato in apertura degli eventi finali della vita di Gesù (capitolo 13 è dedicato all’ultima cena).

Un testo di fondamentale importanza, in cui compare l’ultimo dei segni presentati dal Vangelo, il

segno per eccellenza, quello del passaggio dalla morte alla vita, che prelude al segno più grande che

è quello della morte e resurrezione di Cristo. Il libro dei segni è distinto dagli studiosi con il libro

della Passione, con crinale all’interno del capitolo 12. Senza tagliare con l’accetta il testo,

certamente questo segno serve a preparare il racconto della passione di Gesù. Altro aspetto

interessante è il vedere questa famiglia cara a Gesù. Entriamo nel merito di una famiglia, un

ambiente domestico, frequentati abitualmente da Gesù quando passava da gerusalemme, cosa

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interessante anche dal punto di vista storico. Il Vangelo di Giovanni tratta sempre di fatti concreti,

che hanno anche sempre un significato a livello superiore. Qui dal livello di un amicizia e di

frequentazione di una casa emergerà un significato ulteriore più profondo e recondito.

2 Lettura del testo

Era malato un certo Lazzaro di Betania… Vediamo che c’era “uno malato, un certo Lazzaro di

Betania”. Detto così sembra che ci fosse un tizio di Betania malato, altra cosa è dire che c’era un

malato, e che era Lazzaro di Betania: cioè, Lazzaro era conosciuto, ed era malato. Nei Vangeli

sinottici conosciamo solo un altro Lazzaro. In Lc 16 troviamo l’episodio del ricco epulone e del

povero Lazzaro, un testo utile ad illustrare la relazione tra l’aldiquà e l’aldilà: chi di qua sta male là

starà bene e viceversa; chi accumula tesori sulla terra e non li condivide con il povero, con il quale

qui può comunicare, là sarà separato da lui in un abisso… Il ricco non ha un nome, il povero sì, il

che significa che ha un futuro, una vocazione, e il suo nome (Dio mi soccorre) significa che è

soccorso da Dio. Dio guarda ai poveri, che sono privilegiati e godono nella sua amicizia. Nella

morte Lazzaro e riscattato nella sua povertà, fa una grande figura, mentre il ricco fa la figura del

meschino. Anche qui il testo è giocato fra la vita e la morte. Il ricco alla fine si rivolge ad Abramo:

se qualcuno dei morti andrà dai miei fratelli per ammonirli…, ma Abramo dice: neanche se uno

risuscitasse dai morti sarebbero persuasi, dal momento che non credono a Mosè e ai profeti, una

polemica esplicita contro il giudaismo che ha rifiutato di credere alla resurrezione dei morti di Gesù

e che si è rifiutato di leggere con profondità le scritture. Il Lazzaro di Gv ha a che fare con quello di

Lc? Qui una figura storica, là una parabola. Ma ci sono elementi di continuità: oltre al nome, la

possibilità che uno possa risorgere dai morti. Nel I secolo, quando circolavano i Vangeli, il

personaggio di nome Lazzaro poteva essere noto anche per altri episodi, come quello narrato da Lc.

Si parla di Maria di Betania, raccontando il suo gesto del profumare i piedi di Gesù, come se

fosse un avvenimento già avvenuto, mentre è una prolessi relativo a elemento futuro. Colui che tu

ami è malato. E Gesù dice: questa malattia non è per la morte ma per la gloria di Dio… È una

modalità tipica di Giovanni, che mette in bocca a Gesù, tavolta in maniera spietata, i programmi

della sua azione, che, a discapito anche dei sentimenti umani, ha una funzione teologica profonda.

Infatti pensate alla reazione antropologica: una ti viene ad avvisare da lontano della malattia di

Lazzaro…, e Gesù risponde non “che cosa di può fare, arrivo subito…”, ma questa frase relativa

alla gloria di Dio che avverrà grazie a questa morte. E uno dice: ma perché ci deve rimettere

Lazzaro, poverino?! Ci rimetta lui, invece, Gesù. Sul significato della parola “amico” rifletteremo in

seguito. Gli voleva così bene che invece di partire subito, Gesù sta lì due giorni ad aspettare,

tranquillo! In realtà si sta creando la logica dei tre giorni, come una micro-rappresentazione del

passaggio dalla morte alla vita di Gesù. Poi Gesù propone di tornare in Giudea, dove rischia la vita,

nella tana del leone, come i discepoli lo avvertono. Gesù risponde con paragone tra giorno e notte, il

gioco tra luce e tenebra, simboli di vita e morte, che sottolineano la posta in gioca decisiva di vita,

morte e risurrezione di Gesù. Lazzaro si è addormentato, e lui va a svegliarlo. Gesù parla della

morte, loro pensano a sonno, e il relatore ci avverte che sono un po’ “ciordi”: ironia giovannea che

si ritrova anche nell’episodio della Samaritana. Stiamo affrontando una questione pratica: malattia e

morte di una persona. Una scena tragica, che coinvolge Lazzaro, amico di Gesù e del gruppo, quindi

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con sentimenti forti in gioco. Il lettore dovrebbe sentirsi sintonizzato con questi sentimenti. E

appare un Gesù “duro”, che non sembra lasciarsi permeare da questi sentimenti umani. Questo

volere molto bene, noi lo pensiamo in termini sentimentalisti e antropologico, mentre il testo, con i

due verbi fileo e apagao ci rimanda ad altro, anche se poi Gesù piange, ma piange su aspetti forse di

altra natura. Si sta preparando la grande sfida tra i verbi agapao e fileo, che si traduce nel “dare la

vita per”, che significa amare i propria amici, donare tutto sé stesso, e corrisponde a una questione

di morte, a cui si va incontro. Si sta costruendo la simbolizzazione di una morte legata a una

malattia, una forza superiore della natura, che comunque richiama ad elemento di amicizia tra il

malato e Gesù e il suo gruppo, che mette in campo una riflessione seria su morte e malattia che va a

risignificare il tema di affetti, carità e amicizia, che devono passare attraverso morte e risurrezione

per uscire trasformato e purificato rispetto a quello percepito da tutti degli affetti normali. Sono

portati a credere questo sulla base della distanza che la narrazione mantiene rispetto a questi

sentimenti, abituali nella Bibbia. Allora Gesù dice, senza peli sulla lingua: Lazzaro è morto, e sono

nella gioia, gioisco per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Ma andiamo da lui. Crediate

che cosa? Non è la gioia come sentimento antropologico, ma teologicamente connotata: è la gioia

del mattino di Pasqua, della Maddalena che lo incontra nel sepolcro, e di quando appare nello stesso

giorno e otto giorni dopo, e sul lago di Tiberiade, con le tre domande a Pietro sull’amore in senso

teologico. Gesù qui si comporta da “cafone”, sennò: prima è poco attento, ora dice che è

contento…! Occorre stare attento ai significati messi in campo dal testo. Era un testo letto a una

comunità credente, che aveva una situazione diversa dalla nostra, tranquilla ed agevole, connotata

dalla persecuzione, grandi difficoltà. Questo testo di Giovanni tira bordate incredibili alle attese

sentimentali dell’uomo e della donna, oggi molto alte, una volta meno. Qui si evidenzia una

modalità un po’ strana di Gesù rispetto a questi sentimenti, salvo il pianto successivo che lo riscatta

e che assume un significato più importante rispetto alla consueta partecipazione affettiva, che lo

farebbe interpretare in senso normale, ma con questa costruzione il pianto finale avrà un significato

diverso, teologico. È un’interpretazione psicologica che mi pare dia una chiave di lettura importante

al testo.

Tommaso dice: andiamo anche noi a morire con lui. Al versetto 8 i discepoli avevano ricordato

che i Giudei poco prima cercavano di lapidarlo… Disposti tutti ad andare incontro alla morte di

Gesù. Tutto il testo punta a un discorso di morte: chi è già là, Lazzaro, è già morto, Gesù sta per

morire, e gli altri sono disposti a morire con lui. Si preparano quindi i discorsi di addio, con Pietro

che si dice disposto a morire per Gesù, ma Gesù gli dirà che lo rinnegherà.

Venne dunque Gesù e trova Lazzaro che è da quattro giorni nel sepolcro, un modo per dire che è

veramente morto. Nelle tradizioni rabbiniche, lo spirito di un morto era ritenuto circolare nei pressi

del cadavere nei primi tre giorni dalla morte, il quarto giorno non più, e quindi Lazzaro era

assolutamente morto.

Marta esce di casa e va incontro a Gesù, e gli dice: se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe

morto… Ma ogni cosa che chiederai a Dio te la concederà. Una professione di fede forte, una

grande certezza. Gesù risponde: tuo fratello risusciterà. Gesù aveva detto prima che la malattia non

era per la morte, e aveva detto ai discepoli che era nella gioia per loro. Lazzaro tornerà alla vita.

Marta sa, come da tradizione rabbinica e altri, che i morti torneranno alla vita collettivamente. Gesù

risponde: io sono la risurrezione e la vita. Questa sembra la tesi centrale, che il brano cerca di

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argomentare narrativamente. Io sono colui che può vincere la morte e affermare la vittoria della vita

sulla morte. Chi crede in me vivrà. È nella logica del discepolato di Gv il credere in Gesù. Nel

prologo abbiamo letto che si è rigenerati come figli nel Figlio, che è cosa tipica del discepolato, un

nuovo dono della vita. Il discepolo è chiamato a credere in Lui, e così pur andando incontro alla

morte, avrà la vita. Prima diceva Gesù ai discepoli che era nella gioia…: se voi credete, vuol dire

che avrete la resurrezione e la vita, e quindi vivrete sempre. Se Lazzaro è un discepolo vivrà. Questo

brano quindi ci mostra che Lazzaro effettivamente apparteneva al gruppo dei discepoli. Lazzaro

credeva in Gesù? Se risusciterà, sì. È un modo per dire che la vita “per sempre” ti viene già data in

questa vita. Marta risponde che crede che lui è l’atteso di Israele. Quando verrà il Messia, il

mediatore celeste, sarà il giorno del Signore. Un personaggio che poteva essere Elia o un altro

personaggio di mediazione. Che Marta risponda così significa che pensa che si verificherà ora ciò

che è promesso per la fine dei tempi: non occorre più attendere la fine dei tempi, genericamente, ma

Gesù è il compimento della “fine dei tempi”.

Marta allora va di nascosto da Maria, dicendole che Gesù la chiama. Maria esce, tutto porta fuori

da questa casa. Quando vedono che Maria esce, tutti la seguono, pensando che voglia andare a

piangere al sepolcro, perché non hanno sentito che Marta l’ha chiamata, e non sanno che fuori c’è

Gesù. La loro deduzione è logica, ed essendo loro venuti per consolarla, la seguono. Maria ripete a

Gesù le stesse cose che ha detto Marta, si sono messe d’accordo. Ma Marta dice una cosa in più:

“ma so che anche ora qualunque cosa chiedi Dio te la concederà”. Questa affermazione è una cosa

che dal punto di vista umano fa nascere dei sensi di colpa…: se si spicciava un po’ di più a venire,

chissà mai…? Qui leggiamo la sua capacità di salvare dalla malattia, ma porta alla preparazione del

seguito: non essendo Marta e Maria tra i lettori del testo, non sanno come noi perché Gesù ha fatto

questo.

Gesù si commosse profondamente, si turbò e disse: dove l’avete posto? Una visione di distanza

nei confronti del morto, al luogo del quale ci stiano avvicinando, dopo che è stata costruita tutta

l’impalcatura teologica. Anche Gesù entra in sintonia con questo pianto umano, ma entra in sintonia

abbracciando il dramma del dolore umano, ma dopo aver lasciato intuire che lui è la risurrezione e

la vita, è il Risorto, è la garanzia che la morte è stata vinta. Da un certo punto di vista siamo un po’

come nella situazione in cui sono nati i Vangeli: annunciando il Risorto crocifisso, non il Crocifisso

risorto. Parto dal dopo e risalgo al prima. Noi di solito pensiamo alla logica del Crocifisso risorto,

ma il Vangelo di Giovanni pensa più al contrario, come anche l’Apocalisse al capitolo 5: l’agnello è

ritto come immolato. Certo, prima è morto e poi è risorto, ma metti l’accento sulla centralità della

risurrezione, la morte è stata vinta, ma colui che ha vinto la morte è stato crocifisso. Distinguere tra

sostantivo e aggettivo cambia la percezione dell’importanza degli aspetti della teologia. I sinottici

danno la priorità al Crocifisso come sostantivo, Giovanni al Risorto. Il brano che leggiamo va in

questa direzione: prima ti parla del Risorto, e ora del dramma della morte. Ma il dramma della

morte, così istruito, è diverso da come sarebbe se finora trattato solo sul piano antropologico. Il

dramma della morte rimane tutto, ma con sullo sfondo la speranza della risurrezione, la speranza di

chi è risorto nella storia, con lo sconvolgimento più radicale della forza stessa della morte. Una cosa

che deve essere metabolizzata nel nostro modo di pensare. Ora non dobbiamo lasciarci trarre in

inganno da questo: il suo essere la risurrezione e la vita non è una cosa glaciale e distaccata. Lui ha

vinto la morte, e devi pensare allo stupore, alla difficoltà di riconoscerlo, dopo la risurrezione, da

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parte dei discepoli. Se potessimo percepire anche minimamente la forza della risurrezione, la nostra

testimonianza cristiana sarebbe molto più forte, se riuscissimo a metabolizzarla… Noi spesso siamo

più simili a Marta e Maria (“… se tu fossi stato qui…”) piuttosto che capaci di guardare al Risorto.

Questo brano ci invita ad aprirci a lui, potrebbe scaturirne una nuova prospettiva. La liturgia spesso

si riduce a formalismo, e tra vita e liturgia ce ne passa molto. Pensavo nella notte di Pasqua, dove ho

celebrato quest’anno. Ero abituato a passare con l’acqua lustrale, irrorando tutti e dicendo “Cristo è

risorto!”, e gli altri rispondono “È veramente risorto!”. Non sapevo che era un rito orientale… L’ho

capito, andando a celebrare in un'altra parrocchia, quando l’assemblea non mi rispondeva… È una

barzelletta, per dire che nella nostra liturgia ci sono affermazioni di una posta in gioco micidiale. In

questi tempi in cui la nostra fede in Gesù Cristo è profondamente denigrata, il Papa è trattato a pesci

in faccia da tantissima gente… Quello che mi fa arrabbiare di più è che questa cosa non ci fa

arrabbiare, la Chiesa si turba poco, mentre se ci toccano la mamma o la sorella…! Qui invece

sembra dire: la cosa più importante è un’altra, la risurrezione. E alla luce di questa, la cosa che ti

turba tanto la leggerai meglio, la rimacinerai meglio dentro di te, sennò è un vicolo cieco. Purificato,

dopo questa grande purificazione a cui sei invitato, affronterai il dolore in modo diverso, lo vivrai in

altro modo.

Gesù scoppia in pianto. Le lacrime sono una cosa straordinaria all’interno dell’esperienza

antropologica. Si può piangere per sé stesso e per gli altri. Il pianto per sé stesso, tienitelo! Il pianto

per un altro, specialmente malato e morto, è il pianto di Dio. Spesso piangiamo per le nostre cose,

ma è importante imparare a piangere per gli altri, che è un tratto di generosità. I Giudei lo vedono

piangere e restano sulla lunghezza d’onda di Marta e Maria.

Una grotta con la pietra sopra, come quella che rotola via dal sepolcro di Gesù. Si riafferma che è

morto da quattro giorni, al punto che emana cattivo odore, come a dire: “ma cosa stiamo

facendo?!”. Marta aveva fatto prima la sua professione di fede, ma ora resiste, ricade al piano

antropologico, con affermazione che sottolinea l’assurdità di aprire il sepolcro. E infatti Gesù

richiama: non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio? La potenza di Dio si manifesta

attraverso il superamento della morte. E si rimanda al versetto 4, dove ci sono i discepoli, e sono

loro ad ascoltare l’affermazione che la malattia di Lazzaro è per la gloria di Dio. Anche se là il

verbo usato è una via di mezzo tra il mandare degli ambasciatori e l’essere andate esse stesse a

riportare la notizia a Gesù.

Gesù dice: Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. E uno si chiede, ma cosa ha detto? Forse c’è

già una domanda implicita, implicita in tutto il contesto. Il patto che c’è tra Padre e Figlio, cioè che

deve essere manifestata la gloria di Dio. Lo sarà nella morte del Figlio, mentre nella risurrezione

sarà glorificato il Figlio, nella eteroglorificazione tra Padre e Figlio. Qui si parla di gloria di Dio, e

quindi si ha qui una risignificazione della morte e risurrezione di Gesù Cristo stesso. Io so che

sempre mi dai ascolto… Ai discepoli si diceva che Lazzaro è morto e che lui è nella gioia, perché

loro credano. Anche prima, nel dialogo con Marta, si capisce che l’obiettivo è portare tutti gli astanti

alla fede, perché la fede è la vita.

Lazzaro, vieni fuori! È una vocazione, una chiamata rivolta ad un morto, proprio un esempio di

cosa da cui non si può avere risposta, usato nel nostro parlare comune: “è come parlare a un morto”.

E il morto esce, legato dalle bende e con il sudario che gli copre il volto. Segni che richiamano

fortemente quelli della risurrezione di Cristo. E lui riesce ad uscire anche se ha le mani e i piedi

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legati e ha un sudario in volto. Come a dire una persona senza relazioni, senza la capacità di operare

secondo la Legge: le mani dicono la capacità di operare e i piedi di camminare secondo la volontà

del Signore, e il volto è il luogo della manifestazione dell’identità della persona. Che quindi è un

po’ come le ossa aride del racconto di Ezechiele: le ossa sono rivestite di nervi e carne, ma perché

rivivano occorre lo Spirito. Lazzaro esce come un morto che attende di risorgere. E quindi Gesù

dice: scioglietelo e lasciatelo andare, e Lazzaro può tornare in rapporto con Dio, con Gesù, con i

fratelli.

Lazzaro è l’unico dei discepoli che conosce l’esperienza di entrare nella morte e tornare alla vita,

di essere legato come morto, di conoscere i panni che sono messi addosso ad un cadavere, l’esperto

della fasce, che gli sono state messe addosso. Lasciamo stare il discorso degli apostoli, che a Gv

interessa poco, più attento alla dimensione del discepolato. Lazzaro è l’unico dei discepoli che fa

questa esperienza straordinaria.

Molti dei discepoli credettero in lui, ma alcuni andarono dai Farisei e riferirono loro ciò che

aveva fatto. E allora i capi si riunirono molto preoccupati, perché tutti lo stanno seguendo, e ci si

preoccupa di una sollevazione. Caifa prende la parola, sommo sacerdote in quell’anno, dice: meglio

che perisca uno solo che non la nazione intera. E si commenta: lo dice ispirato dallo Spirito. Gesù

doveva morire per la nazione… Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo, e perciò Gesù si ritirò

nel deserto, in una località chiamata Efraim. Quindi si ritorna al pericolo incombente della morte di

Gesù. Si innalza moltissimo l’attesa del potere incastrarlo.

Nel capitolo 12 abbiamo cena in casa di Marta, con Lazzaro tra i commensali, con la penultima

cena di Gesù. Maria è ai piedi di Gesù e gli fa la cosiddetta unzione di Betania. A Gerusalemme la

folla accoglie Gesù con rami di palme. Un’entrata gloriosa, con l’Hosanna del salmo 18, riservato al

Messia, montando un puledro d’asina, altro elemento messianico. E intanto la gente che era stata

con lui quando faceva risuscitare Lazzaro dai morti gli dava testimonianza, e il motivo dell’entrata

in Gerusalemme festosa non è semplicemente l’entrata sul puledro d’asina, ma a motivo della

resurrezione di Lazzaro: è giunto il tempo della risurrezione dei morti: è arrivato il Messia. Per

questo i capi sono preoccupatissimi. I Giudei erano venuti alla cena di Betania, e vedendo Lazzaro,

decisero di uccidere anche lui, perché è un segno che produce fede. Sta scattando il meccanismo che

ti dona la vita, preannunciata dalla risurrezione di Lazzaro. Tra tutti i personaggio del Vangelo, se

ce n’è uno che produce delle conseguenze è proprio Lazzaro, perché il segno che lo riguarda porta la

gente alla fede, infatti nessun altro rischia di essere ucciso per questo. Pensiamo ai personaggi già

incontrati: Nicodemo crede, ma non si sa a chi andrà eventualmente a riferirle, la Samaritana

annuncia, ma non rischia la vita… Per Lazzaro c’è un po’ il paradosso: è appena risuscitato e rischia

la vita. Quindi ci chiediamo: questa figura è destinata a “morire” lì? La prossima volta ci

dedicheremo ad aprire importanti prospettive sulla figura del discepolo che Gesù amava.

RITO ROMANO

IL VANGELO è IDENTICO.

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