venerdì 1 aprile 2011

DOMENICA 3 Aprile 2011 IV DI QUARESIMA



LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 34, 27 - 35, 1

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste parole, perché sulla base di queste parole io ho stabilito un’alleanza con te e con Israele». Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: «Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare».

SALMO
Sal 35 (36)

® Signore, nella tua luce vediamo la luce.
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. ®

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. ®

È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. ®

EPISTOLA
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 7-18

Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo. Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; «ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto». Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 9, 1-38b

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».

Versetti finali del capitolo 9

39Gesù allora disse: "È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi". 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo ciechi anche noi?". 41Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane".


Commento

San Giovanni presenta, qui, uno dei sette “segni” della potenza di Gesù che

illustra e sviluppa nel suo Vangelo. Il testo è un fine racconto, elaborato e carico

di messaggi, che aiuta coloro che si preparano al Battesimo ad incontrare Gesù

Signore.

Il tema centrale del brano è il peccato.

E se l’episodio inizia con una domanda dei discepoli che svelano un

interrogativo, sempre presente, nella sensibilità degli esseri umani quando si

interrogano sul male o sulla malattia: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori,

perché sia nato cieco?”, lo stesso episodio conclude con chi, nella presunzione

di vedere, cade nel peccato e deve scoprire di essere cieco (questi ultimi

versetti, non riportati oggi, sono però preziosi). Infatti Gesù rimette in

discussione la verità di chi davvero vede, e chi no, davanti a Dio:”Gesù allora

disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro

che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei

farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi

anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma

siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9,39-41).

In mezzo c’è la domanda su Gesù: “E’ un peccatore?”

Si finisce col dire che ha peccato contro la legge, poiché ha impastato un po’ di fango con terra e saliva e lo ha messo sugli occhi del cieco: “Impastare è una delle 39 azioni escluse dal sabato perché considerate gesti di lavoro”.

Il cieco non chiede nulla, ma Gesù interviene perché vuole togliere le

conseguenze della condizione di sofferenza. Gesù desidera restituire al mondo

la gloria di Dio e sarà possibile se i sofferenti possono liberarsi dal loro male.

La gloria di Dio si manifesta fondamentalmente nell’uomo sano e libero. E ci si

può liberare se si va a lavarsi alla piscina “dell’Inviato”. Si incontrerà il Messia

che viene, se si avrà il coraggio di voler essere interiormente liberi e volerlo

riconoscere.

Il cieco non lo sa, ma sta svolgendo un itinerario di fede. Egli diventa l’uomo

nuovo: nuova materia e nuovo spirito. A miracolo avvenuto, si aprono le

polemiche: i curiosi, i dotti, i genitori, i credenti.

Si risente qui un testo del Deuteronomio (13,2-6) in cui il Signore Jahvè mette

in guardia dal profeta o dal sognatore che propone un segno e poi insinua:

“Seguiamo gli dei stranieri”. Il comportamento di Gesù insospettisce poiché si

parte dal presupposto che sia un peccatore. L’interrogativo dei presenti: “Come

può un uomo peccatore compiere tali prodigi? rispetta una logica seria su cui

anche il cieco concorda. Ma poi le strade divaricano. I dotti concludono nel

giudicare Gesù peccatore per la sua violazione del sabato; il cieco, ormai

vedente, conclude nel riconoscere l’autenticità di Gesù come profeta poiché

compie opere che solo Dio sa fare. Quindi solo Lui garantisce la luce e la

pienezza per chi non vede, il bene e la gioia dell’umanità.

“Ma questo è un criterio pericoloso- pensano i dotti-. Le certezze crollerebbero,

l’onore di Dio dovrebbe passare attraverso il rispetto, la dignità, la gioia,

l’integrità di ogni uomo, la legge. Così “Chi è sano è benedetto da Dio, chi è

malato è un escluso- pensano-. Chi rispetta la legge è benedetto; chi non la

rispetta è peccatore”. Altrimenti l’autorità non ha riferimenti di verifica e

dovrebbe diventare servizio, la legge dovrebbe reggere lo sforzo della

revisione, adattandosi alla persona che si incontra, la fede dovrebbe unirsi

all’amore di ogni persona anche se ingiusto”.

Così il rifiuto di Gesù diventa rifiuto del credente.

Ma a questo punto Gesù si rivela: “Credi tu?” Finora il cieco vedente sa solo

che il suo guaritore è da Dio (v 33) ma non chi è. Ora Gesù lo invita alla fede

nella presenza di Dio in un uomo. «“Credi nel Figlio dell’uomo?” “Credo,

Signore” e si prostrò».

Approfondimento

IL PENTIMENTO (O DOLORE DEI PECCATI)

Si tratta di una mia meditazione, che forse qualcuno conosce: repetita iuvant!

Dal Signore impariamo una certa successione: Egli è venuto per patire, ma finché non è venuta l'ora non anticipa la passione.

Quindi bisogna riconoscere con chiarezza tutti i peccati, la loro gravità, e sentirli come nostri, poi viene il momento del pentimento.

Che cosa significa pentirsi ?

Pentirsi vuol dire che siamo inorriditi per la grande distanza che c'è, a causa del peccato, tra Dio e noi.

Nel pentimento non c'è posto per scuse o per attenuanti in considerazio­ne delle circostanze.

Dobbiamo guardare in faccia la nostra colpa in quanto colpa e misurarne la gravità.

Per capirne la gravità non dobbiamo guardare solo a ciò che abbiamo commesso, ma soprattutto a ciò che Dio fa per noi.

Anche per il penti­mento Gesù resta il nostro modello.

Gesù porta i nostri peccati al Padre in un amore cosi purificante che il Padre vede solo l'amore e l'opera di riconciliazione del Figlio.

Nessuna difficoltà, nessuna stanchezza, nessun viaggio, nessun discorso,

nessun miracolo è in grado di distogliere Gesù, durante la sua vita,

da questo atteggiamento di amore.

Da questa vicinanza del Figlio con il Padre, noi possiamo capire quanto ci siamo allontanati.

Non abbiamo altra misura per capire la vicinanza che avevamo nei giorni della grazia e che ora abbiamo perduto.

Solo se usiamo questo modo di misurare il nostro peccato ci avviciniamo al pentimento cristiano.

Infatti il pentimento cristiano non è quello di chi è dispiaciuto di non essere migliore di ciò che è, ma è quello che viene dal percepire quanto ci siamo allontanati dall'amore

di Dio. Questo pentimento deve cagionare dolore, infatti se è cristiano non è un semplice atto d'intelletto, ma coinvolge il cuore.

Il dolore deve essere del nostro cuore, del cuore che avrebbe dovuto amare e che non ha amato.

*****

Da che cosa deve nascere il dolore ?

Dal fatto che abbiamo peccato davanti a Dio, al suo amore che è più grande di ogni altra realtà.

Questa circostanza: "Davanti a lui", deve essere tenuta presente nel modo più concreto possibile per suscitare il pentimento.

Ciascuno deve dire a se stesso: "proprio davanti al suo volto ho preso posizione contro di Lui"; bisogna mettersi davanti agli occhi, al vivo per quanto è possibile, questa situazione.

Dio in Gesù Cristo ha rivelato il suo amore infinito per me e non ha avuto esitazione a salire sulla Croce e io l'ho guardato in faccia e l'ho tradito o, almeno, l'ho dimenticato.

Il suo amore è la realtà sconvolgente che fa nascere il dolore.

Come è accaduto a Pietro che pianse amaramente per aver tradito colui che anche per lui sta per dare la vita.

Proprio perché il dolore nasce dall'amore di Dio per noi esso non può rimanere solo dolore, ma diventa anche certezza della salvezza, certezza che non saremo mai abbandonati.

"Chi potrà separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù" Rm. 8 dice S. Paolo.

L'amore di Dio è il fondamento del dolore, ma anche della speranza.

Il peccatore nel fondo della sua fede conosce questo amore che non può mai andare perduto per lui, e che è la prima causa che rende possibile il pentimento.

Solo mettendosi dal punto di vista di Dio il dolore diventa perfetto.

Quello che veramente conta è che il motivo della conversione: deve essere Dio e l'amore per lui.

Uno potrebbe chiedere se ci sono altri motivi per essere addolorati. oltre all'amore di Dio.

Bisogna rispondere che molte persone si addolorano più per se stesse che non per Dio:

c'è chi si addolora perché non è riuscito ad essere come avrebbe voluto ed è ferito nel suo orgoglio;

c'è chi non è riuscito a mantenere una promessa fatta agli altri e si sente sminuito agli occhi altrui.

Questi tipi di dolore non sono quelli giusti.

Primo perché non ha niente a che fare con Dio, anzi si dimentica di Dio.

Secondo perché molto spesso conduce alla paralisi e allo scoraggiamento. Si vede che non ce la si fa proprio e invece di impegnarsi di più, si lascia pian piano ogni sforzo per migliorarsi: forse senza essere esplicito è questo l'atteggiamento più ricorrente delle cattive confes­sioni.

Ci sono persone che non si ritengono obbligate a mostrare un serio pentimento davanti a Dio e si limitano a un pò di rammarico solo con se stessi.

Questo significa non ubbidire al Signore, non capitolare davanti a Lui e voler tenere il coltello dalla parte del manico.

In questo modo la relazione di vivo amore tra Dio e l'uomo presto o tardi si estinguerà.

CHE COSA SUCCEDE INVECE QUANDO IL DOLORE E' AUTENTICO ?

Se uno è completamente afferrato da un dolore vero vede non solo i peccati commessi, ma anche tutta la propria vita lontana da Dio. E di tutto ciò non ne vuole più sapere

Emerge il desiderio vivissimo di estinguere questa vita per lasciare il posto alla "novità" dell'amore di Dio e, quindi, alla speranza.

Se vogliamo usare un'immagine, è come se il peccatore vedesse se stesso come un morto al quale il Signore risorto offre la possibilità di rientrare nella vita.

Il Signore ci dona qui una parte della sua vita eterna, e il dolore della confessione è come un raggio della vita eterna che entra nella situazione di morte in cui si trova il peccatore e lo illumina e lo conduce alla rinascita.

Il dolore vero dei peccati proprio perché fa entrare in comunicazione con la luce di Dio, diventa stimolo potentissimo all'azione, al cambia­mento.

Mentre il dolore falso scoraggia, il dolore vero porta alla trasforma­zione dell'essere: il cristiano addolorato non vuole stare più lontano dal Signore e cerca la strada del ritorno, che significa la strada della conversione.

Qualcuno potrebbe dire: "ma che senso ha tutto questo discorso sul dolore, quando poi tutto ritorna come prima ?".

Dopo la confessione ritorna tutto come prima ?

E' vero ?

Solo se si ha una fede limitata e un amore povero si può pensare questo.

Può pensare cosi solo chi guarda a se stesso e alle sue impossibilità e si dimentica di guardare a Dio e alle sue possibilità. Dobbiamo ricordarci della parola di Gesù: "ciò che impossibile agli uomini è possibile a Dio".

Chi è veramente addolorato per il proprio peccato cerca di tornare a Dio con tutte le forze e si impegna nel combattimento per una vita rinnovata, avendo fiducia nell'aiuto di Dio.

In tal modo la confessione fatta mensilmente o settimanalmente porta sempre qualche cosa di nuovo. Se non altro il desiderio sincero di stare vicino a Dio e di non tollerare la lontananza da Lui.

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